An Alternative Christmas

Una compilation immaginaria

Diciamocelo con franchezza: non c’è affermazione più ipocrita e pregna di vuota retorica di quel luogo comune che ci vorrebbe tutti più buoni con l’avvicinarsi del Natale. Anzi, forse è vero il contrario: gli avvoltoi durante le festività sono sempre più in agguato. Probabilmente, però, una volta arrivata la sera della vigilia, anche i più anticonformisti amano starsene in famiglia davanti al fuoco, guardare la neve che cade e giocare coi bambini che – beati loro – il Natale lo percepiscono ancora con quel senso di magia e mistero che noi adulti non sappiamo più cogliere. A volte arrivi alla mattina del 25 dicembre cercando disperatamente di respirare quella speciale atmosfera che, non sai perché, non sai come, è svanita o semplicemente è rimasta sempre lì e sei tu a essere cambiato. Forse è colpa di quel fenomeno chiamato “perdita dell’innocenza”, per cui le gare di beneficenza che da piccolo ti emozionavano adesso ti irritano, i predicozzi che arrivano dal Laterano e dal Quirinale li rispediresti ai mittenti tramite molotov e con tutti gli alberi di Natale che ci sono in giro ci faresti un mega-falò pagano in stile “The Wicker Man”. Ma dove la realtà, inesorabile, fallisce, lì spesso riesce la musica. La nostra musica. Abbiamo tutti un blues da piangere, ci ricordano i Perigeo, e allo stesso modo ognuno ha un proprio Natale da consumare: da quello proletario dei Kinks a quello desolato di Tom Waits, da quello “figo” degli Eels a quello incantato dei Mogwai, da quello mistico di John Fahey a quello ateo dei Sonics, fino a quello blasfemo dei Fear.
Ce n’è per tutti i gusti e abbastanza per farci una compilation immaginaria di ottanta minuti precisi di musica, spalmati su ventiquattro brani. Avrebbero dovuto essere venticinque, ma sarebbe stato tutto troppo perfetto, come in quegli odiosi film melensi che durante le feste le reti televisive ci propinano in loop. L’ultima, quindi, è la canzone che dovrebbe esserci ma non c’è, quel qualcosa che cerchiamo da sempre e da sempre ci manca, il tassello perduto che rende beffardamente incompleto il mosaico della felicità. E allora il venticinquesimo brano sarà quella bonus track che potrebbe improvvisamente riconciliarci con noi stessi, coi sogni abortiti o gli amori sospesi. L’augurio di OndaRock è che ognuno trovi la propria canzone mancante - qualunque genere sia, qualunque arrangiamento abbia - a Natale come tutti i santi giorni.

1. Kinks – Father Christmas

Ogni compilation natalizia che aspiri a essere “alternativa” deve necessariamente aprirsi con “Father Christmas” dei Kinks. Loro, che con “You Really Got me” hanno prefigurato il punk e forse pure un’altra decina di generi, non potevano certo esimersi  (nel 1977 per giunta!) dal dare una versione diversa, ribelle, del Natale. Il ritornello, sostenuto da fendenti energici di chitarra, stende al primo colpo: “Father Christmas give us some money/ Don’t mess around with those silly toys”.  Un’orda di ragazzi della classe operaia britannica prende d’assalto i grandi magazzini, reclamando al Babbo Natale di turno non stupidi giocattoli, ma soldi liquidi e un lavoro per i loro papà disoccupati. Richieste peraltro quanto mai attuali. Santa Claus ai tempi della crisi.

2. Low – Just Like Christmas

Intima e onirica, la musica dei Low è particolarmente adatta all’atmosfera natalizia. Conscia di questa caratteristica della sua musica, la band di Duluth nel 1999 si è voluta cimentare col formato classico del Christmas album. Certo, niente a che vedere con capolavori come “Things We Lost In the Fire “ e “Trust”, però l’apertura di “Just Like Christmas” è qualcosa che riconcilia col mondo. Seguendo la melodia gioiosa a passo di folk, sembra di correre in una foresta incantata, tra pupazzi di neve e bambini incappucciati. Non c’è dubbio: se le fate esistono, hanno la voce trasognata di Mimi Parker.

