8-9/07/2023

Blur

Wembley Stadium, Londra


Negli ultimi mesi i fan dei Blur è come se stessero vivendo un vero e proprio sogno a occhi aperti. Tutto è iniziato in una grigia giornata di metà novembre, quando la band inglese a sorpresa ha annunciato una data in quel di Wembley (i biglietti, andati subito esauriti, ne avrebbero poi generata un'altra, prevista per il giorno dopo), a cui ne sarebbero seguite altre sparse un po' in tutta Europa, Italia compresa (sabato 22 luglio come headliner del Lucca Summer Festival). Poi, a distanza di poche settimane l'uno dall'altro, sono usciti tre dischi in qualche modo connessi al "mondo Blur": nell'ordine, "Radio Songs" (esordio solista, tutt'altro che disprezzabile, del batterista Dave Rowntree), "The WAEVE" (debutto art rock dell'omonimo supergruppo formato dal chitarrista Graham Coxon e dalla sua attuale compagna Rose Elinor Dougall, autori di uno dei lavori più interessanti di questa prima metà del 2023) e "Cracker Island" (più che discreto ritorno dei Gorillaz di Damon Albarn). Insomma, all'appello mancava solo il bassista Alex James, evidentemente ancora troppo impegnato nella sua attività parallela di produttore di formaggi (ma confidiamo che, prima o poi, pure lui possa regalarci un disco inedito, magari nello stile barrettiano-spaziale di "Far Out", l'unico brano dei Blur da lui composto e cantato). E infine, come ciliegina sulla torta, ecco arrivare anche la notizia più attesa, quella di un nuovo album dei Blur a distanza di otto anni dal precedente "The Magic Whip": anticipato da due singoli parecchio convincenti nella loro diversità, "The Ballad Of Darren" uscirà nei prossimi giorni, per la precisione venerdì 21 luglio.

 

Benché ufficialmente mai scioltisi, dal 2003 in poi l'attività dei Blur si è fatta sempre più esigua e per questo motivo ogni loro concerto viene salutato come un evento, di quelli che accadono solo nelle grandi occasioni. Fu così anche nel 2009, quando la band - per festeggiare il proprio ventesimo anniversario - tornò a suonare dal vivo dopo un lungo silenzio per una data a Hyde Park, immortalata nell'imperdibile documentario "No Distance Left To Run", e partecipò poi al festival di Glastonbury dello stesso anno. Qualcosa di simile si sarebbe ripetuto nel 2012, sempre a Hyde Park, ma questa volta in occasione della chiusura ufficiale dei Giochi Olimpici di Londra. Tre concerti storici, andati talmente bene da convincere i Blur a imbarcarsi nel 2013 in una nuova tournée mondiale, durante la quale - bloccati per qualche giorno a Hong Kong - avrebbero trovato il tempo per scrivere il materiale che sarebbe poi finito su un nuovo album, "The Magic Whip" del 2015, annunciato al solito senza alcun preavviso, cogliendo tutti impreparati. Geniali operazioni di marketing o semplicemente tutto affidato al caso? Nel dubbio, tanto valeva assicurarsi un biglietto per un nuovo concerto-evento, questa volta ancora più speciale degli altri, poiché organizzato nel tempio della musica britannica (e non solo): lo stadio di Wembley. Una location iconica destinata solo a pochi eletti, un palco che i Blur non avevano mai calcato prima e che ora sono invece riusciti a riempire per due serate di fila.

