È difficile vedere la tua reale destinazione quando sei solo concentrato sulle crepe del marciapiede
(Gene Simmons)
Se avessi saputo che avrei influenzato così tanti chitarristi, mi sarei esercitato di più
(Ace Frehley)
Niente potrà mai fermare i Kiss. Ho visto la band in periodi di crisi in cui i critici erano come avvoltoi che volavano in cerchio dicendo cose del tipo: "Beh, sai che è la fine della tua carriera"
(Paul Stanley)
Sarò per sempre l’uomo gatto
(Peter Criss)
Una storia americana
You wanted the best, you got the best,
the hottest band in the land!
L’urlo di battaglia dei Kiss riecheggia oggi come mezzo secolo fa, agli albori della leggenda. Non è affatto un caso che l’unica e sola Army del rock'n'roll non sia indietreggiata di una virgola in cinquant’anni, formando una trincea riuscita a respingere qualsiasi tendenza musicale nemica. Quella di Gene Simmons, Paul Stanley, Ace Frehley e Peter Criss è la classica storia a stelle e strisce, fatta di sangue e sudore, di cadute e di incrollabile perseveranza. Un percorso che ha portato quattro uomini mascherati a diventare mito americano, al pari di Elvis Presley, di James Dean o Marilyn Monroe. La più classica delle storie cosiddette larger than life, mentre Kiss diventa un brand mondiale capace di licenziare oltre tremila prodotti in merchandising per un guadagno stimato di oltre 500 milioni di dollari. Ma come ha fatto una semplice band di rock’n’roll a diventare una multinazionale delle sette note?
Il 30 gennaio 1973, quando i Kiss si esibiscono per la prima volta in un buco nel Queens, un locale chiamato Coventry, si presentano in pochissimi, con un biglietto d’ingresso da pochi dollari. Ma i quattro suonano come davanti a 100mila persone, con una tale energia da far pensare che dovranno farcela per forza. Troppo ambiziosi, troppo convinti dei propri mezzi. Negli Stati Uniti, chi insegue i propri sogni alla fine li realizza. Peccato che il sogno dei Kiss sia leggermente fuori scala: conquistare il mondo intero con il rock’n’roll. E non sarà affatto facile, perché la strada per il successo è sempre lunga e tortuosa, piena zeppa di genitori a cui non piace affatto che questi scalmanati turbino la quiete sessuale dei propri figli. Ma poi guardateli, sembrano usciti da un film di fantascienza per bambini, come dannazione faranno a diventare famosi come Elvis? Denigrati dalla critica, ridicoli nell’outfit, i Kiss riescono a ridefinire i canoni dell’impossibile in appena tre anni, trascinati dalle vendite del quarto disco Alive! e dal successo mostruoso del singolo “Rock And Roll All Nite”. E grazie tante al fenomeno inglese del glam-rock, che sdogana l’eccesso e la creatività trasgressiva grazie a Bowie, Bolan, Elton John. Le quattro creature truccate si reggono con i propri strumenti su zeppe improponibili, e sono pronte a spazzare via tutto e tutti, senza pietà, come nel migliore sogno americano.
Wicked Lester
Chaim Witz viene alla luce il 25 agosto 1949 nelle corsie del Rambam Hospital di Haifa, Israele. La madre, Flóra Kovács, è originaria di Jánd, piccolo centro nella contea ungherese di Szabolcs-Szatmár-Bereg. Sopravvissuta al terrore dell’Olocausto nei campi di concentramento nazisti, Florence Klein - come viene inglesizzato il suo nome - ha sposato il carpentiere Ferenc "Feri" Yehiel Witz, vivendo una vita umile, fatta di preghiera e di alimenti semplici. All’età di otto anni, il piccolo Chaim si trasferisce con la madre a New York City, lasciando il centro di Tirat Carmel e soprattutto la figura paterna, rimasta in Israele con i figli avuti da un’altra donna. Arrivato nella Grande Mela, Chaim prende il nome di Gene Klein, scegliendo così il cognome da nubile della madre. Si iscrive dopo poco alla scuola religiosa ebraica Yeshiva Torah Vodaas, abbandonata per la più classica public school prima degli studi universitari al Richmond College. Gene si appassiona alla musica, inizia a suonare la chitarra e sogna di diventare come uno dei favolosi Beatles, mentre si barcamena tra diversi lavori, dall’assistente di un editor di Vogueall’insegnante in una scuola media dell’Upper West Side. La sua prima band ha il nome di Lynx, poi diventata Missing Links e successivamente Long Island Sounds, dei semplici passatempi tra la vendita di fumetti usati e il nuovo corso di studi al Sullivan County Community College.
Tra i migliori amici (e compagni di band) di Gene c’è Stephen Coronel, chitarrista classe 1951, che spesso mette a disposizione il suo appartamento nel New Jersey per provare nuovi brani. Gene e Stephen hanno intenzione di formare una nuova band, un trio, e stanno cercando qualcuno in grado di cantare e suonare la chitarra allo stesso tempo. Coronel pensa fortemente a un suo ex-compagno nei Tree, tale Stanley Eisen, che è dotato di una voce potente come quella di Robert Plant. Almeno è quello che pensa Gene quando lo sente suonare dal vivo in un locale di Harlem, mentre esegue “Whole Lotta Love” con una presenza scenica fuori dal comune.
Stanley Bert Eisen è nato il 20 gennaio 1952 a Inwood, quartiere a nord di Manhattan, il secondo figlio in una famiglia di fede ebraica, scampata al regime nazista dalla originaria Polonia verso Amsterdam e poi New York. Grandi appassionati di musica classica, i genitori introducono Stanley alle opere di Beethoven, cercando di fargli superare una grave malformazione all’orecchio destro che lo affligge fin dalla nascita. Bullizzato dai compagni di scuola, Stanley dimostra grande carattere nel voler superare i suoi problemi uditivi, appassionandosi al programma tv “American Bandstand” e soprattutto al rock’n’roll, da Jerry Lee Lewis a Little Richard. All’età di sette anni ottiene in regalo la sua prima chitarra, iniziando a fare pratica e continuando imperterrito per tutti gli anni 60, ascoltando i Beatles e gli Stones mentre frequenta la High School of Music & Art dove dimostra grande talento nelle arti visive.
Dopo essere entrato nei Rainbow e poi nei Tree, Eisen si ritrova per la prima volta nella stessa stanza con Gene Klein nell’agosto 1970, introdotto da Stephen Coronel con la proposta di formare un nuovo gruppo. Dalla corporatura imponente, con un lungo soprabito nero e la barba folta, Gene Klein resta stupito apprendendo che Eisen è in grado di scrivere canzoni, colpito in particolare dalla sua esecuzione improvvisata di “Sunday Driver”, scritta dallo stesso Stanley sullo stile di uno dei suoi gruppi preferiti, The Move. Per contraccambiare, Klein suona la sua “Stanley The Parrot”, che non convince Eisen per una eccessiva somiglianza vocale con Paul McCartney, vero e proprio idolo per il giovane Gene.
In effetti, il primo incontro tra Paul e Gene non è dei migliori. Klein ha una presenza arrogante, principalmente scatenata dalla sua natura solitaria dopo la separazione dei genitori. Tornando a casa, Eisen spiega a Coronel che non ha la minima voglia di iniziare a suonare con lui, ma viene convinto un paio di giorni dopo a presentarsi in un nuovo appuntamento dove viene ingaggiato per una jam pomeridiana anche il tastierista Brooke Ostrander. Gli equilibri vocali tra Gene e Stanley si rivelano improvvisamente radiosi, portando i due a avvicinarsi sempre di più, sia per i gusti musicali comuni che per le tradizioni ebraiche. Ma soprattutto i due si rendono conto di avere lo stesso grado di ambizione: vogliono spaccare il mondo e capiscono che insieme potrebbe essere molto più semplice. Nasce così il progetto Wicked Lester, alla ricerca di un album d’esordio che non arriverà mai, provato nei tempi morti tra una seduta di registrazione e l’altra agli Electric Lady, in mancanza di soldi necessari ad affittare una sala. La band non ha una direzione chiara e tantomeno una comunità d’intenti, divisa tra i continui litigi tra Coronel ed Eisen, scarsamente appoggiata dal docile batterista Tony Zarrella. Prodotti dall’ingegnere del suono Ron Johnsen, i Wicked Lester dovrebbero uscire con il loro primo disco su etichetta Epic, mentre Gene e Stanley affinano la propria intesa vocale sullo stile degli Everly Brothers. Eppure, il primo vero ingaggio dei due è con la cantante Lyn Christopher sul suo omonimo album di debutto, nel ruolo di backing vocalist sui brani “Celebrate” e “Weddin’”. È la prima volta che i loro nomi appaiono su un disco: Gene Klein è Gene Simmons, in onore di uno dei suoi artisti preferiti, il cantante rockabilly Jumpin' Gene Simmons; Stanley Eisen si fa chiamare Paul Stanley, omaggio a McCartney e Rodgers.
In attesa della pubblicazione del disco di debutto, Simmons e Stanley prestano voce e strumenti a diversi cantanti che frequentano assiduamente gli Electric Lady. Tommy James, Gee Whiz, i bizzarri Tonto’s Expanding Headbang. Le registrazioni di Wicked Lester procedono a rilento, sommersi da un sound hippie a metà tra i Three Dog Night e i Doobie Brothers, privo di una direzione e di una qualsiasi forma di unicità. Brani come “She” includono parti di flauto, mentre “Love Her All I Can” vira inspiegabilmente verso la dance music. Gene e Paul si guardano negli occhi, più che convinti: “Dobbiamo sciogliere questa band”. Salutato Tony Zarrella, Stanley inizia a lavorare in un negozio di panini per tirare a campare, mentre Simmons non se la passa male come assistente del direttore dell’ente governativo Puerto Rican Interagency Council.
Il tempo libero è completamente dedicato alla musica, alla ricerca di un nuovo sound che risulti il più possibile diretto e fortemente orientato alla chitarra elettrica. Paul Stanley è affascinato dalla figura di Steve Marriott (Humble Pie), pensando alla centralità della sua chitarra ritmica per costruire sonorità che attingano alla melodia (Beatles), ma anche alla ferocia heavy (Led Zeppelin, Stones, Who). La passione per la musica inglese porta in dote una grande influenza esercitata dagli Slade, la cui “Mama Weer All Crazee Now” è come una pietra angolare per il nuovo sound in cantiere. Un altro aspetto fondamentale sarà rappresentato dalle esibizioni dal vivo, che dovranno essere forti, mai viste prima. “Molto semplicemente - dirà Stanley - volevamo essere la band che mai avevamo visto dal vivo”.
Il primo bacio
Autunno 1972. George Peter John Criscuola è nel bel mezzo di un party selvaggio e beve da una bottiglia di vino rosato portoghese che ha la testa di un gatto sull’etichetta. Ovviamente non può riflettere su questa coincidenza quando lo chiama al telefono Gene Simmons, in risposta a un suo annuncio sul magazine Rolling Stone datato 31 agosto. “Porti la barba?”, “Sei grasso?”, “Hai una bella presenza?”, sono alcune delle domande sparate come nel gioco “Guess Who?”. Peter si diverte, con una certa arroganza, a ripetere quelle domande a voce alta verso i suoi invitati, colpendo Simmons che lo invita agli Electric Lady per una audizione come batterista di un “nuovo gruppo molto inglese nei toni”. Nato il 20 dicembre 1945 a Brooklyn, New York, Peter John è figlio di Loretta e Joseph Criscuola, originario di Scafati, provincia di Salerno. Appassionato fin da piccolo di arte e musica swing, Peter riesce a entrare al Metropole Club per ricevere i preziosi insegnamenti di uno dei suoi grandi idoli, il batterista e bandleader Gene Krupa. Criscuola entra così in diversi gruppi dalla metà degli anni 60, passando ai Chelsea che pubblicano su etichetta Decca un primo album omonimo. Il gruppo viene rinominato Lips, in trio con i compagni Michael Benvenga e Stan Penridge, poi ridotto a duo con il solo Pendridge prima del definitivo scioglimento. Di ritorno da un viaggio in Spagna, Peter ha comprato diversi vestiti sgargianti in satin, che indossa per presentarsi agli studi dopo la telefonata di Simmons. Quando vede Gene e Paul vestiti come dei mod, scoppia a ridere dallo stupore: “E questi due sarebbero quelli che mi hanno chiesto se mi vesto in maniera selvaggia?”.
Con un background musicale diverso ma assolutamente compatibile - Phil Spector, Ronettes, Four Tops - Peter supera le prime audizioni, iniziando a suonare stabilmente con Gene e Paul in uno schifoso (e costoso) appartamento noleggiato al civico 10 della East Twenty-Third Street, così vicina al famoso Flatiron Building. Le pareti sono coperte di scatole vuote di uova, per gestire un’amatoriale insonorizzazione e provare all’interno dell’appartamento, perfezionando un sound da power-trio come i Cream e la Jimi Hendrix Experience. Nell’appartamento newyorkese passa anche Don Ellis, vice-presidente della A&R alla Epic, che non riesce a capire il motivo di tanto teatro messo in piedi dai tre, tra confetti e ceroni bianchi. L’etichetta statunitense passa la mano, lasciando Gene, Paul e Peter a bere sherry nel loro appartamento infestato dalle blatte.
Ma i tre non hanno alcuna intenzione di demordere e piazzano un annuncio sulla rivista Village Voice il 14 dicembre 1972. Paul Stanley non vuole fare il chitarrista solista, vuole concentrarsi sulla performance live ed essere libero di sfrenarsi. Serve così un lead guitarist, un quarto membro “veloce e abile, per un album da pubblicare a breve, no perditempo”. A svariate decine, i chitarristi provati dal gruppo sono di ogni estrazione e manualità, mentre una copia dell’annuncio sul Village Voice finisce a casa del ventunenne Paul Daniel Frehley, da poco tornato temporaneamente a vivere con i genitori.
Paul è nato il 27 aprile 1951, cresciuto nel Bronx, il più giovane dei tre figli avuti da Esther Anna e Carl Daniel Frehley, originario della North Carolina da discendenza olandese. Il giovane Paul cresce in un ambiente familiare devoto alla musica, dal fratello Charles che è un chitarrista classico. All’età di 13 anni riceve in regalo la sua prima chitarra, immergendosi da autodidatta in un repertorio sconfinato che parte da Albert Lee e arriva agli Stones. Prosegue gli studi dalla scuola primaria luterana alla più classica high school, dove i compagni gli affibbiano il soprannome di Ace perché è un vero asso nell’arte del rimorchio. Inizia a suonare in maniera professionale in diversi gruppi: The Outrage, The Four Roses, King Kong, Honey, The Magic People. L’ultima band si chiama Cathedral, capace addirittura di procurarsi qualche concerto, il tanto che basta per abbandonare definitivamente gli studi. Ace trova così una serie di lavoretti per emanciparsi, facendo il corriere e il tassista, fino a quando il suo amico Chris Cassone non si presenta a casa dei suoi portando quel magico annuncio sul Village Voice.
