I Am A Bird Now esce nel febbraio del 2005 e se fin da subito suscita clamore critico; in pochi mesi il suo successo di pubblico cresce esponenzialmente. Il disco sancisce la nuova direzione di Antony & The Johnsons verso un'analisi più intima e meno drammatica delle emozioni. E' Antony stesso a dichiarare che con questo disco ha sentito l'esigenza di allontanarsi dalla precedente prossimità a forme di teatro o di cabaret, per concepire una moderna versione della torch-song dal respiro più sottile e diretto. Anche la sua voce acquista nuove sfumature e a momenti sfiora una leggerezza vicina al sussurro. Il disco si apre con il capolavoro "Hope There's Someone", una ballata pianistica sulla paura della morte e della solitudine, un richiamo all'altro, alla vicinanza, alla speranza, che suona come un'accorata preghiera fino a precipitare in una spirale in cui piano, organo e vocalismi s'intrecciano a mimare la discesa in un maelstrom psichico. "My Lady Story" è gradevole e tenera come una caramella bacharachiana, ma pur giocando ancora con storie di dipendenza e con un vibrante archetipo femminile, ha un respiro corto e sembra solo abbozzata. Nonostante la sua brevità, "For Today I Am A Boy", invece, inscena il sogno di un'identità "altra" con una maggiore pregnanza drammatica e lirica, mentre le armonie della voce di Antony moltiplicata si rincorrono, costruendo un'atmosfera estatica di esultanza mista a desiderio, una descrizione minuziosa del sentimento infantile della vita futura. "Man Is The Baby" si riallaccia all'atmosfera desolata e tormentata del Lou Reed di "Berlin", e se la parte vocale suona ridondante, il prezioso lavoro di viola, violoncello e violino la riscatta e la eleva.
In tutto il disco gli arrangiamenti d'archi sono a cura di Julia Kent (violoncello) e Maxim Moston (violino), e sono in gran parte un punto di forza, orchestrati con misura e fluidità a sottolineare i momenti più lirici. In alcuni casi, però, anche a causa della preminenza degli archi, le canzoni sembrano affossarsi in un effetto poetico un po' troppo facile di marca This Mortal Coil. Antony usa il piano con sapienza minimale, pennellando le tracce che la sua voce segue, come i gradini da cui spicca i salti per raggiungere i suoi picchi emozionali. Uno di questi, "You Are My Sister", introduce il primo degli ospiti duettanti, Boy George. Un cerchio si chiude con questa canzone, e il ragazzino che si specchiava nell'icona ora suona il piano e canta a fianco dell'icona stessa, la cui voce, stagionata e rotta, aggiunge una ulteriore dimensione di umanità. Rufus Wainwright è invece il protagonista di "What Can I Do?", un interludio che richiama la brevità e la rassegnazione di "Never Had No One Ever" di smithsiana memoria. Segue "Fistful Of Love", nella stessa versione dell'Ep The Lake, che in questa posizione sull'album si rivela esserne vertice, nonostante la ricerca spirituale e identitaria, tema evidente dell'opera, continui nelle tre tracce successive, senza però aggiungere nulla, anzi sottraendo potere evocativo.
"Spiralling", che ospita il singhiozzo stilizzato di Banhart in apertura, sembra scritta con approssimazione, nonostante bilanci in modo brillante un cantato per la prima volta non a voce piena, ma sussurrato con l'elevazione nelle note lunghe e sospese del ritornello. "Free At Last" è un intermezzo recitato da Julia Yasuda su Codice Morse, mentre la canzone in chiusura "Bird Gehrl", pur nella sua immediatezza, è probabilmente il punto più basso dell'album. Fino ad oggi raramente Antony ha toccato momenti di vacuità, ma questa canzone sembra banalizzare con versi scontati e arrangiamenti melliflui la complessità del viaggio intrapreso all'inizio. Forse, però, per comprenderne l'intento, si può osservare la copertina del disco, la splendida foto di Peter Hujar "Candy Darling on her Deathbed", in cui la modella e superstar warholiana è ritratta con empatia nel letto d'ospedale in cui troverà la morte. "Bird Gehrl" allora diventa un semplice gesto d'amore (non a caso McTeigue e i fratelli Wachowski l'hanno utilizzata in una scena chiave del loro recente film "V per Vendetta" del 2006 per sottolineare un gesto simile). La ricerca, la compassione, il movimento e l'apertura verso l'altro sono i temi portanti, ed è evidente che Antony insegue forme che possano esprimere questa visione con una comunicatività moderna.
