Dieci Piccoli Italiani

Dieci Piccoli Italiani

N.139 - Marzo 2023

di AA.VV.

01_ketyfus_01KETY FUSCO - THE HARP, CHAPTER I (Floating Notes, 2023)
progressive

Dopo qualche anno di sperimentazioni sul suo strumento prediletto, l’arpa, Kety Fusco realizza la suite di 19 minuti “The Harp, Chapter I”. La sonatina patetica martoriata di voci suffuse, vibrazioni aliene, tuoni e sibili con cui attacca prepara la tensione per il primo tema di arpeggi minimalisti colti in un flusso panico di variazioni informi, echi metafisici, moltiplicazioni stordenti, tintinnii diafani. Una fiondata di distorsione elettronica annuncia un brutale svarione verso una libera fantasia armonica carica di riverbero. La conclusione dà sul ritmo oscuro, una pulsazione pellerossa che di sconquasso in sconquasso infine si accascia al livello della pura dissonanza. Primo di tre “Chapter” verso una dichiarata, ambiziosa ridefinizione post-classica dello strumento. Non-convenzionali i mezzi: fermagli, scotch, cera, pietre, asciugacapelli. Nemmeno negli esiti si cura granché degli illustri predecessori, da Zabaleta a McKennitt passando per Stivell; preferisce invece intessere - sia pur con naïveté e un certo sovrappiù di grandeur - le sue fiabe, i suoi incantesimi, i suoi miraggi e i suoi silenzi. Specialmente immaginifico il suono, caleidoscopico, saturo di sfumature. Co-composto con Alessio Sabella e registrato in un fienile dismesso svizzero a 1700 metri, prodotto da Aris Bassetti. Consulenza creativa di Jacopo “Iosonouncane” Incani. Due tranche divengono singoli: “2072” (2023) e “Starless” (2023). Debutto al Royal Albert Hall (Michele Saran7/10)


02_demikhDEMIKHOV - THE CHEMICAL BATH (Dio Drone et al., 2023)
noise-core

Messo a segno un esperimento multimediale di musica generativa in collaborazione con Nàresh Ran Ruotolo e Matilde “Bejond” Morandi, “Music For The Flying City” (2021), i Demikhov danno finalmente un vero seguito al primo “Experimental Transplantation Of Vital Organs” (2016) con “The Chemical Bath”, annunciandolo anzi con un terrificante preludio, “Science! Science! Science!”, di colpi pesantissimi e urla indemoniate in un vortice di distorsioni e clangori elettronici. Se “The Leader Is Dead And Everyone Is Grieving” non va granché oltre le cannonate speed-metal, allora “Abrikosov Formula” si para più tellurico e più apocalittico con autentico furore e una punta d’ironia (accenna un regolare riff metal solo all’ultimo). I 19 minuti di “Mausoleum” impiegano un po’ prima di entrare nel vivo; dopo qualche minuto di generico “doom” si ha una distorsione dronante frustata dalla tempesta di batteria, quindi una soundscape in crescendo horror, e una ripresa finale a metà via funerea e bombarola, non distante dai modi dei primi SwansConcept soviet-espressionista imperniato sulla russa superstizione dell’immortalità, applicata per la prima e unica volta a Lenin per farne una mummia da teca nel 1924 dal patologo di regime A. Abrikosov, ha metà del suo charme oscuro in una cornice semantica di delirio magico-scientifico primonovecentesca. Pur più fragoroso che devastante e con qualche scusabile appannamento, è il fulgore del trio di Desenzano anche grazie ai cruciali interventi esterni: il noise infernale di Monica Khot e i suoni d’avanguardia di Mauro Diciocia nel quadretto elettroacustico di “The Chemical Bath” (radiazioni, voci, ferraglia, stillicidi, sciacquii), una credibile revisione negativa dell’“Alan’s Psychedelic Breakfast” dei Floyd. Co-prodotto da Dio Drone, SweetOhm Recordings e Kontingent Records (Michele Saran7/10)