Frehley viene accompagnato dalla madre all’audizione, è talmente nervoso che ha indossato due scarpe di diverso colore. Beve un paio di birre per smaltire l’ansia, prima di presentarsi al gruppo e trovare Bob Kulick, praticamente il nuovo chitarrista solista scelto dalla band per il suo amore verso i Led Zeppelin. Kulick non è convintissimo guardando le polaroid di Simmons, su possibile trucco e parrucco da utilizzare sul palco. Poi arriva Ace, un vero freak dai connotati a metà tra l’asiatico e il tedesco, e si mette a provare mentre Kulick sta terminando la sua esibizione. Gene lo odia dal primo istante, rimproverandolo severamente, ma si arrende quando entra il suo assolo su “Deuce”. Paul e Peter rimangono di sasso e capiscono subito che, nonostante un carattere decisamente fuori dal comune, Ace Frehley è quello che manca per ottenere la miscela, quella esplosiva. Torna a casa, convinto di aver ottenuto il posto e di aver trovato la band giusta per spaccare il mondo, ma presto scopre che quella stessa band ha mentito su un già siglato contratto discografico. La visione di un rock teatrale di Gene e soci è però troppo elettrizzante, così Ace inizia a provare con il gruppo sei giorni a settimana, senza interruzioni.
È così che le ambizioni sconfinate di Gene Simmons e Paul Stanley incontrano il talento grezzo di due musicisti fondamentali, Ace Frehley e Peter Criss, per miscelare definitivamente un intruglio magico di pop e heavy metal, tra i Beatles e Alice Cooper. E dovrà esserci trucco, tanto trucco, e vestiti alieni dovranno rivivere dopo il tragico decesso sul palco di Ziggy Stardust. Manca infatti poco alla prima esibizione in programma al Coventry, tra i pochi club a New York che accettano di ospitare band con materiale originale, senza cover di brani che siano almeno nella Top 40 di Billboard. Simmons e Stanley comprano diversi capi decisamente poco ordinari, da pantaloni di latex attillatissimi a una maglietta nera su cui emerge una vistosa scritta glitterata: Kiss.
Niente da perdere
Ubicato tra Queens Boulevard e la Forty-seventh Street, il Coventry ha aperto da poco, all’inizio dei Seventies, inizialmente chiamato Popcorn Pub. Nel cuore del Queens, il locale è tra i pochi a ospitare giovani band che non facciano soltanto cover, fortemente dedite al rock’n’roll. Alla data del 30 gennaio 1973, prima esibizione ufficiale del gruppo, partecipano anche i membri dei Ramones, piacevolmente colpiti dalla forza d’urto esercitata sul palco davanti a nemmeno dieci persone. Eppure, i quattro si sono dannati per pubblicizzare il concerto, distribuendo volantini per mezza Manhattan, addirittura piazzando un annuncio sul Village Voice. Il nome della band è Kiss, proposto da Paul Stanley mentre sono in viaggio sulla expressway verso Long Island. Forse meno geniale del Fuck proposto da Simmons, che però mostra subito un grande apprezzamento verso quel termine così romantico e sensuale, così dannatamente inglese. Ma il nome piace più che altro perché rappresenta qualcosa di universale, proprio quello a cui ambiscono i quattro aspiranti rocker mascherati. In pochi minuti ci pensa Ace a disegnare il logo della band, rifinito da Stanley e lasciato volutamente imperfetto nelle due S finali che a qualcuno ricordano in maniera inquietante il Terzo Reich.
Quando debuttano dal vivo, i Kiss sembrano usciti dalla Londra più esageratamente glam: Simmons sembra un travestito, mentre Ace assomiglia tantissimo a Shirley MacLaine. In occasione del secondo concerto al Coventry, Ace cambia look, dipingendosi due grandi stelle a contorno degli occhi. L’idea viene ripresa da Paul Stanley, che ne disegna solo una, più grande, mentre Gene si ispira a un mix tra Batman e il Fantasma dell’Opera raccogliendo i suoi lunghi capelli all’interno di uno chignon per evitare che gli cadano sulla faccia a oscurare quel trucco così spaventoso. Frehley vira verso una sorta di maschera aliena, lasciando a Peter Criss il compito di trovarsi un suo alter-ego mascherato, un gatto, scelto appositamente perché dai comportamenti molto simili a quelli dello stesso batterista, voglioso di attenzioni in certi momenti, schivo e riservato in altri.
La band continua a suonare al Coventry, mentre in città corrono voci su questa formazione così grezza e stravagante. Dalle nemmeno dieci persone al primo concerto si passa alle cento, centocinquanta a serata, numeri ottimi visto che si parla di un gruppo ostinato nel suonare solo materiale originale e nessuna hit del momento. Uno dei concerti nel Queens finisce in una recensione sul Daily News, in cui la musica dei quattro viene relegata in secondo piano, oscurata da una presenza scenica mai vista prima, un miscuglio tra glam inglese e teatro kabuki. I Kiss vengono così proposti a Sid Benjamin, gentile proprietario di un locale a Long Island, il Daisy, che è decisamente più pulito e meglio frequentato rispetto al Coventry. I figli di Sid Benjamin si adoperano per promuovere la band, i cui concerti sono fissati durante la settimana, non essendoci ancora una fanbase solida per riempire il locale. Ma le esibizioni scatenate del gruppo aprono una breccia, portando un numero sempre maggiore di persone a voler partecipare a una festa rumorosa e sguaiata. Bastano pochi concerti per registrare il tutto esaurito, con code infinite all’ingresso e scene da assalto alla Bastiglia.
Diventati in fretta troppo grandi per il Daisy, i Kiss producono una cassetta con un breve comunicato stampato per provare a convincere diversi locali più capienti a ospitarli, impresa non semplice dal momento che non c’è ancora un seguito definito e soprattutto alcuna cover da inserire in scaletta. Simmons e soci sgomitano per diventare la più grande band di New York, titolo attualmente valido solo per le Dolls di Johnny Thunders, dominanti sui palchi della Grande Mela con un R&B abrasivo e una presenza androgina e aggressiva. Tecnicamente primitivi, i New York Dolls non hanno rivali per come riescono a dominare la scena, un fattore che impressiona Paul Stanley e che porta i Kiss ad abbandonare vestiti e trucchi colorati per differenziarsi con toni tra bianco, nero e argento. Il gruppo sente di saper suonare molto meglio, con un repertorio più vicino all’hard-rock che potrebbe davvero fare la differenza rispetto a Johansen e i suoi drogati compari.
Marzo 1973. I Kiss entrano negli studi di registrazione Electric Lady con il produttore Eddie Kramer, già al lavoro come ingegnere del suono con Jimi Hendrix, Humble Pie e Led Zeppelin. Dopo aver fallito con la Cbs, il manager Ron Johnsen ha bisogno di un demotape convincente, che attiri l’interesse delle case discografiche. Ecco perché si affida ciecamente a Kramer, esperto in suoni molto vicini all’heavy-metal portato dal vivo da Simmons e soci. Cinque brani vengono registrati di getto, come un fiume in piena raccolto da un sistema a quattro tracce, a contenere tutta l’energia primitiva degli strumenti e della voce di Stanley. “Deuce” è la prima composizione firmata da Gene Simmons, un rock’n’roll scatenato che parte dalla linea di basso più o meno ispirata da “Bitch” degli Stones. Gli ingredienti della torta ci sono già tutti, dal virtuosismo della chitarra hard-rock di Ace al canto sboccato di Gene, a guidare un ritmo inarrestabile da partygoers. Proprio Frehley partorisce il riff killer di “Cold Gin”, debitrice della “Fire And Water” dei Free a raccontare su ritmo tribale una storia disperata di solitudine e alcolismo. Il brano mette in mostra l’abilità alla batteria di Peter Criss, in continuo cambiamento di tempi per spezzare la monotonia di basso e chitarra fino all’assolo finale in wah-wah. I Kiss sono una macchina perfetta e trovano un’alchimia generata dalla loro stessa ambizione.
Il boogie supersonico “Strutter”, prima composizione della coppia Simmons-Stanley, gira a meraviglia in una sarabanda di dinamismo rock in puro stile seventies. Mentre “Watching You” inserisce nel mix toni southern con un riff in stile Lynyrd Skynyrd, “Black Diamond” è aperta da un refrain acustico sulle voci di Stanley e Criss ad accompagnare le svisate di Frehley sulla scia di alcune tempeste elettriche di Neil Young.
Fuoco!
Terminate le registrazioni con Kramer, i Kiss entrano in contatto tramite Paul Stanley con Keith West, proprietario di un negozio di dischi nel Queens, il Music Box. West suona con The Brats, una delle band più in voga nel circuito underground-glam di New York, organizzatore di un “Rock and Roll Party” che si tiene mensilmente al numero 54 di Bleeker Street. West invita il gruppo a suonare in apertura, ma quando ascolta le prime note di “Deuce” capisce immediatamente che è stato un errore madornale. I Kiss sono una band di professionisti, suonano in maniera vorace e non hanno assolutamente quell’approccio tipico dei gruppi glam stradaioli che si esibiscono solo per divertirsi e divertire. Alla fine di maggio, Ron Johnsen procura alla band una strana esibizione nell’area periferica di Palisades, un evento benefico di raccolta fondi per salvare la biblioteca locale. In cartellone anche il Pat Rebillot Quintet, un gruppo jazz, che suona tra un cocktail di benvenuto e l’altro in un ambiente molto formale. Poi arrivano i Kiss, tra lo stupore generale, mentre Paul Stanley afferra il microfono e grida a tutti di iniziare a muovere il culo. Davanti a un pubblico di settantenni, i quattro mascherati sembrano dei marziani, ma riescono a tenere i presenti fino alla fine, dimostrando a se stessi di avere un potere quasi magico sugli ascoltatori. Ma è arrivato il momento di attirare l’attenzione degli addetti ai lavori, con alcuni concerti tra luglio e agosto al celebre ma decaduto Hotel Diplomat in zona Times Square, la cui sala da ballo principale ha già ospitato i New York Dolls. Per attirare il pubblico scelgono ancora The Brats insieme a The Planets, scatenando effettivamente un rumoroso passaparola in città. Simmons si occupa di stampare alcuni inviti riservati alle etichette discografiche, citando solo i Kiss come unici protagonisti della serata.
La prima serata è trionfale, con Simmons che si trasforma definitivamente nel mostro, muovendo la testa come una grossa lucertola dopo aver visto il film “20 Million Miles To Earth”, lasciando ai più quotati Brats una sala ormai mezza vuota.
Dopo aver visto dal vivo lo shock-rock di Alice Cooper, i Kiss decidono di spingere ancora di più sulla presenza scenica, acquistando amplificatori più nuovi e potenti. Durante la seconda serata al Diplomat attirano l’attenzione di William Martin Aucoin, per gli amici Bill, originario di Ayer, Massachusetts, con un recente passato da produttore televisivo alla Teletape Productions. Fresco trentenne, Bill è rapito dalla estrema determinazione della band, alla ricerca di un manager per arrivare al tanto agognato contratto discografico, subito dopo l’addio di Lew Linet che ha ammesso di non vedere un grande futuro per un genere troppo derivativo. Aucoin propone a Simmons di incontrarsi nel suo ufficio dopo il live al Diplomat Hotel, promettendo al gruppo di riuscire a trovare una casa discografica interessata in meno di un mese. Dichiarato omosessuale, Aucoin ingaggia l’amico Sean Delaney ufficialmente come road manager, più realisticamente un coreografo che aiuta i Kiss a diventare un corpo unico a livello estetico. Alla base di tutto c’è la nuova società di gestione fondata dallo stesso Aucoin con l’amica e collega Joyce Biawitz, la Rock Steady, che si concentra totalmente sulla promozione dei Kiss come band teatrale, molto più estrema del notissimo Alice Cooper.
La prima mossa del nuovo manager è di rispettare la promessa, contattando Neil Bogart che sta mettendo in piedi una nuova etichetta discografica, la Casablanca Records, con il supporto della Warner Brothers in fase di distribuzione. Mentre inizia un vero percorso di brandizzazione - dalle nuove tinte per capelli ai collari da cane con tanto di spuntoni d’argento, fino agli enormi zatteroni fabbricati da un produttore italiano a New York - il nuovo management spinge sulle public relations, raccontando al pubblico le storie più o meno fedeli di quattro personaggi, cosiddetti larger than life.
La demo registrata dai Kiss con Kramer finisce nelle mani del produttore Kenny Kerner, che la porta nell’ufficio di Neil Bogart per un ascolto collettivo con il suo braccio destro, Richie Wise. I due sono affascinati dalla ruvidità del rock’n’roll suonato in cassetta e convincono Bogart a metterli sotto contratto per la neonata Casablanca Records. Ex-cantante passato all’altro lato dell’industria musicale, Neil Bogatz ha lavorato alla Buddah Records di Art Kass, diventando in breve tempo il “re della musica bubblegum”, grazie a gruppi come Ohio Express e 1910 Fruitgum Company. Esaurito il ciclo alla Buddah, Bogart ha messo in piedi la casa discografica dei suoi sogni, la Casablanca, nel settembre 1973. L’obiettivo dichiarato ai vertici della Warner Brothers - che dovranno occuparsi della distribuzione dei dischi - è di ingaggiare nuove band tra rock’n’ roll e hard-rock, con un budget richiesto di 750mila dollari per iniziare l’attività. Bogart ascolta i Kiss dal vivo per la prima volta durante uno showcase organizzato appositamente agli studi fotografici LeTang, restando folgorato dalla potenza e dalla totale follia di Simmons e soci. “Rappresentavano tutto ciò che cercavo in una band”, dirà più tardi. I quattro firmano il loro primo contratto nel novembre 1973, per un totale di tre album seguendo quella regola non scritta che vuole una band crollare al terzo fiasco commerciale. Nemmeno il tempo degli autografi e si entra negli studi Bell Sound insieme ai due produttori assegnati ai Kiss dallo stesso Bogart, Kenny Kerner e Richie Wise.
