Our band could be your life
Real names'd be proof
Me and Mike Watt played for years
Punk rock changed our lives
“
Our band could be your life. Scenes from the American Indie Underground, 1981-1991” (2002) – tradotto in Italia da
Carlo Bordone per Arcana – è una delle bibbie della musica rock anglofona. Michael Azerrad – giornalista autore della biografia dei
Nirvana (“Come As You Are”, 1993), poi
editor dell’autobiografia di
Bob Mould (“See a Little Light”, 2011) – traccia le parabole delle band seminali del genere arrivando fino al fatidico 1991, “the year punk broke”, come lo definirono i
Sonic Youth nel celebre omonimo film di David Markey, sul fermento di allora, quando “
Nevermind” (Geffen, 1991) arrivò agli apici delle classifiche di mezzo mondo.
Nel tempo il testo è divenuto simbolo della musica alternative/indie rock rigorosamente
do-it-yourself, raccontando gli anni indipendenti di band poi passate su
major (
Husker Du,
Replacements,
Mudhoney,
Butthole Surfers, Sonic Youth,
Dinosaur Jr.) insieme a gruppi fedeli all’etica dell’autoproduzione e al circuito
underground (
Black Flag,
Minutemen,
Minor Threat,
Mission of Burma,
Beat Happening,
Fugazi,
Big Black).
I dischi la cui produzione emerge dal libro sono capolavori del genere: “
Damaged” dei Black Flag (SST, 1981), “
Vs” dei Mission Of Burma (Ace of Hearts, 1982), “
Zen Arcade” degli Husker Du (SST, 1984), “
Double Nickels On The Dime” dei Minutemen (SST, 1984), “
Let It Be” dei Replacements (TwinTone, 1984), “
Psychic… Powerless… Another Man’s Sac” dei Butthole Surfers (Touch and Go, 1985), “
Bad Moon Rising” dei Sonic Youth (Homestead, 1985), “
Atomizer” dei Big Black (Homestead, 1985) – talmente intransigenti da non essere presenti su Spotify, e quindi nella playlist – “
You’re Living All Over Me” dei Dinosaur Jr. (SST, 1987), “
Jamboree” dei Beat Happening (K, 1987), “
Repeater” dei Fugazi (Dischord, 1990).
Procedendo col racconto, si delinea una costellazione di scene, un intreccio di generi con reciproche influenze, un network di etichette e
fanzine che costituiscono l’ossatura di quello che Azerrad definisce “the American indie underground”. La playlist che vi proponiamo segue nella prima parte l’ordine dei profili storico-biografici presentati dall'autore attraverso una serie di brani paradigmatici per ciascuna band, mentre la seconda parte esplora maggiormente le affinità sotterranee, i dialoghi “a distanza”, i riverberi sonori e concettuali.
Non si può non partire che dai Black Flag, dalla
label SST e dal sodalizio iconico della band con l'artista Raymond Pettibon, fratello del chitarrista e produttore Greg Ginn. Come chiave di volta troverete la malinconica “Indian summer” del Pacific Northwest che si trasforma nella incandescente “Celebrated Summer” del Midwest, per passare ai memorabili versi di "History Lesson Pt. 2" scelti da Azerrad per titolare – e significare – il libro e chiudere con "Strangers Die Everyday", sorta di epitaffio di una bruciante stagione scelto da Richard Linklater per siglare il film "Slacker" (1991), manifesto di una generazione non allineata ai valori dominanti e attiva nella produzione autonoma dei propri contenuti culturali e artistici.