Con I Am A Bird Now il gruppo si aggiudica contro ogni pronostico il "Mercury Prize 2005" (i favoriti erano i Kaiser Chiefs), di cui rimane impressa la cerimonia di consegna, con un Antony brillante e autoironico che spiazza e conquista il pubblico britannico grazie alle sue battute di spirito. Il premio lancia i Johnsons nell'orbita mainstream (quinta posizione nella classifica inglese), e il 2005 continua con un lungo tour mondiale: la dimensione dal vivo è l'occasione per scoprire che, nonostante la materia della sua musica sia spesso scura e tormentata, Antony crea una dimensione di performance colloquiale in cui coinvolge il pubblico o improvvisa racconti e siparietti comici. Mentre lo sfibrante tour prosegue con date quotidiane sia in Europa che in America, vengono pubblicati i singoli "Hope There's Someone" e "You Are My Sister": il primo, oltre alla deliziosa "Just One Star", contiene la preziosa "Frankenstein", ancora sul tema della crescita e dell'identità, uno degli apici dell'Antony intimista, che meglio di alcuni numeri sull'album sintetizza il calore soul-gospel, la torch-song e il senso estatico della "visione" delle proprie emozioni. Il secondo, in due diverse edizioni, contiene l'incompiuta e sdolcinata "Forest Of Love", l'esperimento "Poorest Ear", con una coda strumentale da vaudeville astratto che potrebbe indicare sviluppi inaspettati, e la celestiale e troppo breve "Paddy's Gone": come fosse Aaron Neville, moltiplicato in una stanza d'echi, alle prese con una cover di "The Nightingale", ancora dalla colonna sonora di "Twin Peaks".
A seguito del successo di I Am A Bird Now, Antony ha naturalmente esteso il suo raggio di azione, e ormai non si contano le partecipazioni a progetti a sfondo umanitario (dal concerto per il "Teenage Cancer Trust", al duetto con Boy George per l'album "War Child", al brano incluso nella raccolta "Not Alone" per Doctors Without Borders), fino ai duetti (dalle Cocorosie di "Beautiful Boyz" su "Noah's Ark" al brano "I Defy", sull'album "Real Life" di Joan As A Policewoman) e alle collaborazioni con artisti affini (da "Semen Song For James Bidgood" sull'ultimo album dei Matmos a due tracce sul possente "Black Ships Ate The Sky" dei Current 93), mentre l'autunno del 2006 lo vede protagonista di un ritorno alla dimensione della performance, con il progetto "Turning", in esclusiva a Londra e a Roma (il 31 ottobre e 1° novembre all'Auditorium Parco della Musica), in cui Antony and the Johnsons si esibiranno sullo sfondo creato dal regista e video-artista Charles Atlas, con la proiezione e il live-editing di tredici ritratti di bellezze newyorchesi. L'arte di Antony mostra un nuovo livello inesplorato del pop contemporaneo, mescolando l'attitudine arty di stampo warholiano a una magnetica comunicatività che affonda le radici nella torch-song, nelle voci jazz e soul e nella tradizione di alcuni grandi cantautori (fra cui Nick Cave e Leonard Cohen, quest'ultimo omaggiato dal vivo con la cover di "The Guests").