Obiettivo dichiarato di Kerner e Wise: riprodurre fedelmente la ruvidità live del demotape registrato con Kramer, senza fronzoli. Solo sei giorni per registrare e una settimana circa per il mixing, per ottenere quel suono così eccitante che i Kiss hanno saputo diffondere per tutta New York. Eppure i due produttori devono trovare un modo per compensare il fatto che nessuno dei quattro musicisti è di fatto un virtuoso del proprio strumento, pur essendo focalizzati al 100% su quello che stanno facendo, un vibrante disco di rock’n’roll.
Rappresentati in copertina come dei Beatles provenienti da una galassia lontana e glitterata, i quattro incidono nell’omonimo album di debutto, Kiss, poco più di 35 minuti di musica rivoluzionaria nel suo genere. Nel disco sono ovviamente inclusi i primissimi richiami da battaglia già incisi in versione demo della band - dal boogie “Strutter” alla disperata “Cold Gin” - effettivamente resi meno devastanti e più levigati dalla produzione di Kerner e Wise, come successivamente spiegato anche dallo stesso Simmons. Le nuove registrazioni ai Bell Sound sono comunque un concentrato di dinamismo e divertimento rock, a partire dallo sboccato ritmo bolaniano in “Nothin’ To Lose”. Le ambizioni da rockstar di Paul Stanley prendono la lezione di Move e Free per applicare lustrini e stelle luccicanti ai riff di “Firehouse” e “Let Me Know”, impreziosita dalla coda heavy della chitarra di Frehley.
La seconda facciata del disco è aperta dal rock’n’roll “Kissin' Time”, cover a tutto volume del classico del 1959 di Bobby Rydell, voluta dalla Casablanca per iniziare un’associazione con il nome della band a scopo meramente promozionale. Il groove strumentale collettivo “Love Theme From Kiss” apre l’ottimo hard-funk supersonico “100,000 Years”, condotto dalla chitarra futuristica di Ace.
Più caldi dell’inferno
In attesa della pubblicazione del disco di debutto, i Kiss tornano per due date al Coventry Club il 21 e 22 dicembre 1973, carichi a pallettoni con nuovi effetti scenici come la batteria in levitazione. Nessuno può fermare la macchina avviata, ad eccezione di una telefonata agli uffici della Casablanca da parte dei vertici della Warner Brothers, che chiedono a Neil Bogart di convincere la band a togliersi il trucco dalla faccia. La major è spaventata dal calo di vendite dei dischi di Alice Cooper, ma Bill Aucoin supporta il gruppo e rifiuta, pronto al grande slam il 31 dicembre 1973. I Kiss salgono sul palco della New York’s Academy of Music con Teenage Lust, Iggy & The Stooges e Blue Öyster Cult, il più grande concerto in termini di pubblico per Simmons e soci. Non previsto in cartellone, il gruppo viene aggiunto all’ultimo momento, primo a esibirsi senza nemmeno provare col il soundcheck. Il tutto passando da piccoli club a un ex-teatro di vaudeville dalla capacità di quasi 5mila persone, mentre i lunghi capelli di Gene vanno a fuoco e un giovane fan viene ustionato in faccia da uno dei suoi nuovi trucchi con la polvere esplosiva. L’esibizione scuote i presenti, prima volta in cui appare il logo gigante Kiss fatto di legno e lustrato di vernice argento, nuova idea scenica di Bill Aucoin che sta lavorando nel frattempo a un grande evento di lancio con i vertici della Warner. Chiuso da ormai tre anni, il leggendario Fillmore East è la nuova location scelta per uno showcase a cui vengono invitati giornalisti musicali, rappresentanti del business, amici e parenti.
Uscito sul mercato statunitense nel febbraio 1974, Kiss fatica a girare per le radio a stelle e strisce, non aiutato da recensioni poco lusinghiere. La stampa di settore vede il gruppo come un esperimento molto vistoso di Neil Bogart, non prendendo sul serio la loro proposta musicale. Evidente allora che i Kiss dovranno costruire il proprio impero attraverso gli spettacoli dal vivo, affidandosi alle sapienti mani della American Talent International (Ati), una delle booking agency più in voga sul panorama rock statunitense. La Ati decide di piazzare il gruppo con altri artisti gestiti direttamente - Savoy Brown, Manfred Mann’s Earth Band, Blue Öyster Cult - prenotando diverse date e inserendoli in cartellone come opening act. Ma il tipo di spettacolo messo in piedi dai Kiss, così feroce e debordante, non piace affatto agli altri gruppi, che per un paradosso si lamentano con la stessa Ati perché dovranno suonare dopo come headliner. La situazione è delicata perché spostare il circo dei Kiss è costoso, bisognerebbe trovare location più piccole perché non è possibile inserire il gruppo in apertura ad altre band. I quattro partono così per un brevissimo tour canadese in sostituzione della Michael Quatro Band, con due date fissate a Edmonton e Calgary, entrambe nei rispettivi complessi universitari. Ai due concerti si presentano in poche centinaia, con Simmons costretto a evitare i giochi col fuoco a causa di spazi troppo limitati. Viene organizzata una terza data alla University of Manitoba, mentre viene trasmessa l’esibizione della band durante il programma tv “In Concert” condotto da Dick Clark.
Al ritorno dal giro canadese, i Kiss sbarcano sulle frequenze dell’emittente radiofonica newyorkese Wnew, in rotazione durante le ore della nota dj Alison Steele. I vertici della Casablanca, boicottati dalla Warner che detesta il gruppo, entrano in contatto con una radio di Nashville, la Kmak, valutando il consiglio di far incidere ai Kiss un brano altrui, capace di entrare con maggiore decisione nella Top 40 sulle frequenze Am. Neil Bogart pressa la band per registrare una versione rock’n’roll di “Kissing Time”, dal repertorio di Bobby Rydell, arrivando a minacciare Simmons di farli uscire dall’etichetta immediatamente.
I Kiss tornano così in studio con la coppia Kerner-Wise, dopo la promessa fatta da Bogart, che il brano non uscirà mai come singolo. Invece “Kissing Time” viene subito inclusa nella tracklist del primo album, sparata dall’emittente Kmak ed effettivamente riesce ad aiutare le finora scarse vendite del disco. Bogart esagera e lancia un surreale contest promosso sul circuito radiofonico a livello nazionale, “The Great Kiss-Off”, che invita gli ascoltatori a recarsi per la grande finale al Woodfield Mall di Schaumburg, Illinois e partecipare alla grande sfida: mantenere il bacio più lungo. Nulla viene detto alla band, il cui logo viene piazzato su magliette, poster e adesivi in promozione del disco e ovviamente del nuovo, odiato singolo. I Kiss si presentano per una sessione di autografi l’8 giugno 1974, trovando un mare di coppie, su tutte quella vincente formata da Vinnie Toro e Louise Heath, che hanno mantenuto un bacio lungo 116 ore. La trovata, per quanto assurda, funziona alla grande, con la Casablanca pronta a investire fiumi di denaro per portare il primo disco della band nei principali store musicali d’America. Attirati dal successo del “The Great Kiss-Off”, numerosi negozi lanciano dei contest locali invitando i consumatori a vestirsi come i membri della band, trascinando quella che nelle più elementari strategie di marketing viene chiamata awareness.
Dopo altre apparizioni televisive - dal “Mike Douglas Show” al “Midnight Special” - la band inizia un lungo tour americano, macinando miglia a bordo di una station wagon. Dalle lande del Tennessee alla fredda Alaska, i Kiss guadagnano meno di 800 dollari a tappa come opening act, a stento necessari per benzina, cibo e camere d’albergo. Il 12 giugno a Flint, Michigan, il gruppo suona per la prima volta con i New York Dolls, perfezionando sempre di più il repertorio scenico tra sangue, fuoco e tempeste di coriandoli.
Il primo tour si ferma ad agosto negli studi The Village a Los Angeles, scelti dalla Casablanca per permettere a Kerner e Wise di seguire ancora una volta la band su un secondo disco. La macchina Kiss sta perdendo soldi a profusione e bisogna assolutamente provare a sbancare a livello discografico, con la pressione della Warner tutta sulle spalle di Neil Bogart.
Hotter Than Hell uscirà verso la fine di ottobre 1974, anticipato dal singolo “Let Me Go, Rock 'n' Roll”, basato su un riff di Paul Stanley nello stile inconfondibile di Chuck Berry. Rispetto al disco di debutto, il sound si mostra più oscuro, nonostante il nuovo tentativo dei due produttori di registrare in presa diretta per ricreare le atmosfere feroci degli show dal vivo. L’iniziale “Got To Choose” presenta infatti un ritmo più levigato e per certi versi plasticoso, arrancando nel tentativo di decollare sulla chitarra ossessiva di Frehley e i cori pop. Nella successiva “Parasite” emerge invece un primo giro heavy-metal, composto da Ace che lascia il compito vocale a Simmons per una sua insicurezza di fondo al microfono.
I Kiss continuano a raccontare storie disturbanti, come quella sul rapporto tra un anziano novantenne e una ragazzina di sedici anni, nella prima ballad in salsa power-pop, “Goin' Blind”. Forgiato dai Free, Stanley omaggia la hit “All Right Now” nella nemmeno troppo personale rilettura “Hotter Than Hell”, mentre Simmons rispolvera il suono del primo disco nella vorticosa “All The Way”.
A grandi linee, il disco sembra una raccolta di B-side, tanto che viene recuperata la “Watchin’ You” già registrata con Kramer. Ci sono però numeri di alta scuola, dal mix tra punk e metal “Comin' Home” a “Strange Ways”, che sfodera uno degli assoli migliori di Frehley.
Se ci fai impazzire, noi ti faremo impazzire
Se i risultati commerciali di Hotter Than Hell non soddisfano Bogart e la Warner - centesima posizione nella Top 200 statunitense - l’attività live dei Kiss procede inarrestabile, alla conquista di Atlanta con alcuni show alla Alex Cooley's Electric Ballroom. La Casablanca preme ancora per un terzo disco, alla ricerca disperata di una hit che possa trascinare il gruppo, ma non c’è abbastanza budget per lavorare ancora con Kerner e Wise. È lo stesso Neil Bogart che si piazza in cabina di regia per il successivo Dressed To Kill, registrato velocemente agli studi Electric Lady di New York nel febbraio 1975.
A partire dal rock’n’roll supersonico di “Room Service”, l’album viene prodotto a un ritmo più elettrizzante del compassato e oscuro Hotter Than Hell. Insieme agli stessi Kiss, Bogart non ha più tempo da perdere e decide di piazzare il colpo dell’all-in sulla replica del sound incendiario trasmesso dal vivo, quello che sta facendo aumentare a dismisura il numero di fan in tutti gli Stati Uniti. Da “Two Timer” a “Ladies In Waiting”, l’album presenta brani sintetici e asciutti - non oltre 30 minuti di durata complessiva - completamente affidati a giri ossessivi di basso e chitarra su cui incastrare melodie orecchiabili. Dressed To Kill è per questo motivo il disco che forgia il sound della band, reso più accessibile rispetto alla grezza abrasione dell’album di debutto, ma più energico e rock’n’roll rispetto al suo successore.
Maggiore spazio allora per il duo Frehley-Criss nella scatenata “Getaway”, prima dell’improvviso arpeggio latino che apre “Rock Bottom”, esperimento riuscito di anthem che dovrà trasformare il gruppo in un’arena-rock band. Ispirata dalla “Question” dei Moody Blues, l'energica “C'mon And Love Me” si concede furbescamente al pubblico femminile con il suo mix tra riff rock e doppi cori in falsetto. Il disco richiama sonorità fifties (“Anything For My Baby”), ripescando dal primigenio repertorio dei Wicked Lester nella balbuzie hard “She”, ottimo lavoro di Frehley nel call and response e soprattutto sul finale originato dall’ascolto di “Five To One” dei Doors.
Incoraggiati da Bogart, i Kiss piazzano infine il colpo da novanta, riuscendo a creare una delle party-song più irresistibili della storia, quella "Rock And Roll All Nite” che è di fatto debitrice della “Mama Weer All Crazee Now” degli Slade, ma allo stesso tempo così personalizzata in uno stile sguaiato e satanico. Il brano è a tutti gli effetti l’anthem ossessivamente cercato da Bogart, lanciato come singolo nell’aprile 1975 e fermo al palo in posizione 69, sicuramente un risultato migliore del “Kissing Time” voluto per il contest dei baci. Potenzialmente un nuovo flop per la Casablanca, ma Dressed To Kill permette ai Kiss di avanzare in classifica, dal centesimo al trentaduesimo posto nella US Billboard 200.
Il 19 marzo 1975 ha inizio il “Dressed To Kill Tour”, che parte dal Roxy Theater di Northampton, Pennsylvania per concludersi ad agosto a Indianapolis, in compagnia di band come Rush, ZZ Top, Black Sabbath e Uriah Heep. A settembre, in Tennessee, i Kiss suonano con gli amati Slade, al momento una delle band di punta sul panorama glam mondiale, ma soprattutto una delle più grandi ispirazioni per Simmons e soci, che hanno cercato proprio di americanizzare il sound del gruppo di Black Country.
È da poco iniziato un nuovo tour, quello di Alive!, il primo doppio disco dal vivo pubblicato da pochissimo dalla Casablanca, avendo registrato in presa diretta diverse esibizioni della band tra maggio e luglio. E il titolo è proprio un omaggio agli stessi Slade, al disco “Slade Alive!” del 1972, con il preciso intento di pubblicare finalmente un album che racchiuda davvero il sound infuocato dei quattro. Stanley infatti è convinto che il fiasco commerciale dei primi tre album sia dovuto a un approccio troppo morbido in studio di registrazione, che i fan vadano a vedere la band dal vivo senza comprare poi i dischi. È davvero l’ultima spiaggia per il gruppo, che nel frattempo è entrato in rotta di collisione con Bogart, a causa del mancato pagamento delle royalties dai primi tre dischi, dopo un anticipo di soli 15mila dollari. Incerta sul da farsi, la Casablanca accetta di pubblicare un disco dal vivo perché ritenuto meno costoso in fase di produzione, con il supporto di Bill Aucoin che ha già versato di tasca propria oltre 300mila dollari per il tour di Dressed To Kill.
