Al Aprile, Luca Majer - La musica rock-progressiva europea

Autore: Al Aprile - Luca Majer
Titolo: La musica rock-progressiva europea
Editore: Calypso
Pubblicazione: 2009 rist.
Pagine: 220
Prezzo: € 16.50

In epoca di ristampe compulsive, ritorni, revival e reunion, c'è anche spazio per un'operazione editoriale intelligente, la ristampa da parte di Calypso Editore de "La musica rock-progressiva europea", opera a quattro mani di Al Aprile e Luca Majer, un "saggio-romanzo" - originariamente edito da Gammalibri (Milano, 1980) - in grado di fornire importanti orientamenti di fruizione e ascolto nell'ambito progressive.

Così ridato a nuova vita, con tanto di serafico Ivor Cutler a campeggiare in copertina (fotografato da Silvia Lelli nella Londra del '77), il libro è utile tanto a neofiti quanto a scafati appassionati, come chiarito da Luca Majer nelle due pagine d'introduzione, ed è prima di tutto incentrato sulla "brezza", l'atmosfera di 30 anni fa, così distante dalla parcellizzazione contemporanea, e intimamente vicina alla natura stessa di ricerca e scoperta, con tutte le implicazioni emotive (se non feticistiche) del caso.
Al Aprile è stato percussionista e chitarrista, conduttore radiofonico, organizzatore di eventi e giornalista sportivo, mentre Luca Majer ha studiato composizione al Berklee College di Boston, e musica rock e jazz a Milano, rispettivamente con Alberto Camerini e Giorgio Gaslini (ma ha anche composto musiche per il teatro e persino dato alle stampe un singolo del 1981, "Kamati/Takita", con lo stesso Al Aprile e Maurizio Marsico, a nome Fontana).

Con cotanto retroterra, i due si propongono di scandagliare un percorso più o meno diverso alla (ri)scoperta di artisti e opere, che oggi risulterà sicuramente noto a più di qualche "utente" smaliziato, ma che non mancherà affatto di stupire.
Il loro approccio metodologico al vastissimo e variopinto mondo del rock progressivo storico è dunque sui generis, così come sui generis è stato l'ambito musicale di partenza: lungi dall'essere un banale manuale d'iniziazione, la "Musica rock-progressiva" è piuttosto una pubblicazione che funziona per osmosi. Non vi si ritrovano definizioni di base, o istruzioni per dummies, né step da seguire per arrivare a una conoscenza all'incirca esaustiva della categoria. La loro volontà è soprattutto quella di trasmettere sottopelle la visione del periodo, la rilettura del mondo attraverso le lenti deformanti (e ammalianti) proprie della musica progressive. La scrittura stessa è artsy, lirica e progressiva, e dunque pienamente coerente.
Anzi, si può dire che lo stile fa tutt'uno con il contenuto, una secchezza che rende agile la lettura e al tempo stesso fornisce immagini verbali forse un po' fuorvianti, e talvolta poco informative, al limite della tesi di laurea obliqua. Ma il contenuto e la sua trattazione ne sono comunque contraltari pienamente appaganti, in buona rispondenza con l'assunto di partenza, e tali da rendere buon servigio d'illustrazione delle personalità-chiave via via enunciate (in generale è forse consigliabile dotarsi di una propedeutica infarinatura sulla terminologia gergale). Validi sono gli affreschi biografici, mai pedanti, gli agganci tematici e i canoni estetico-musicologici adottati, e ottimo è il dosaggio della visione critica dei due coautori.
In ogni caso, vanno prese in considerazione (per stessa ammissione degli autori), anche alcune limitazioni editoriali che hanno limato digressioni e trattazioni altrimenti maggiormente estese.

La sua struttura è quanto di più elementare: un excursus dei paesi europei protagonisti nella nascita e nello sviluppo del progressive rock. A ogni paese è associato un capitolo; nell'ordine: Germania, Inghilterra, Francia, Italia, e "Le lucciole", dedicato alla produzione delle altre nazioni europee.
A sua volta, a ogni nazione è associato un input interpretativo che spesso coincide con una sorta di "casus belli", che in sintesi argomenta il movente socio-politico-culturale che ha scaturito la produzione progressiva in quello specifico contesto nazionale.
Il capitolo dedicato alla Germania (significativamente intitolato "Germania anno zero") prende l'abbrivio proprio da questo movente. E' il più basilare "bisogno d'inventare" quello che - secondo Aprile e Majer - sta alla base del motore discografico alternativo dei primordi. Una motivazione, in buona sostanza, in grado di unire cultura e sottocultura.