3. Bob Dylan -  Must Be Santa

È la mattina di Natale e voi avete cinque anni. I vostri genitori vi esortano ad alzarvi dal letto e prepararvi perché bisogna andare a pranzo da nonno Bob. Salite in macchina, vostro padre si dirige verso la “Highway 61”; il nonno abita lungo quella strada in un’accogliente casetta costruita coi risparmi di una vita. Arrivati all’uscio, suonate. Non risponde nessuno ma la porta si apre e ad accogliervi c’è un gruppo di buffi elfi con tamburelli e fisarmoniche. Suonano e danzano per tutta la casa, facendo il trenino. Voi vi accodate. Il trenino sale le scale e giunge al primo piano. Qui, vestito da Santa Claus, c’è lui, nonno Bob. Si avvicina dolcemente, vi prende in braccio e, con fare affabile, vi sussurra nell’orecchio: “Babbo Natale esiste davvero, ma voi fate finta di non crederci”.

4. Pogues & Kirsty McColl – Fairytale Of New York

Indovinate quand’è nato quell’adorabile derelitto di Shane MacGowan? Sì, il giorno di Natale. Del 1957 per la precisione. Impensabile, allora, che non abbia mai festeggiato un Natale. A modo suo, ovvio. Probabilmente attaccato da un lato a una bottiglia di rum e dall’altro a uno stereo che suona musica celtica a palla. A modo suo, insieme al sodale Jem Finer, ha sicuramente raccontato anche la favola di Natale più bizzarra di sempre. Oddio ci vuole coraggio a definirla “favola”; è più un incubo metropolitano abitato da straccioni e puttane, drogati e delinquenti, in cui il protagonista della canzone perde l’amore e i propri sogni. Non sempre le favole hanno un lieto fine.

5. Residents – Santa Dog ‘88

“Santa Dog” è il titolo del primo, leggendario Ep di quei grandissimi geni sotto anonimato che si fanno chiamare Residents, sulla cui copertina campeggiava l’immagine di un cane vestito da Babbo Natale. Nel 1978 la prolifica band californiana rimetteva mano a quei nastri, dando alle stampe “Santa Dog ‘78” (la copertina era ancora a tema natalizio, stavolta però c'erano quattro Babbi Natale mostruosi), per poi riplasmarli nuovamente dieci anni più tardi nell’Ep da cui è tratta la versione scelta per la nostra compilation. Alcuni sostengono che il titolo sia l’anagramma di “Satan Dog”, ma non sarà certo un’innocua leggenda a rendere il pezzo inquietante. Piuttosto, date un ascolto a questa filastrocca macabra e lei si insinuerà nella vostra mente come un pensiero malvagio di cui non vi libererete più.

6. Sonics – Don’t Believe In Christmas

Anche quei pazzoidi dei Sonics hanno avuto le loro cocenti delusioni. La più grande di tutte è stato il Natale del 1965, quello della presa di coscienza che Santa Claus non è mai esistito. Ci sono rimasti talmente male da incidere un rock’n’roll pestone, attraversato dalle scariche lisergiche di un organo elettrico, per sbattere in faccia al mondo che no, da quel momento i Sonics, al Natale, non ci avrebbero più creduto. Troppe volte, infatti, avevano fatto le ore piccole, la notte della Vigilia, ad aspettare invano che quel grassone vestito di rosso sbucasse dal camino. Una negligenza più che comprensibile considerato i soggetti: voi vi sareste mai intrufolati, di notte, a casa di cinque scalmanati che cantano “Strychnine is good”?

7. Wild Billy Childish & The Musicians Of British Empire – Father Christmas Is Dressed In Green

Autore di poesie dadaiste, pittore di quadri neoespressionisti, fotografo, regista e musicista garage-punk. Forse non eccellerà in nessuno di questi ambiti, ma non si può non provare rispetto per uno come Billy Childish, anche solo per il baffo selvaggio alla Yosemite Sam.  Avesse un fucile al posto della chitarra, sarebbero due gocce d’acqua, a maggior ragione che il suo strumento tira fuori delle pallottole mica da ridere! Facciano attenzione, dunque, tutti quelli che sostengono che il vestito di Babbo Natale sia sempre stato rosso. Su questo il vecchio Billy non transige: “Father Christmas Is Dressed In Green”.