A produrre il doppio disco viene richiamato Eddie Kramer, particolarmente apprezzato dal gruppo per il suo lavoro con la primissima demo, appunto per ricreare il sound più forte possibile. Al di là di polemiche scattate in seguito - gli stessi Kiss ammetteranno che il doppio disco è stato sufficientemente manipolato in studio per sopperire a diversi problemi con strumenti e microfoni - Alive! è l’album spartiacque, quello che lancia la band verso i vertici delle classifiche a stelle e strisce.
La “più calda band sulla terra” entra in scena sull’esplosione del riff killer di “Deuce”, effettivamente lontana anni luce dalla versione più morbida inclusa nel primo disco. La chitarra di Frehley diventa subito protagonista, mentre Stanley avvia il definitivo party del rock’n’roll prima di lanciarsi a cento all’ora su “Strutter”. Dalle svisate pirotecniche di “Firehouse” all’oscena brutalità di “Nothin’ To Lose”, i Kiss riescono finalmente a imporre la loro giustizia anche su disco. Merito ovviamente di esibizioni al fulmicotone, concerti senza respiro che investono l’ascoltatore tra il raw-punk di “C'mon And Love Me” e la distruttiva combo di metal e hard-rock in “Parasite” e “She”.
Accusato da alcuni critici di eccessiva monotonia sonica, Alive! è il disco che ben rappresenta un gruppo votato all’attacco, convinto dei propri mezzi senza mollare di un solo centimetro. È il sacro fuoco del rock’n’roll che forgia dagli inferi la chilometrica versione di “100,000 Years”, mentre Stanley aizza la folla prima di lanciarsi senza paracadute in “Black Diamond” e “Rock Bottom”. La chitarra di Frehley è ai limiti dell’onnipotenza, sulla sua gemma oscura “Cold Gin” e poi sulle party-song finali “Rock And Roll All Nite” e “Let Me Go, Rock 'N Roll”. Un concentrato di sfacciataggine, velocità e riff killer in poco oltre 70 minuti di puro divertimento live.
Il dio del tuono
Uscito nel settembre 1975, Alive! catapulta i Kiss verso le vette della classifica americana, precisamente al nono posto della Billboard 200. Ci resterà per un totale record di 110 settimane, mentre la band ha già dato inizio al nuovo tour con le date in compagnia degli Slade. Fiutando l’odore del successo imminente, Bill Aucoin irrompe negli uffici della Casablanca per minacciare Bogart dopo i problemi con le royalties per il gruppo: i Kiss si accaseranno altrove. L’etichetta è all’angolo, “costretta” a firmare un assegno da ben due milioni di dollari per trattenere la band. Mentre infuria l’“Alive Tour” da Knoxville a Springfield, il temperamento vivace di Criss e Frehley desta più di una preoccupazione nei più focalizzati Simmons e Stanley. Ace in particolare peggiora nel suo problema con l’alcol, dopo aver già rischiato la morte schiantandosi alla guida in zona Hollywood, ovviamente a causa di svariate birre di troppo. Su ordine di Aucoin, nessuno dei quattro Kiss dovrà mai farsi fotografare in pubblico senza trucco, per alimentare l’alone di mistero tra un pubblico sempre più vasto. Quando cammina sanguinante verso la sua stanza d’albergo, dopo l’incidente, Frehley non viene infatti riconosciuto da nessuno, lasciato vagare come uno zombie. Leggenda vuole che la prima foto ottenuta da un fan con i Kiss senza trucco sia scattata da un membro della mafia per il figlio del boss locale all’interno di un ristorante.
È una vera e propria Kissmania, che cresce tra i giovani americani nelle high school, contagiati dall’irresistibile party-sound e dalla voglia di mascherarsi come The Demon e The Starchild. C’è anche una prima rivista ufficiale, “Kisser”, alimentata con passione incrollabile dai primi esponenti del Kiss Army, noto fanclub fondato da due adolescenti originari dell’Indiana, Bill Starkey e Jay Evans. I due ragazzini contattano a inizio 1975 la stazione radio locale Wvts, nel tentativo di far sentire a tutti i loro coetanei la musica della band. Respinti dal direttore Rich Dickerson, iniziano un vero e proprio bombardamento a nome Kiss Army, inviando lettere firmate “Bill Starkey – Presidente della Kiss Army e Jay Evans – Maresciallo di campo”. La Wvts capitola a luglio iniziando a trasmettere i dischi dei Kiss, ricevendo migliaia di richieste di adesione al fan club promotore dell’iniziativa. Una campagna potentissima ricevuta in organico senza spendere un dollaro, subito fiutata da Aucoin che chiede alla sua agenzia Howard Marks Inc. di creare un logo per il fanclub, rendendolo di fatto ufficiale. All’apice del suo successo, la Kiss Army arriverà a oltre 100mila membri con un guadagno stimato di cinquemila dollari al giorno.
Nel gennaio 1976, la versione live di “Rock And Roll All Nite” balza al 12° posto nella Billboard Singles, emulando la “Smoke On The Water” dei Deep Purple portata al successo solo dopo l’inclusione nel live “Made In Japan”. Trionfante, Paul Stanley mostra il primo disco di platino della band in una Cobo Hall strapiena, in quella Detroit che ha ormai accolto i Kiss come degli eroi locali. Dopo anni di sudore e trucco disciolto, i quattro di New York ce l’hanno fatta, a conquistare gli Stati Uniti d’America. Uno scintillante momento d’oro, che porta Aucoin a rinegoziare il contratto con la Casablanca per i prossimi due dischi, come richiesto da Bogart che ancora non si fida del tutto: sarà un fenomeno destinato a spegnersi nel giro di un paio d’anni al massimo? Invece i Kiss sono pronti a raddoppiare la già succosa posta, assoldando Robert “Bob” Alan Ezrin, il produttore canadese che ha già lavorato con Pink Floyd, Lou Reed e soprattutto Alice Cooper, l’ormai antico re del Grand Guignol. Il gruppo è convinto che Ezrin sia la persona giusta per far evolvere il sound dei Kiss mantenendo il successo commerciale, chiamandolo a lavorare negli studi newyorkesi su un gruppo di brani pronti in versione demo.
Ma non si cerca uno dei migliori a caso: Bob rifiuta senza pietà gran parte del materiale, reinventando il suono classico del gruppo in Destroyer, uscito alla metà di marzo 1976. Sergente di ferro, Ezrin capisce subito che le abilità strumentali del gruppo sono limitate, introducendo delle vere e proprie lezioni individuali di musica ai quattro. Se vogliono diventare davvero grandi, i Kiss hanno bisogno di disciplina, oltre che di nuovi effetti atmosferici come le inquietanti grida infantili che scandiscono il minaccioso incedere heavy-metal di “God Of Thunder”. Scritto da Stanley in un ritmo molto più veloce, il brano viene rallentato e infarcito di effetti, affidando il compito vocale al più cupo Simmons, con la reverse drum suonata da Criss. Nell’inizio di “Great Expectations” viene ripresa la “Sonata Pathétique”di Beethoven, con il contributo della chitarra di Dick Wagner, primo membro esterno a suonare in un disco dei Kiss dopo aver lavorato (ovviamente) con Reed e Cooper. È un altro brano epocale, in cui la furia del gruppo viene mitigata da campane e voci bianche con il Brooklyn Boys Chorus.
Trattati dal produttore canadese in maniera quasi militaresca, Simmons e soci accettano di buon grado questo tipo di educazione sonica, ansiosi di registrare il loro capolavoro. “Detroit Rock City” è come una mitragliatrice rock’n’roll puntata sull’ascoltatore, con l’uptempo devastante tenuto dalla sezione ritmica sulle svisate in wah-wah di Frehley. Ispirata dai ritmi R&B, “Detroit Rock City” è il brano anthemico che dimostra la maturazione improvvisa del gruppo sotto la guida di Ezrin, grazie a un sound più cupo e profondo. Ma l’album è anche la grande scommessa vinta da Simmons e Stanley, convinti di poter coniugare un approccio più sofisticato alle ovvie esigenze commerciali. Il risultato è la perfetta sing-along song “King Of The Night Time World”, tenuta in piedi dal groove di Criss con il riff rock’n’roll di Frehley e un ritornello pop che non intende fare prigionieri. “Flaming Youth” è un inno generazionale scritto con lo stesso Ezrin che azzarda l’utilizzo di una calliope (o organo a vapore) per dare un tocco antico al ritmo marziale.
Il disco è una carrellata sorprendente di instant-classic, dalla chitarra squillante di Wagner in “Sweet Pain” - Ace non prende benissimo la decisione di scartare la sua versione - al ritornello killer della nuova party-song “Shout It Out Loud”, presa in prestito da un titolo di The Hollies e destinata al trionfo nelle grandi arene. Firmata da Peter Criss - e inizialmente rigettata “perché i Kiss non fanno ballate” - “Beth” è la ballata pianistica che mancava al repertorio della band, suonata a metà tra Elton John e Rod Stewart con gli arrangiamenti della New York Philharmonic a suggellare l’approccio corale e orchestrale. Si torna infine al rock tribale di “Do You Love Me?”, prima della coda atmosferica “Rock And Roll Party”.
Il senso ultimo di Destroyer sta tutto nella nuova fantastica copertina, che rappresenta i Kiss non più come comuni hard-rocker, ma veri e propri supereroi americani.
Ci vediamo nei vostri sogni
Il “Destroyer Tour” inizia l’11 aprile 1976 a Fort Wayne, nell’Indiana, spostandosi oltreoceano verso Regno Unito, Germania e Francia, con il supporto degli Scorpions in apertura. Il 20 agosto, all’Anaheim Stadium, i partecipanti sono circa 43mila per un incasso di quasi mezzo milione di dollari. Nel frattempo, la romantica ballata di Peter Criss, “Beth”, scala le classifiche americane come B-side di “Detroit Rock City”, terzo singolo estratto da Destroyer al numero 7 della Billboard Hot 100. La band ottiene così il suo secondo disco d’oro, nonostante le critiche di molti fan, che accusano il nuovo lavoro di essere troppo dipendente da Bob Ezrin e poco in stile Kiss.
Come a voler rispondere sul campo, il gruppo decide di registrare subito un nuovo disco in presa diretta, prenotando lo Star Theatre di Nanuet, New York con il ritorno del fedele Eddie Kramer in cabina di regia. Dopo la prima apparizione televisiva in primetime al “The Paul Lynde Halloween Special”, il gruppo manda in stampa a novembre Rock And Roll Over, costituito principalmente da brani composti prima e durante il tour di Destroyer. Ma si tratta di rielaborazioni di versioni demo, a partire da quelle portate in studio da Simmons, dall’energico hard-rock “Calling Dr. Love”, in stile Humble Pie, al più classico ritmo rock’n’roll in “Ladies Room”.
I Kiss abbandonano gli azzardi (ripagati) di Bob Ezrin, confezionando un disco più diretto ma inevitabilmente ripetitivo. Il lavoro con il produttore canadese ha però portato a un generale miglioramento a livello esecutivo, concedendo più responsabilità a Peter Criss dopo il successo clamoroso di “Beth”. Viene però fuori un numero più tradizionale come “Baby Driver”, nonostante la strana registrazione delle parti di batteria all’interno di un bagno con il collegamento via video-link con il resto del gruppo. A Stanley il compito di aprire l’album con l’intro acustica di “I Want You”, condotta in chiave hard’n’heavy sul riff assassino di Frehley. Dalla velocità di “Take Me” all’attacco in stile Townshend di “Love 'Em And Leave 'Em”, l’album guadagna in immediatezza perdendo in creatività. “Mr. Speed” ritorna su territori bolaniani, mentre “See You In Your Dreams” ricrea lo spirito degli ultimi anthem senza le vette di Destroyer.
I Kiss sanno però come estrarre il coniglio dal cilindro con la ballad folk-rock “Hard Luck Woman”, inizialmente composta da Stanley per Rod Stewart e poi tenuta per dare un seguito ideale a “Beth” con la voce di Criss che effettivamente ricorda tantissimo quella di The Mod. Nonostante un lavoro non esaltante, Rock And Roll Over arriva all’undicesima posizione in classifica, nuovo disco di platino, a dimostrazione che il gruppo trasforma in oro tutto quello che tocca.
Partito da Savannah alla fine di novembre, il nuovo tour americano ha un gusto particolare per i Kiss, che coronano il sogno di una vita: suonare al Madison Square Garden di New York. È l’unica città rimasta da conquistare, dopo anni di lavoro in piccoli club, quando nessuno voleva gruppi con materiale originale. Nella primavera del 1977 si parte per una leg giapponese, con il supporto della band rock locale Bow Wow. Tornati da Tokyo, i Kiss si prendono circa un mese di pausa - non si fermano da quattro anni - prima di tornare ancora in studio ai Record Plant di New York, sempre con Kramer in produzione. L’esaltazione è a mille, perché un sondaggio Gallup ha appena decretato i Kiss “la band più famosa d’America” dopo Led Zeppelin, Eagles e Aerosmith.
Love Gun esce a giugno, anticipato dal discusso singolo “Christine Sixteen”, altra storia di Simmons sull’infatuazione di un uomo anziano nei confronti di una minorenne. Stando ad alcune dichiarazioni successive, i fratelli Van Halen avrebbero suonato in principio sulla versione demo del brano, uptempo hard-rock caratterizzato dal piano suonato da Kramer. Ad aprire il nuovo disco è il riff al fulmicotone di “I Stole Your Love”, firmata da Stanley in reminiscenza forse eccessiva della “Burn” dei Deep Purple. Per la prima volta alla voce, Ace Frehley firma “Shock Me”, che ricorda da vicino certi giri ad alto voltaggio degli Ac/Dc. Preoccupante però la successiva “Tomorrow And Tonight”, in cui i Kiss provano ancora col formato party-song sfiorando pericolosamente l’autocitazione. Decisamente meglio con il ritorno alle atmosfere più cupe di Destroyer, sul ritmo heavy-pop di “Love Gun”, interamente concepita da Stanley prendendo a prestito alcuni fraseggi di “The Hunter” di Albert King, poi ripresi anche dagli Zeppelin su “How Many More Times”.
Scelta come secondo singolo, la title track esce con la B-side “Hooligan”, a firma Peter Criss, mentre Frehley sfodera il meglio del repertorio hendrixiano nella vibrante “Almost Human”. Il basso tremolante di “Plaster Caster” apre un nuovo numero rock nell’ormai classico stile Kiss, seguito dalla cover “Then She Kissed Me”, nuovo titolo dato alla spectoriana “Then He Kissed Me” (1963).
Come nel caso di Rock And Roll Over, Love Gun riesce a salvarsi in calcio d’angolo, proponendo brani di una certa freschezza, ma privi di grande originalità, come se il gruppo avesse già inserito il pilota automatico, consapevole della propria forza commerciale.
