La scena italiana restava spesso ai margini della radio e della Tv: scettica, incompresa [...] Perfino un album perfetto e avanguardista come 'SxM' dei Sangue Misto non venne celebrato ovunque come avrebbe meritato. E anche oggi non è cambiato poi molto.
(Paola Zukar sui Sangue Misto, tratto da "Rap – Una storia italiana")
Tornata sotto i riflettori dopo la nuova ondata di rapper e trapper di fine ventennio, la scena hip-hop italiana merita di essere riscoperta nelle sue origini. Sicuramente si sono contate anche molte soluzioni artigianali, spesso pedissequamente simili ai colossi statunitensi, più leggende viventi che semplici musicisti per i primi rappusi del nostro paese. A questi lavori acerbi, imitativi e anche abbastanza trascurabili si affiancano però alcune gemme che meritano un posto vicino ai classici musicali italiani del periodo. Se già con la generazione di inizio millennio si era palesata l'importanza di alcuni album ormai diventati classici per il panorama nazionale, il ritorno in auge delle rime in radio, su YouTube e su Spotify è l'occasione per andare indietro nel tempo, tuffarci nel passato per capire meglio il presente. Più precisamente, ci avventuriamo alla scoperta del capolavoro per eccellenza dell'hip-hop nostrano, l’album che si pone al centro della mappa del genere. Non solo quindi cercheremo di analizzare l’opera che, singolarmente, ha segnato un “prima” e un “dopo”, perché nel ricostruire le origini di una formazione e nel seguirne poi gli sviluppi solisti e collaterali cercheremo, più ambiziosamente, di mappare per intero una lunga dinastia, capace di unire in modo inatteso e sorprendente i primi vagiti rap alle manifestazioni più pop, l’esperienza delle posse a quella dei mixtape autoprodotti, distribuiti esclusivamente online. Più che la ricostruzione di una carriera, quindi, uno spaccato di storia della musica italiana, in un microcosmo che ha un unico, brillante sole, chiamato Sangue Misto.
La preistoria: l'esperienza nei centri sociale e la diaspora annunciata
Isola Posse All Stars è una delle storiche crew della scena hip-hop e raggamuffin italiana, quella che più di tutte le altre ha il diritto di definirsi seminale. Nasce alla fine degli anni 80 come espressione del centro sociale Isola Del Kantiere di Bologna, ed è considerata giustamente una delle principali posse italiane, anche se la sua vita in termini discografico-musicali ha lasciato ben poco materiale da tramandare ai posteri. Il successo dell’Isola Posse All Stars è dovuto soprattutto a un singolo di successo del mondo underground, intitolato “Stop al panico”, che fotografa efficacemente il clima di tensione della città di Bologna dopo la strage del Pilastro, l’increscioso fatto di cronaca nera attribuito alla mano violenta della cosiddetta “banda della Uno bianca”. Proprio in questo periodo, caratterizzato da un clima repressivo, molto teso dal punto di vista politico, alcuni dei centri sociali occupati della città vengono sgomberati dalle forze dell’ordine in cerca di un atto dimostrativo utile a placare il senso di pericolo e minaccia che si respirava nelle strade e nelle case.
È proprio “Stop al panico” l’inno che cerca di trasformare questo momento di difficoltà e di sofferenza per il centro sociale Isola Del Kantiere in uno spunto artistico e musicale, da cui trarre uno dei singoli fondamentali del periodo per la scena. Nel periodo degli sgomberi gli artisti che frequentavano le hip-hop jam dell’Isola si riuniscono sotto il nome collettivo di Isola Posse All Stars: insieme per opporsi a un’ingiusta misura nata per tranquillizzare la popolazione terrorizzata da criminali che la giustizia non riesce a individuare e catturare. Possiamo vedere citate, nella formazione, alcune delle figure che poi avrebbero dato grandi contributi alla scena italiana. Sin dal primo singolo è infatti presente Treble, poi fondatore dei Sud Sound System: è lui l’anima raggamuffin del collettivo, una coloritura stilistica tanto evidente da rendere in futuro incompatibile la sua permanenza a fianco di altri rapper dell’Isola. Abbandonerà poco dopo per tornare in Salento e iniziare una lunga e prolifica carriera, già ultraventennale. Altro nome di spicco è quello di Gopher D, figura centrale del primo hip-hop cantato in italiano e molto attivo anche negli anni Zero con una carriera solista prolifica e con i già citati Sud Sound System.
Quello che sembrava essere un gruppo estemporaneo, nato dall’esigenza di far sentire la propria voce in un preciso contesto sociopolitico, miracolosamente si ricompone, pur trasformato, nel 1991, con l’obiettivo di suonare in tutta la penisola. Perso Treble, ai membri della band si aggiungono Papa Ricky ma soprattutto Neffa e Dj Gruff. A questo punto gli appassionati di hip-hop potrebbero aver comprensibilmente intuito il principale motivo che porta ancora oggi a considerare l’Isola Posse All Stars uno snodo fondamentale per la musica “in rima” nostrana. L’ultimo tassello è la presenza, sin dal primo singolo, di Deda: è lui, insieme ai sopracitati Neffa e Dj Gruff, a trasformare questa seconda incarnazione dell’Isola in una versione preistorica dei Sangue Misto, la formazione che nel 1994 avrebbe visto proprio questi tre artisti scrivere una delle pagine fondamentali della musica italiana del decennio.
Quindi, gli Isola Posse All Stars riuniti riescono a registrare un secondo singolo, “Passaparola”, pubblicato solo nel 1992. In questo periodo ottengono una irripetuta visibilità a livello nazionale grazie al programma televisivo “Avanzi”, in onda su Rai3 e condotto da Simona Dandini: senza dubbio è il momento di maggiore esposizione del collettivo nella cultura di massa, quello in cui la formazione, tipicamente underground, arriva nelle case attraverso il canale privilegiato del tubo catodico (i più giovani possono chiedere ai genitori di cosa si tratti). Quella che segue poco dopo è una diaspora annunciata, una suddivisione in progetti differenti di quello che era il nucleo originario. Le vicende artistiche, sia come solisti che con varie formazioni, dei membri di questa superband ne fanno l’incubatrice più importante dell’hip-hop italiano.
La genesi di un capolavoro
Sanguemisto (o sàngue misto) s. m. (pl. sanguemisti). – Lo stesso che ibrido, meticcio, con riferimento sia a persone sia ad animali, spec. cavalli (il termine, contrapposto a puro sangue ai tempi in cui si riteneva che il sangue fosse il portatore dei caratteri ereditarî, è rimasto nel linguaggio degli allevatori).
(da “Dizionario Treccani”)
Il disco di Sangue Misto è partito dal fatto che volevamo fare musica e fumare, e confezionare spinelli, come dice la intro: 'E fumare, e fumare'. Lì proprio c'è, credo che ci sia tutto. Poi ovviamente, ai tempi, era anche un po' fare il finto fricchettone, cioè l'idea era anche si però intanto si parlava dei 'Cani Sciolti', di queste cose qua, non è che fosse solamente 'sì, facciamoci le canne e vaffanculo al mondo'. No, noi nel mondo volevamo ancora starci dentro e fare qualcosa
(dal documentario “Numero Zero – Alle origini del rap italiano”)
I Sangue Misto sono stati forse il vertice della prima ondata dell’hip-hop italiano. Questo perché, nonostante la loro opera musicale propriamente detta si riduca a un unico album in studio e un solo album dal vivo, la loro produzione ha avuto un’influenza all’interno della scena italiana che ha pochi paragoni. Non solo il loro album-capolavoro SxM è ancora oggi considerato un gioiello della musica italiana, ma i Sangue Misto sono stati anche il trampolino di lancio per carriere soliste eccellenti quali quella di Dj Gruff e di Neffa, nonché l’ideale genesi di altri progetti musicali quali Melma & Merda, dove è presente Deda.