03_igorlegIGOR LEGARI - ARBO (Folderol, 2022)
post-bop

Igor Legari, eccellente contrabbassista (double bass) di origini capitoline, si attornia di Marco Colonna sax baritono, flauto e clarinetti, e Ermanno Baron, batteria, per il suo “Arbo”. Abbastanza solidi i cavalli di battaglia: il bluesaccio marziale infradiciato di assoli stradaioli e cambi di tempo caotici di “Stomp”, l’appuntamento con il jazz tribale-etnico di “Malachi” (9 minuti) svolto in maniera densa e insistente come pure mutante (nonostante nella seconda parte perda un po’ di vis), la nervosa, incorporea, flautistica “Ocelot” impreziosita da un duetto gestuale con contrabbasso ad archetto, e la danza incantatrice dissolta in una jam-frana di “Tristan Da Cunha”. Sparsamente episodici gli altri highlight, come le mareggiate di spazzole e piatti in “Bom”, la libera divagazione di solo basso in “Arbo” e il desolato canto di clarinetto in “Ultima Thule”. Ben prodotto da Griffin Alan Rodriguez. Dopo aver contribuito significativamente a Quartetto e Trio di Francesco Nigro (in cui affina il suo feeling con Baron), all’Opus Magnum di Ettore Fioravanti e al Luz di Giacomo Ancillotto, Legari debutta con un disco di rustica, sincera ispirazione coltraniana, con umili spizzichi di ambizione. Provetto l’affiatamento strumentale tra i tre al riparo da protagonismi. In copertina un dipinto originale di Giulia Napoleone (Michele Saran6,5/10)


04_littlesaLITTLE SANCHEZ - LITTLE SANCHEZ (autoprod., 2023)
alt-rock

Una band alternative-rock, di quelle con le chitarre e il santino di Ministri e Afterhours sempre in tasca, due formazioni storiche decollate dal circuito milanese, germogliate come loro proprio sotto la Madonnina. Little Sanchez il nome scelto, sono in quattro, e a marzo 2023 hanno pubblicato il primo omonimo Ep, quattro tracce che bruciano sana elettricità raccontando le piccoli grandi quotidianità dei post adolescenti di oggi, senza mai scendere a facili compromessi indie o trap, puntando con convinzione su un’attitudine figlia dei tardi anni Novanta, l’ambiente dal quale decollarono Verdena e Zen Circus, tanto per intenderci. Sana elettricità, dicevamo, la medesima riportata al centro dell’attenzione internazionale dai tanti gruppi che stanno animando il rinnovato parterre post-post-punk, IdlesFontaines D.C. e Shame in primis. Ma il legame musicale più stretto dei Little Sanchez è con la band di Federico Dragogna, specie in tracce come “Nel bene e nel male” - scelta come primo singolo - e la successiva “Sempre più lontani”. Il quartetto opta per l’autoproduzione e cerca date, instancabilmente, per portare in giro la propria musica, con orgoglio, e con tutte le difficoltà che accomunano tutti i gruppi indipendenti che affollano l’underground di casa nostra, che si conferma vivo e ricco di sorprese sempre interessanti (Claudio Lancia6,5/10)


05_staiSTAIN - KINDERGARTEN PART II EP (autoprod., 2023)
alt-pop

L’Ep di sei pezzi “Kindergarten Part II” prosegue degnamente l’avventura (super)sonica della compagine pugliese dei Stain. Le mutazioni dinamiche di maquillage d’arrangiamento rimangono il loro forte soprattutto in “The Mess Behind”, una cantilena soul che attraversa un incipit chitarristico in staccato da “Whatever You Want” dei Status Quo, voci e vocine da coretti “barbershop” e una gioiosa esplosione electro-noise. “April Fool’s Disaster” si basa invece sul contrasto tra inizio ramingo-astratto e un subitaneo remix dadaista-acido del power-pop d’annata, e “A Melted Toy” immerge un distorto, composito cantico esotico in cadenze ritmiche disorientanti; in maniera un po’ ridondante, “The Courtyard” incrocia geneticamente queste due canzoni-prodezze. Vera chicca è allora “Lemon Juice”, affascinante lied cibernetico in lo-fi devastato da un orgiastico rave-up elettrificato. Rispetto alla parte prima (2021) c’è più debito verso quell’hyperpop albionico anni 10 (Everything EverythingAlt-J, fino ai Glass Animals). Non compromette, però. Restano cruciali il loro cromatico nervosismo che gronda sbrigliatezza fantasiosa, e il loro introverso melodismo carico di dinamite festante. Una canzone deboluccia: “Outside”. La scelta di “The Courtyard” e “The Mess Behind” come singoli è buona, ma il momento più originale - forse della carriera - è “Lemon Juice” (Michele Saran6,5/10)