A inizio luglio parte il nuovo tour da Halifax, Nova Scotia, con il supporto fisso dei Cheap Trick. Diverse date vengono registrate per l’uscita a ottobre di Alive II, inizialmente concepito da Bill Aucoin per testimoniare il concerto alla Budokan Hall di Tokyo ad aprile. La band vuole inserire nel nuovo disco dal vivo materiale dalle ultime uscite, tralasciando così tutti i primi classici che sono finiti sul primo mirabolante capitolo. I lati sono ancora quattro, in un doppio Lp, a partire dal fragore di “Detroit Rock City” che generalmente viene suonata come primo bis nella scaletta del tour di Love Gun. Pur non mostrando la grandezza selvaggia del precedente live album, Alive II scorre al fulmicotone sull’eccitazione collettiva generata dai concerti dei Kiss. Da “King Of The Night Time World” a “Ladies Room”, l’album presenta una nuova carrellata di brani eseguiti a cento all’ora, sempre con quell’attitudine di chi vuole il mondo ai piedi. Si parte dalle schitarrate heavy-metal (“Makin’ Love” e “Love Gun”) per proseguire a suon di riff incendiari (“Calling Dr. Love” e “Christine Sixteen”), lasciando la scena vocale per la prima volta dal vivo ad Ace Frehley nella sua “Shock Me”.
Gli ultimi lavori della band permettono ora degli intermezzi più delicati, come “Hard Luck Woman” e soprattutto “Beth”, accolta dal pubblico con l’entusiasmo dei grandi brani. Di grande impatto poi la versione di “God Of Thunder”, prima della party-song finale “Shout It Out Loud”.
Alive II è arricchito dal quarto lato composto da nuovo materiale registrato live senza pubblico al Capitol Theatre di Passaic, New Jersey. A sorpresa, senza grandi spiegazioni, Ace Frehley viene sostituito dal chitarrista Bob Kulick, esplosivo nel riff heavy di “All American Man” e sul boogie bolaniano “Rockin' In The U.S.A.”. I Kiss virano pesantemente su territori zeppeliniani in “Larger Than Life”, mentre Frehley firma e suona l’unico brano del lotto, l’hard-rock “Rocket Ride”. Chiude Stanley con il surf-punk-pop di “Any Way You Want It”, cover del gruppo britannico The Dave Clark Five.
Kiss-mania
Uscito nell’autunno del 1977, Alive II scala immediatamente le classifiche americane, arrivando a vendere oltre 2 milioni di copie. Il tour di promozione del doppio disco inizia alla metà di novembre a Oklahoma City, facendo registrare incassi record al Madison Square Garden di New York. I Kiss battono addirittura gli idoli Beatles quando si esibiscono in 5 date consecutive sold-out al Budokan di Tokyo. Il gruppo è all’apice del successo, tanto che i quattro devono assoldare numerosi bodyguard soprattutto negli stati del sud dove i fanatici cristiani li accusano di provenire dall’inferno. Il tour di Alive II termina nell’aprile 1978, quando viene pubblicata la prima compilation Double Platinum, acquistata in massa dai fan per la presenza di una rilettura dance di “Strutter” e di alcuni remix (“Hard Luck Woman”, “Black Diamond”, “Deuce”).
Bill Aucoin suggerisce al gruppo di prendersi una pausa, evitare nuovi dischi e tour per concentrarsi innanzitutto sulle riprese di un film per la tv dal titolo “Kiss Meets The Phantom Of The Park”,prodotto dalla casa cinematografica Hanna-Barbera Productions. La trama prevede che i Kiss debbano utilizzare nuovi superpoteri per combattere un inventore malvagio, Abner Devereaux, e salvare così un parco divertimenti californiano dalla distruzione. La pellicola esce alla fine di ottobre sui canali della Nbc, scatenando diverse critiche tra i fan che non apprezzano il frullato di horror e commedia in (vago) stile fratelli Marx. Lo stesso Peter Criss, già tentato dall’idea di lasciare la band per l’eccessivo stress causato dalla vita continua in tour, dirà successivamente di essere “quasi diventato pazzo” durante le riprese.
Nella primavera del 1978, durante le riprese del film, vengono prodotti ben quattro dischi solisti, in uscita nello stesso giorno - 18 settembre - su etichetta Casablanca e mantenendo il licensing della band. L’idea parte dal management, avallata dai quattro per poter sperimentare più liberamente con i propri gusti musicali e smorzare le crescenti tensioni interne. Per Aucoin è ovviamente una nuova strategia commerciale, alimentando l’aura da supereroi mascherati che ha generato una potente isteria collettiva.
Gene Simmons è anticipato dal singolo “Radioactive”, aperto da atmosfere orchestrali prima di deflagrare su un ritmo heavy-pop, con il contributo alla chitarra elettrica di Joe Perry. Uno dei pochi brani hard del disco, insieme a “Burning Up With Fever” (con Donna Summer ai cori) e la rilettura di “See You In Your Dreams”, la cui versione già incisa con la band è da tempo ritenuta non all’altezza dallo stesso bassista. Grande fan dei Beatles, Simmons confeziona diverse atmosfere pop nel più classico stile dei Fab Four, da “See You Tonite” ad “Always Near You/Nowhere To Hide”. C’è persino un’incursione nella funky-disco music, in “True Confessions” e “Man Of 1,000 Faces” in versione orchestrale. Completamente imbarazzante il finale disneyano “When You Wish Upon A Star” dal film “Pinocchio”, scelta del tutto incomprensibile per chiudere un disco a grandi linee sufficiente.
I fan dei Kiss sembrano gradire, portando il disco al numero 22 della classifica di Billboard, miglior piazzamento ottenuto dai quattro dischi usciti in contemporanea.
Se in Gene Simmons viene scelto il fidato Sean Delaney per la produzione, in Paul Stanley viene assoldato Jeff Glixman, già al lavoro con Kansas e Gary Moore. Mentre Simmons preferisce scenari pop beatlesiani, Stanley procede con l’usato sicuro, mantenendo le impalcature già erette con la band. Non necessariamente un male, dal momento che il chitarrista e cantante si è guadagnato una fenomenale reputazione come autore di brani hard-rock. Spicca così l’intro acustica che apre il nuovo riffone di “Tonight You Belong To Me”, tra le migliori cose dell’album insieme all’epica “Take Me Away (Together As One)”. Con l’ottima chitarra solista di Bob Kulick e le pelli di Carmine Appice (Rod Stewart, Vanilla Fudge), Stanley ripropone il Kiss sound con una certa freschezza, sul rock’n’roll “Wouldn't You Like To Know Me” o le esplosioni da stadio in “It's Alright”.
Ace Frehley sceglie invece Eddie Kramer, ragionando su un gruppo di canzoni molto più solide e ben scritte. Si parte con il rock più vibrante in “Rip It Out”, scaldando l’atmosfera con lo scatenato hard-blues “Speedin' Back To My Baby”. Abbandonato ad alcol e droghe, Ace dimostra di essere un musicista vero, al di là della sua maschera di Spaceman che lo ha ormai relegato in secondo piano rispetto alle ingombranti figure di The Demon e Starchild. Mentre Simmons e Stanley hanno pubblicato dei dischi senza correre alcun rischio, ai limiti della sufficienza, Frehley libera tutto il suo potenziale, dal ritmo hendrixiano di “Snow Blind” alla hit “New York Groove”, cover della glam-band inglese Hello.
Gemme oscure dell’hard-rock come “I'm In Need Of Love” fanno così pensare che Ace Frehley resti un disco assolutamente sottovalutato, annacquato nella percezione del pubblico dal solo fatto di essere solo uno dei quattro dischi fatti uscire dai Kiss nel 1978.
Destino avverso, infine, per Peter Criss, che firma il disco più scadente del lotto a partire dall’insipido funky-soul “I'm Gonna Love You”. Elementi incoerenti di disco-music in brani come “You Matter To Me”, mentre la cover di Bobby Lewis “Tossin' And Turnin'” viene proposta in chiave Blues Brothers. Il resto dell’album è assolutamente dimenticabile, dal languore pop “Don't You Let Me Down” al debole folk orchestrale “Easy Thing”.
Per capitalizzare al massimo le quattro uscite in contemporanea, la Casablanca decide di spedire un totale di 4 milioni di copie verso i distributori, mossa mai azzardata sul mercato discografico statunitense. I Kiss sono ormai in cima al mondo, adorati dai fan e pronti a rimettersi in pista dopo aver esplorato i propri confini personali, pur mantenendo il pubblico anonimato grazie alle maschere di personaggi diventati supereroi del rock duro.
Tempi duri
All’inizio del 1979 i Kiss si ritrovano tra gli studi Electric Lady e i Record Plant di New York per registrare un nuovo album con il produttore di origini italiane Vini Poncia, già al lavoro con Peter Criss sul suo disastroso album omonimo. Dopo aver assaggiato il gusto della libertà compositiva, i quattro decidono di lavorare separatamente portando sul tavolo diverse versioni demo, inizialmente assegnate alle mani di Giorgio Moroder prima di virare su Poncia. La nuova direzione musicale è infatti rivolta verso la disco-music, incentrata sul groove funky di “Dirty Livin’” che è poi l’unica traccia accettata da Simmons e Stanley dalle proposte di Criss. Non solo: “Dirty Livin’” è l’unico brano in cui Catman suona effettivamente la batteria, rimpiazzato da Anton Fig che ha già lavorato ottimamente con Ace Frehley sul suo album solista. È un periodo difficilissimo per il batterista, gonfio di alcol e droga e spesso in preda a dolori lancinanti ai legamenti tra braccia e mani per un incidente stradale. D’accordo con il resto della band, Poncia vota per estrometterlo dalle sessioni di registrazione di Dynasty, considerandolo ormai un musicista decisamente sotto accettabili standard qualitativi.
Via libera così alla nuova hit scritta da Paul Stanley con il songwriter Desmond Child, con un ritornello in stile Motown e un ritmo da dancefloor destinato nuovamente a sbancare le classifiche americane. La trascinante “I Was Made For Lovin’ You” sale fino all’undicesimo posto nella Billboard Hot 100, arrivando prima in diverse nazioni del mondo con oltre un milione di copie vendute. È il singolo ancheggiante che trascina però un album stanco, non a caso detestato pubblicamente negli anni successivi prima da Simmons e poi da Frehley. L’accantonamento di Criss e la nuova svolta commerciale spaccano di fatto la band, che perde il sacro furore dell’hard-rock per incontrare il gusto degli adolescenti, come nel molle pop melodico “Sure Know Something”. Brani più aggressivi come “Charisma” e “Magic Touch” contengono spunti ancora interessanti, ma vengono completamente annacquati in studio dai nuovi arrangiamenti di Poncia. A provare un salvataggio in extremis è Frehley con il rock’n’roll “2,000 Man” (cover degli Stones) e “Hard Times”, che almeno preserva lo spirito originale della band.
Il “Dynasty Tour” viene anche soprannominato “The Return Of Kiss”, in partenza dalla Florida il 15 giugno 1979 con nuovi spettacolari effetti laser e una meccanica che fa letteralmente volare Gene Simmons. La svolta disco non viene digerita dai fan, accorsi in numero nettamente minore dopo l’ultimo lavoro in studio. In scaletta vengono eseguiti anche alcuni brani dai dischi solisti del 1978, mentre Peter Criss continua ad arrancare. Il gruppo vive il suo primo momento di disgrazia, culminato con la pubblicazione del disco successivo, Unmasked. Con Anton Fig stabilmente alla batteria, l’album è registrato all’inizio del 1980 ancora con Poncia, entrato ancora più massivamente nelle dinamiche compositive interne ai Kiss.
Unmasked è un autentico disastro, boicottato dalla Kiss Army e sparito rapidamente dai radar dopo un imprevedibile 35° posto in classifica, alla faccia del sondaggio Gallup e della “band più popolare in America”. Aperto dal riff di “Is That You?” (Gerard McMahon), l’album accelera il processo di metamorfosi da heavy a pop band, ricolmo di arrangiamenti melodici buoni per i teenager. In “Talk To Me” affiorano vaghe citazioni dei Beach Boys, mentre il singolo “Shandi” porta in dote tonalità da crooner e arrangiamenti orchestrali su cori irritanti. Brani come “What Makes The World Go ´Round?” e “She's So European” sono scritti, prodotti e arrangiati in maniera elementare, assolutamente prevedibile. Un tempo alfieri di un hard-rock divertente e sparato a cento all’ora, i Kiss sono ora diventati una band noiosa, non a caso rigettata dalla trincea dei fan più accaniti.
Dato il flop commerciale di Unmasked, il management dei Kiss decide saggiamente di evitare un nuovo tour americano, a parte la prima data a fine luglio dove suonano al Palladium di New York dopo aver riempito il Madison Square Garden. Il nuovo giro di concerti parte dall’Italia per girare prima l’Europa e poi l’Australia, con il nuovo batterista Eric Carr. Nato nel quartiere di Brooklyn il 12 luglio 1950, Paul Charles Caravello ha sempre amato le arti figurative, prima da disegnatore di fumetti e poi da fotografo. Nel 1964 è rimasto folgorato - come tanti - dai Beatles all’“Ed Sullivan Show”, innamorato di Ringo Starr che lo porta a costruirsi una batteria rudimentale per suonare da solo, in stanza. Entrato negli Allures per provare un mix tra ritmi latini e suoni beatlesiani, Caravello è poi passato nei Cellarmen per impratichirsi anche con il basso elettrico. Dopo essersi appassionato alla musica più dura di Cream e Jimi Hendrix, ha passato diversi anni tra alterne fortune, con il gruppo Mother Nature-Father Time l’esperienza più lunga alternando disco music, funky, soul. Caravello sta quasi per mollare definitivamente il mondo della musica quando invia una cassetta ai Kiss dopo l’addio di Peter Criss, una sua versione cantata del nuovo singolo “Shandi”. Simmons e Stanley sono colpiti dallo stile del batterista, più orientato alla musica dura rispetto al vecchio Catman. Durante l’audizione, si fa autografare diversi dischi, in caso di eventuale rifiuto. E invece la band è entusiasta, convinta anche dal fatto che Caravello è del tutto sconosciuto al grande pubblico, potendo così mantenere il più assoluto anonimato sul quarto membro aggiunto. Nel comunicato stampa rilasciato dal management, l’età di Eric Carr viene riportata con tre anni in meno, mentre lo stesso batterista viene descritto come “un giovane fan dei Kiss entrato nel gruppo”. Trovato lo stage name, Carr deve ora trovare un suo trucco, un personaggio fantastico da interpretare. La scelta cade su The Fox, dopo aver scartato The Hawk perché troppo complicato da realizzare in formato maschera, a pochi giorni dall’esordio al Palladium di New York.