8. Fear – Fuck Christmas

Miscredenti, scorretti e iconoclasti; ce ne vorrebbero di eserciti crociati per convertire guerrieri punk come i Fear! La loro Los Angeles è la stessa città che brucia nel disco capolavoro degli X e sanguina, colpita dall’urlo letale di Darby Crash, nelle canzoni dei Germs. Brucia e sanguina anche il loro Natale, devastato dalla ferocia assassina con cui Lee Ving e soci si avventano sul buonismo di facciata da esibire ipocritamente a trentadue denti. Già perché i Fear, i denti, sono abituati a spaccarli. In questo caso ci impiegano meno di un minuto; quarantasei secondi netti. Giusto il tempo di creare un’atmosfera languida e distruggerla, trenta secondi dopo, a colpi di reiterati “fuck”. Non una canzone, uno stupro.

9. Yo La Tengo – Rock’n’Roll Santa

Gli auguri più alternativi di tutti sono quelli degli Yo La Tengo, la band che forse più di chiunque altra ha fatto dell’etichetta “alternative” un genere indefinito ma riconoscibile, dotato di una peculiare estetica in bilico fra eterea melodia e furibondi assalti chitarristici. Fedele a se stessa fino in fondo, la compagine di Hoboken (New Jersey) nemmeno a Natale si smentisce: “Rock’n’Roll Santa” parte ruvida come fosse “Search And Destroy" degli Stooges, cita poi il motivo di “Jingle Bells” e attacca infine una melodia gaudiosa di cui non ci si sazierebbe mai. Chiamatela allegria. Contagiosa allegria.

10. Vaselines – Jesus Doesn’t Want Me For A Sunbeam

“Jesus Doesn’t Want Me For A Sunbeam” fa parte del purtroppo scarno repertorio dei Vaselines, straordinaria pop band scozzese che su finire degli anni ottanta incise un pugno di canzoni  tanto stupende quanto misconosciute. Benedetto sia Kurt Cobain, allora, che coi suoi Nirvana pescò dal loro canzoniere tre brani, tra cui pure questa parodia di “I’ll Be A Sunbeam”, una vecchia filastrocca cristiana per bambini. Non fatevi però ingannare dall’andamento serafico della viola o dalle voci suadenti di Eugene Kelly e Frances McKee: dal sorriso al ghigno certe volte il passo è breve.

11. J.D. McDonald – Boogaloo Santa Claus

Con J.D. McDonald si apre l’intermezzo funk-soul della compilation. Vestiti da Babbo Natale- o meglio da Babbo Bastardo, a giudicare dal timbro libidinoso della voce, a metà tra James Brown e Screamin' Jay Hawkins - si balla tutti il boogaloo, una danza meticcia nata da una notte di passione tra l’R&B e il mambo. Anzi, a dire il vero e con buona pace degli eufemismi, rende più l’idea la parola “sesso”. Sfrenato, selvaggio sesso.

12. Electric Jungle – Funky Funky Christmas

Dopo il boogaloo di J.D. McDonald si continua a sculettare beati anche con gli Electric Jungle e il loro funky natalizio. In principio è un groove di basso pazzesco; seguono a ruota rullate goduriose, un sassofono orgasmico e punteggiature feline di piano elettrico. Fidatevi, non c’è antidoto migliore al gelo invernale. Dimenticate la neve: con gli Electric Jungle sarà un caldo, bollente Natale.

13. Lcd Soundsytem – Oh You, Christmas Blues

Non sarà George Clinton, ma a James Murphy non manca certo il senso del groove, forse ben poco nero e un po’ troppo bianco, via Gang Of Four insomma, ma va benone lo stesso. Non a caso questo blues di Natale è pervaso di funk-punk geometrico fin nel midollo. Non lo troverete in nessuno dei tre dischi in studio finora pubblicati dalla band newyorkese, ma nella colonna sonora di una commedia con Ben Stiller uscita nelle sale un paio d’anni fa col titolo italiano di “Lo stravagante mondo di Greenberg”.