06_lifelikelLIFE LIKE LOW - LIFE LIKE LOW (autoprod., 2022)
alt-pop

I varesotti Jacopo Rossi, chitarrista, e Fabrizio Peccerillo, produttore (già all’opera per i conterranei Pop James, Baudelaire’s Conspiracy e Plankton Dada Wave), s’incontrano nella lavorazione di “O’ Brien Shape” (2016) dei Bug e l’omonimo (2018) dei Dude & The Grizzly Bear. Il loro progetto a due Life Like Low equivale a nuova vita per entrambi: per Rossi come cantautore e per Peccerillo come creatore di suono. Artisticamente e stilisticamente il meglio arriva verso la seconda parte, non tanto con il lento atmosferico a base di giochi trip-hop di “Messico e cenere”, quanto più con la loro “signature tune”, il guazzabuglio babelico Beck-iano di “Life Is Like A Low Budget Movie”. Completano un’ideale trilogia il melodrammatico collage “Invisibile” con contrappunto baroccheggiante, e “Doppleganger”, una caruccia rivisitazione dei secondi Cccp. “Sabbia” invece apre proprio in chiusa il diverso fronte della lunga pensosa ballata folk inframezzata da archi cameristici, ma non pecca d’incoerenza. Proposta a base di pop libero scapigliatamente laterale ai generi, dal repertorio denso ma ristretto, a volte aggrovigliato in sé stesso - specie nell’ermetismo dei testi -, fertile e in parte inesploso. Mai scanzonato, però. Co-prodotto con Mattia Tavani e Federico Dal Zotto. In “Sabbia” c’è l’aiuto di Enrico Mangione e Luca Martegani (Michele Saran6/10)


07_escapetot_600ESCAPE TO THE ROOF - ESCAPE TO THE ROOF (autoprod., 2023)
hard-rock

Escape To The Roof sono una concept-band italica d’ignota provenienza regionale, che impronta il proprio concept-debutto omonimo (sull’idea di fuga) a suon di riff duri e glitter primi anni ’70. Se “Fried Blues Chicken”, anche singolo d’esordio (2022), e “So Far So Good”, una delle più nostalgiche verso il vecchio acid-rock, non vanno oltre la prova d’oleografia, “Nine Rows Of Beans” sfoggia tratti operistici e prog (con la finezza della citazione della “Terza” di Brahms) e “Still The Same Crap” scuote con accelerazioni punk la sua fede cieca nel boogie sudista. La prima canzone estesa è “Staring At The Sun”, le cui scontate fondamenta (Zeppelin e Floyd) scaturiscono un refrain cavalcante a più voci che capitola in una brumosa soundscape di suoni acquatici. L’Aor di “Still Raining”, che sfrutta toni elettronici per aumentare una truculenza tutta Sabbath-iana e un mellifluo pop tutto Bowie-iano, idealmente introduce il secondo pezzo di 8 minuti, “Now It’s Just You And Me”, picco gotico del disco funestato da un pastiche di pseudo-musique concrete di voci e trambusti. Lo stereotipo della replica kitsch della musica classica di “Nine Rows Of Beans” si sublima infine nella chiusa di “Remember Me” protesa a una dolente austerità tutta Bach. Assimilabili ai Måneskin nell’ambito (il revival ultrastereotipato del rock arcadico) e nella line-up (tre ragazzi e una ragazza), del tutto distanziati nel portamento: niente facce, nessun lustrino e nessuna informazione, a parte i soprannomi (G.C. Wells, Yann Ritzkopf VI, Zikiki Jim, Luis Canemorto). O sono due estremi che, a ben vedere, si toccano? Interessa la sostanza: ben portata e talvolta pure sentita. Ha tiro e acrobazie, un canto drammatico che tende a stroppiare, e anche un sentore - inevitabile - di chirurgia disinfettata, di costruzione artefatta. Idem per gli esperimenti elettronici, che un po’ sofisticano con ingegno e un po’ si accontentano del diversivo. Studio d’immagine, artwork e videoclip animati, a cura di Maria e Simone Cangemi di SaganaS (Michele Saran5,5/10)


08_ilsilenziodIL SILENZIO DELLE VERGINI - LA CHIAVE DI BERENICE (I Dischi Del Minollo, 2023)
alt-rock