In particolare, gli autori prendono in considerazione in primis il ruolo del giornalista Rolf-Ulrich Kaiser e della sua invenzione, l'etichetta storica Kosmische Kuriere che darà luogo alle cosiddette "Civiltà elettroniche" dei primi Tangerine Dream, dei Klaus Schulze, dei Tim Blake, dei Conrad Schnitzler.
Il fattore che agli occhi degli autori assume un interessa speciale è l'assoggettamento al grande pubblico, pochi minuti dopo le prime fasi di sperimentazione radicale. Ecco allora il Klaus Schulze post-wagneriano di "Blackdance", i Tangerine Dream di "Cyclone" (forse il culmine della massificazione della musica cosmica) e "Phaedra", fino ad arrivare ai veri rifinimenti-raffinamenti di questa massificazione, ovvero Tim Blake e Schnitzler. Anche l'estetica, in parte ironica, in parte campestre e ovviamente cosmica, dei Cluster è presa in considerazione dell'obliquità e della non-musica della collaborazione di Brian Eno, altro artista ritenuto almeno in parte responsabile di questo verbo facilitato ai fini di un approccio allargato.

Qualche breve accenno all'estetica della macchina Kraftwerk-iana e al conseguente "elementare delirio" dei Neu! (oltre all'ilarità del chiasso dei White Noise) introducono allo stimolo secondario del rock progressivo teutonico (ma desunto direttamente dalla psichedelica), ovvero l'allargamento della conoscenza, il viaggio astrale attraverso acidi, luci e colori promulgato dallo stesso Kaiser - visto come il Tim Leary europeo - che porterà a nuove entusiasmanti realtà musicali.
Sono personalità come quelle di Gottsching e Fricke ad aver dunque portato al livello più elevato del binomio concentrazione/studio (con la filigrana di calma e meditazione), in contrapposizione alla corruzione della modernità. Di qui si sbarca in un calderone tritatutto, dal quale emergono gruppi inizialmente out (ma che poi hanno a loro modo sfondato), grazie tanto alla stabilità economica nazionale quanto alla voglia di diverso malcelata in più fasce socioculturali. Gruppi come i primi Amon Duul e gli Agitation Free hanno promulgato una sorta di "distruzione dell'impero", mentre la sua prosecuzione, con Amon Duul II e Can, ha avanzato un'ipotesi forte di raffinamento di questa "corrosione" dall'interno.

Altre entità di nuova ricostruzione sono i Guru Guru, i primi e più originali esponenti di un prog più tradizionale e inglesizzato, quindi il jazz-rock immaginifico, ironico e zappiano (Embryo su tutti) che tanto spopolerà nei 70, per finire con un capitoletto interamente dedicato ai Faust, forse i favoriti in assoluto dagli autori. Emblematici tanto dal punto di vista dell'intransigenza artistica quanto da quello del compromesso (il contratto Virgin del quarto disco), i Faust servono soprattutto per coagulare il concetto ricorrente nel testo di Aprile e Majer, e cioè il business, qui immaginato sia come fattore negativo che come "tuta mimetica" a disposizione del musicista, se non vero e proprio flirt inconfessato con le classifiche di vendita, e ottimo escamotage di contrasto che isola i punti principali del discorso.

Dopo questo bagno catartico nel periodo più intenso e cruciale del rock progressivo, il capitolo inerente all'Inghilterra porta l'attenzione a quello forse più popolare in assoluto, da molti considerato come la vera culla del genere. Anche in questo caso il punto di osservazione degli autori è discretamente insolito. Per la terra d'Albione il movente del caso è grossomodo analogo a quello tedesco, la voglia di cambiamento, di rottura, e il nucleo d'origine - il mitico Ufo Club - è parimenti improntato a una promiscuità di proposte. A partire dai primi acidi Pink Floyd, con il loro gioco di luci stroboscopiche (e le corse di chitarre scordate e organi "mal temperati") e la Third Ear Band, si arrivano ad altri campi di ricerca, come la Bonzo Dog, lo yesterpunk di Deviants e High Tide.
Di nuovo, il punto di vista del business fa emergere fattori inediti, e figure che, al contrario di altri artisti da esso soggiogati, riescono a dominarlo. Ecco quindi sfilare i nomi tutelari di Fripp e King Crimson, l'erotismo, il rock sexy dei Roxy Music di mezzo, e quindi tutta la straordinaria congrega di Canterbury: il primissimo nucleo dei Wilde Flowers e le due discendenze, dai Soft Machine prima maniera (e quella definita come "sclerotizzazione" del loro sound successivo) a Kevin Ayers, ai due "scomodi" Lol Coxhill e Steve Hillage, fino ai Gong di Daevid Allen, visti come precursori della non-musica di Eno. Figli involontari, ma dalla grande capacità di amalgama stilistico, sono Henry Cow e Delivery, oltre a Matching Mole e Hatfield and the North, mentre un congruo capitoletto è dedicato a Robert Wyatt e ai messaggi contenuti nei suoi capolavori.

