Dallo scrigno di una pubblicazione costruita su outtake, alternate version, rarità e brani secondari apparsi solo su singoli, non sempre si è in grado di dare una valutazione d'insieme che possa comprendere sia un giudizio legato all'aspetto puramente musicale del prodotto, sia sulle indicazioni storiche che hanno portato l'artista in questione a realizzare queste canzoni non ritenute meritevoli di un posto su un album ufficiale. Nick Cave è un'eccezione anche in questo. Da "B-Sides And Rarities Part II", compendio che va ad aggiungersi alla prima parte stampata nel 2005, emergono tutte le sfaccettature del musicista che invece di essere tracciate con un canonico e spesso non esaustivo "Best Of" (come nel caso di "Lovely Creatures" del 2017), sono testimoniate mediante episodi praticamente sconosciuti ai più o addirittura scartati a suo tempo, nel pieno della filosofia del seminale cantautore australiano. Ed ecco che affiorano tutte insieme, in unico flusso emotivo, le condizioni vissute da Cave: dall'angoscia alla disperazione, dalla redenzione alla rinascita di un uomo, più che di un artista, che nella vita ha vissuto qualsiasi tipo d'esperienza.
La prima sezione del progetto è in concreto una vera e propria raccolta di B-side, utilizzate per documentare il periodo che parte dal 2008, per giungere marginalmente al 2015. Il doloroso e spiazzante dittico "Needle Boy"/"Lightning Bolts", assemblato in entrambi i casi su punte di elettronica aguzza e inospitale, non avrebbe affatto sfigurato nella scaletta ufficiale di quell'affresco art-rock costituito da "Push The Sky Away", invece di essere offerto all'epoca solo in formato 7" o bonus Dvd agli acquirenti della versione deluxe, ma il focus principale lo merita senza alcun dubbio la ruvida e avvelenata ambiguità di "Vortex", vera e propria outtake risalente al 2006 e registrata con Warren Ellis, Jim Sclavunos e Martyn Casey, prima di essere inspiegabilmente accantonata perché gli autori erano indecisi se pubblicarla come Grinderman o come Bad Seeds. La cover di "Avalanche" di Leonard Cohen, registrata da Cave per la seconda stagione della serie TV "Black Sails", conserva la struggente intensità grazie alla trascodifica dell'articolata partitura per chitarra acustica presente nell'originale, in evocative linee di pianoforte screziate talvolta da essenziali volteggi d'archi.
Se "Hey Little Firing Squad", è una B-side del periodo "Dig, Lazarus, Dig!!!" con assonanze che rimandano allo Springsteen di "The River", "Free To Walk" è un illuminante duetto acustico che l'artista australiano ha registrato con Debbie Harry per essere inserito in "We Are Only Riders", una compilation tributo dedicata a Jeffrey Lee Pierce, il leader dei Gun Club scomparso nel 1996, del quale Cave ha ripreso - e in questo caso completato - un brano che l'artista statunitense aveva registrato in versione embrionale prima della scomparsa.
Altro momento sensazionale è l'inedita versione orchestrale di "Push The Sky Away", brano catartico per Cave, che spogliato delle superbe quanto oscure tessiture elettroniche della versione pubblicata su disco, diventa ora una sinfonia celestiale per pianoforte, interpretata in tonalità più alta e configurata alla perfezione con il coro e con l'ampiezza delle aperture disegnate dalla Melbourne Symphony Orchestra.
"Push The Sky Away" chiude il Disc 1, ma l'omonimo album apre una nuova fase di carriera per Nick Cave. Un approccio inedito alla scrittura ("Have you ever heard about the Higgs Boson blues?") e alla composizione dei brani gestito da Warren Ellis. Uno strappo forte tra "Dig, Lazarus, Dig!!!" e il disco del 2013: ma nulla in confronto alla voragine creata con "Skeleton Tree" (2016). Un magma oscuro e sintetico segnato dalle tragiche vicende personali, correlato dal documentario "One More Time With Feeling". "Skeleton Tree" è la tenebra e la perdita, quanto il seguente e ancora più etereo "Ghosteen" è la ricerca della luce e della pace, come esplicitano entrambe le copertine: "It's a long way to find peace of mind, peace of mind...".
L'arco cronologico della raccolta si ferma a questo disco, al 2019, lasciando fuori "Carnage" del 2021, firmato "solo" Nick Cave e Warren Ellis. Il terzo capitolo di questa trilogia, escluso dalla raccolta poiché non composto insieme ai Bad Seeds. La recente fase della carriera di Cave segna naturalmente anche le tracce collaterali e non incluse nei dischi di tale periodo. Dominano il pianoforte, i versi ripetuti come un mantra, i sintetizzatori di Ellis. Le tinte tratteggiate dalle liriche sono a volte oscure, a volte allucinate, a volte tutte e due le cose, come nella palpitante angoscia di "Opium Eyes" e "Hell Villanelle". Tra strumentali-ambient ("Glacier", "Instrumental #33") e frammenti ("Sudden Song") spicca l'"alfa" riservata a "King Sized Nick Cave Blues" e l'"omega" "Earthlings" con annesso coro e struggente suono di synth.
"Heart That Kills You" è tutta invece per Arthur, il figlio prematuramente scomparso di Cave, ispirata (come ha raccontato il cantante stesso su The Red Hand Files) dai tentativi suoi e della moglie Susie Bick di fare i conti con la perdita. Il meglio però, lo avevamo già assaggiato: lo spoken di "Steve McQueen" e l'inedito di "Idiot Prayer: Nick Cave Alone At Alexandra Palace", la bella "Euthanasia".
Senza nulla togliere a queste outtake, capaci di manifestare comunque l'alto standard artistico dei nomi in causa, a livello di curiosità filologica applicata alla musica, i passaggi più interessanti sono le testimonianze "First", ovvero i demodelle prime forme dei brani poi finiti in "Skeleton Tree" e "Ghosteen". Per il primo abbiamo "First Skeleton Tree" e "First Girl in Amber", per il secondo "First Bright Horses" e "First Waiting for You" ripulita poi dai rumori in sottofondo. Chiudiamo citando uno stralcio di "Steve McQueen":
Because someone's gotta sing the starsPoiché Nick Cave riesce a cantare tutto questo e molto altro ancora come nessuno.
And someone's gotta sing the rain
And someone's gotta sing the blood
And someone's gotta sing the pain
12/11/2021