Avevamo davvero bisogno di tutta l’intimità, l’incanto e la sensibilità di Mike Kinsella per ridare calore alla musica che “nasce” in casa, che viene scritta e provata tra quelle mura. Torna in splendida forma col progetto solista Owen – dopo l’avvenuta, sacrosanta, affermazione dei suoi American Football, ormai al terzo disco – e ritorna facendo tesoro di tutte le piccole conquiste portate avanti in dieci album, inclusa la raccolta di cover “Other’s People Song” (Polyvinyl, 2010), riprendendo anche sonorità e atmosfere dall’omonimo esordio (Polyvinyl, 2001) e dal secondo “No Good for No One Now” (Polyvinyl, 2002).
Così dopo gli intensi tour con gli American Football, Mike riprende in mano il suo progetto più confidenziale e personale, quello con cui è “diventato adulto” dopo le esperienze Cap’n Jazz e American Football, e si trasferisce nella quiete innevata di Eau Claire in Wisconsin per registrare con il produttore Sean Carey (Bon Iver, Peter Gabriel) e con l’ingegnere del suono Zach Hanson (The Tallest Man On Earth, Waxahatchee) “The Avalanche”.
In “A New Muse” si parte con grandi pennate e con quel tipico arpeggiare ciclico e periodicamente inciampato che contraddistingue da sempre il songwriting di Owen – e che ritroviamo più avanti anche in “Headphoned” – completato da refrain e passaggi tra le sezioni dei brani più compiuti e sofisticati. Al centro del disco si collocano i testi ermetici e amari di Kinsella, su relazioni che si disfano e finali scritti, mentre i brani si arricchiscono di tanti piccoli preziosi dettagli di arrangiamento: archi che fioriscono, ottoni che soffiano dolcemente, note di pianoforte che accarezzano e cori lievi – ospite la voce femminile di KC Dalager dei Now, Now – che accompagnano i racconti dell’età adulta di Mike, riassestando la direzione del progetto Owen dopo l’azzardo di “The King Of Whys” (Polyvinyl, 2016) e “L'Ami Du Peuple” (Polyvinyl, 2013).
Lo splendido lirismo di “Dead For Days”, uno dei brani più poetici e completi dell’album, è la sintesi di questo lavoro: un brano à-la Owen dove archi, fiati ed elettronica accompagnano soavemente, come un corpo unico che si muove in armonia con il fingerpicking di Kinsella e la sua voce sempre più sicura e presente. “On With The Show” coinvolge in una danza condotta dal basso e incorniciata dagli archi, mentre il piano etereo dell’intro di “The Contours” trasporta dentro i paesaggi profondamente americani di un film di David Gordon Green, in cui pedal steel, archi e piano costruiscono il contrappunto corale alla voce di Kinsella che ammette di essere in terapia. Questa atmosfera elegiaca si espande nel profondo lirismo di “I Should’ve Known”: dalle voci principali partono code di cori: “You don't have to stay/ You don't have to confide in me/ I already wrote your diary”.
In “Mom And Dad” ritornano la batteria e le chitarre elettriche, maggiormente presenti nei due dischi precedenti, dove i dubbi restano sospesi sui fraseggi di chitarra, piano e violini: “How can you live without me?/ Who’ll pour your drinks?/ Who’ll make your heart beat?”.
La dolcezza di “Wanting And Willing”, in stile Owen e con un leggero eco di Bon Iver, ci porta alla magica chiusura di “I Go, Ego”, che sembra completare il cerchio che si era aperto con il debutto “Owen”, ripercorrendo quelle atmosfere rarefatte e indefinite, e che attraversa anche la maturità di “At Home With Owen” (Polyvinyl, 2006), in cui si può leggere in controluce il riferimento al brano “One Of These Days”. È una chiusura densa di consapevolezza, ma che ha il sapore agrodolce del congedo.
But it's you
On my mind
And white bikes
In my headlights
Cheers to the bottle
The dried blood on the floor
To those that cast shadows
And those that don't
To lovers unexplored
Cosa ci aspetterà dopo?
19/06/2020