Sulla resa live dei Blur si è sempre dibattuto a lungo, fin da quando nel 1992 i quattro ragazzi dell'Essex tornarono a casa con le ossa rotte e il morale a terra dopo un disastroso tour negli Usa, durante il quale si erano fatti notare più che altro per la quantità esagerata di alcol ingurgitato prima di salire sul palco. Nel periodo della cosiddetta "trilogia Life", all'apice del successo, si diceva che la loro musica - spesso orchestrale e ricca di strumenti a fiato - fosse troppo complicata per essere riprodotta fedelmente dal vivo, un po' come quella dei Beatles da "Revolver" in poi. E il rischio di ritrovarseli in condizioni discutibili (erano ben noti i problemi di Coxon con la bottiglia) rimaneva comunque concreto. Preoccupazioni per fortuna spazzate via dalle più recenti pseudo-reunion: la maturità, infatti, oltre a una buona dose di saggezza, ha portato con sé anche una maggiore professionalità, che ha trasformato i Blur in una macchina da guerra dal vivo (come dimostrano gli album "All The People: Blur Live At Hyde Park" del 2009 e "Parklive" del 2012), abili a destreggiarsi sia nei pezzi più potenti sia in quelli più delicati e raffinati. Certo, di tanto in tanto qualche stecca o stonatura può ancora capitare (chi si aspetta solo esibizioni tecnicamente impeccabili e senza errori, è meglio che si rivolga altrove), ma è soprattutto l'energia e la passione dei Nostri a rendere davvero unico e così coinvolgente un concerto dei Blur. E dove la voce del 55enne Albarn non può più arrivare... beh, in quel caso ci pensa il pubblico a dargli una mano. Ce ne siamo resi ulteriormente conto sabato 8 luglio, in occasione della prima delle due date in programma a Wembley.

I cancelli aprono alle 17 e sul palco di Wembley si alternano artisti più o meno di punta dell'attuale scena alternativa inglese, come il duo elettronico Jockstrap (una delle rivelazioni dello scorso anno, un po' penalizzati dall'acustica dello stadio), gli Sleaford Mods (la cui proposta a base di spoken word su basi synth-punk minimaliste finisce, alla lunga, per diventare troppo ripetitiva) e infine la multistrumentista Self Esteem (che con il suo electropop dai contorni gospel riesce a coinvolgere buona parte del pubblico). E poi alle 20,35, in perfetto orario, tocca proprio a loro: i Blur arrivano sul palco sulle note del valzer "The Debt Collector", Damon Albarn saluta il pubblico con un telegrafico "Good evening, Wembley", Alex James si accende la proverbiale sigaretta e Graham Coxon scalda i motori con l'intro chitarristica della nuovissima "St. Charles Square"... si parte!
Prendendo parte del pubblico alla sprovvista, i Blur iniziano il concerto proprio con il loro ultimo singolo appena uscito, un brano post-punk dal sapore bowiano che sembra provenire direttamente dalle registrazioni di "Scary Monsters", con la chitarra di Coxon che non ha mai suonato così frippiana. Chi è rimasto disorientato da un inizio atipico e se vogliamo pure un po' coraggioso, in ogni caso, ha la possibilità di rifarsi subito dimenandosi sul riff e sul contagioso ritornello di "There's No Other Way", che riporta per un attimo le lancette indietro ai tempi dell'era baggy, con Wembley trasformata in "Madchester". L'anello di congiunzione tra la primissima fase dei Blur e quella appena successiva con cui, di fatto, diedero vita al britpop, è "Popscene", fondamentale singolo (all'epoca incompreso) uscito nel 1992, da sempre uno dei pezzi più tirati nelle esibizioni dal vivo del quartetto londinese, grazie anche a quell'inconsueta commistione di chitarre taglienti e ottoni.
Il pubblico, ormai definitivamente scioltosi, può partecipare più attivamente, accompagnando con grande trasporto i cori di "Tracy Jacks" e preparandosi alla prima vera e propria hit della serata, quella "Beetlebum" che nel 1997 riportò i Blur in vetta alla classifica britannica e che dal vivo valorizza ancora di più la fantastica coda strumentale. La scaletta sembra inizialmente seguire una certa progressione cronologica ed eccoci trasportati nel momento più elettrico della seconda parte, quella più oscura, di "13": "Trimm Trabb", un lento crescendo ancora con Coxon (apparso in formissima) sugli scudi. Chi non apprezza il lato più sperimentale dei Blur ne approfitta per andare a ordinare una nuova birra, correndo però così il rischio di perdersi anche "Villa Rosie", forse il pezzo più inatteso della serata, risalente ai tempi di "Modern Life Is Rubbish", ripescata nel 2023 dopo decenni di assenza. Un altro gradito ritorno dal vivo è quello di "Stereotypes", la prima traccia di "The Great Escape" (album di cui i Blur si ostinano cocciutamente a non voler suonare "Charmless Man", nonostante le pressanti richieste dei fan).

