Il mondo della musica europea, poco prima della caduta del Muro di Berlino, era ancora spaccato in due: per conoscere da vicino ciò che veniva proposto nel blocco socialista, si sfogliavano riviste o fanzine interessate alla scena, si acquistava qualche compilation ("Red Wave: 4 Underground Bands From The USSR" destò molta curiosità), altrimenti - come ultima ipotesi - si poteva ricorrere al cosiddetto scambio culturale, come accadde nel 1988 in terra salentina (esattamente a Melpignano, oggi luogo di festival tarantolati). Lì, alcuni gruppi provenienti dall'area sovietica, condivisero lo stage con i Litfiba e i Cccp, per un evento poi replicato a Mosca e Leningrado un anno dopo, quando Pelù, Ferretti e soci salirono sui palchi rossi per due date storiche.
Se escludiamo l'agrodolce epopea dei Kino (col tempo la loro poetica rock ha abbracciato un pubblico sempre più variegato, emergendo con successo) e qualche altra sporadica anomalia capace di varcare questa profonda linea di demarcazione, soltanto con l'arrivo degli anni Novanta è stato possibile mettere le mani su un'infinità di proposte fino a quel momento misteriose. Solo così abbiamo apprezzato appieno il grande fermento post-punk presente in Germania Est (ben raccontato nel volume di Sasha Lange e Dennis Burmeister "Oltre il Muro di Berlino"), fino a scovare qualche perla di rara bellezza sbucata fuori da una nazione sempre ricca di valide realtà musicali, la Polonia.
Se nella vicina Ddr la censura era molto severa, a Varsavia e dintorni era possibile accostarsi con relativa facilità alla musica alternativa, bypassando le imposizioni istituzionali filtrate dalle radio o dalla televisione di stato (dove spopolavano gli Abba, i Beatles ma anche numerosi cantanti cecoslovacchi e italiani). In Polonia, infatti, il fermento 80's godeva di buona libertà, come testimoniato dalla presenza di Radio Trójka (una stazione molto seguita dai giovani in cui era possibile ascoltare prodotti rock occidentali) o dal celebre e affollato Jarocin Festival, in cui i Siekiera (nell'edizione del 1984) si esibirono accanto ad altri colleghi del sottobosco nazionale.
Nel frattempo, le sottoculture dark o quelle punk, alimentandosi nell'ombra e prendendo spunto dai gruppi saliti alla ribalta al di là della cortina di ferro, continuavano ad attingere (a livello umorale) da quel malcontento generale che aveva già scosso in lungo e in largo il territorio polacco, soprattutto in seguito all'istituzione della legge marziale e alla conseguente sospensione delle attività di Solidarność, il sindacato indipendente (appoggiato dai governi occidentali) poi trasformatosi in una vera forza politica in opposizione al comunismo. Da quelle parti, la ribellione non era affatto una moda di passaggio, ma era prima di tutto una risposta culturale: essa incarnava di riflesso le tante preoccupazioni che affliggevano le nuove generazioni cresciute con il timore di non poter dare una svolta alla propria esistenza.
I Siekiera (in italiano, ascia) nascono alle fine del 1983 in una piccola cittadina alle porte di Lublino: inizialmente, il loro sound era orientato verso un grezzo street punk di ispirazione britannica, nonostante la Polonia fosse già terreno fertile per tante rock band di matrice new wave (dagli eclettici Brygada Kryzys ai mai troppo osannati Republika).
La svolta arriva nel 1985, quando Tomasz Adamski (leader maximo del gruppo) si chiude in studio a Varsavia per registrare quattro tracce con il resto della band. Due finiscono nel raro 7" "Jest bezpiecznie/Misiowie puszyści", una terza ("Serce") viene scartata per degli errori tecnici, mentre l'ultimo pezzo ("To słowa") finisce tra le gemme presenti nel futuro "Nowa Aleksandria". Basta ascoltare i pezzi del succitato 45 giri per comprendere la grande trasformazione dei Siekiera, adesso una realtà post-punk a tutti gli effetti, complice un approccio cupo e ossessivo figlio addirittura dei incubi metallici partoriti dai primi Killing Joke. Il capolavoro è dietro l'angolo e vede la luce nel 1986. Dieci pezzi in tutto, cantati rigorosamente in polacco.
La Nuova Alessandria dei Siekiera sembra voler auspicare una città modello forgiata nel ricordo di Alessandria d'Egitto, il principale centro culturale dell'ellenismo. Ma dietro le minimali linee geometriche della copertina, si è sempre nascosto l'inestirpabile caos della realtà quotidiana, un torbido grigiore dove ogni speranza viene spazzata via.
Probabilmente, per scrivere i testi, Tomasz Adamski ha semplicemente osservato ciò che si ritrovava davanti agli occhi, come ad esempio nella malinconica e uggiosa title track ("Quando mi alzo guardo fuori dalla finestra/ un breve attimo/ la gente si reca lì, dietro il cancello, ancora assonnata, per la strada/ una piccola fiamma abbandonata/ le nostre case di notte/ le nostre case accanto alle fabbriche"). Palazzoni socialisti e ciminiere che sbuffano in mezzo alla neve, niente di più e niente di meno.