Formatisi dalle ceneri dell’Isola Posse All Stars, i Sangue Misto sono un trio composto da Deda, Neffa e Dj Gruff. SxM, l’unico album di studio che hanno mai prodotto, viene pubblicato a gennaio del 1994 ed è uno di quei rari casi in cui anche la critica musicale nostrana, tradizionalmente legata al pop e soprattutto al rock, riconosce lo spessore di un opera hip-hop: ad esempio, Rolling Stone Italia inserisce l’album alla posizione numero 25 la sua classifica dei 100 dischi italiani più belli di sempre. Al momento della pubblicazione l’album non riscuote nessun tipo di successo a livello commerciale, anche a causa della distribuzione della Century Vox, che non riesce a dare il meritato rilievo nei negozi al nuovo sound ideato dalla band; è un caso tipico di una grandiosa occasione sprecata per la musica italiana, che si trova tra le mani un album capace di stare al fianco dei classici del genere senza però riuscire ad abilitarlo in alcun modo a livello artistico. Si noti che il demerito non è propriamente della Century Vox, etichetta fondamentale per la scena nostrana di quel periodo, quanto di un mercato ancora incapace di accettare l’hip-hop come una musica di pari dignità rispetto agli altri generi.
Cinque lustri dopo, può capitare che tale mentalità sia ancora quella dominante in certi ambienti musicali, che siano questi appassionati o addetti ai lavori. Questo stigma di genere minore, artisticamente secondario rispetto al rock e al pop, i due pupilli storici della critica italiana, ha comportato un ritardo sostanziale nella storicizzazione dell’hip-hop, una mancanza che spiega come mai opere fondamentali come l’SxM dei Sangue Misto siano ancora lontane dal ricevere il plauso trasversale dei critici come invece accade per il cantautorato o i giganti del prog-rock nostrano.
Il lavoro del trio è sensazionale, fortemente caratterizzato da suoni allucinati, storditi, drogati, intrisi dei fumi densi della marijuana. Più che un ascolto musicale tipico, l’album è un trip visionario, un esempio di come la scena italiana potesse esprimere una declinazione dell’hip-hop tutt’altro che formulaica e stereotipata (uno stigma che ancora oggi si porta dietro, non sempre corroborato dai fatti). Il clima cupo, minaccioso e angosciato che viene narrato dal primo disco dei Sangue Misto è quello di una Bologna dei centri sociali chiusi dalla repressione delle forze dell’ordine, è il testamento spirituale di una generazione di giovani ai margini della società, afflitti da un malessere psicologico asfissiante. SxM è un incubo imbevuto di THC, che tuttavia non usa mai la violenza come via maestra: album di grande classe nella scelta dei suoni, evita lo stereotipo drammatico della musica violenta per tematiche cupe, preferendo basi sinuose, umbratili o trasognate che contrastano nettamente con i testi aggressivi, psicotici e depressi. I toni sono spesso noir, giocati sui chiaroscuri magistrali dei beat e dei sample.
La relazione fra musica e testi è fondamentale, due lati della medesima ispirazione artistica. Non è un caso che tutti e tre i membri siano anche impegnati nella produzione delle basi, così come è fondamentale che tutti e tre prestino la propria voce ai brani: è questa grande coerenza a evitare che sia il rapper a “seguire” e assecondare la base o viceversa, come spesso accade nell’hip-hop sia nazionale che internazionale. Qui ha poco senso parlare di rapper e dj, secondo lo schema classico degli albori del genere, perché il trio si muove compatto, secondo intenti precisi che permettono di esaltare la fusione fra musica e testi. La vicinanza alla scuola cantautorale, al modello del folksinger che suona e canta la sua musica, sembra così aggiornata in modo magistrale, anche se purtroppo il primo cantautore hip-hop preso in considerazione dal grande pubblico sarà Jovanotti e non certo un Neffa, un Deda o un Dj Gruff.
Il trio predilige suoni jazz e funk dai risvolti psichedelici, selezionati dai classici del genere, ma intrisi di un gusto sofisticato che difficilmente si associa, nell’immaginario comune, al mondo dei centri sociali dai quali i tre provengono. È un album in cui potete trovare Sly And The Family Stone, i Funkadelic, Slick Rick e Miles Davis. La vicinanza più evidente è a quello che i Cypress Hill stavano facendo in quel periodo dall’altra parte dell’oceano: l’atmosfera non potrebbe essere più allucinata, forse con un approccio sperimentale che manca alla band di South Gate, California.
I classici immarcescibili iniziano con “Clima di tensione”, un brano che risulta attuale ancora oggi: "Giorno dopo giorno questo è il clima di tensione/ Preso male vero e quando accuso la pressione/ Sono in stato di continua minaccia”. L’ultima frase riportata è un campionamento di un brano dell’Isola Posse All Stars, come a significare che le due formazioni sono nate dalla medesima ispirazione, dal solito clima politico teso, violento e turbolento.
“Lo straniero” è forse il brano più riuscito dell’album, al contempo ipnotico ed elegantissimo con le sue linee di synth sibilanti e le flessuose strutture di basso. Il testo poi sembra essere il vero manifesto dei Sangue Misto: “Io sono il numero zero/ Facce diffidenti quando passa lo straniero/ In sclero, teso vero/ Vesto scuro, picchio la mia testa contro il muro/ Sono io l’amico di nessuno e stai sicuro/ Resto fuori dalla moda e dallo stadio/ Fuori dai partiti e puoi giurarci, io non sono l’italiano medio/ Ma un cane senza museruola”. Proprio il primo dei versi riportati sarà scelto come titolo per il film-documentario “Numero Zero – Alle origini del rap italiano” di Enrico Bisi, che riconosce nell’opera della band uno snodo fondamentale e imprescindibile per la scena nazionale. E ancora è fulminante Neffa che descrive la discriminazione di un’Italia divisa fra nord e sud, con frasi che possono suonare tristemente contemporanee: “Io quando andavo a scuola da bambino/ La gente nella classe mi chiamava marocchino/ Terrone, ‘Muto! Torna un po’ da dove sei venuto!’/ E questa è la prima roba che ho imparato in assoluto”. La percezione di essere diversi, estranei, alienati viene riassunta in una delle frasi più dure dell’hip-hop italiano, una considerazione tanto amara quanto lapidaria: “La mia posizione è di straniero nella mia nazione”. Il distico, sempre per ribadire la ricerca intellettuale dell’opera, è una citazione rivista di una frase che Garibaldi rivolse a Cavour (“Io domando ai rappresentanti della Nazione se, come uomo, potrò mai stringere la mano a colui [Camillo Benso, conte di Cavour] che mi ha reso straniero in Italia”). Questo brano ben riassume quanto i Sangue Misto fossero calati nella propria cornice sociopolitica, invece che meri imitatori di un sound statunitense come è spesso capitato agli albori della scena (per esempio, lo si nota nei Radical Stuff o nel primo Jovanotti). D’altro canto, rispetto ad altri illustri predecessori come gli Assalti Frontali, dimostrano anche un’apertura a temi di interesse più ampio, che incontrano le preoccupazioni anche di molti estranei al mondo dei centri sociali.