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Il sole comincia a tramontare ed è tempo quindi di fare un po' di luce con le torce dei cellulari: sembra questa l'invocazione di "Out Of Time", il solo brano di "Think Thank" presente in scaletta (è andata peggio a "The Magic Whip", unico album a non essere rappresentato), primo momento prevalentemente acustico della serata, con Damon che per una volta ruba la scena a Graham come chitarrista. I ruoli si invertono anche nella canzone successiva, "Coffee & Tv", naturalmente cantata da Coxon con la sua fievole voce: purtroppo questa volta, a differenza di quanto successe a Milano esattamente dieci anni fa, nelle prime file non c'è nessun buontempone travestito da cartone da latte, ma il divertimento è comunque assicurato. Albarn rispolvera per l'occasione anche una delle sue composizioni più spiccatamente londinesi, quella "Under The Westway" composta nel 2012 proprio in occasione delle Olimpiadi ed eseguita dal vivo solo nel tour successivo: il giorno dopo, sul finire di questa bella canzone pianistica, si commuoverà a tal punto da mettersi a piangere a dirotto, interrompendo per qualche attimo il concerto. E a proposito di emozioni, bisogna ammettere che fa davvero un certo effetto assistere a 90.000 persone che intonano "End Of A Century", per poi esplodere nella riproposizione finale del ritornello, mentre Damon divertito indossa una maschera di Darren "Smoggy" Evans, la storica guardia del corpo dei Blur, protagonista involontario del nuovo album a lui intitolato.
Il concerto è ormai entrato in quella dimensione popolare in cui ogni canzone va cantata a squarciagola da tutto lo stadio ed ecco che i Blur si giocano furbescamente gli assi "Country House" e "Parklife": una doppietta micidiale, forse l'apice della serata in quanto a coinvolgimento del pubblico (in particolare, durante la title track del loro album più famoso, interpretata anche a Wembley dall'immancabile attore Phil Daniels, lo stadio dà l'impressione di tremare e le frasi "All The People/Some Many People" non sembrano essere mai state così appropriate).

Come ogni concerto dei Blur che si rispetti, non mancano i momenti esilaranti, alcuni preparati e altri spontanei: come, per esempio, quando il frontman si mette in posa da vamp (verrebbe da dire à-la Lana Del Rey, che avrebbe suonato a Londra ventiquattro ore dopo) prima dell'inizio di "To The End", la love song per antonomasia dei Blur, un brano tanto barocco e sofisticato quanto ammaliante per il pubblico, che anche in questo caso intona il ritornello a pieni polmoni, venendo incontro ad Albarn (il quale, a parte gli scherzi, se la cava benone).
Nel 2023 ricorrono anche i trent'anni da "Modern Life Is Rubbish", un album chiave per la carriera dei quattro londinesi, che insieme al debutto dei Suede e a quello degli Auteurs diede il via alla fortunata stagione britpop: i Blur ce lo ricordano con "Oily Water", che si addentra in territori shoegaze, e con la trascinante "Advert", uno dei cavalli di battaglia della loro indole più punk. È il preludio che porta al solito delirio di "Song 2", dove tutti - anche sulle tribune - si ritrovano a pogare tra un "Woo-hoo" e l'altro. A riportare un po' d'ordine, con quel suo andamento epico e solenne, ci pensa "This Is A Low", recentemente incoronata dal Guardian come miglior canzone dei Blur: sicuramente uno dei capolavori chitarristici di Coxon, ma anche uno dei testi più oscuri e visionari di Albarn (fa un certo effetto rileggere oggi versi come "E la regina ha perso la testa/ Si è gettata da Land's End").