All’inferno e ritorno
Il tour di Unmasked termina il 3 dicembre 1980 ad Auckland, dove i fan della band si mostrano più morbidi verso gli ultimi lavori, garantendo il tutto esaurito. Diverse sono però le date cancellate, sia per l’attesa del nuovo batterista che per la scarsa vendita dei biglietti in alcune date europee. All’inizio del nuovo anno, i Kiss sono fermamente intenzionati a riprendersi il vasto seguito americano, abbandonando il discusso Vini Poncia per lavorare nuovamente con Bob Ezrin. In un impeto di creatività, Gene Simmons vuole sviluppare una sua idea di concept-album, incentrato sulla storia di un ragazzo (The Boy) che viene istruito e allenato da un consiglio di anziani saggi appartenenti al misterioso Ordine della Rosa. Dapprima timoroso, il ragazzo viene guidato dal saggio Morpheus verso la piena maturità necessaria per combattere il maligno. Simmons è convinto che il disco permetterà ai Kiss di rinascere sul mercato americano, grazie a un approccio più simile a quello di Destroyer. Molto meno convinto Frehley, che invece non digerisce i metodi drastici di Ezrin, tra l’altro nel pieno di una forte dipendenza dalla cocaina. Lo stesso stile di Carr è poco consono al produttore canadese, che addirittura arriva a rimpiazzarlo su alcuni brani in fase di registrazione. Le sessioni nei diversi studi - tra cui quello dello stesso Ezrin a Toronto - sono quasi secretate, mentre Simmons sta trattando per un adattamento cinematografico del disco. Viene reclutata la American Symphony Orchestra con la direzione prestigiosa di Michael Kamen, per la crescente frustrazione di Ace che vorrebbe tornare a un rock più asciutto e deciso.
Sembra così che la band stia per fare uscire un capolavoro a sorpresa, ma quando Music From “The Elder” viene pubblicato il 10 novembre 1981 si assiste a uno schianto epocale. Sin dalla “Fanfare” iniziale - intro tra classicismo fiabesco e toni medievali - il disco raggiunge vette di pretenziosità estreme, pur presentando sprazzi creativi come sul riff della successiva “Just A Boy”, infarcita però di arrangiamenti tra un folk duecentesco e cori in falsetto.
È un disco fortissimamente divisivo, che subito dopo la sua uscita viene massacrato dalla critica e addirittura descritto come “tra i peggiori album di tutti i tempi”. Leggermente rivalutato nel corso degli anni, l’album è macchiato da un gusto progressive fuori luogo, come nella tediosa conduzione orchestrale di "Odyssey" - scritta dal songwriter Tony Powers - o nell’incedere medievaleggiante e fiabesco di “Under The Rose”. Più intrigante il riff metal di “Only You”, con il contributo del nuovo batterista Eric Carr, e il rockeggiare sincopato di “Dark Light”, cantato da Frehley dopo l’intervento in fase compositiva di Anton Fig e Lou Reed. È però ai limiti dell’imbarazzante il mellifluo pop sintetico “A World Without Heroes”, salvato poi in calcio d’angolo dal furore heavy di “The Oath”. Celebre sarà una dichiarazione fatta dallo stesso Simmons: “Come album dei Kiss gli do voto zero, come album dei Genesis gli do voto due”. Opinione che ben rappresenta il momento vissuto dalla band, incapace di tirarsi fuori dalle sabbie mobili della creatività.
Nonostante il fiasco clamoroso del disco, Bill Aucoin ha pronto un sostanzioso budget per un tour, mentre un cosiddetto development hell fa naufragare il desiderato adattamento cinematografico. Ma la reazione di critica e fan fa propendere per l’annullamento, lasciando ai Kiss soltanto alcune apparizioni promozionali in tv all’inizio del 1982. Mentre Music From “The Elder” sparisce rapidamente dalle classifiche, l’etichetta Phonogram - parent company della Casablanca - chiede al gruppo di registrare pochi nuovi brani per l’antologia Killers, in uscita a giugno. Ovviamente i Kiss dovranno abbandonare le ultime ambizioni soniche, tornando al più classico e potente hard-rock, con il supporto di musicisti esterni come Mikel Japp e uno sconosciuto di nome Bryan Adams. Alla chitarra c’è la vecchia conoscenza Bob Kulick, dal momento che Ace è ormai virtualmente fuori dal gruppo dopo i dissidi artistici. La Phonogram decide di pubblicare inizialmente il disco solo all’estero, includendo appunto quattro brani inediti che dovranno dire al mondo che i Kiss sono tornati al loro sound abituale. C’è l’arena-rock “I'm A Legend Tonight”, il gradevole ritorno al rock’n’roll (“Down On Your Knees”) e la nuova opera epica di Stanley, “Nowhere To Run”. A chiudere il nuovo ciclo l’ottima sezione ritmica di “Partners In Crime”, a dimostrazione che lo stesso Carr è molto più a suo agio in questo genere, come tutti i Kiss del resto.
In mancanza di concerti programmati, il gruppo si chiude in estate negli studi Record Plant con il produttore Michael James Jackson, intenzionato a proseguire sul sentiero del ritorno a casa tracciato da Killers. Le sessioni di registrazione del successivo Creatures Of The Night vengono però sconvolte dalla morte precoce di Neil Bogart, a causa di un cancro diagnosticato nel 1981. Sulla copertina dell’album c’è il volto mascherato di Frehley, ma a suonare è in realtà Vincent John Cusano, di fatto il nuovo chitarrista della band.
Nato il 6 agosto 1952, Cusano è originario di Bridgeport, Connecticut, da una famiglia di origini italiane. Ha iniziato a suonare la chitarra da bambino appassionandosi a bluegrass e rock’n’roll, entrando nei Treasure con Felix Cavaliere (The Rascals). Dopo aver pubblicato un album di debutto nel 1977, Vincent si è trasferito a Los Angeles per lavorare come compositore in programmi televisivi di grande successo come “Happy Days”. È Adam Mitchell a introdurlo a Simmons e Stanley, che ne apprezzano il carattere propositivo, dopo i casi Criss e Frehley. Il suo nome fittizio sarà Vinnie Vincent, prendendo il personaggio di The Ankh Warrior, su precisa indicazione di Paul che disegna anche il make-up.
Uscito alla fine di ottobre, Creatures Of The Night è l’album che abbandona completamente qualsiasi riferimento disco, pop o progressive, tentando di far tornare i Kiss al centro della scena hard’n’heavy a stelle e strisce. Il risultato è sorprendentemente ottimo, a partire dal puro heavy-metal della title track, sorretto in toto dal drumming finalmente liberato di Carr e dalle svisate elettriche di Vincent. I Kiss tornano effettivamente al suono più duro e oscuro di Destroyer in “Saint And Sinner”, miscelata questa volta perfettamente con riff blues e pop-chorus. Rispetto alle ultime prove, un sound rinato dalle ceneri, tra l’incedere marziale di “Keep Me Comin'” e il groove sinistro di “Rock And Roll Hell”. Torna così la forza anthemica del gruppo, che esce letteralmente dall’inferno in cui è caduto con la forza dei nuovi innesti. Il drumming furioso trascina l’aggressiva “Danger”, mentre “I Love It Loud” è la nuova party-song in stile Aerosmith. Stanley azzecca persino il nuovo formato ballad, mantenendo nella lentezza di “I Still Love You” il livello generale di intensità dell’intero disco. Ottime speranze poi per la prima collaborazione tra Simmons e Vincent nella fiammeggiante “Killer”, seguita dal ritmo tagliente di “War Machine” che chiude un album inaspettatamente solido.
Giù la maschera
Creatures Of The Night rivitalizza la fama dei Kiss come band dura, ma il disco non sfonda la classifica americana, piazzandosi a un modesto 45° posto. Dopo la morte di Bogart, la band abbandona la Casablanca per firmare un contratto multimilionario con la Polygram, che però chiede in maniera mandatoria la presenza di Ace Frehley. Simmons e Stanley giocano sporco, annunciano il vecchio chitarrista per l’imminente tour salvo poi parlare di indisponibilità dovuta a un incidente. Il nuovo chitarrista è ovviamente Vinnie “The Wiz” Vincent, tenuto quasi nascosto fino alla firma con la nuova major.
Ci sono grandi aspettative per il nuovo tour, per diversi motivi. Il primo è legato al ritorno all’heavy-metal, il secondo invece al decimo anniversario dalla nascita della band. In partenza da Bismarck, North Dakota, è il primo tour americano dopo alcuni anni, ma i tempi del tutto esaurito sono ormai un lontano ricordo. Il pubblico li snobba, continuano le proteste in alcune città del sud per un presunto incoraggiamento a Satana. L’unica soddisfazione è il concerto allo stadio Maracanã di Rio de Janeiro dove il 18 giugno 1983 arrivano in quasi 140mila, il pubblico più vasto mai visto dai quattro in dieci anni di onorato servizio. I tre show brasiliani in estate sono significativi anche per un altro motivo: sono gli ultimi a far salire sul palco The Demon, Starchild, The Fox e Ankh Warrior, perché nel giro di qualche mese uscirà un disco la cui copertina sorprenderà il mondo della musica.
Subito dopo il tour di Creatures Of The Night, i Kiss tornano in studio con il produttore Michael James Jackson, in vista dell’uscita a settembre di Lick It Up, il primo su nuova etichetta Mercury. Fotografati dall’artista francese Bernard Vidal, i quattro appaiono in copertina senza trucco, mostrando ufficialmente il vero volto dopo anni di ufficiale anonimato. C’è anche Vinnie Vincent, che però non è ancora formalmente un membro della band, non avendo firmato alcun accordo legale a causa (si vocifera) di un mancato accordo sulle royalties. Gli addetti ai lavori mugugnano, sono convinti che si tratti di una mossa meramente commerciale per tentare di risollevare “una band che sta affondando peggio del Titanic”.
Dopo essere già apparsi su Mtv, per la prima volta in assoluto senza trucco, i Kiss cavalcano l’onda heavy-metal anche in ottica televisiva, ottenendo persino la nomination per il miglior video dell’anno con il singolo “All Hell's Breakin' Loose”, mix di hard-rock e rap. La band sembra ufficialmente tornata sulla strada giusta, confezionando un’altra cavalcata heavy, “Exciter”, con il contributo ormai fondamentale del nuovo chitarrista, sicuramente arrivato al momento giusto. L’album contiene nuovi momenti oscuri (“Not For The Innocent”), sublimando una nuova identità tamarra e mascolina nella title track, perfetto connubio tra rock’n’roll spudorato e ritornello indimenticabile. Simmons e Stanley sembrano dunque a proprio agio con il riff al fulmicotone del boogie “Young And Wasted”, mentre Vincent disegna arcobaleni heavy in “Gimme More”, sulla scia del sound tipico dei Motörhead.
Il disco accusa però alcuni momenti troppo ammiccanti verso un pop plasticoso (“A Million To One”), indulgendo eccessivamente sulle stesse ritmiche (“Fits Like A Glove”). A differenza di Creatures Of The Night, Lick It Up scala le classifiche fino al 24° posto, facendo guadagnare alla band un nuovo disco di platino. Considerato inferiore al precedente dallo stesso Stanley, il disco ha successo per i passaggi su Mtv ed è trascinato dallo smascheramento dei quattro, che avvicina nuove schiere di fan amanti della musica dura.
Tornati in pista, i Kiss partono in un tour lunghissimo, che inizia in Portogallo l’11 ottobre 1983, primo show ufficiale senza trucco. L’accoglienza è ottima, forse trascinata da qualche voce su un possibile scioglimento. Alla fine della leg europea, prima della pausa natalizia, Vinnie Vincent viene a sorpresa allontanato dalla band, ufficialmente a causa di “comportamenti non consoni”. In realtà c’è stata una frattura insanabile con Simmons e Stanley, per questioni legate al compenso e presunti assoli troppo lunghi che hanno portato a un vero e proprio scontro fisico in uno dei tanti camerini. Ma i Kiss non hanno tempo di trovare un nuovo chitarrista, così convincono Vinnie a tornare per finire la leg americana.
Alla metà di marzo parte così la ricerca di un nuovo membro e la scelta ricade su Mark Leslie Norton, nato nel febbraio 1956 in California. Noto poi con il nome di Mark St. John, Norton non ha un passato da professionista, avendo lavorato prima come insegnante e poi come chitarrista in una cover band chiamata Front Page. Memore dell’esperienza con Vincent, il management del gruppo propone a Mark un contratto di cinque anni, per lavorare innanzitutto su Animalize, prodotto dal solo Paul Stanley nell’estate 1984. L’ex-Starchild è però rimasto solo alla guida del gruppo, dal momento che Simmons gli comunica improvvisamente che non ha molto tempo per dedicarsi alla musica, preso dai diversi impegni come attore hollywoodiano. Non troppo a sorpresa, Gene è stanco della vita con i Kiss, sedotto dalle diverse offerte per recitare in film come “Runaway” (con Tom Selleck) e “Wanted: Dead Or Alive”. Viene così assoldato il bassista Jean Beauvoir per rimpiazzare Simmons su alcuni brani, mentre il nuovo chitarrista Mark St. John si rivela un personaggio dispotico, odiato subito dal resto del gruppo. Eppure Norton è un virtuoso dello strumento, in grado di accelerare ulteriormente il sound con svisate a duecento all’ora, come nell’iniziale “I've Had Enough (Into The Fire)”. Trascinata dal video su Mtv, la nuova hit “Heaven's On Fire” mostra i muscoli con il riff rock’n’roll, mentre “Under The Gun” viaggia spedita sull’impianto heavy-pop.
Sfortunatamente per l’isolato Stanley, le cose buone del disco finiscono qua. “Burn Bitch Burn” è una copia quasi sfacciata degli Spinal Tap, mentre canzoni come “While The City Sleeps” sono assolutamente dimenticabili. Da “Get All You Can Take” a “Lonely Is The Hunter”, i brani di Animalize sono eccessivamente simili a quelli di band come Def Leppard e Mötley Crüe, tradendo una generale mancanza di idee dopo due ottime prove.