Gli echi raggamuffin, che pure avevano fatto parte del Dna dell’Isola Posse All Stars, tornano ne “La parola chiave”, dove fondamentale è l’apporto in dialetto salentino di Gopher D. È la dimostrazione di come la band avesse superato l’hip-hop “hardcore” tanto da contaminarlo con altri generi, senza per questo perdere di vista il sound dell’opera. Lo scratch domina “Cani sciolti”, secondo un lessico spettacolare che ben contrasta con l’allucinazione dell’inno drogato di “La porra” (“Fumo la mia porra, zero trip trip trip/ Fottono la testa di un guaglione con il bip bip bip/ Io resto affezionato a un dado Knorr/ Cartina, filtro, paglia, fumo uguale…” ) e quello squattrinato di “Manca mone”, il lato più colorato e divertente di un album che si chiude invece con brani psicotici, depressi e angoscianti come “Piglia male” e “Fattanza blu”. Qui si può ascoltare una produzione che allunga e dilata i tempi fino a trasformare un beat in un lento spasmo soporifero, annullando quasi l’idea di svolgimento ritmico, come se ci si ritrovasse in una nuvola fuori dal tempo, una dimensione mentale onirica. Frasi rabbiose come “Inculare Ambra e Forza Italia” o strofe depresse come “Certe volte piglia male/ È come l’acido di un trip che sale, sale/ E mi accompagna giù/ Al di là del blu, oltre la soglia dentro il nero/ Dove fa brutto vero/ Per un po’ starò via, non mi cercare/ Andrea si è perso e non riesce più a tornare” o ancora il distico “E la notte dentro al letto mi rigiro/ Quando prendo sonno tutto a un tratto non respiro”: sono diapositive dall’inferno della mente, l’interiorizzazione di quella tensione sociale e politica che era protagonista della preistoria musicale dei tre e che pure apriva l’album.
“Fattanza blu”, praticamente una colla sonora con il rap sommerso dai bassi ottundenti, è divisa da un momento strumentale che viene così descritto da Neffa: “Non so per quale motivo decidemmo, in mezzo, di mettere questa suite, questo momento, appunto, in cui ti sale la fattanza. E facemmo due tracce chilum: ‘ragazzi c’ho un’idea, mettiamo il microfono proprio a così da terra. E poi ci stendiamo a terra con le teste che convergono verso il microfono’. Mi ricordo che spegnemmo le luci, dopo aver fumato questo chilum che doveva essere stato abbastanza tracotante. Ci facemmo tutto ‘sto pezzo a occhi chiusi, stesi per terra e sono venuti fuori dei versi che nel pezzo ci sono di qua e di là. Appena finita la traccia mi alzai di scatto per andare ad accedere la luce, tornai da una realtà che era almeno tre strati più lontana, perché mi alzai di scatto con ‘sta fattanza addosso e là mi dissi ‘che flash!’.”
Lo strumentale “La notte”, pieno di svisate jazz, alleggerisce e schiarisce il clima nebbioso e depresso, ma è un finale amaro per un’opera che nasconde nelle pieghe della sua eleganza, nella sua collezione di groove sensuali, nella sua stilosità dei risvolti tragici, asfissianti, inquietanti e psicotici. Album epocale per l’Italia dell’hip-hop, SxM è un caso più unico che raro di una band italiana che riesce a scrivere, al primo tentativo, un manifesto destinato a influenzare un’intera generazione di rapper nel corso degli anni 90. Sarà ristampato tre volte: nel 2000, nel 2005 e nel 2018, in quest’ultimo caso in vinile e anche in versione deluxe, a testimonianza del culto intorno all’opera guadagnato negli anni.
Il documento dal vivo Live Padova (1995) è più un bootleg che altro, e il repertorio appartiene sono in parte a quello che i Sangue Misto hanno pubblicato. Dopo questo live i Sangue Misto scompaiono, anche se Neffa, Dj Gruff e Deda continueranno con carriere soliste e in altre formazioni, pronti a spargere il seme allucinato di SxM. Solo per questa velocissima dipartita i Sangue Misto rimangono cristallizzati come una formazione che è rimasta insieme quel tanto che basta a regalare una pietra angolare per la scena dei secondi anni 90, senza però sviluppare tutte quelle evoluzioni che una band riesce a mettere in atto con il trascorrere degli anni, dei lustri, dei decenni. Con loro non è possibile leggere di riflesso gli stravolgimenti che pure avverranno nelle epoche successive, visto che il nome sociale non sarà ufficialmente mai più utilizzato dai tre.
Nel caso di realtà come i 99 Posse o gli Assalti Frontali, ma anche sul versante più pop nei casi di Articolo 31, Sottotono o Jovanotti, è possibile apprezzare come i nuovi trend, le evoluzioni tecnologiche o anche solo l’avanzare inesorabile dell’età anagrafica abbiano cambiato, influenzato, trasformato il suono originario, facendo delle carriere degli artisti citati una cartina tornasole per meglio comprendere l’evoluzione storica del genere. Per i Sangue Misto, invece, l’operazione più praticabile è decisamente meno immediata: ricercare nelle carriere soliste dei tre membri i tasselli mancanti di una storia che, pur capace di donare un vertice assoluto della scena hip-hop italiana, sembra comunque incompleta. Cercheremo quindi, da sedicenti investigatori della rima, di ritrovare nelle lunghe parabole extra-Sangue Misto di Neffa, Dj Gruff e Deda cosa è rimasto di quell’esperienza fondamentale, seguendo i nostri anche nei loro progetti paralleli, estemporanei e meno conosciuti. Collateralmente, cercheremo anche di capire meglio cosa delle storie dei singoli può darci una visione più completa dell’esperienza nei Sangue Misto, individuando opere che hanno anticipato quell’exploit o esperienze dei singoli rapper che hanno influito poi nelle scelte artistiche prese nel corso della breve esperienza del gruppo. La speranza è di poter fornire una visione d’insieme della dinastia della band, che segua i mille rivoli scaturiti da un unico album, e album unico, come SxM.
Il figlio del tradimento: la carriera solista di Neffa
È l'ultimo disco per cui, prima dell'uscita, tiravo su il telefono per far sentire i pezzi agli amici, l'album con cui ho dimostrato la gratitudine a chi c'era, agli esponenti di quel primo gruppo che ha formato la scena e a quelli a cui dovevo qualcosa. Oggi '107 elementi' da molti è considerato il mio disco più bello, più cool, ma se 'I messaggeri della dopa' è la fotografia dell'unione e del fermento di un'epoca, '107 elementi' rappresenta la totale decadenza e le divisioni, dunque in qualche modo è il mio disco contenente più elementi di 'malvagità'... proprio per questo credo che oggi piaccia molto a un certo mondo. Senza considerare che io reputo entrambi i titoli la summa di un periodo precedente, elementi interni di due parentesi che aprono e chiudono ufficialmente questa parte della mia carriera e corrispondono a dischi più importanti per me come SxM e Chicopisco.
(Neffa su "Neffa e i messaggeri della dopa", tratto dalla ristampa in vinile del 2015)
Finita l’esperienza nella band, i tre rapper e beatmaker sono destinati a diventare, chi più chi meno, dei punti di riferimento per quella musica di strada nuova e creativa che loro stesso hanno contribuito a coniare. Dei tre, l’unico destinato a una celebrità vera e propria è Neffa, ovvero Giovanni Pellino. D’altronde, può vantare nel curriculum musicale una serie di esperienze tanto disparate da risultare sorprendenti.