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Dopo un breve momento di pausa, eccoci arrivati al bis, che parte sulle note scherzose di "Lot 105", quella stramba melodia un po' sulla falsariga delle sigle dei cartoni animati di Hanna-Barbera che chiudeva "Parklife", eseguita interamente dal vivo per la prima volta dal 1994 (!). I Blur sembrano dire "è qui la festa" e allora è giunto il momento di mettersi tutti a ballare "Girls & Boys" - magari indossando una tuta della Fila, come quella che l'azienda italiana ha ricreato per l'occasione per Damon Albarn - con lo stadio di Wembley trasformato in una enorme discoteca, nell'unico momento - insieme a "Country House" - in cui la band si concede un piccolo gioco di luci per un concerto che, per il resto, ha badato unicamente alla sostanza (non hanno del resto bisogno di questi mezzucci per riempire uno stadio, vero?).
Se la posizione di "Girls & Boys" all'interno delle setlist dei Blur è variabile, "For Tomorrow" e "Tender" (quest'ultima accompagnata dal London Community Gospel Choir) sono invece due canzoni che i londinesi piazzano quasi sempre verso la fine, quando la predisposizione al singalong da parte del pubblico è totale: nonostante siano state un po' accorciate rispetto al solito (il concerto rischiava di andare ben oltre le due ore previste e non si poteva sforare troppo per motivi di ordine pubblico), entrambe dal vivo rimangono uno spettacolo, soprattutto per il modo in cui riescono a coinvolgere i 90mila di Wembley.
Non era invece scontato che il pubblico rispondesse in maniera così partecipe anche durante "The Narcissist", il primo singolo estratto dal nuovo album, promosso a pieni voti anche dal vivo. Particolarmente apprezzati i cori, che si arricchiscono ora anche della presenza del batterista Dave Rowntree, il quale nel suo esordio solista ha dimostrato di avere una voce incredibilmente simile a quella del compagno Damon Albarn.

 

Il tempo purtroppo vola e due ore sono già trascorse: rimane dunque lo spazio per un'ultima canzone, che non può essere che "quella". Se è vero che il ricco e variegato canzoniere dei Blur permette loro di mettere giù una scaletta pressoché perfetta (in grado di toccare tutti i tasti, con un calibrato mix di rumore e melodia, ritornelli da stadio e piccole sperimentazioni), è altrettanto vero che con una canzone come "The Universal" nel proprio repertorio diventa quasi un gioco da ragazzi concludere in bellezza un concerto. Mentre Damon canta di un futuro distopico che ci appare tristemente sempre più reale, il pubblico comincia a sciogliersi, travolto dall'emozione di un ritornello vivo, a suo modo ottimista, che cerca di guardare con speranza mista a rassegnazione (l'ambiguità è naturalmente voluta) al futuro dell'umanità. Il crescendo strumentale finale, con il pianoforte suonato da Albarn che sostituisce gli archi, anche in questa occasione si riconferma il momento più commovente in un concerto dei Blur e basta guardarsi attorno per notare come tutti abbiano gli occhi lucidi al termine di "The Universal".

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Descritto sui giornali britannici come "un trionfo", il concerto a Wembley dei Blur è stato una vera e propria festa collettiva, che tuttavia è andata ben oltre la semplice rievocazione nostalgica dei bei tempi andati: lo ha dimostrato anche il pubblico transgenerazionale, che spaziava dai sessantenni ai bambini cresciuti con le canzoni dei Blur ascoltate dai loro genitori. La band londinese ha celebrato la sua storia, si è sinceramente commossa e ha emozionato il suo pubblico, che soltanto alla fine si è reso conto che sì, è davvero davvero davvero successo e che, in fondo, finché ci saranno gruppi come i Blur ancora in circolazione, il mondo moderno non sarà poi totalmente spazzatura.