Dato un incredibile nuovo successo commerciale, Animalize viene promosso in un lunghissimo tour mondiale che parte dal Regno Unito alla fine di settembre per terminare in America nella primavera del 1985. Ufficialmente affetto da una rara forma di artrite, Mark St. John viene sostituito da Bruce Kulick, all’inizio una pezza temporanea e poi annunciato come nuovo membro dei Kiss. Il tour è un successo assoluto, visto che il nuovo album raggiunge rapidamente la vetta dei 2 milioni di copie vendute, doppio disco di platino.
Fratello dell’amico Bob, Bruce Howard Kulick è nato il 12 dicembre 1953 a New York, entrato poco più che ventenne come chitarrista solista nei Kkb, sulla scia dell’hard-blues dei Cream. Tre anni dopo segue il fratello Bob nel tour di Meat Loaf dopo l’uscita del disco d’esordio “Bat Out Of Hell”, lavorando successivamente con Michael Bolton e The Good Rats. Dopo le prime tre date dell’“Animalize World Tour” sostituisce Mark St. John, che qualche anno dopo accuserà i Kiss di aver usato la scusa dell’artrite per farlo fuori dopo appena un disco insieme.
No, No, No
Estate 1985. I Kiss si ritrovano in studio a New York per registrare Asylum, il primo con il nuovo chitarrista Bruce Kulick. Il singolo scelto per l’ormai immancabile video per Mtv è “Tears Are Falling”, che prosegue imperterrito sul sentiero pop-metal esplorato in Animalize. La band continua a “ispirarsi” agli Spinal Tap in “Uh! All Night”, mostrando una marcata pochezza compositiva in brani come “I'm Alive” e “Trial By Fire”. Sparita del tutto la furia oscura di Creatures Of The Night, sostituita da un modello heavy-pop buono per radio e stadi. A dimostrazione di una mancanza di azzardo, tracce accettabili come “King Of The Mountain” vengono sommerse da un Aor ai limiti dell’inascoltabile.
Asylum vende però oltre 500mila copie, piazzandosi al numero 22 della classifica americana, a sostenere e mandare avanti una band che è però diventata il ricordo di se stessa. Il merito di questa ostinata sopravvivenza è certamente di Paul Stanley, unico timoniere mentre Simmons si diletta nel ruolo di produttore discografico (Plasmatics, E-Z-O).
Iniziato l’immancabile tour nordamericano nel novembre 1985, la band cambia manager assoldando il consulente Larry Mazur. E i cambiamenti non finiscono qui perché è in preparazione un disco differente, che taglia fuori temporaneamente Simmons dopo un chiarimento con un imbufalito Stanley. Maggiore spazio verrà così dato a Carr e Kulick, con l’aiuto del produttore Ron Nevison (Heart, Ozzy Osbourne) che guiderà dall’esterno il gruppo dopo due album autoprodotti.
Crazy Nights è anticipato dal modesto singolo pop-rock “Crazy Crazy Nights”, a sorpresa un successo nel Regno Unito dove arriva fino in quarta posizione. Una magra consolazione, almeno da un punto di vista artistico: l’album si rivela un disastro assoluto, macchiato da un uso inspiegabile di tastiere e sintetizzatori. La band continua a copiare senza alcuna verve creativa il sound di Bon Jovi e Def Leppard, proseguendo imperterrita su un hair-metal di quart’ordine in brani come “I'll Fight Hell To Hold You” e “Bang Bang You”. Se la chitarra di Kulick prova a dare la spinta giusta, “"No, No, No" è resa innocua dal lavoro di produzione di Nevison, che non riesce a replicare quanto di buono fatto con altre band (Heart in primis). Viene così fuori un disco debolissimo, dove il metal cede al pop più commerciale (“Hell Or High Water”) e soprattutto a inefficaci strati di tastiere (“My Way”).
Alla metà di novembre parte il nuovo tour mondiale, con tappa inglese al Monsters of Rock Festival a Castle Donington, con Guns’n’Roses, David Lee Roth, Iron Maiden e Megadeth. Verso la fine del 1988 esce la compilation Smashes, Thrashes & Hits, che include due nuovi brani scritti da Stanley con Desmond Child. “Let's Put The X In Sex” e “(You Make Me) Rock Hard” continuano su un ritmo pop ballabile guidato dalle tastiere di Phil Ashley, entrambe rilasciate come singoli con tanto di video per Mtv.
Nel febbraio 1989 Paul Stanley decide di esibirsi da solista in un breve tour statunitense, presentando al pubblico il nuovo singolo “Hide Your Heart”, ad anticipazione del disco Hot In The Shade, in uscita alla metà di ottobre. Grazie al rinnovato coinvolgimento di Simmons dopo le esperienze a Hollywood, il disco prova a rifasare il sound della band, abbandonando gli esperimenti con le tastiere. Il tentativo è a vuoto, nonostante un approccio meno smaccatamente pop. Se la power-ballad “Forever” arriva fino all’ottavo posto nella Billboard Hot 100 - miglior risultato dai tempi di “I Was Made For Lovin’ You” - il disco non si discosta più di tanto dal tenore degli ultimi lavori. Troppi i riempitivi (“You Love Me To Hate You”, “Cadillac Dreams”) per una durata eccessiva di quasi 60 minuti. L’intro blues di “Rise To It” si trasforma nell’ennesimo tentativo di costruire una hit a partire dalla struttura hair-metal, ma brani come “Read My Body” rileggono troppo pedissequamente il repertorio dei Def Leppard. Unico spiraglio di luce è il rock'n'roll muscolare in stile Ac/Dc di “Little Caesar”, eccezionalmente cantata da Eric Carr.
Mentre montano le prime indiscrezioni su una possibile reunion della formazione originale, i Kiss si prendono qualche mese in più per preparare il nuovo tour. Si parte negli States nel marzo 1990, per terminare al Madison Square Garden a novembre. Sono gli ultimi concerti con Eric Carr alla batteria, improvvisamente afflitto da una rara forma di cancro al cuore. The Fox si opera con successo nella primavera del 1991, tornando in studio con la band per registrare “God Gave Rock And Roll to You II”, dove si limita a una parte vocale con il sostituto Eric Singer alle pelli. Nato nel maggio 1958 a Cleveland, Ohio, Eric Doyle Mensinger si è avvicinato alla batteria da giovanissimo, sullo stile di musicisti iconici come Keith Moon e John Bonham. Figlio di un musicista, Eric ha lavorato per alcuni anni in un negozio di strumenti musicali, prima di entrare nei Beau Coup e poi nella touring band di Lita Ford nel 1984. Nell’anno seguente ha compiuto il grande salto, unendosi ai Black Sabbath per l’album “Seventh Star”. Passato nella band di Gary Moore, Singer ha poi scelto il gruppo metal Badlands, prima di accompagnare Paul Stanley nel suo breve tour americano all’inizio del 1989.
Quando viene annunciata al mondo la tragica morte di Eric Carr, il 24 novembre 1991, il nuovo batterista dei Kiss esordisce sul nuovo disco Revenge, pubblicato a maggio 1992 con il ritorno del produttore Bob Ezrin dopo la pessima esperienza in Music From “The Elder”. Dedicato alla memoria di The Fox, Revenge è l’album che spezza la tendenza pop-metal, come a segnare effettivamente una vendetta verso un certo sound portato avanti dagli stessi Kiss. Simmons e Stanley accolgono nuovamente il chitarrista Vinnie Vincent - inizialmente pentito per i comportamenti avuti, poi di nuovo in rotta con i due sempre per questioni legate al denaro - per lavorare su alcuni brani cardine del disco. Spinge così il ritmo trash di “Unholy”, finalmente scevro da ogni colorazione al gusto mainstream. Dalla marziale “Heart Of Chrome” al rock di “I Just Wanna”, i Kiss lavorano su nuovi fuochi d’artificio, offrendo ai vecchi fan un sound piacevolmente seventies nella cover “God Gave Rock‘n’Roll To You II” (Argent).
La mano oscura di Ezrin riesce così a plasmare un prodotto all’altezza del nome della band, che rallenta e potenzia (“Take It Off”, “Tough Love”) finendo addirittura col divertirsi come un tempo (“Spit”). Tornato a concentrarsi sul progetto, Gene Simmons porta il robusto rock-blues “Domino”, mentre Stanley convince con la performance vocale sull’intima “Every Time I Look At You”. In chiusura, l’omaggio al compianto Eric Carr nella strumentale “Carr Jam 1981”, per sigillare il miglior lavoro dai tempi di Lick It Up.
Unplugged & Reunited
Partito il 23 aprile 1992 da San Francisco, il “Revenge Tour” è il primo con il nuovo batterista Eric Singer. Nonostante l’ottimo sesto posto ottenuto in classifica dal convincente ultimo album, i Kiss non riescono più a riempire gli stadi, costretti a suonare in club decisamente più piccoli. Diverse sono addirittura le date cancellate per mancanza di biglietti venduti, mentre la vita sfrenata condotta da Simmons e Stanley porta a consistenti perdite economiche. Ecco perché urge una nuova pubblicazione sul mercato discografico, la terza puntata della serie “Alive” prodotta da Eddie Kramer dalle recenti registrazioni nei concerti di Cleveland, Indianapolis e Detroit.
Anche su Alive III fioccano speculazioni su un massiccio lavoro di overdubbing, mentre la band è accolta da una fragorosa ovazione sulla versione martellante di “Creatures Of The Night”. È il primo disco dal vivo nel periodo non-makeup, che ovviamente non può tenere il confronto con i primi due capitoli della serie. La band galleggia tra passato (“Deuce”) e presente (“Unholy”, “I Just Wanna”), ma pur conservando una proverbiale aggressività, non riesce a spingere oltre l’ordinaria amministrazione. Servono per questo i vecchi classici, dalla disco di “I Was Made For Lovin' You” alla festa collettiva “Rock And Roll All Nite”. Curiosità: l’assolo di Bruce Kulick nella finale “Star Spangled Banner” sarà inserita nella “Top 10 National Anthem Guitar Solos” prima di quella di Ace Frehley.
Alive III funziona a livello commerciale, salendo fino al nono posto nella classifica statunitense e garantendo al gruppo un nuovo disco d’oro. Dopo essere entrati nella Rock and Roll Hall of Fame alla fine del 1993, i Kiss si imbarcano in un breve tour giapponese e proseguono la propaganda marketing con il tomo di oltre 400 pagine “KissStory”. Nel 1995 riabbracciano Peter Criss in una delle tradizionali convention organizzate con la fanbase a Los Angeles, suonando insieme “Hard Luck Woman”. Generalmente acustiche, le versioni eseguite durante le Kiss convention portano all’idea di un concerto unplugged per la famosa serie organizzata da Mtv. Il 9 agosto 1995 la band entra nei Sony Music Studios di New York per registrare l’esibizione live, invitando eccezionalmente i vecchi compagni Peter Criss e Ace Frehley con il benestare di Kulick e Singer. In un paio di cene, Simmons e Stanley hanno infatti parlato apertamente con Catman e The Spaceman, per assicurarsi che i loro problemi con alcol e droghe fossero ormai superati. Scattano così nuove empatie, riflessioni sulle nuove generazioni che non hanno mai assistito a un live dei Kiss in trucco e parrucco.
Kiss Unplugged rappresenta per questo una prova generale di reunion, una celebrazione di vecchio e nuovo che emoziona ogni frangia di fan, inclusa la celebre Kiss Army. Dalla muscolare versione elettro-acustica di “Comin' Home”, la band sembra ormai pronta a lasciarsi alle spalle il periodo unmasked, tornare alle origini con i vecchi amici per consegnare il marchio Kiss alla storia della musica mondiale. Raramente acustico, il sound si adatta meravigliosamente nelle versioni di “Plaster Caster” e soprattutto “Goin’ Blind”, prima di tornare alla dimensione arena-rock in “Do You Love Me?”.
La magia dell’unplugged regala nuova vita a brani mediocri come il blues polveroso “Domino” e il soul-pop “Sure Know Something”. I Kiss giocano tra intimità ed energia (“Rock Bottom”), rendendo harrisoniana la ballad “See You Tonight” fino alla magica versione dark di “I Still Love You”. Poi Stanley annuncia: “abbiamo alcuni membri della famiglia qui stasera”. Accolti da un boato, Ace Frehley e Peter Criss riprendono la scena sulla scatenata cover degli Stones “2,000 Man”, con il batterista che offre nuovamente la voce su “Beth”. Si torna così ai fasti del passato, al rock’n’roll lascivo “Nothin’ To Lose”, prima della festa finale in pieno stile Kiss, con la party-song “Rock And Roll All Nite”, che mostra tutta la sua elettricità anche con gli strumenti acustici.
L’energia collettiva scatenata da Kiss Unplugged - ottimo quindicesimo posto nelle chart a stelle e strisce - infonde nella band un nuovo slancio, pronta a rispolverare dalle catacombe gli ormai leggendari personaggi alieni. Demon, Starchild, Spaceman e Catman salgono a bordo della Uss Intrepid nell’aprile 1996 per annunciare che i Kiss originali sono tornati, pronti a imbarcarsi nel mastodontico “Alive/Worldwide Tour”, in partenza alla fine di giugno da Detroit per finire oltre un anno dopo a Londra con un totale di quasi 200 concerti in giro per il mondo. Mentre si rimettono in forma per evitare di apparire troppo appesantiti, Simmons e soci fanno registrare quasi ovunque il tutto esaurito, guadagnando un totale di circa 44 milioni di dollari nel tour più caldo dell’anno.
In contemporanea, a giugno, viene pubblicata la raccolta live You Wanted The Best, You Got the Best!!, che riporta le maschere in copertina e include diverse versioni prese da Alive e Alive II. È ovviamente un’operazione commerciale per cavalcare la reunion e il tour in corso, arricchita da alcuni inediti come “Room Service” e “Two Timer”.
We Are One?
Al termine del lungo tour mondiale con la formazione originale, la band è costretta a pubblicare l’album Carnival Of Souls: The Final Sessions, a causa dei numerosi bootleg circolati tra i fan dopo le sessioni di registrazione con Singer e Kulick ai Music Grinder di Hollywood tra il novembre 1995 e il febbraio 1996. Si tratta dell’ultimo disco prodotto con l’ultima incarnazione del gruppo in modalità unmasked, accantonato dagli stessi Kiss per dare il via libera al progetto di reunion. L’idea iniziale era sicuramente saggia, visto che brani come “Hate” e “Rain” presentano ritmi rallentati in una inedita salsa grunge. Un genere che i Kiss dimostrano ampiamente di non poter/saper masticare, oltretutto in un disco lunghissimo che solo un vero fan potrebbe digerire.