Frasi semplici ma efficaci - ripetute più volte durante lo stesso brano - paragonabili a un martello che batte ripetutamente contro un chiodo arrugginito. Ta-ta-ta-la-la-ta-ta-ta-hej-ha aggira le parole e diventa addirittura il ritornello di "Ludzie wschodu", uno dei loro cavalli di battaglia (l'accelerazione a colpi di basso della seconda parte è una meravigliosa scintilla).
In Italia, ma non solo, è comunque "Bez końca" a conquistare il cuore del popolo dark: ancora una volta, sono i Killing Joke a ispirare la tagliente chitarra di Adamski, ma il pezzo non sarebbe stato tale senza il supporto di una puntuale sezione ritmica e di un costante tappeto di tastiere (il cupo incedere iniziale lascia spazio a un refrain arioso e melodico). Da noi, "Bez końca" si ballava già tanti anni fa e oggi resta un passaggio imprescindibile in qualunque balera oscura che si rispetti, mixata magari tra un brano dei Joy Division e uno dei Danse Society.
Accanto al deus ex machina Tomasz Adamski, l'unico superstite della vecchia line-up dei Siekiera era Dariusz Malinowski (scomparso nel 2020), qui impegnato nel doppio ruolo di bassista e cantante. Per l'occasione, invece, furono reclutati il tastierista Paweł Młynarczyk (passato a miglior vita nel 2022) e il batterista Zbigniew Musiński. Un quartetto destinato a implodere nel giro di poco tempo (lo split è avvenuto nel 1988).
Eppure, "Nowa Aleksandria" è un disco suonato con furore e passione da gente che sembra conoscersi da un'eternità: l'album trasuda un affiatamento fuori dal comune e una compattezza strumentale nella quale non c'è un attimo di tregua, fin dalle note della primissima "Idziemy przez las", una cantilena fredda e meccanica che si agita punzecchiando di continuo dei nervi scoperti. La sezione ritmica è implacabile (il basso pulsante di "Tak dużo, tak mocno" non si dimentica), mentre la chitarra, la voce e le tastiere trovano il giusto equilibrio rincorrendosi attraverso melodie ricolme di aspra energia (il caso di "Idziemy na skraj").
Curiosamente, i passaggi più lunghi ed elaborati del lavoro sono due episodi strumentali: se da un lato, i sei minuti spaccati di "Na zewnątrz" pagano un certo tributo ai Cure (tra percussioni tribali e atmosfere opprimenti), la conclusiva "Czerwony pejzaż" mostra un amore mai sopito nei confronti dei Joy Division più claustrofobici. Il colpo di grazia è servito ed è un vero capolavoro dark.
In generale, "Nowa Aleksandria" è un full-length privo di riempitivi, anche quando la formula sembra volersi ripetere all'infinito. Un fulgido esempio ci arriva dalle note di "Już blisko" (entrata - insieme a "Tak dużo, Tak mocno" - nella top ten di Radio Trójka), una magnifica variazione spettrale della title track, nel cui testo si fa ancora riferimento a quel panorama poco consolante di cui sopra ("Quando sei rimasto in silenzio per così tanto tempo/ quando guardi fuori dalla finestra/ c'è un momento come una fiamma/ c'è un momento come una fiamma"). Un bagliore che sarebbe arrivato da lì a poco, chiudendo una lunga parentesi storica ma aprendone un'altra non priva di scottanti controversie, come del resto è accaduto in tutti i paesi un tempo controllati da Mosca.
Oggi, la popolarità di questo album prosegue senza sosta a livello underground, sia nel cuore della Polonia alternativa (tra gli omaggi dei vari conterranei, spicca la cover di "Ludzie wschodu" targata Behemoth) che in terra occidentale, tra preziose ristampe in vinile (di cui una della label italo-tedesca Mannequin) e un'influenza costante che ha contagiato una moltitudine di artisti (un'altra rivisitazione degna di nota è quella dei francesi Varsovie, i quali si sono cimentati in una versione rallentata di "Nowa Aleksandria"). Senza dimenticare l'apporto di alcune band polacche contemporanee che nel sound ricordano non poco la creatura di Tomasz Adamski: è il caso dei Wieże Fabryk, provenienti da Łódź e tornati in sella nel 2023 con un disco di spessore intitolato "Doskonały świat".
C'è da dire che la provenienza slava dei Siekiera ha avuto un'attrattiva non indifferente per quel pubblico cresciuto musicalmente negli 80's: abituato all'inglese, al tedesco della neue deutsche welle oppure al francese della coldwave transalpina (oltre che al nostro italiano), il popolo nero della notte non si è lasciato sfuggire il fascino del post-punk cantato in polacco, attraverso le note di un disco (di assoluta qualità) capace in qualche modo di spalancare le porte a una miriade di realtà appartenenti all'area ex-sovietica. Dopotutto, se oggi si parla di nomi come i russi Ploho o i bielorussi Super Besse (senza contare gli ormai lanciatissimi Molchat Doma), il merito è anche di chi, inconsapevolmente, ha tracciato un percorso inedito attraverso gli impervi sentieri orientali della nostra Europa. Dove qualcuno è ancora alla ricerca di una Nuova Alessandria, quel luogo sognato durante gli anni Ottanta dietro il vetro opaco di una cadente finestra.
24/09/2023