Innanzitutto ci troviamo di fronte a una band capace di diventare trascendente e trans-storica. Cosa vuol dire sostanzialmente? Significa che gli Irreversible Entanglements sono in grado di confrontarsi con forme e figure musicali e culturali, tradizionali e innovative, che hanno attraversato la storia delle musiche non solo di discendenza africana, ma anche la musica d’avanguardia, facendo coesistere simultaneamente temporalità diverse. La sensazione è netta quando si sente la band dal vivo oggi – il futuro non ci è dato di conoscerlo… – che è il contesto naturale dove si sprigiona questo album (come al recente festival Le Guess Who?). Chi scrive non cerca oracoli, né vati, né illuminati, ma la musica di “Open The Gates” esprime in maniera originale e profonda un’incredibile potenza espressiva e artistica, immortalata in un solo giorno di registrazione.
Si aprono le porte col brano omonimo, forse il più “scontato” della tracklist, per far fluire l’energia iconoclasta dell’ensemble di Moor Mother che, a differenza della rabbia e della smania dei due album precedenti, si incanala subito in una serie di composizioni che, dopo tanto decostruire, realizzano un’opera che si salda nella terra come una roccia. In “Who Sent You?” (International Anthem/Don Giovanni, 2020) c’era già la summa delle radici e della poetica della band, compresa l’influenza di Sun Ra e di Ornette Coleman.
La ricerca si orienta verso “The blueprint of creation/ a possible history” (“Key Of Creation”), su una base dub sopra cui la tromba con sordina disegna melodie del Miles Davis pre-elettrico di “In A Silent Way” (Columbia, 1969), per trasformarsi repentinamente in una variazione à-la Minutemen, dove il basso corre sulle orme di Mike Watt. “Lágrimas Del Mar” ha i fiati unisoni in uno stile free jazz che gioca in area Chicago, crepati da divagazioni no wave (“Storm Came Twice”):
Blues as religionIn un attimo siamo dentro un’opera di sound art (“Water Meditation”), tra i campanacci che suonano a distanza e il melodiare limpido e narrativo della tromba che rincorre un tema di Ennio Morricone, per poi incontrare brandelli di campane e figure ritmiche di ascendenza caraibica disturbate dal tuonare sporadico del synth che cattura e assorbe lo spirito del brano nella sezione centrale, ricordando le interferenze di “Kid A” (Emi, 2000) dei Radiohead.
Sundown blues
Shooting star blues
Blues explosion
(…)
Blackness as religion
So beautiful I cried on the lotus“The Port Remembers” chiude con una fanfara da sinfonismo decadente e decaduto, che dà forma all’incubo storico dei popoli di discendenza africana da ripercorrere e dal quale liberarsi attraverso la catarsi:
I kissed the foot of the djembe
I cried in joy
I cried in laughter
I cried in my father's tongue
'Cause I'm so close
Because we are so close, to the good news
I cried in Panama
I cried in Kingston
I cried in Mississippi
I cried and cried some more
'Cause we are so close
So close
The port remembers“Open The Gates” è un’opera più complessa di quanto possa far intuire ai primi ascolti. Si scioglie, si avviluppa, sfugge, si slega, immagina, cambia tempo ma non direzione. Non è hype, fidatevi. È trance.
The slow walk into the void
Washing away the blood
It’s something more than healing
06/12/2021