Galvanizzati dal successo dell’ultimo tour, i Kiss decidono di continuare con Frehley e Criss anche su disco. Assoldano il produttore Bruce Fairbairn - noto nel settore per il grande successo di “Slippery When Wet” dei Bon Jovi - per registrare dieci brani inediti che formeranno il primo disco con la formazione originale dai tempi di Dynasty.
Introdotto da un’inquietante marcia circense, Psycho Circus tenta di riabilitare il gruppo tra i vecchi fan, a partire dalla title track che ottiene un grande successo commerciale pur essendo un semplice mainstream-rock. In “Within” emerge la chitarra power-metal di Kulick - Frehley in realtà suona solo in tre brani, alla faccia della reunion - mentre “I Pledge Allegiance To The State Of Rock & Roll” prova a ricreare l’effetto anthem con un sound particolarmente simile a quello dei Foo Fighters. Meglio l’hard-rock “Into The Void”, non a caso con il contributo di Ace, mentre “We Are One” mostra il fianco a un pop melodico completamente fuori luogo. I Kiss ritrovano parzialmente antichi fasti nella corale “You Wanted The Best”, riabbracciando ancora Bob Ezrin sulla melassa orchestrale “I Finally Found My Way”.
Il ritorno su disco della line-up originale non piace ad Alice Cooper, che denuncia i Kiss per il plagio della sua “I’m Eighteen” in “Dreamin’”, causa successivamente vinta dal maestro dello shock-rock.
Uscito alla fine di settembre, Psycho Circus ottiene un buon successo commerciale, arrivando nella Top 3 sia negli Usa che nel Regno Unito. In partenza da Los Angeles il 31 ottobre 1998, il tour di promozione dell’album è ancora più mastodontico, portando sul palco effetti in 3-D. I Kiss sono perfettamente consapevoli che lo spettacolo non potrà andare avanti per molto, così annunciano un tour di addio, il “Farewell Tour”, in partenza l’11 marzo 2000 da Phoenix e successivamente ampliato fino a includere un totale di 142 date in tutto il mondo.
Simmons e Stanley vogliono chiudere il capitolo di una grande storia nuovamente all’apice del successo, per evitare di sprofondare nuovamente come successo negli anni 80. Ace Frehley ha già comunicato agli altri che sarà fuori alla fine del tour, per concentrarsi sulla sua carriera solista, mentre Peter Criss uscirà in corsa dopo la scadenza del contratto a ottobre, distruggendo la batteria alla fine dell’ultima sua data americana. Ancora una volta l’apparente unità interna alla band è rovinata da questioni economiche, mentre Criss viene sostituito da Eric Singer per terminare le ultime leg in Giappone e Australia. Il batterista dovrà assumere per questo le sembianze di Catman, a ribadire lo status di brand ormai acquisito dal gruppo. Non è un caso che verrà poco dopo licenziato il più discutibile tra i loro gadget, un’autentica bara decorata con logo e foto. A corredo la dichiarazione di Simmons: “Mi piace vivere, ma questo rende l’alternativa abbastanza buona”.
Fine corsa
Nel 2002, i Kiss si esibiscono alla cerimonia dei giochi olimpici invernali di Salt Lake City, con Singer alla batteria e Frehley alla chitarra, ultima apparizione di Spaceman con la band. Per un concerto privato in Giamaica, a marzo, viene assoldato Tommy Thayer, originario di Portland e già membro della cover band Cold Gin. Thayer prende il personaggio di Ace, evitando di inserire un’altra maschera per mantenere una sorta di line-up “originale”.
All’inizio del 2003, i Kiss partono per l’Australia per un nuovo ambizioso progetto, un live con la Melbourne Symphony Orchestra al Telstra Dome, con la conduzione del compositore canadese David Campbell. Thayer sostituisce Frehley, mentre si assiste al ritorno di Peter Criss per volontà degli organizzatori che richiedono almeno tre membri originali della band. Pubblicato sulla nuova etichetta Kiss Records, Kiss Symphony: Alive IV esce prima come disco singolo e poi come doppio, essendo diviso in tre atti per oltre 90 minuti di musica. Il primo atto è in formato elettrico, aperto dalle pirotecniche versioni dei classici “Deuce” e “Strutter”. Pur impegnandosi a dovere, Thayer suona in modo eccessivamente diretto, come a voler evitare ambizioni personali dopo le diverse critiche piovute dai fan per l’usurpazione del ruolo di Spaceman. Il secondo atto del disco è introdotto dalla melodia di “Beth” con gli orchestrali truccati per l’occasione come i membri della band. La scaletta è un mix tra l’unplugged Mtv e partiture orchestrali, dalla romantica “Forever” all’oscura “Goin' Blind”, macchiata da una performance vocale non all’altezza da parte di Simmons. Il terzo atto è effettivamente un adattamento del sound esplosivo alla musica sinfonica, a partire da “Detroit Rock City” fino all’immancabile “Rock And Roll All Nite”.
Nonostante le dichiarazioni in pubblico sullo scioglimento del gruppo, i Kiss tornano dal vivo nel corso del 2003 in un tour insieme agli Aerosmith. Per l’occasione Simmons prova a convincere Frehley, che rifiuta categoricamente di tornare nella band. Il nuovo giro di concerti frutta oltre 60 milioni di dollari, anche grazie a uno speciale platinum ticket dal costo di circa mille dollari. Il contratto di Peter Criss scade nel marzo 2004, non rinnovato per far spazio definitivamente a Eric Singer. Il batterista pubblica sul suo sito un comunicato pieno di rancore, per essere stato estromesso senza alcuna forma di contrattazione. Parte così il “Rock The Nation 2004 World Tour”, con il supporto dei Poison e concluso ad agosto in una trionfale data sold-out a Mexico City. Tra il 2005 e il 2007 le apparizioni della band sono decisamente più rare, anche a causa di alcuni problemi di salute di Paul Stanley.
Diverse sono le raccolte a coprire il buco nell’attività, fino al nuovo disco dal vivo Alive! The Millennium Concert che viene pubblicato verso la fine del 2006. Lo spettacolo è più vecchio, registrato il 31 dicembre 1999 al Bc Place Stadium di Vancouver, British Columbia, e include diverse canzoni del periodo unmasked ("Heaven's On Fire", "I Love It Loud" e "Lick It Up").
Il 30 gennaio 2008 viene annunciato l’“Alive 35 World Tour”, vero ritorno sulla scena mondiale tra Stati Uniti, Europa e Australia. Si parte a maggio in Germania per finire a dicembre 2009 negli Stati Uniti, suonando in grandi spazi davanti a quasi 600mila spettatori. La leg americana, da aprile 2009, rappresenta l’occasione per suonare dal vivo alcuni brani del nuovo disco, annunciato a sorpresa da Paul Stanley a dieci anni dall’ultimo lavoro Psycho Circus.
Pubblicato a ottobre e prodotto dallo stesso Stanley con il supporto di Greg Collins, Sonic Boom vuole rappresentare un ritorno al sound classico degli anni 70. In effetti, i Kiss ripropongono la semplicità lirica e strumentale in brani come “Russian Roulette” e “Danger Us”, basati su riff hard-rock elementari ma efficaci al primo ascolto. “Yes I Know (Nobody's Perfect)” è il nuovo rock’n’roll firmato Gene Simmons, che si muove a metà tra “Nothin’ To Lose” e “Black Diamond” con la massima soddisfazione di tutti i fan di vecchia data.
Nonostante le contestazioni per la fuoriuscita di Criss e Frehley - Thayer e Singer non convincono come co-autori e cantanti sulle rispettive “When Lightning Strikes” e “All For The Glory” - i Kiss ritrovano quella rudimentale idiozia che li ha resi “la più calda band sul pianeta”. Dal ritmo marziale di “Modern Day Delilah” all’anthemica “Never Enough”, Sonic Boom è un autentico ritorno al passato, forse il più simile al suono classico dai tempi di Love Gun.
Sonic Boom scalda le classifiche americane, lanciando un nuovo tour mondiale in partenza da Sheffield, Regno Unito, il 1 maggio 2010. Mentre sono in Europa, Simmons e Stanley ricevono la notizia della morte di Bill Aucoin per un cancro, all’età di 66 anni. La leg statunitense parte a fine luglio, denominata “The Hottest Show On Earth Tour”, prima di avviare nuove sedute di registrazione nell’aprile 2011, ancora con la coppia Stanley - Collins in cabina di regia. Annunciato da Simmons come un album diretto e senza fronzoli, Monster esce nell’autunno 2012 su etichetta Universal. Il disco prosegue l’operazione di recupero del sound più classico, a partire dal boogie scatenato “All For The Love Of Rock & Roll”. L’intro a cappella di “Eat Your Heart Out” ripropone in salsa diversa la struttura di “Shout It Out Loud”, mentre in “Take Me Down Below” si recuperano addirittura le prime fantasie sessuali in odore di machismo. Dal rock’n’roll a cento all’ora nel singolo “Hell Or Hallelujah” al ritmo ripetuto e ossessivo di “Freak”, Monster è un nuovo disco onesto, senza alcuna ambizione creativa. Nessuna ballad, zero tastiere, solo rock divertente e senza pretese.
Il nuovo lavoro in studio viene portato nel “The Tour” condiviso con i Mötley Crüe tra luglio e ottobre 2012, successivamente in maniera più estesa nel “Monster World Tour” per quasi 60 date tra novembre 2012 e novembre 2013, con la presenza scenica di un ragno gigante robotico.
Nel 2014 i Kiss intraprendono un nuovo tour con i Def Leppard, prima di entrare dopo svariati tentativi nella Rock and Roll Hall of Fame ad aprile. Simmons vorrebbe suonare alla cerimonia, ma i rapporti ormai tesi con Criss e Frehley glielo impediscono. A fine anno la band di esibisce in nove serate consecutive al Hard Rock Hotel and Casino di Las Vegas, registrando diverso materiale per il nuovo album dal vivo Kiss Rocks Vegas, in uscita due anni dopo. A inizio 2015 arriva la spiazzante collaborazione con il gruppo j-pop Momoiro Clover Z, sul singolo “Yume no Ukiyo ni Saite Mi na”, mentre la Riaa risconosce al gruppo il record di album d’oro (30), più di ogni altra band americana nella storia dell’associazione discografica.
L’anno successivo inizia il “Freedom To Rock Tour”, seguito dal “Kissworld Tour” tra il 2017 ed il 2018. Simmons parla con la stampa della possibilità di incidere un nuovo disco, mentre Stanley è convinto che il gruppo può continuare con la sola attività dal vivo.
Alla fine del 2018, dopo un’apparizione al programma tv “America’s Got Talent”, Paul Stanley annuncia al mondo che i Kiss si imbarcheranno in un tour di addio alle scene. “Sarà il nostro ultimo tour. Il più grande ed esplosivo mai visto. La gente che ci ama verrà a vederci. Se non ci avete mai visti live è questo il momento. Questo sarà lo spettacolo”.
L’“End Of The Road Tour” inizia così il 31 gennaio 2019 a Vancouver, permettendo al gruppo di stimare un entrata mostruosa tra i 150 e i 200 milioni di dollari. La prima leg è in Nord America, subito al centro di furiose polemiche per il presunto utilizzo della tecnica del lip sync per preservare le corde vocali soprattutto di Stanley. Arrivato in Europa e Giappone, lo spettacolo torna negli States prima di fermarsi a causa della pandemia mondiale da Covid-19 nel marzo 2020. Il giro di concerti continua nell’estate 2021, mentre Simmons e Stanley provano invano a convincere Frehley a unirsi per qualche brano. L’ultimo show dell’estenuante tour è al Madison Square Garden di New York il 2 dicembre 2023, dopo ben 250 date e 13 leg.
L’ultima mossa di marketing lanciata dai Kiss riguarda un possibile tour di avatar in realtà virtuale che partirebbe nel 2027, dopo un investimento visionario con Industrial Light & Magic e la svedese Pophouse, che nel 2024 acquista l’intero catalogo del gruppo per una cifra riportata di 300 milioni di dollari. La sensazione è che la storia dei Kiss non sia affatto finita qui.
KISS | ||
Kiss (Casablanca, 1974) | 7,5 | |
Hotter Than Hell (Casablanca, 1974) | 6 | |
Dressed To Kill (Casablanca, 1975) | 7 | |
Alive! (Casablanca, 1975) | 8,5 | |
Destroyer (Casablanca, 1976) | 8 | |
Rock And Roll Over (Casablanca, 1976) | 6 | |
Love Gun (Casablanca, 1977) | 6 | |
Alive II (Casablanca, 1977) | 7 | |
Dynasty (Casablanca, 1979) | 5 | |
Unmasked (Casablanca, 1980) | 4,5 | |
Music From “The Elder” (Casablanca, 1981) | 4 | |
Killers (Casablanca, 1982) | 6 | |
Creatures Of The Night (Casablanca, 1982) | 7 | |
Lick It Up (Mercury Records, 1983) | 6,5 | |
Animalize (Mercury Records, 1984) | 5 | |
Asylum (Mercury Records, 1985) | 4 | |
Crazy Nights (Mercury Records, 1987) | 3 | |
Hot In The Shade (Mercury Records, 1989) | 4,5 | |
Revenge (Mercury Records, 1992) | 6,5 | |
Alive III (Mercury Records, 1993) | 5 | |
Kiss Unplugged (Mercury Records, 1996) | 7 | |
You Wanted The Best, You Got The Best!! (Mercury Records, 1996) | 6 | |
Carnival Of Souls: The Final Sessions (Mercury Records, 1997) | 3 | |
Psycho Circus (Mercury Records, 1998) | 5 | |
Kiss Symphony: Alive IV (Kiss Records, 2003) | 6 | |
Alive! The Millennium Concert (Mercury Records, 2006) | 6 | |
Sonic Boom (KISS Records, 2009) | 6 | |
Monster (Universal Music, 2012) | 6 | |
Kiss Rocks Vegas (Eagle Rock, 2016) | 5 | |
GENE SIMMONS | ||
Kiss - Gene Simmons (Casablanca, 1978) | 6 | |
PAUL STANLEY | ||
Kiss - Paul Stanley (Casablanca, 1978) | 6 | |
ACE FREHLEY | ||
Kiss - Ace Frehley (Casablanca, 1978) | 7 | |
PETER CRISS | ||
KISS - Peter Criss (Casablanca, 1978) | 4 |
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