14. Mogwai – Christmas Song

La musica dei Mogwai – delicata, malinconica e fiabesca -  fa venire in mente il Natale anche senza espliciti riferimenti nei titoli. Tuttavia, in più di un’occasione, gli alfieri del post-rock britannico hanno voluto celebrare il Natale con composizioni appositamente dedicate. In “Christmas Steps” innanzitutto - pubblicata nel 1999 in “Come On Die Young” - ma anche in questa “Christmas Song” risalente allo stesso anno e inserita in una Ep senza titolo. Su di essa c’è poco da dire visto che dicono già tutto il titolo e la dinamica sognante: rintocchi di piano e teneri arpeggi di chitarra conducono in riva al mare, dove si starebbe ore a guardare le onde morire e rinascere, come stelle cadenti la notte di Natale.

15. Flaming Lips – Christmas At The Zoo

A Natale tutti a fare del bene ai poveri, agli orfani e agli ammalati, ma agli animali, chi pensa agli animali? State tranquilli, amici animalisti, ci pensa quel cucciolotto di Wayne Coyne! Ha progettato tutto: il giorno della Vigilia si intrufolerà nello zoo della città per liberare pavoni, lama, foche, serpenti, oranghi, canguri ed elefanti. E se una volta aperte le gabbie, come accade nella canzone essi si rifiuteranno di uscire, allora li incanterà con un ipnotico giro di chitarra e li condurrà fuori come un novello pifferaio magico. The Piper At The Gates Of The Zoo.

16. Pearl Jam – Let Me Sleep (It’s Christmas Time)

“Let Me Sleep” è una delle canzoni perdute dai Pearl Jam e ritrovate nella raccolta di b-side “Lost Dogs”, pubblicata nel 2003. Forse parla della nostalgia dell’infanzia, di quando il Natale sembrava magico e i venti erano profumati come fiori, mentre ora tutto è stanco, abulico. Più probabilmente, però, esprime i pensieri natalizi di un povero Cristo che, solo, scalzo e senza un posto dove andare, è irretito da un freddo spietato. Meglio dormire, allora, che non c’è nulla da festeggiare.

17. Belle and Sebastian – O Come, O Come, Emmanuel

Ispirata a un inno sacro in latino, “O come, O come, Immanuel” narra della venuta del Messia, indicato dal profeta Isaia con il nome di Emanuele, che significa “Dio è con noi”. La versione dei Belle And Sebastian ne mantiene intatta l’aura sacrale, iniziando solenne come una processione liturgica per chitarra acustica e sciogliendosi poi in un folk dal sapore apocalittico, dove “apocalittico” va inteso nel senso etimologico del termine; quello di Rivelazione di una verità universale.

18. Eels – Everything’s Gonna Be Cool This Christmas

“Everything’s Gonna Be Cool This Christmas” è il regalo di Natale di Mr. E: una bella esplosione di energia positiva e buone vibrazioni di cui in certi momenti – e specialmente quando si avvicinano le feste natalizie – si ha bisogno come il pane. Ed è ancora più significativo che a regalarcela sia uno col quale la vita, talento musicale a parte, non è stata certo benevola, portandogli via prima il padre (quando E. aveva diciott’anni) e poi la sorella suicida (evento che gli ispirerà quell’immenso capolavoro sull’ineluttabilità del dolore intitolato “Electro-shock Blues”). Solo chi ha conosciuto lo sconforto più nero può conoscere il vero significato della gioia. Mark Oliver Everett con le sue canzoni lo ha insegnato al mondo. 

19. John Fahey – Joy To The World

Ancora un inno religioso tradizionale, ancora un brano mistico; e non poteva essere altrimenti considerando che le dita che pizzicano le corde della chitarra – producendo armonie come al solito avvolgenti – sono quelle di John Fahey, maestro indiscusso del fingerpicking. E sono, come sempre, carezze dell’anima, calde folate di vento che inebriano il cuore, petali di neve mandati giù da Dio per redimere l’uomo dal suo peccato più grande: ignorare la bellezza che lo circonda. La misericordia del Signore è immensa, la musica di John Fahey pure. Nei secoli dei secoli.