Le sue influenze sono continuamente trascese nella volontà di aprirsi e celebrare il momento presente e l'atto artistico (grazie anche e soprattutto alla qualità e all'uso della sua voce). Questo processo si relaziona direttamente all'idea della creatività umana, ed è forse questa una delle chiavi di lettura del successo di Antony nel toccare profondamente le corde dell'emozione: nella sua voce e nelle sue canzoni, vibra la possibilità della trasformazione di ciò che è oscuro in qualcosa di bello, luminoso e aperto al futuro. Semplicemente, come si chiude "Hitler In My Heart": "From the corpses flowers grow".
Antony assurge rapidamente a guest star più contesa del rock internazionale. Tutti vogliono la sua voce nei loro dischi, da Bjork (su "Volta") agli Hercules & Love Affair (con i quali centra un successo planetario grazie all'hit spacca-discoteche "Blind").
Another World Ep (2008) fa da antipasto a "The Crying Light", terzo album atteso per l'inizio del prossimo anno. Antony torna con il suo stile di raffinato e introspettivo songwriting e subito riallaccia le fila del discorso lasciato in sospeso tre anni fa, con una manciata di tenui ballad in chiaroscuro, quali "Another World", "Crackagen", "Sing For Me". Occhiate furtive dietro il sipario, immagini di un palcoscenico deserto dove solo una fioca luce illumina il solitario cantore e il suo pianoforte. Nessuna sorpresa ma, almeno nel caso della title track, l'incanto è potente e innegabile. La ricerca melodica è pur sempre rivolta alla ricerca di risonanze oniriche, di una sofferta e liberatoria auto-analisi. In questo senso l'ultimo brano "Hope Mountain", in assoluto il più minimale e scarno, raggiunge forse il risultato più eclatante di questa breve raccolta. La sola "Shake That Devil" sperimenta invece una forma diversa, tra l'esoterismo del suo mentore David Tibet e uno scheletrico rock-blues. Esperimento non convincente, ma che potrebbe anche rappresentare un'interessante digressione dagli schemi consueti.
Uscita preparatoria e poco significativa, per un ascolto che ci riconsegna Antony come l'avevamo lasciato, con i suoi pregi, i suoi difetti, la sua classe cristallina.
La ballata pianistica che caratterizzava I Am A Bird Now è anche l'impalcatura dei brani del terzo full-length di Antony, The Crying Light (2008). A cambiare è il modo di riempire gli spazi e, di conseguenza, il risultato. L'album, dedicato al ballerino Kazuo Ohno, parte da un'ottica diversa rispetto ai suoi predecessori: laddove il disco d'esordio parlava della propria vita (idoli, sogni, quotidiano) e il secondo disco entrava a pie' pari nel proprio io, The Crying Light cerca una dimensione ancor più profonda e apre all'uomo in generale e all'universale, guardando al mondo e alla natura, ai principi delle cose.
La maturazione concettuale si abbraccia a quella musicale. I Johnsons del primo disco erano un ensemble che faceva sentire il proprio peso caricando d'enfasi i brani. Quelli del secondo erano diventati una pop rock band essenziale - anche se non certo povera - piegandosi al messaggio. The Crying Light presenta invece un Antony cantautoriale, che recupera spazio alle orchestrazioni e ne toglie alla batteria.
E' un disco di perfetto equilibrio sonoro, che smorza la pervicacia di certe soluzioni melodiche e testuali che pure erano state la sua fortuna. Le melodie d'impatto lasciano il posto a una ricerca ammantata di spiritualità, capace di aprirsi e chiudersi d'improvviso, di navigare fra l'arioso e l'oscuro, triturando e digerendo armonie classiche, canzone anni 50, musica nera.
Stupisce la profondità dell'introversione in cui si inabissa "One Dove", e la classe con cui questo avviene. Stupisce ancor di più il guizzo con cui la melodia vien fuori dalla risacca: una nota di piano, la voce che cambia i giri, i violini che accompagnano il testo. E' il vertice dell'intero disco, incastonato fra altri due gioielli atipici quali la multiforme "Epilepsy Is Dancing", ricca di cambi di umore, e l'immaginifica "Kiss My Name", un inatteso passo di danza. Gli arrangiamenti tanto fervidi quanto misurati ne glorificano la scrittura mordiba e fantasiosa.