Nato a Scafati nel 1967, in provincia di Salerno, si trasferisce a Bologna ancora giovanissimo e inizia a praticare presto la musica hip-hop. Questa prima vocazione sembra dover essere abbandonata quando all’inizio degli anni 80 Giovanni diventa uno dei batteristi degli Impact e dei Negazione, due formazioni di rilievo della scena hardcore-punk italiana. Sceglie in questo periodo il suo nome d’arte, rifacendosi a quello di un calciatore paraguaiano di nome Gustavo Alfredo Neffa Rodríguez. La sua presenza in queste band lo porta anche a partecipare in prima persona a un tour negli Stati Uniti. Inizia gli anni 90 con la partecipazione con i Piombo A Tempo, dove comincia a fare freestyle, tornando quindi attivo nella scena hip-hop dopo l’abbandono del mondo hardcore-punk. Da qui l’esperienza con gli Isola Posse All Stars e quindi nel 1994 con i Sangue Misto, in realtà non del tutto conclusasi dopo la pubblicazione del loro unico album ma proseguita poi in una serie di collaborazioni con Dj Gruff in una sorta di seguito apocrifo del loro capolavoro.
La carriera solista di Neffa inizia ufficialmente nel 1996 con un album che in realtà risale all’anno precedente è che viene ritardato per problemi con la pubblicazione. Si intitola Neffa e i messaggeri della dopa ed è uno degli album più importanti del periodo per la musica italiana, forse non solo la musica hip-hop. Questo perché contiene il singolo più famoso della carriera solista di Neffa, ovvero “Aspettando il sole”, la dimostrazione che è possibile immaginare un una versione dell’hip-hop italiano ben più affine ai gusti del pubblico radiofonico. Questa scoperta, che avviene attraverso la collaborazione con Giuliano De Palma, che canta con spirito soul il ritornello poi divenuto tanto famoso, rappresenta una delle illuminazioni più importanti per la scena nostrana: la tradizione tipicamente cantautorale della nostra nazione scopre che esiste la possibilità di riavvicinarsi al sentimento intimista tipico della nostra musica popolare anche partendo da delle radici tipicamente hip-hop. Il sentimento è in fondo quello dei Sangue Misto, semplicemente declinato da un sensibilità più introversa: “Sempre più difficile restare calmo in questa situazione/ Sclero, non ne voglio più/ Parto da zero, so che in qualche modo devo andare su ma/ Non c’è più luce, solo buio che fa male/ Non c’è più pace solo rabbia che ogni giorno sale”.
Il resto dell’album tuttavia è una dimostrazione di quanto Neffa, più che rimangiare e ritrattare la propria posizione di padre fondatore dell’hip-hop della penisola, cerchi di far evolvere quel linguaggio verso qualcosa di più maturo, aperto a influenze disparate. Vengono riscoperte radici soul e black tutt’altro che scontate: si pensi che il titolo si riferisce al classico del Jazz di Art Blakey, “Art Blakey & The Jazz Messengers”, tutt’altro che una ispirazione scontata. In pieno hip-hop apre “In linea”, dove Neffa riafferma proprio la sua posizione di pioniere e appassionato: “Rappresento per l’Hip Hop con la rima in italiano/ Quindi se il microfono è connesso alla mia mano/ Io non scordo mai l’origine, il modo che io esprimo/ So da dove viene questa strada che continuo/ Chico nasce giù nel Bronx, già da vecchia data/ Zulu Nation, Afrika Bambaataa/ DJ Kool Herc e GrandMasterFlash/ E il mio gruppo preferito sono i Tribe Called Quest”.
Forti dosi jazz e funk in “Puoi Sentire Il Funky”, sornione atmosfere rilassate in “La ballotta”, ma soprattutto ospiti importanti in “I messaggeri pt. 1”: Kaos, Esa, Phase II, Lugi e Dre Love. Suona come uno dei manifesti hip-hop dell’anno, soprattutto se considerato insieme alla seconda parte (7 minuti!), dove compaiono Storyteller, DJ Gruff, F.C.E, TopCat, Fede, LeftSide, P.P.T. e Cenzou. Il malsano industrial-rap di “I Fieri Bboyz”, di nuovo con un avvelenato Kaos, tagliente in rime quali “Recluso come Silvio Pellico, le mie prigioni sono un incubo/ Mentale, tocca di uscire e come sai/ La fotta di un b-boy non si esaurisce mai/ Se vuoi restare resta, se no bye bye/ Qui non c’è la festa / Solo gente che ti spacca il culo con la dopa, prendi nota/ La strada per il funk per te è in salita”. Neffa e i messaggeri della dopa è l’album di un Neffa che istituzionalizza la sua posizione di veterano della scena, portando alla sua corte numerosi nomi di spicco e dimostrando che l’hip-hop in Italia è tutt’altro che una moda del momento. Indicando nuove strade, di matrice black e soul, ma anche ammiccando qua e là al pop e al jazz, Neffa scrive uno dei testi fondamentali per una nuova generazione di rapper. Come vedremo, però, lui decide di non farne parte.
Il successivo 107 elementi (1998) è infatti l’ultimo capitolo hip-hop della sua carriera. Un album calato nella tradizione (“Il resto è nella mente”, “Carcere a vita” con Kaos, “Solo fumo” con La Famiglia) ma ancora aperto al soul (“Guerra e pace”, “Non tradire mai”, “Vento freddo”, “Suona ancora”, “Navigherò la notte”), che contiene un meno enciclopedico brano di gruppo, “Freaky Funk Flow Pt. 1” con Carri D, Dre Love, MC Mello e DJ Stile e un nuovo manifesto della scena, “Strategie dell’universo”, con Melma & Merda, DJ Skizo, DJ Stile, DJ Double S & DJ Zak.
Ideale chiusura di un ciclo, 107 elementi vive della collaborazione pregnante di Deda, già compagno nei Sangue Misto, e della voce soul di Al Castellana: è un modo per unire passato e futuro di Neffa, che da questo momento in poi uscirà dal mondo hip-hop per approdare a un successo tipicamente pop, legato a ritornelli e filastrocche.
Per i nostalgici del Neffa hip-hop l’ultima dose di rime arriva con l’Ep Chicopisco, con la grandiosa orgia robo-funk di “Gran Finesse”, il funk trascinante di “Funk-A-Un”, la ballata vellutata “Stare al mondo” e infine “L’incognita” insieme a “XYZ”, la prima il remix della seconda. È molto di più che una raccolta di scarti, questo Ep con preziose gemme di uno dei grandi della scena italiana. A proposito del nome di questo addio all’hip-hop, lo stesso Neffa ha ricostruito la vicenda insieme a Luca Gricinella nelle note di copertina:
Negli anni Novanta, per le strade di Bologna, si aggira un fricchettone riconoscibile per un paio di occhiali con lenti tonde a fondo di bottiglia. L’altra particolarità è che questo personaggio si materializza appena in un gruppo si inizia a fumare una porra. È un solitario, nessuno sa come si chiama e ha la capacità di mettersi nel punto tattico del cerchio, dove è sicuro che, nel momento giusto, passerà la canna. Neffa lo nota e con un gioco verbale dice a Deda che quel fricchettone ha la capacità di mettersi Piscopo. Il significato? Tutto nasce dalla considerazione di Tullio De Piscopo, che per Neffa rappresenta un’idea di stile. Quel fricchettone, in quella specifica situazione sociale, sa muoversi, ci sa fare, con destrezza ottiene sempre quello che vuole: insomma, a suo modo, ha stile, e in fretta diventa il chico Piscopo. Quando Neffa produce le tracce del suo nuovo lavoro e si rende conto di avere fatto un disco in cui lo stile predomina, soprattutto grazie a un flow molto musicale e una metrica chirurgica, gli torna in mente questo personaggio e prendendo ispirazione da quello che rappresenta, partorisce un titolo che lo richiama: Chicopisco.