20. Ramones – Merry Christmas (I Don’t Want To Fight Tonight)

D’accordo, “Brain Drain” non sarà il miglior album dei Ramones, però ci sono band che venderebbero l’anima per avere in repertorio una “Pet Sematary” o un punk natalizio del calibro di “Merry Chistmas”, il cui unico difetto è quello di mancare della carica oltraggiosa che ci si aspetterebbe da un inno punk. Del resto i Ramones non erano né i Dead Boys né i Sex Pistols e sotto i loro riff al fulmicotone è sempre battuto un cuore da bravi ragazzi che, se potevano, preferivano fare l’amore piuttosto che battagliare. Figuriamoci a Natale quando “non è tempo di spezzare i cuori altrui”. E se lo dicono loro, c'è da crederci.

21. Tom Waits – Christmas Card From A Hooker In Minneapolis

La cartolina d’auguri di Natale che Charley ha ricevuto arriva dai sobborghi di Minneapolis. È vergata da una battona drogata che aveva conosciuto sulla Nona strada. Dice di essere incinta, di aver chiuso con droghe e whiskey e di essersi sposata con un uomo che le ha promesso che alleverà comunque il nascituro anche se il padre naturale non è lui. Sarebbe una bella storia di redenzione, se le cose stessero davvero così. In realtà non c’è nessun marito e lei ha fottutamente bisogno di soldi per pagarsi un avvocato che la farà uscire di prigione in libertà condizionata.  Giusto in tempo per San Valentino, aggiunge, lasciando aperta la possibilità di incollare i cocci di un amore spezzato. Una speranza che vale più di mille happy ending.

22. Morphine - Sexy Christmas Baby Mine

Per riprendersi dallo squallore metropolitano raccontato da Tom Waits ci vorrebbe una melodia liberatoria alla “Twist And Shout” da cantare a squarciagola, ma siccome nel repertorio dei Beatles il meglio che si possa trovare in tema natalizio è la non eccezionale “Christmas Time Is Here Again”, preferiamo sprofondare ancor più nel sordido con la voce depravata di Mark Sandman, il quale ci racconta, accompagnato da un sassofono al pari dissoluto, della sua “Sexy Christmas Baby Mine”.

23. Sufjan Stevens - That Was The Worst Christmas Ever!

Sufjan Stevens è un cantautore fuori da qualsiasi schema; bizzarro, schizofrenico, spesso e volentieri esagerato, come quando nel 2006 decise di pubblicare più di due ore di musica natalizia nell’imponente “Songs For Christmas”, box di cinque Ep diviso tra riletture e brani autografi. Tra questi ultimi spicca il malinconico bozzetto poetico per banjo e chitarra acustica intitolato, non senza ironia, “That Was The Worst Christmas Ever!”. Non si capisce bene di cosa parli, ma non ha importanza perché in quella flebile melodia sussurrata è racchiuso tutto il contraddittorio universo poetico suscitato dal Natale.

24. Galaxie 500 – Listen, The Snow Is Falling

Non è una vera e propria canzone natalizia, ma non si poteva non chiudere questa compilation immaginaria con un brano dedicato alla neve, il fenomeno atmosferico che per suggestione e associazione mentale è maggiormente legato al Natale. E chi poteva scriverla una canzone sulla neve se non il gruppo la cui musica fu splendidamente definita “il suono della neve che cade”? In realtà la canzone è di Yoko Ono, ma calza a pennello per l'estetica dei Galaxie 500. Nelle armonie celestiali dell'incipit sembra di sentirla davvero, la neve che cade, ricoprendo il mondo – da New York a Londra, da Tokyo a Parigi -  di una candida, immacolata leggerezza. Appena un attimo prima che tutto si sciolga nella tempesta infuocata delle chitarre, mettendo fine a un visionario, psichedelico snow dream.

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