Antony si permette il lusso di fare un po' di tutto, mostrando un eclettismo che forse neanche lui stesso sapeva di avere: la title track è un folk pregno del sapore del tempo che scorre, mentre "Dust And Water" è un gospel per sola voce e distorsione di fondo. L'intensità in cui vengono immerse le poche note di "Another World" è la cartolina della dimensione raggiunta da Hegarty. Il clamoroso gospel "Aeon", recitato su crudi arpeggi di chitarra elettrica, palesa l'aura di religiosità in cui è avvolto l'intero disco.
La decina di canzoni di cui si compone questa sorta di concept album sul mondo e i suoi chiaroscuri ("Daylight and the Sun") fa venire in mente una delle parole più abusate da chi parla di musica: artista. Antony and the Johnsons trovano la loro sintesi ideale nel disco più elaborato, più consapevole.
Il successivo Ep Thank You For Your Love (2010) anticipa di poche settimane il quarto album, Swanlights, con cinque pezzi inediti, tra i quali due cover. La title track è l'unico brano incluso anche nel disco con le sue tinte soul, che lasciano affiorare l'anima nera di Antony, in espressivo dialogo con schegge di una ballata inizialmente piana, ma poi sfociante in un gospel a base di fiati e ritmi vibranti, scatenato e gioioso come non mai.
La carica positiva del brano e una certa magniloquenza dell'arrangiamento trovano contrappunto nelle due successive ballate pianistiche, nelle quali Antony dà il meglio a livello interpretativo, prima nelle torsioni vocali che connotano i due minuti di "You Are The Treasure", e poi nella sinuosa melodia di "My Lord My Love". Completano i diciotto minuti dell'Ep le due cover. La prima è "Pressing On", non certo una delle canzoni più conosciute di Bob Dylan (tratta da "Saved", 1980), tradotta in una pacata ballata acustica. Non ha invece bisogno di presentazioni l'altra cover, che vede Antony cimentarsi alla chitarra in "Imagine", unendo un'interpretazione piana e un picking luminoso a moderate folate di frequenze e riverberi a cura da William Basinski.
Swanlights mantiene sostanzialmente fede all'anticipazione, con un'srticolata operazione multimediale (in contemporanea è pubblicato anche un libro che raccoglie scritti, fotografie e altre opere visuali realizzate dall'eclettico artista newyorkese. Dal punto di vista strettamente musicale, il lavoro si presenta più colorato e persino gioioso rispetto al predecessore. L'immaterialità della luce resta al centro dell'ispirazione di Antony, ma stavolta si tratta di una luce caleidoscopica e positiva, che si esplica in soluzioni sonore più complesse, che accompagnano a tratti anche armonie vivaci, dal passo svelto e dalle tinte in qualche occasione prossime al soul.
L'altro elemento costitutivo della poetica di Swanlights è l'acqua, la cui immagine ricorre in più di uno dei titoli e dei testi dei brani: "panta rei" sembra voler intendere Antony quando invoca la purificazione elegiaca di "The Spirit Was Gone" (che indaga i misteri della vita e della morte, quasi riecheggiando "Her Eyes Are Underneath The Ground") o quando cerca rifugio nell'elemento primario nella commossa dedica ai genitori di "The Great White Ocean" o ancora nel visionario salmo di una religione surreale di "Salt Silver Oxygen".
