Non sembrano avere troppo in comune, Isola di Wight e rave party. Certo, entrambi sono simboli della libertà giovanile e della voglia di costruire a partire dalla musica un modo diverso di stare insieme. Ma sono separati da trent’anni circa di trasformazioni profonde della società britannica. Buona parte degli hippie e curiosi che il 26 agosto 1970 varcarono la recinzione dell’ultima edizione della “Woodstock europea” (immortalata clandestinamente dalla scritta “Entrance is everywhere”, poi rimossa) avrebbe forse considerato con preoccupazione, decenni più tardi, il popolo di nottambuli che si adunava in campi e aree industriali abbandonate per ballare fino all’alba ipnotizzato dalla hardcore techno. Epoche diverse, orizzonti musicali diversi, perfino droghe diverse.
Eppure, un filo ininterrotto lega questi due totem generazionali, attraversando la storia musicale e controculturale del Regno Unito. Si tratta di una continuità che nasce in quell’underground dove i confini fra progressive rock e tarda psichedelia sono più labili, esplora le possibilità della prima elettronica, si rinnova con l’avvento del punk e lo fa incontrare alla nascente new age. E poi scopre la musica trance prima che abbia un nome, per connettersi infine ai beat sintetici di quella dance di cui un tempo si immaginava alternativa radicale.
Al netto dei primi esprimenti (Beckenham e Cambridge, 1969; Phun City, luglio 1970), la storia dei free festival ha un esordio simbolico ben individuabile: il 27 agosto 1970, in occasione del terzo raduno musicale dell’Isola di Wight. Nella tendopoli fuori dall’area recintata che accoglie il pubblico pagante, giunto per vedere nomi blasonati del panorama dell’epoca (dai Supertramp ai Chicago, da Doors e Donovan a Miles Davis, Pentangle e Joni Mitchell), tre formazioni allestiscono un palco semimprovvisato, suonando gratis per chi ha scelto di assistere ai concerti da lontano. Si tratta di nomi caldi dell’underground del periodo: Hawkwind, Pink Fairies, T2. Le loro performance coprono una durata assai inferiore rispetto alla cinque giorni ufficiale, e i watt a loro disposizione non rivaleggiano con l’impianto che amplifica la musica di Jimi Hendrix, Emerson Lake & Palmer e Who. Ma il chiasso prodotto (comunque considerevole, dati i protagonisti) non è dirompente come l’idea veicolata: il connubio tra mercato e musica pop può essere spezzato, sia anche solo per la durata di un festival.
Gli sviluppi non tardano ad arrivare, e questa volta in gran stile. Il 19 settembre 1970 debutta il festival di Glastonbury, con un biglietto da 1 £ che sarà poi azzerato nell’edizione successiva. La kermesse si tiene in un luogo — la piana del Somerset — denso di mitologie antiche e nuove, e gli organizzatori si fanno ispirare dal cult book “The View Over Atlantis”, uscito nel 1969, per connettere il raduno a ritualità megalitiche, leggende arturiane e geometrie mistiche ottenute intersecando ley lines. Il palco su cui si esibiscono gli artisti è una piramide dai chiari riferimenti esoterici, che negli anni sarà calcata e via via ingigantita per ospitare prima Kinks, Marc Bolan e Quintessence, poi Hawkwind, Traffic, Gong, David Bowie, Peter Gabriel… Fino ad arrivare ai giorni nostri con Coldplay, Taylor Swift, Kendrick Lamar (e prezzi d’accesso del tutto comparabili agli altri grandi festival europei).
Nel corso degli anni Settanta, il circuito dei festival liberi guarda oltre alla crescente ipertrofia di Glastonbury, creando una miriade di rassegne minori ed eventi di risonanza nazionale, come il Windsor Free Festival (tenutosi tra il 1972 e 1974 occupando abusivamente parte della tenuta reale a ovest di Londra) e, dal 1972 al 1984, lo Stonehenge Free Festival.
Le band che si esibiscono in queste manifestazioni sono molte e diversificate, ma un drappello di nomi ricorrenti svetta e finisce per definire le aspettative rispetto alla “musica da free festival”: oltre ai “fondatori” Hawkwind e Pink Fairies (a cui andrebbero aggiunti quantomeno anche Arthur Brown e la Edgar Broughton Band), fra gli habitué più significativi figurano certamente Gong, East Of Eden, Quintessence, Third Ear Band. Formazioni con un piede in ciò che oggi chiamiamo progressive rock (ma all’epoca il termine era meno identificativo) e uno nella coda lunga della psichedelia, nello space rock elettronico o nell’underground più fragoroso; talvolta anche in un misticismo che abbina fascinazioni etno a una stabile dieta lisergica.
