All I have is my legacy
I been losing my memory
No afterlife, no other side
I'm all alone when it fades to black
Una riflessione sulla morte apre "Hurry Up Tomorrow". Esatto, è proprio così. Non è uno scherzo, e
Abel in "Wake Me Up", in compagnia di
Justice,
Oneohtrix Point Never e l'inseparabile Mike Dean - presente praticamente ovunque in cabina di regia - parla proprio di nulla, buio e ricordi. E per spingere in aria questo suo pensiero usa anche un
sample dell'intro di "Main Title" di
Giorgio Moroder, dalla colonna sonora di Scarface, e poco dopo, per non farsi mancare proprio niente sul biglietto da visita, aggiunge una goccia di "
Thriller" di
Michael Jackson, piazzata nei primi istanti della successiva "Cry for Me", con tanto di battito alla
Diplo preso in prestito negli ultimi tempi anche da un neomelodico di Miano.
L'inedito pensiero in attacco che Tesfaye elabora è ovviamente legato all'incidente al SoFi Stadium. Un evento che il musicista, giustamente, non potrà mai dimenticare, visto che durante "Alone Again" la sua voce ha iniziato a incrinarsi, finendo così per interrompere il concerto tra i fischi.
Non poteva, quindi, cominciare nella maniera più inflazionata possibile, quantomeno sul piano strumentale, il terzo capitolo della trilogia che comprende "
After Hours" e "
Dawn FM". Insomma il manierismo è morto, viva il manierismo!, come oserebbero gridare i fan di Tesfaye, il quale, ultimamente, ha anche raccontato in giro di voler chiudere i conti con la creatura
The Weeknd proprio con il disco in questione. E allora ben vengano smanie trite e ritrite dal cantante e compositore pop canadese negli ultimi dieci anni. Che cartolina autoreferenziale sia per tutte le ventidue tracce di un album tanto piacione quanto francamente troppo lungo, al netto della bontà complessiva. A cominciare proprio dai paralleli con il Re del Pop, come lo chiamavano negli anni 90, rimesso in circolo in tutte le salse anche per buona metà di questo giro.
L'inizio di questa nuova fiera dell'elettro-soul, tutto vocine filtrate e battiti synth-funk a seconda dell'occasione, è una doppietta, appunto, in pesca sciroppata: "São Paulo",
cantata in duetto con
Anitta e presentata in anteprima su Instagram per l'evento NFL Brazil del 6 settembre 2024, fa così anche peggio,
ops meglio, vista la piroetta moombahton appena inscenata e poi disintegrata con un cambio di ritmo azzeccatissimo, per quanto comunque tamarro(ide).
Tra un intermezzo al videogame e l'altro, si procede abbastanza spediti. Nella laccatissima ballata esistenzialista "Baptized In Fear" riappare di nuovo Lopatin, utile qui e là come un venditore di tappeti, mentre "Open Heart" riporta al
french touch un po'
Daft Punk, dunque Justice, e un po'
Kavinsky a bordo della sua Testarossa, con un
refrain giusto che si conficca all'istante in testa e lungo la pelle e un basso scoppiettante che non guasta mai. I riflessi, stavolta dell'insicurezza, subentrano a gamba (poco) tesa nella pachidermica "Reflections Laughing", con
Travis Scott che entra sulla seconda strofa affermando di conoscere il fuoco e le falsità di questo mondo, strappando il sorriso anche a un animale domestico a caso.
Il primo giro di boa lascia emergere un album al solito ben prodotto, assestato egregiamente nei tempi ma con un po' di polvere nel cassetto. Accade poi che "Enjoy the Show", con Future ospite nel
bridge, suggerisca dove corra meglio in questo momento della sua carriera il vecchio Abel, ossia tra partiture sbilenche, nel sogno presto dimenticato al mattino e va da sé nel soulful concepito alla sua maniera, s'intende, ma emotivamente fluttuante tra i zigzag stralunati di Minnie Riperton ed
Erykah Badu.
Svariati i
sample e sarebbe anche noioso citarli tutti. I più riusciti quelli di "Wild Is the Wind" di
Nina Simone e "On the Way" dei Chicago Gangsters piazzati nel mezzo di "Given Up On Me", e senza preavviso che fa sempre bene.
"I Can't Wait To Get There", la traccia più alla
Thundercat, conferma inoltre quanto appena esposto, ovvero che Abel, ora più che mai, rende meglio quando smette di essere Michael a cena con
Prince. Il palleggio sintetico di "Timeless" con Playboi Carti sugli scudi funziona peraltro parecchio, sorretto dall'ottima produzione di
Pharrell Williams, Ojivolta, Mike Dean e Twisco.
La seconda metà del piatto di "Hurry Up Tomorrow" è decisamente meno roboante e alza l'asticella, anche nei momenti
eighties come "Take Me Back to La" e "Big Sleep". O nel motivetto al piano ultra-romantico de "The Abyss", munito di dedica alla compagna Sim Khadra e tanto di "cameo" graditissimo dell'amica
Lana De Rey.
In "Red Terror", riaffiora anche il divorzio dei genitori separati, prima che Abel coverizzi nella
title track "In Heaven (Lady In The Radiator Song)" di
David Lynch, canzone che il regista statunitense da poco
scomparso scrisse con Peter Ivers degli Eraserhead. Un omaggio che eleva tutto sul finale di un'opera buona, anche se a fasi alterne, caratterizzata da una sterzata sul giro di boa che ci dice che Abel ha ancora il vento il poppa ed è pronto a uccidere The Weeknd per impossessarsi magari meglio di se stesso e abbandonare, finalmente, dopo dischi e singoli apprezzabilissimi, il manierismo alla
moonwalker, che sulla carta andrebbe pure a tratti bene (per carità) ma che ad un certo punto comincia a puzzare parecchio.
01/02/2025