A partire da queste tematiche, Antony tratteggia un affresco umano ed emotivo, come sempre fragile e aggraziato, eppure dotato di una varietà di sfumature che spaziano dall'ampiezza di arrangiamenti orchestrali - curati dall'immancabile Nico Muhly - all'essenzialità di solo piano e voce. Anche le espressive interpretazioni di Antony si conformano di volta in volta ai differenti contesti, spaziando da timbriche soul a ieratiche declamazioni, mostrandosi capaci di inarcarsi in torsioni ardite ma anche di limitarsi a semplici vocalizzi e persino di ritrarsi in secondo piano nel duetto con Björk di "Fletta", nel quale l'artista islandese assume il ruolo di guida.
Benché l'album risulti appunto assai variegato e presenti Antony alle prese con un impianto sonoro particolarmente ricco, denota qualche pecca sotto il profilo della coesione narrativa e, soprattutto, dal punto di vista dell'intensità espressiva e ciò tanto nelle interpretazioni quanto nell'efficacia melodica: un'opera in un certo senso "minore" - per non dire affrettata, se rapportata alle tempistiche abituali - e comunque accessoria rispetto a una proposta artistica che vede Antony protagonista attraverso strumenti diversi da quelli soltanto musicali. Ma pur non trattandosi di un album esaltante, quando si tratta di Antony è sempre un gran bel sentire.
Nel 2012 esce Cut The World, un disco registrato dal vivo con la Danish National Chamber Orchestra. Sebbene il contenuto non sia "innovativo", rimane impossibile non farsi catturare, accarezzare e sbatacchiare l'anima dalle splendide pagine di uno dei personaggi più "potenti" degli ultimi vent'anni. Due i nuovi episodi presenti: la title track posta in apertura, una ballata piuttosto "tipica" dalle potenti tinte noir e accompagnata da un video truculento e decisamente femminista mette in tavola i toni quasi provocatori come fosse il seme che ha dato germoglio all'intera opera. A seguire infatti è il piuttosto chiacchierato "Future Feminism", un discorso di quasi otto minuti nel quale Antony, partendo dall'analisi dell'influenza dei cicli lunari, traccia la sua personale visione del mondo, il suo conflittuale rapporto con la religione in quanto transgender, e le speranze per un futuro sostenibile sul pianeta Terra per tutti gli esseri viventi. È un discorso complesso - e che in diversi potranno trovare anche blasfemo a seconda del proprio credo religioso - ma l'artista riesce, grazie anche a un pizzico d'ironia dispensata ad arte, nell'intento di comunicare le sue personalissime visioni senza scadere in una predica politica. Il dibattito è aperto.
Le restanti tracce, pescate dal patrimonio del passato, formano invece il vero corpo del disco. I brani tratti dall'omonimo album d'esordio sono sempre capaci di smuovere le montagne: maestose la versioni di "Twilight", nel crescendo ritmico eseguito con gran trasporto, e di "Cripple And The Starfish", sulla quale la linea introduttiva di violino viene trionfalmente rinforzata dall'orchestra intera, ma è "Rapture" a ridurre in lacrime anche l'ascoltatore più distratto. C'è posto anche per "I Fell In Love With A Dead Boy", "You Are My Sister" (senza Boy George), quattro selezioni da "The Crying Light" e la title track di Swanlights.
Cut The World è tante cose: è un disco live eseguito con perfezione quasi innaturale e una minima presenza di pubblico, è un disco di rivisitazioni orchestrali arrangiato però con classe sublime e non scontata ed è pure una raccolta di ottime canzoni senza essere un "best of" di grandi successi.
Nel 2013 Antony incontra Franco Battiato, condividendo con lui un concerto all'arena di Verona dal quale viene tratto il doppio album live Del suo veloce volo, con il contributo della Filarmonica Arturo Toscanini diretta da Rob Moose.
Trascorsi tre anni, il bruco Antony diventa farfalla, e Anohni è il suo nome. Messe definitivamente da parte le catene del passato, compreso l’abbandono della denominazione al maschile pretesa a chiare lettere attraverso un comunicato stampa, la cantante e guida suprema degli Antony And The Johnsons torna sulle scene con Hopelessness sotto una nuova veste e dopo ben sei anni dall’ultimo Lp composto interamente da inediti.