Un cambio di batterista (da Francesco Lauro Geruso a Marco Costaioli) anticipa il quarto “La chiave di Berenice” de Il Silenzio Delle Vergini, mentre suono e stile si meccanizzano sul fondatore Armando Greco e la sempre più fedele voce recitante di Cristina Tirella. Le scorie sperimentali del predecessore “Fiori recisi” (2020) si sfaldano su un contrasto più elementare, come esemplifica per bene “Kaori Kosei”: rap monotono di Tirella diluito su uno sfondo invece esoso, da riallacciare al cromatismo techno-rock di M83 e Caribou. “Marcel” lo declina appena più al synth-pop, “Maetel” al dream-pop. La migliore è probabilmente il singolo “Alba Varden”, una tenue festa crepuscolare, ma una “Berenice” scopre il cuore melodico e tragico dell’opera, e “Anastasia” torna al rallentamento post-rock con chitarra acida e vocalizzi. Negli intenti, una galleria di ritratti confessionali svolti alla maniera del flusso di coscienza, spesso con ripetizioni inconsce di massime, aforismi e piccole considerazioni filosofiche. Proposta rilassata e rilessata fatta di arrangiamenti ben oliati e ingenuità, motivi sfatti o rifiniti, e una generale uniformità che qua e là punterebbe all’epico. Una involuzione pop ma di quelle curiose, ruspanti (Michele Saran5,5/10)


09_boscosaBOSCO SACRO - GEM (Avantgarde Music, 2023)
gothic

I pavesi Tristan Da Cunha (Francesco Vara, Luca Scotti e Paolo Monti) nel 2020 assoldano la vocalist veneta Julinko (Giulia Parin) per un primo esperimento non strumentale, una rivisitazione cantata della “Too Deep For Us” (2020) tratta dal terzo “Onda Do Mar” (2019). La collaborazione si concreta in complesso a nome Bosco Sacro e debutta con il gotico atmosferico “Gem”. Nella sostanza però sembra, all’opposto, che sia stata Julinko ad aver assunto i tre come personale backing-band. L’arrangiamento si limita a creare un ovattato mascherino sonoro alle evoluzioni della cantante: “Ice Was Pure”, “Fountain Of Wealth” e “Be Dust”, la più lunga (ma raggiunge un po’ di elettricità solo negli ultimi due minuti). Ovvio standout è “Emerald Blood”, una Tori Amos che doma i Russian Circles, mentre “Les Arbres Rampants” cerca di installarsi nel territorio dei Lycia. A tutti gli effetti un campo libero per una Parin che - forse per la prima volta nella sua carriera - regala uno spettro canoro ampio e affascinante, da acuta Liz Fraser a chanteuse decadente a contralto dark-wave, ma incespicante in un insieme depotenziato, blando, ponderoso. Delude in particolare la chitarra di Vara, svanita in uno strimpellio diafano sempre uguale a sé stesso, lontano parente della viva fantasia passata ancora scrutabile nel singolo “Diver, Adrift” (2022) dei Tristan (Michele Saran5/10)


10_hystericalsHYSTERICAL SUBLIME - VOID | VOID (autoprod., 2023)
alt-pop

Quasi una decade dopo un primo Ep di discreto livello, “Colour” (2014) gli Hysterical Sublime del palermitano Angelo Di Mino approntano un invece discutibile “Void | Void”, primo album lungo. “That” e “Insane” riciclano gli Human League per l’era dei tardi Radiohead (o peggio dei tardi Coldplay). Quando non è debole synth-pop, è languido pop orchestrale: “The Ship” e “Glow”. “#reasonstobehappy” svaria un po’ comicamente al soft-disco. Gli ultimi pezzi si dedicano a un’altra loro fissazione già sentita nell’Ep, i National, ma almeno “White Pleasure” ne fa una sorta di variazione jazzata. E’ una raccolta di materiale rabberciato lungo gli anni e si sente: neanche la produzione spintissima, anche più satura del debutto, riesce a reggere gli sgangherati tiptap di palo in frasca. Tracimante il canto platealmente melodrammatico, quasi sprecato il talento di Francesco Incandela (Michele Saran4/10)

Streaming
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LITTLE SANCHEZ - LITTLE SANCHEZ (autoprod., 2023)
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LIFE LIKE LOW - LIFE LIKE LOW (autoprod., 2022)
ESCAPE TO THE ROOF - ESCAPE TO THE ROOF (autoprod., 2023)
IL SILENZIO DELLE VERGINI - LA CHIAVE DI BERENICE (I Dischi Del Minollo, 2023)
BOSCO SACRO - GEM (Avantgarde Music, 2023)
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