Dopo un breve excursus nel jazz-rock di Colosseum e Nucleus, nel territorio dei cantautori "caldi" (Drake e Martyn) e in quello tutto speciale di Ivor Cutler, l'attenzione si sposta alla figura chiave di Brian Eno, altro sovvertirore-dominatore del business e la sua Obscure Records (e la Portsmouth Simphony, composta esclusivamente di studenti attivi non-musicisti).
Infine, un breve accenno ai primordi della new wave di là da venire (l'anno di prima pubblicazione del libro annovera già qualche album fondamentale del filone), da Xtc a Ultravox, oltre a un doveroso accenno all'attività di John Cale per Nico, chiude la bella trattazione.

Il capitolo dedicato alla Francia si apre con uno sguardo alla situazione nazionale dell'epoca, e con un breve schizzo per un'altra figura chiave, ovvero Jean-Luc Ponty, emblematico nell'impostare le coordinate della contaminazione (e dell'equilibrio) tra rock, jazz e musica colta. Band fondamentale sono i Magma, riletti più dal punto di vista dell'angoscia e della solitudine dell'uomo contemporaneo che da quello della parafantascienza "kobaiana", e etichetta fondamentale è la Egg, e le singole personalità, da Lard Free a Catherine Ribeiro a Art Zoyd III. Il moto, secondo gli autori, conduce comunque verso uno spirito genuinamente ridanciano, come suggerito dagli ultimi decorsi del filone (in particolar modo dagli Etron Fou Leloublan).

Per quanto riguarda l'Italia, gli autori precisano saggiamente da subito l'esterofilia cronica che ha sempre pervaso le nostre produzioni, indicandole come vere e proprie radici, in primis da parte dei discografici il cui intento è stato viepiù quello di "spremere il buono" dalle ispirazioni estere.
Il primo Franco Battiato è in ogni caso significativo di un risveglio, come significativa è la sua "popolarizzazione" della musica colta, il suo primo esempio di "discoteca colta" del periodo "L'Egitto prima delle sabbie", e la sua attività di talent-scout (specie per il sottovalutato Juri Camisasca). Problemi, in tutto e per tutto italiani, di incrostazione discografica hanno minato alle basi realtà affascinanti come gli Aktuala e la produzione di Walter Maiolo, come Roberto Cacciapaglia e le sue sincere affinità con i corrieri cosmici di Kaiser, e come gli Area del giro Cramps (anche indicati come "traditori" di un assunto).
Infine, come da copione, ecco il fenomeno dello "spaghetti prog", caratterizzato dall'abnorme quantità di band e di musica prodotta, non supportata da altrettanta qualità, dal quale comunque gli autori estrapolano una trattazione sui meritevoli (e forse ancora discretamente oscuri) Pholas Dactylus.

La vera chicca dell'intero libro arriva comunque alla fine, con il capitolo dedicato al resto d'Europa, con un breve ma intenso excursus su band misconosciute (definite "lucciole") provenienti da Polonia (il duo Muniak/Dudziak), Belgio (Univers Zero) e Finlandia (Wigwam), un vero prontuario di musicisti altrimenti quasi totalmente dimenticati.

Il disegno generale dell'opera è dunque facile, improntato a una razionalità appena sporcata di deviazioni testuali-agiografiche, ma per nulla facilone. E' "europeo" in tutti i sensi, talvolta non così immediato nelle scorse biografiche dei singoli artisti, ma assolutamente impareggiabile nelle sue riletture trasversali di storie, di genesi artistiche, di aneddoti sulle specifiche compagini musicali che nel loro insieme formano il "tutto" del genere progressivo del continente vecchio.
E' anche un libro che permette più di una chiave di lettura, e diverse analisi testuali del fenomeno, anche se talvolta presuppone conoscenza e scioltezza nell'interpretare slang esterofili eccessivamente criptici (e pure un po' modaioli), e più in generale una dimestichezza conoscitiva circa le stratificazioni, i generi di partenza e le modalità di produzione discografica dei decenni passati. E' infine affascinante tracciare connesioni tra queste modalità e l'eredità attuale, tanto dal punto di vista dell'assorbimento di insegnamenti stilistici quanto da quello del nuovo mercato discografico.

Le concezioni degli autori sono realmente oblique, e soprattutto critiche nei confronti del materialismo che da sempre accompagna la produzione musicale rock; la scelta è intelligente specie per un genere delicato e profondo come il progressive rock, spesso e volentieri esposto al rischio mercificazione. Il business, a conti fatti, è visto come una sorta di fattore demonico sempre in agguato, il mezzo-disco e le classifiche come spettri inquietanti che avvolgono la vita artistica inizialmente genuina degli artisti coinvolti, ma anche rovesciati con fare taumaturgico da altrettanti artisti fondamentali (Eno, Battiato, Gottsnich, Ponty). Ma forse il confronto con il mercato, il "tradimento", è cosa inevitabile, e allora si ritorna al punto di partenza di Kaiser e della sua prima etichetta discografica, come in un cerchio perfetto, o come una gerarchia sontuosa, una coerenza-incoerenza che riguarda l'esistenza stessa.
Una bussola preziosa, una lettura salutare.