Quando mister Pellino ritorna, la sua musica è completamente stravolta. Arrivi e partenze (2001) è febbbicitante nel suo jazz caraibico (la title track), un inizio che inganna come pochi altri. Segue infatti il singolo del “tradimento”, “La mia signorina”, una canzone sulla marijuana che suona definitivamente pop. Il rilassato spirito funk e soul del resto della tracklist ricorda più Pino Daniele che gli A Tribe Called Quest. Se l’entusiasmo arriva per il funk/rock di "Alla fermata", forse si è perduto più di quel che si è guadagnato, nella mutazione.
Con I molteplici mondi di Giovanni, il cantante Neffa (2003) arriva puntuale il singolo da radio, “Prima di andare via”. Una puntata country con “Disperato”, un viaggetto in Brasile per “O tempo e o vento” e qualche puntata in Giamaica: è world-music senza grandi motivi di interesse.
Con Alla fine della notte (2006) e il singolo “Il mondo nuovo”, ballabile frenetico e teso, si aggiunge anche la leggerissima pillola pop-soul de “La notte”.
Neffa diventa compositore per il cinema in occasione del film Saturno contro (2007), esercitandosi con variazioni sul modello del tango. Aspettando il sole (2007) è la sua prima raccolta, prima del ritorno con Sognando contromano (2009), un album nel pieno della tradizione italiana e persino partenopea (“Giorni d’estate”).
L’8 maggio 2009 si esibisce con J-Ax ai TRL Awards 2010 di Mtv, fondando lo sfortunato progetto Due di Picche. L’unico album all’attivo del duo, C’eravamo tanto odiati, è il punto più basso della carriera di entrambi. A posteriori, è solo una disperata mossa per riabilitarsi all’occhio dei fan dell’hip-hop, facendo comunella con un altro artista che ha deciso di voltare le spalle al suo passato.
Ritorna alla sua carriera solista con Molto calmo (2013), con l’omonimo singolo in uptempo, un soul intimista e frenetico, e la torbida “Il mostro”, la versione pop dei Nine Inch Nails.
Il successivo Resistenza (2015) contiene una cover di Renato Carosone e il singolo-filastrocca “Sigarette”. La strada che ha portato Neffa lontano dall’hip-hop lo ha fatto tornare alla tradizione partenopea, in una parabola che sarebbe stato difficile prevedere e che, lo si dice con dispiacere, sembra dolorosamente discendente.
Passano sei anni prima della nuova uscita e nel frattempo nel mondo del pop italiano cambia tutto, più di una volta. Dall’ondata trap all’it-pop, passando per nuove manifestazioni nell’universo urban, di moderno r’n’b e pop-rap contemporaneo. AmarAmmore (2021) si inserisce sorprendentemente bene in questo contesto, giocando la carta di un elegante compromesso fra tradizione, attraverso i tòpoi dell’amore tormentato e della malinconia imperante, e suoni elettronici che non disdegnano riferimenti vintage all’hip-hop. Ne nasce un ibrido come l’iniziale “Fujevo”, un’ipnotica melodia vocale su un beat atmosferico, ma anche un possibile ponte con il pop-rap da classifica, vedi “Aggio perzo ‘o suonno”, in collaborazione con Coez e il leggendario turntablist TY1 che cristallizza in una formula elaborata il curioso ibrido stilistico a cui Neffa è approdato.
Il tormento sentimentale di “Affianc’a te” e “AmarAmmore” (feat. Rocco Hunt) è montato su un’algida produzione elettronica mentre il duetto vocale “Nn’è cagnato niente” (feat. Livio Cori) ha la sofisticazione di un successo di Mahmood, con i suoi intrecci serici. Il momento più coraggioso è sicuramente “Catene”, autotune a profusione e una strofa rappata in chiusura che accorcia di molto la distanza da un Liberato. Questo slancio si bilancia con un passaggio che richiama invece il più tradizionale Lucio Dalla, la poetica “Speranza”.
Un progetto fuori da ogni logica di mercato, reso possibile dalla rinata Numero Uno di battistiana memoria, che funziona perché Neffa vi ritrova un’ispirazione che sembrava perduta da tempo. Un ritorno alle proprie origini che vuole dialogare con il presente, anche a costo di farlo sembrare, a tratti, un ultracinquantenne che imita i giovani.
Il figlio della tradizione: la carriera solista di Dj Gruff
Sandro Orrù, lo si capisce facilmente, ha origini sarde, ma come un vero Sangue Misto vive da emigrato: cresce a Roma ma si trasferisce presto a Torino, poi frequenta la Milano di inizio metà anni 80. Il suo nome d’arte è Dj Gruff, ma è conosciuto anche con gli pseudonimi di Cantabal, LowdyNCN e Gruffetti. Si esprime come dj, producer, rapper e breaker. Non solo per la fondamentale esperienza nei Sangue Misto, è lui uno dei pionieri e dei massimi esponenti della cultura hip-hop in Italia, un ruolo che, a differenza di Neffa, non ha mai deciso di abbandonare.
La sua storia inizia con la Fresh Press Crew milanese, poi ribattezzatasi Radical Stuff. Questi ultimi sono stati un gruppo musicale di hip-hop italiano tra primissimi in assoluto sulla scena nazionale. Diverse della loro composizioni sono ancora in lingua inglese, come capitava anche con le prime hit di Jovanotti. A differenza di quest’ultimo, però, i Radical Stuff cercavano di interpretare in modo più fedele possibile l’hip-hop statunitense, con una particolare attenzione verso la versione più jazzy di questo stile. La formazione è composta, oltre che dal Nostro, da Dj Skizo, Soul Boy, Sean, Top Cat e Kaos One. Il nucleo fondante è costituito dagli ultimi due elementi e Dj Gruff, conosciutisi fra il 1986 e il 1987. I nostri decidono di cambiare quando entra nel gruppo Dre love al posto di Kaos One, allontanato a causa del servizio militare.
L’esordio ufficiale avviene solo nel 1989 con il singolo “Let’s Get Dizzy”. Nel 1990 è il momento del seguito, intitolato “I Guess You Know”, il quale è uno dei primi brani con all’interno dei virtuosismi rap che sia stato prodotto in Italia. Quella dei Radical Stuff è un’esperienza tra le più seminali in Italia anche se il risultato su disco potrebbe portare a sottovalutare il peso della loro opera miliare: sono a tutti gli effetti fra i padri fondatori della scena.
Esistono solo due opere ufficiali dellla band. La prima è un documento dal vivo, The Jazzy Rap Night Live (1992), un album completamente diverso dalla struttura tipica di un lavoro hip-hop, e, cosa ancora più curiosa, è un raro esempio di esordio hip-hop che documenta un concerto. Sono, più che brani, jam e medley che riprendono a piene mani i classici statunitensi lavorando contemporaneamente ai primi tentativi di contestualizzare in Italia quel verbo urbano. A livello prettamente musicale è uno degli album hip-hop più ricercati della storia italiana del genere, con pochi paragoni non solo fra i contemporanei ma anche fra gli imitatori che verranno.