Nuovo progetto, nuovo nome e nuova produzione: Anohni ripone nel cestino dei ricordi tutti gli orpelli orchestrali che da sempre caratterizzano il suo stile, abbracciando in toto (o quasi) soluzioni prettamente elettroniche, affidate per l’occasione a due mastini dell’intrattenimento cerebrale: Ross Birchard, aka Hudson Mohawke, e Daniel Lopatin, meglio noto come Oneohtrix Point Never.
E’ un sodalizio inaspettato e spiazzante, che contrappone alla struggente vocalità frattaglie voltaiche disseminate qua e là come scarti metallici gettati con foga nel cassone di un autocarro, spinte con violenza da beat grezzi e smorzati, tanto cazzuti quanto viscerali. Ad aggiungere pepe a questa bizzarra ricetta, sono inoltre le tematiche affrontate dalla stessa Anohni, che si scaglia per tutto il disco contro la stupidità della violenza umana, perpetuata in ogni angolo dai comandanti del mondo, scagliandosi a chiare lettere e con una banalità disarmante contro il più potente di essi: il criticatissimo Obama al quale è dedicata un’intera canzone, intitolata per l'appunto "Obama".
Anohni se la prende con i droni assassini, con gli aguzzini di Guantanamo, pregando con tutta la sua anima, ma allo stesso tempo con un certo pressappochismo, affinché possa esserci protezione dal terrorismo globale, dai reati di pedofilia, insomma dal male che imperversa su questa terra. L’artista è dunque scosso e ripone questo suo tormento in una formula sonora spesso elettronicamente pacchiana, tuttavia ben compatta nella propria virulenta digressione, abbracciando così partiture dubstep, come nel crescendo estatico a matrice Hyperdub di “Crisis”, o nella tastiera imperiosa e stucchevole di “Watch Me”.
L’alternarsi e l’affiancarsi in cabina di regia dei sopracitati Birchard e Lopatin, contribuisce ad arricchire e innalzare su piani superiori i drammi globali di Anohni attraverso un vortice di dissonanze atte a instaurare un climax oscuro, nel quale accanto alla denuncia e alla sconfitta è spesso schierata la volontà umana di vedere la luce in fondo al tunnel sempre e comunque.
Tuttavia, ciò che non torna nell’effettiva resa di questa nuova metamorfosi musicale, è il contrasto netto e fin troppo asciutto tra l’elettronica di fondo e il tratto immacolato e soave della voce di Anohni, senza contare la pochezza delle parole e il risvolto politico non richiesto che ne consegue. Un connubio che tende a spaesare e che funziona solo quando c’è una comune sinergia tra i due mondi, vedi il battito imperioso di “4 Degrees” con la cantante ben sintonizzata con il passo risoluto formulato dai due produttori.
E’ dunque questa deriva sonora volutamente tamarra, da circondario post-rave, ad alimentare le maggiori perplessità inerenti la bontà artistica della proposta. Per essere dei veri camaleonti talvolta non basta cambiare pelle, bensì bisogna trovare l’albero giusto sul quale poggiare, e valutare gli effettivi contrasti cromatici per non correre il rischio di essere catturati dal predatore di turno e dal demone del cattivo gusto.
L'unico modo per ottenere "I Never Stopped Loving You", settima traccia del successivo Paradise Ep (2017), è mandare una mail alla stessa Anohni, condividendo con lei un proprio pensiero intimo sulle speranze per il futuro. L'autrice vuole il coinvolgimento dei propri ascoltatori, vuole scuoterci il più possibile dalla sedia e farci sentire in prima persona l'urgenza dei temi che più le stanno a cuore. E se Hopelessness non faceva prigionieri, con i suoi clangori elettronici e i suoi testi incompromissoriamente crudi e accorati, e l'aggiunta di Paradise segue nel solco.
