Sin dall'esordio con l'album "New Brigade" del 2011, i danesi Iceage hanno attirato l'attenzione della stampa e della critica musicale. La loro storia, in effetti, è abbastanza peculiare: erano ragazzini giovanissimi, tutti nati nei primi anni Novanta, che proponevano un punk grezzo e brutale quanto espressivo, unendo genuine suggestioni "post" (più Warsaw che Joy Division, in realtà) a una furia hardcore, senza revivalismi di sorta. Partito dai piccoli club underground di Copenaghen, il gruppo si fa conoscere a livello internazionale con il successivo "You're Nothing" del 2013, arrivando a firmare per Matador. Il terzo lavoro, "Plowing Into The Field Of Love" del 2014, ha segnato una svolta verso sonorità alla Nick Cave And The Bad Seeds, incamerando però anche la lezione dei Gun Club e cercando di costruire una personale via al (neo)post-punk del nuovo millennio, una sorta di ponte tra passato e futuro.
Ora gli Iceage tornano con un nuovo lavoro intitolato "Beyondless" in cui mostrano la maturazione del proprio sound. I tempi della scena del "New Way Of Danish Fuck You" (da cui emersero anche diversi side-project degli stessi Iceage, come i Sexdrome e i Marching Church) sono ormai lontani. Certo è che la Copenaghen degli anni Dieci è stata un'interessante fucina dove, al contempo, emergeva prepotentemente anche l'elettronica sperimentale, virata al noise, della Posh Isolation. Si ascoltino, a tal proposito, anche le sperimentazioni del cantante degli Iceage, Elias Bender Rønnenfelt, assieme a Loke Rahbek (Sexdrome, Lust For Youth), Kristian Emdal (Lower, Age Coin) e Lukas Højland (Red Flesh, Pagan Youth), tutti uniti sotto la sigla Vår, per rendersi conto di come tutte le barriere tra i generi fossero state abbattute con disinvoltura.
"Beyondless" fa tesoro dell'esperienza con i Marching Church e riprende il discorso da "Plowing Into The Field Of Love", ma prova a fare un salto che appare pienamente riuscito, incassando anche l'endorsement del padre del punk americano, il Richard Hell della "Blank Generation". In effetti, il nuovo album riscopre un gusto "proto" punk (più che "post"-punk) che fa venire in mente il Cave di "Kicking Against The Pricks", quando con i Bad Seeds rileggeva a modo suo i classici della tradizione rock americana. Al tutto, bisogna unire l'irruenza giovanile di ventenni che sanno dove vogliono andare e hanno le capacità per farlo.
Gran parte del disco ruota attorno al brano "Catch It". È come se Cave eseguisse una cover degli Stooges: una traccia piena di oscura e seducente melanconia e sfrontatezza rituale. Elias Bender Rønnenfelt, vestendo i panni del rocker maledetto, canta "You want it, you want it, you want it again/ Why don't you come and ask me?/ I adore you, my friend". Il brano ha il suo contraltare in "Take It All", dove emerge l'influenza dei Bad Seeds di "Your Funeral... My Trial".
Nell'album troviamo anche l'ottima "Pain Killer" che si avvale della voce dell'attrice e cantante Sky Ferreira, recentemente entrata anche nel pantheon di David Lynch. Qui, gli Iceage sono presi in un tornado di suggestioni anni Settanta, un po' alla Johnny Thunders, che ci parlano di vite sbandate e relazioni di mutua dipendenza che probabilmente non troveranno mai redenzione sotto il sole: "You became my pain killer/ I rue the day/ Alright, alright, alright". Non mancano nemmeno immersioni in un rock allucinato e sgangherato come in "The Day the Music Dies" dove si perdono le coordinate temporali ed emerge una deriva alcolica in cui "The future's never starting/ The present never ends".
Come si diceva, gli Iceage sembrano guardare a tratti anche agli ultimi Marching Church. Si ascoltino, a riguardo, le atmosfere di "Plead The Fifth" e lo strampalato pop-noir-jazz dai tratti cabarettistici e surreali di "Showtime".
Probabilmente i fan dei primi dischi del gruppo danese avvertiranno il cambiamento, anche se il brano iniziale "Hurrah" getta un ponte con il ruvido post-punk degli esordi, seppur in una dimensione meno "lo-fi".
Nell'omonima traccia che chiude l'album, troviamo una pista per intravedere un paesaggio nuovo e far emergere prepotentemente una forma di catarsi degli ardori punk adolescenziali.
È un ottimo ritorno per una band capace di spiazzare l'ascoltatore e costruire un sound sempre personale e riconoscibile, anche grazie all'indubbio carisma del loro frontman, Rønnenfelt, a cui non manca certo il physique du rôle.
03/05/2018