Soul e funk si fondono e si scambiano di posto in continuazione, tinti da influenze jazz spolverate su tutto il lavoro. In particolare si segnalano due lunghi medley, quello che apre l’opera e quello che si pone al suo centro. Il primo, intitolato “1, 2, 3… And Four (Funky Medley)” annovera anche beatbox, scratch e portentose bordate di slap al basso. La seconda traccia estesa si intitola “Son Of Equinox – Tropical Jam (Medley Muffin’)” e dialoga ampiamente con il reggae, ricollegandosi agli albori giamaicani dell’hip-hop. In questo primo album live compare anche una versione chilometrica di “Let’s Get Dizzy”, primo singolo della formazione. L’unico brano che pare essere una semplice canzone più che una semi-improvvisazione rocambolesca è “On The Jazzy Tip”.
Complessivamente, l’opera deve più di qualcosa alla tradizione jazz-rap, in particolare i De La Soul e gli A Tribe Called Quest.
Pur rimanendo uno degli album fondamentali dei primi anni dell’hip-hop italiano, questo live non riesce a rappresentare la forma in studio della band. Per fare questo bisogna aspettare il 1994, quando pubblicano Hardaswallow, un doppio album colossale di 78 minuti, sempre tutto cantato in inglese e fortemente influenzato dal jazz, come dimostra bene “Don’t Test”. Forte è l’influenza dei Cypress Hill, palesata in brani come “Stop Frontin’”. In questi pezzi si ascolta ancora una band che cerca di imitare un suono che non è ancora proprio, mentre alcuni esponenti nazionali coevi, come gli Assalti Frontali, hanno trovato una forma espressiva peculiare a livello nazionale e in alcuni casi persino internazionale. I Radical Stuff sembrano essere importanti solo limitatamente allo sviluppo della scena italiana dei primordi, in quanto ascoltato col senno di poi e in un contesto di musica mondiale il loro primo e unico album è semplicemente l’ennesima trasposizione extra-statunitense dell’hip-hop della golden-age. Detto questo, nessuno è mai riuscito prima e mai riuscirà dopo a riassumere in modo così efficace quello che accade oltre oceano in un disco pubblicato in Italia.
Hardaswallow è quindi la dimostrazione pratica di come l’hip-hop sia diventato influente per le nuove band italiane e può aiutarci a comprendere quali fossero gli ascolti che arrivavano dali States; è il più interessante modello rimastoci dell’iniziale trasposizione italiana dell’hip-hop.
Dall’esperienza dei Radical Stuff il nostro Dj Gruff esce con le spalle larghe di chi ha già scritto un pezzettino di storia della musica italiana, nonostante la giovane età. Per non rimanere con le mani in mano, inizia nel 1993 a collaborare anche con i Casino Royale, formazione ska e reggae destinata a una carriera trentennale. Ma soprattutto, a seguito della fine dell’esperienza milanese, si trasferisce ancora, questa volta a Bologna, dove entra in contatto con Deda e l'etichetta Century Vox. Inizia a collaborare con vari gruppi e artisti quali la già analizzata Isola Posse All Stars, ma anche Sa Razza, Otierre e Speaker Dee Mo.
Prima ancora dell’esperienza con i Sangue Misto, di cui abbiamo già ampiamente parlato, trova il tempo e le energie per mettere il proprio nome su un disco destinato a rimanere nella storia del genere quasi quanto SxM, La Rapadopa (1993).
La rapadopa è un'energia positiva, tumida, capace. Mi venne a trovare un tot di tempo fa. Non mi ricordo quando. La presentai ai miei fratelli. Fu ben accetta. Questo è il motivo della visita. Peace. Dj Gruff.
(Dj Gruff nel booklet dell'album)
La Rapadopa era l'unione di tante città, di tante persone, tutte fantastiche, con tanta creatività: si è unito tutto ed è uscito la Rapadopa.
(da un’intervista a Carrie D)
Tutto prodotto da Dj Gruff, tranne per l’eccezione “L’imprevisto”, l’album vede anche il giovane Orrù come scrittore principale dei testi. Grazie alle collaborazioni prestigiose di Kaos, Esa, La Pina, Neffa e Deda, è una rara occasione di osservare da vicino alcuni protagonisti della scena prima del Big-Bang del 1994. L’opera è mastodontica, sfrontata nelle sue dimensioni ciclopiche e allo stesso tempo definitiva e programmatica, una dichiarazione d’intenti che vale tanto per lo stesso Gruff quanto per l’hip-hop nostrano: si inizia davvero a fare sul serio. Ben 25 brani, quindi, che si avvalgono dei maggiori esponenti italiani e di numerosi musicisti, alternando strumentali a brani rappati, in un compendio che ancora oggi fa invidia a molti lavori hip-hop.
L’apertura è sostanzialmente un brano dei Sangue Misto prima dell’esordio: “La rapadopa” vede il trio Gruff, Neffa e Deda già intrisi di nebbie allucinogene su un beat flessuoso e rallentato, in un momento giocoso e ammiccante, che introduce bene l’esplosiva creatività e la giocosità dell’album. Si prosegue con notturni ritmi jazzy e un profluvio di virtuosismi fatti di scratch, con Dj Gruff incontrastato protagonista, prima di arrivare allo show di Kaos in “Don Kaos”, con una rara bestemmia della musica italiana. Anche Neffa è in grande forma in “Senti bene” e Deda non è da meno in “Tempo per l’azione”: col senno di poi, i tre sono pura dinamite e il fatto che abbiano scritto un classico è una conseguenza naturale della loro sinergia, senza confronti nella scena dell’epoca. Gruff ha comunque il tempo di sfogarsi come “solista” anche nei suoi puzzle di sample e scratch, alternandosi ai pezzi più canonici e rappati, mostrando una perizia assoluta con il turntable.
Menzioni obbligatorie anche per la Carrie D di “La musica”, prima rapper donna da ricordare in Italia (poi nell’immaginario rimarrà invece La Pina, comunque presente sul disco) e per Esa, colonna portante degli Otierre, vivacissimo nella jazzy “E di certo...”.
Come per Neffa, anche Dj Gruff prosegue virtualmente i Sangue Misto nelle tracce collaborative dei primi lavori solisti. Sul secondo Zero stress (1996) i due ex-sodali rivestono un ruolo da co-protagonisti più che di semplici ospiti. L’album è meno torrenziale dell’esordio ma anche più coeso, con meno spazio per la dimensione strumentale e con una produzione più pulita e professionale.
L’amalgama salentino-giamaicano di “Tifititaf”, il jazz-rap da manuale di “Dimmi se ti piace adesso”, gli incastri dei sample in “Zero Stress Pt.1”, l’infuso di THC che è pura allucinazione di “Sucker Jump” e l’inno alla fattanza di “Bom Cilomo”, che campiona Peter Tosh e cita Bob Marley ma che soprattutto annovera una produzione da capogiro di Dj Gruff. Sì, perché il fatto che gli strumentali latitino non significa che manchi l’attenzione alla composizione di beat e sample, anzi si lavori verso l’essenzialità, con battiti spesso spigolosi e quadrati e pochi frammenti sonori usati come mattoni di strutture tutte incentrate sulla ricerca di groove trascinanti ed evocativi.
Non può avere l’effetto di fulmine a ciel sereno de La Rapadopa, ovviamente, ma anche Zero Stress merita lo status di classico.