Sette pezzi in totale quindi, sempre co-prodotti con la strana coppia Lopatin/Mohawke, che ancora una volta attaccano allo stomaco ma che in altri momenti repellono volontariamente le orecchie, mentre la voce di Anohni tuona e rimbomba attraverso droni e suonini in HD. L'apertura di "In My Dreams" sembra quasi l'attacco di un pezzo metal, ma il momento dello scoppio rumoristico non arriva, lasciando semmai alla possente "Paradise" il compito di intavolare la discussione e puntare il dito, soprattutto nel momento in cui decanta:
My Mother's hand
Her gente touch
My Father's hand
Rests on my throat
"Jesus Will Kill You" poi è un altro titolo impossibile da evitare, il pezzo striscia rumoroso e gracchiante e non vuole proprio farsi piacere, come del resto è spiacevole l'immaginario descritto dal testo, che accusa senza rèmore tutti quelli che abusano del proprio potere in nome di Gesù.
Fortuna che, anche a questo giro, ci sono pezzi dove, oltre all'urgenza del messaggio, Anohni allega una musicalità pura e semplice che sa emozionare; "You Are My Enemy" è come un canto sacro, una linea d'organo increspata da un beat appena accennato e la voce che si eleva verso toni gospel, "Ricochet" avanza imponente su una bellissima e ariosa melodia pop con forti controcanti in aria di soul, mentre il finale di "She Doesn't Mourn Her Loss" è quasi bucolico con la sua linea di flauti e chitarra acustica - chiaro contrasto con le drammatiche liriche del testo.
Non c'è proprio modo facile per associarsi al nuovo corso di Anohni. Usare la propria arte per portare avanti un pensiero socio/politico di tale importanza con simile convinzione è sicuramente un'arma a doppio taglio, e chi si è sentito scaldare il cuore nel corso degli anni con i dischi assieme ai Johnsons, può benissimo trovarsi spaesato di fronte a questa svolta elettronica dove l'anima è stata avvolta da nubi di tossico fumo nero - esattamente come la Terra sulla quale viviamo, ci tende a precisare la stessa autrice. Nel proprio intimo, ognuno di noi avrà il modo migliore per passare dall'ideale all'azione come meglio crede, quel che preme ad Anohni è semplicemente di non lasciar posto all'inerzia.
Contributi di Mauro Roma ("Another World Ep"), Ciro Frattini ("The Crying Light"), Raffaello Russo ("Thank You For Your Love" e "Swanlights"), Damiano Pandolfini ("Cut The World", Anohni - "Paradise"), Giuliano Delli Paoli (Anohni- "Hopelessness"), Gianfranco Marmoro ("My Back Was A Bridge For You To Cross")
Antony and the Johnsons (Durtro, 2000/Secretly Canadian 2004) | 9 | |
I Fell In Love With A Dead Boy (Ep, Durtro, 2001/Secretly Canadian, 2006) | 8 | |
Live at St. Olave's (Durtro, 2003) | 8 | |
The Lake (Ep, Secretly Canadian, 2004) | 6,5 | |
I Am A Bird Now (Secretly Canadian, 2005) | 8 | |
Hope There's Someone (Ep, Secretly Canadian, 2005) | 7 | |
You Are My Sister (Ep, Secretly Canadian, 2005) | 7 | |
Another World Ep (Ep, Rough Trade, 2008) | 6,5 | |
The Crying Light (Secretly Canadian, 2009) | 8 | |
Thank You For Your Love (Secretly Canadian, 2010) | 6,5 | |
Swanlights (Secretly Canadian, 2010) | 6,5 | |
Cut The World (live, Rough Trade, 2012) | 7,5 | |
Del suo veloce volo (con Franco Battiato, Universal, 2013) | 7 | |
ANOHNI | ||
Hopelessness(Secretly Canadian, 2016) | 5,5 | |
Paradise (Ep, Secretly Canadian, 2017) | 6.5 | |
My Back Was A Bridge For You To Cross(Secretly Canadian, 2023) | 8 |
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