Dopo questi due lavori la carriera solista di Dj Gruff sembra destinata a prendere una direzione diametralmente opposta a quella di Neffa. Dopo l’Ep Il suono della strada (1998) sceglierà infatti per produzioni indirizzate a un pubblico molto circoscritto, optando spesso per lavori casalinghi e dichiaratamente di nicchia, spesso di turntablism puro. Il trittico di Ep Tre tocchi (1998) sancisce, con la sua struttura essenziale e uno sfoggio tutto strumentale di scratch e beat, l’approdo a una nuova fase destinata spesso agli addetti ai lavori e ai fan più oltranzisti. Il tardo classico O tutto o niente (1999) è un punto di arrivo per l’autore, il suo lavoro più personale ed elegante, attraversato da rime molto tecniche e un mood strafatto. I rap sono dimessi, il flow sensuale e morbidissimo, un puro esercizio da maestri che salgono in cattedra a educare nuovi e più giovani alunni.
I collaborativi Scientific Experiment (2001, con Dj Tayone), Esemplificazione dello suono (2000, con Alien Dee) sono invece altri episodi tecnici, dimostrazioni virtuosistiche non troppo dissimili da quelle che si possono ascoltare nelle discografie di chitarristi e batteristi in vena di pavoneggiarsi, solo con scratch, beat e sample a sostituire shredding e tempi dispari. Un’altra collaborazione, quella di Pecorino Sardo (2003, Con Menhir), tributa la scena dell’isola con un curioso mix di folklore locale e rime supersoniche. In Karasau Kid (2002) rinuncia addirittura ai titoli per i brani, usanza mantenuta anche in Svarioni premeditati (2002) e in alcune delle numerose pubblicazioni successive.
È un periodo di musica a pioggia, senza un chiaro progetto, spesso distribuita su Cd-r e difficile da reperire anche per gli appassionati: Kaedaman (2002), Tiffititaff (2002), The Worst Hits Of Gruffettalco (un improbabile best of del 2002), Wonderfull Thaaa (2002), Lowdy '82 / '03 (2003) e soprattutto Frikketonism (2004), forse l’apice strumentale di questo periodo, e infine Uno (2005), un gradito ritorno alle rime come a proseguire il discorso delll’album di fine millennio che contiene anche una personale ricostruzione della carriera musicale dell’autore nell’iniziale “Hip-hop storia”.
Al netto della sovrabbondanza di materiale, in questo insieme di opere si sviluppa un’elegantissima versione dell’hip-hop strumentale, vicina in alcuni momenti più a Dj Krush che a Dj Shadow, per il suo tipico lavoro di sottrazione e di ricerca dell’atmosfera. La vicinanza a un artista giapponese non deve stupire, perché il nostro Orrù è un amante del paese del Sol Levante, che visita ripetutamente negli anni e che omaggia qua e là anche nelle copertine.
Dopo una meritata pausa ritornerà con il notevole Bastard (2008), Ep esteso che segna un cambio di rotta, con basi distorte e il nuovo e fondamentale contributo di Clementino. Segue la collaborazione con Dj Tay-One per Dai La Loma Pt.2 (2008), antipasto per un tardo gioiello come Sandro O.B. (2009), il significativo ritorno dopo dieci anni all’insegna di un hip-hop old-school perfezionato dall’esperienza e curato in modo maniacale.
Nell’opera spicca non solo la capacità ormai assodata di producer, ma anche quella meno nota di turntablist virtuoso, poeta dello scratch. Dopo Viene e va (2009) decide, con Phonogruff (2011), di abbandonare la carriera da rapper: “Dopo 25 anni di rap onorato credo che sia arrivato il momento di smettere. Ringrazio tutte le persone che mi hanno supportato nel bene e nel male. Ricordo ogni urlo, ogni applauso, ogni approvazione e ogni disapprovazione. Resto con gli scratch dove ho ancora tutto da imparare: il mio tempo è iniziato screcciando e finirà screcciando”.
Fra autoproduzioni, cd-r, collaborazioni, esercizi di stile e tutto il resto, seguire la discografia di Dj Gruff dal 2002 a oggi è soprattutto un grande esercizio di pazienza, ma che cela in realtà un percorso sofferto che porta dalle rime degli esordi a una ricerca sempre più solitaria, fatta di suoni e vinili da graffiare. Anche quando torna dietro il microfono, Gruff si dimostra spesso criptico, interessato più ai suoni che ai significati, imbevuto di un gergo che da locale diventa spesso quasi personale.
Phonogruff, gioco di parole fonetico con “fonografo”, è così l’ultima occasione di far luce su una figura sfuggente, la cui lunga carriera solista è disseminata di depistaggi e vie secondarie. Almeno il trittico del periodo classico La Rapadopa (1993), Zero stress (1996) e O tutto o niente (1999), a cui per completezza si può aggiungere anche Sandro O.B. (2009), sono comunque sufficienti per comprendere l’evoluzione e il lascito di una delle personalità più rispettate del panorama hip-hop nazionale.
A questa produzione come solista o in collaborazione si affianca il progetto Alien Army, un collettivo di turntablism creato da Dj Skizo e che mette insieme i più grandi esponenti italiani. Le tre opere che racchiudono al meglio il progetto sono il mixtape Il contatto (1996) e i due album Orgasmi meccanici (1999) e The End (2003), prima che il progetto ritorni attivo con The Difference (2015), Quattro (2016), Goodmorning Worldwide (2018) e OGM (2021). Soprattutto i primi tre lavori citati sono uno showcase sensazionale di tecnica e fantasia, consigliati tuttavia nella loro integralità solo agli appassionati.
Il figlio dimenticato: Deda
Andrea Visani, dal pubblico conosciuto come Deda o Chico MD, è un dj, rapper e produttore discografico italiano nato a Ravenna. Ha esordito negli Isola Posse All Stars, proseguendo nei Sangue Misto e, in un ruolo più defilato, nei progetti ancillari successivi dei vari Neffa e Dj Gruff. Fondamentale il suo apporto anche nella carriera di Kaos One. Proprio con quest’ultimo e Sean mette su il progetto Melma & Merda, concretizzatosi poi nell’unico album Merda & Melma (1999). L’opera è un ottimo modo per valorizzare lo spessore del terzo Sangue Misto, troppo spesso oscurato dagli altri due ex-sodali.
Le produzioni di Ahmad & Pritt, Deda, Kaos e Neffa si muovono fra funk allucinato e hardcore-hip-hop ansiogeno, in un generale clima di tensione. Cantato in italiano e inglese, brilla in particolare nella lunga, orientaleggiante “Trilogia del tatami”, un colosso in tre parti che alterna i tre rapper al microfono e funge da ideale baricentro dell’intera tracklist.
Certo meno essenziale dei capolavori degli altri due sangue-misto, Merda & Melma rimane comunque un’opera di aggressiva, fantasiosa musica hip-hop fuori dal mainstream che evidenzia lo spessore dei tre protagonisti al microfono.
Poco altro ci rimane dell’ultimo, e spesso dimenticato, Sangue Misto. Produce per l’amico Kaos One l’esordio “L’Attesa” (nel ’99), collabora con Fritz Da Cat per “Novecinquanta” (’99) e con Gopher D (nel 2000 e nel 2005). Quando inizia una vera carriera solista, è ormai lontano dall’hip-hop, ma innamoratissimo del funk dei poliziotteschi e della blaxploitation: il progetto Katzuma.org inizia così in pieno spirito revival, con Moonbooty (’04) e Rituals Of Life (’08), salvo aprirsi maggiormente all’elettronica in Dr. Know (’11) e le pubblicazioni successive. La sua vicenda, relegata a un underground selvaggio e molto lontana dall’hip-hop, sembra ormai totalmente marginale. Gli ultimi colpi di coda come rappuso si avranno nel 2010, con la produzione di “Sogni d’oro” di Rischio e nel 2011 con quella di “Ipnosi collettiva” di Mastino. Dal 2016 è anche con gli Oké, che propongono elettronica atmosferica di stampo etnico.
Sorprendentemente, un esordio con il proprio nome arriva solo nel 2022, con il producer album House Party, non esattamente innovativo ma capace di trasmettere un’idea precisa dell’hip-hop secondo Deda, in comunicazione con soul, funk ed elettronica. Un po’ poco da un fuoriclasse, anche considerando il minutaggio contenuto e la densità non proprio travolgente della scaletta, ma possiamo sperare che sia l’inizio di un ritorno duraturo sulla scena.
Genealogia dei Sangue Misto
Dopo 25 anni è possibile ricostruire il maestoso albero genealogico che trova la sua radice ideale nei Sangue Misto. I lontani discendenti, come sempre accade in questi casi, sono diventati sempre più diversi dai loro genitori, fino a disconoscerli, tradirli, denigrarli, ignorarli. Con una punta di cattiveria, o di spirito melodrammatico, potremmo persino urlare al parricidio, al fratricidio o all’omicidio-suicidio, in termini artistici ovviamente. Ma abbassando i toni, tornando al concreto, possiamo anche osservare i cinque lustri che ci separano dal 1994 con il piglio dello storico musicale o quantomeno dell’appassionato di musica, così da rintracciare le traiettorie per delineare un quadro d’insieme.
Nella ricostruzione della preistoria, la storia e l’eredità dei Sangue Misto che, giudicherete voi quanto efficacemente, si è proposta sopra, emerge una qualità virale di SxM. Niente a che fare con i social e il marketing, parliamo proprio dell’entità biologica. Molti di quelli che hanno avuto contatti con l’album hanno infatti proseguito nel campo musicale, spesso lasciando tracce significative a loro volta preziose per le generazioni successive. Non è solo una questione di Neffa, Deda e Dj Gruff, di cui abbiamo ampiamente parlato, ma di un piccolo esercito di artisti che non si possono analizzare in questa sede, ma che comunque meriterebbero un separato approfondimento.
Per chi volesse, quindi, proseguire nei rami di questo esteso albero, è inevitabile pensare a Kaos One, istituzione dell’hardcore-hip-hop italiano legata a doppio filo con la parabola dei Sangue Misto. Un altro nome sicuramente da considerare è quello di Fabri Fibra, il cui "Turbe giovanili" (2002) è interamente prodotto da Neffa. Questi due casi sono chiare discendenze, se non di sangue quantomeno di conclamata affinità. Certo, appartengono a due generazioni di rapper diverse, ma sarebbe riduttivo pensare che il virus sia stato debellato in meno di un decennio. È invece mutato, inesorabilmente, fino a rendere impossibili per i lontani discendenti riconoscersi negli antenati.
Capita così che dopo la rinascita dell’hip-hop italiano di inizio millennio, la successiva deriva e il ritorno ai margini della musica popolare, sia arrivata una nuova ondata di rapper nostrani a riprendere le fila del discorso che con buona approssimazione possiamo ricondurre ai tempi dei Sangue Misto. Una compagine di millennials e post-millennials che spesso, come candidamente affermato da Sfera Ebbasta, non conosce nulla di quel “clima di tensione”, ma che comunque ne rappresenta un lontano erede. Se poi in quell’esercito di nuovi rimatori si ritrovi anche qualcuno fra i più talentuosi, Tedua, che intitola una canzone “Sangue Misto”, allora sembra evidente che il virus non si è mai estinto, si è solo adattato ai nuovi ospiti.
SANGUE MISTO | ||
SxM (Century Vox Records, 1994) | ||
Live Padova(autoprodotto, live, 2000) | ||
NEFFA | ||
Neffa & i Messaggeri della Dopa (Black Out Records, 1996) | ||
107 Elementi(Polygram, 1998) | ||
Chicopisco (Universal, ep, 1999) | ||
Arrivi e partenze (Mercury, 2001) | ||
I molteplici mondi di Giovanni, il cantante Neffa (Sony, 2003) | ||
Alla Fine Della Notte (Sony Music, 2006) | ||
Saturno Contro (Sony Music/RCA, colonna sonora, 2007) | ||
Aspettando il Sole (Sony BMG, raccolta, 2007) | ||
Sognando contromano (Sony Music/RCA, 2009) | ||
Molto calmo (Best Sound/Sony Music, 2013) | ||
Resistenza (Pisco Music S.r.l/Sony Music, 2015) | ||
AmarAmmore (Sony, 2021) | ||
RADICAL STUFF | ||
Jazzy Rap Night Live (Flying Records, 1992, live) | ||
Hardaswallow (UjaMM'n, 1994) | ||
DJ GRUFF | ||
La rapadopa (Century Vox, 1993) | ||
Zero stress (Zero Stress NVN, 1996) | ||
Il suono della strada (Black Out, 1998) | ||
Tre tocchi vol. 1 (Antibemusic, 1998) | ||
Tre tocchi vol. 2 (Antibemusic, 1998) | ||
Tre tocchi vol. 3 (Antibemusic, 1998) | ||
O tutto o niente (Suonidistrada/Antibe Music, 1999) | ||
Esemplificazione dello suono (2000, con Alien Dee) | ||
Scientific Experiment (2001, con Dj Tay-One) | ||
Kaedaman (Puruchan Music, 2002) | ||
Svarioni premeditati (2002) | ||
The Worst Hits Of Gruffettalco (Puruchan Music, 2002) | ||
Karasau Kid (Puruchan Music, 2002) | ||
Wonderful Thaaa (Caseificio Nvn, 2002) | ||
Tiffititaff (Puruchan Music, 2002) | ||
Lowdy '82 / '03 (2003) | ||
Frikketonism (PM Recordings, 2004) | ||
Uno (Portafoglio Lainz Records, 2005) | ||
Bastard (Sinfonie, 2008) | ||
Dai la loma pt.2 (2008, con Dj Tay-One) | ||
Sandro O.B. (Sinfonie, 2009) | ||
Viene e va (mixtape, 2009) | ||
Phonogruff (Looperatorialiani, 2011) | ||
ALIEN ARMY | ||
Il contatto (1996, mixtape | ||
Orgasmi meccanici (Royality Records, 1999) | ||
The End (Bomb Hip-Hop Records, 2003) | ||
The Difference (ThisPlayMusic, 2014) | ||
Quattro Turbo (ThisPLay Urban, 2016) | ||
Goodmorning Worldwide (ThisPlay Music, 2018) | ||
OGM(ThisPlay Music 2021, | ||
MELMA & MERDA | ||
Merda & melma (Kappa Management, 1999) | ||
KATZUMA.ORG | ||
Moonbooty (Katzuma, 2004) | ||
Rituals Of Life (Katzuma, 2008) | ||
Dr. Know (Katzuma, 2011) | ||
OKÉ | ||
Tree Of Life (Original Cultures, 2016) | ||
Deserto (Original Cultures, 2020) | ||
DEDA | ||
House Party (Universal/Virgin, 2022) |
Testi dei Sangue Misto | |
Testi di Neffa | |
Testi di Dj Gruff | |
Testi di Radical Stuff | |
Testi di Merda & Melma |