La musica, tuttavia, non è l’unica anima di questi ritrovi, né forse è davvero quella principale. A spingere il nascente popolo dei festival ad attraversare la Gran Bretagna per raggiungere mete sempre più rurali è soprattutto il clima comunitario che caratterizza gli eventi, che in alcune occasioni si protraggono per settimane e sono accompagnati dalla nascita di piccole città di tende e roulotte in cui è facile trovare cibo, consulenze spirituali, prodotti di artigianato realizzati sul posto, droghe o aiuto con faccende pratiche.
Mentre durata e abbondanza dei festival lievitano, monta anche la preoccupazione delle istituzioni, e nel 1974 la polizia britannica irrompe fra le quasi diecimila persone presenti il sesto giorno del raduno di Windsor, arrestando i partecipanti che rifiutino di disperdersi. L’acceso dibattito pubblico spinge l’anno successivo il governo laburista guidato da Harold Wilson a individuare una location dove le esibizioni possano svolgersi in modo autorizzato: ha così luogo nel 1975 il People’s Free Festival di Watchfield, che dal 1976 confluisce con il festival di Stonehenge (senza più autorizzazione governativa).
Il procedere degli anni Settanta porta alcuni cambiamenti alla musica dei festival liberi e al suo pubblico: proprio mentre il sound e la sottocultura acquistano una loro identità, l’incertezza economica e l’ondata punk sconquassano la scena. A hippy e freak della prima ora si aggiungono squatter più o meno giovani, animati da uno spirito spesso più irruento e oppositivo. L’integrazione fra i pubblici non sempre è semplice, ma dalla contaminazione nascono esperienze musicali interessanti, come i presentissimi Here & Now (da qualche parte fra Canterbury e This Heat) o gli sgangherati Astronauts (ibrido prog-wave con qualcosa dei Fall, qualcosa dei Devo e il giusto di Stranglers e Gong).
Nei primi anni Ottanta, quella dei free festival non è più etichettabile come moda: è a tutti gli effetti una cultura transgenerazionale, che va organizzandosi in strutture imponenti e dà vita a carovane di mezzi che si spostano da un evento all’altro durante la stagione estiva. Raccogliendo nel tempo anche persone spinte verso la vita nomade dalla disoccupazione montante dell’era Thatcher, i gruppi di viaggiatori prendono la forma di comunità permanenti: nasce il movimento dei new age traveller, di cui i festival musicali sono a questo punto un semplice elemento di condensazione. Nel raccontare attraverso testimonianze la storia del fenomeno, il documentario Bbc della serie Timeshift, andato in onda nel 2004, identifica nello spirito di fiducia e di supporto reciproci il fattore aggregante di queste microsocietà parzialmente autosufficienti (dispregiativamente ribattezzate crusties - crostosi - dai tabloid).
A metà del decennio, le proporzioni raggiunte suscitano nuovamente l’attenzione del governo, che torna a scatenare il suo braccio armato nella cosiddetta “Battle of the Beanfield”: il primo giugno 1985, i circa seicento traveller del Peace Convoy incontrano il blocco stradale di milletrecento poliziotti costituito per impedire l’insediamento del festival di Stonehenge. Gli scontri che seguono, condotti con violenza dalle forze dell’ordine, portano a numerosi ferimenti e al più grande arresto di massa dalla Seconda Guerra Mondiale in poi: i fermati sono 537. L’anno successivo, il parlamento a maggioranza conservatrice promulga il Public Order Act che amplia il potere della polizia di sciogliere “processioni pubbliche” non autorizzate e allontanare potenziali “intrusi” (trespasser) nelle proprietà pubbliche e private. Una misura deliberatamente ostile ai festival liberi e ai New Age Traveller, che segna un punto di non ritorno per la tenuta del movimento.
Benché il tessuto che connette festival e traveller vada disgregandosi lungo gli anni Ottanta, il periodo segna un grande arricchimento musicale per la sottocultura. Le formazioni di impostazione punk acquistano centralità, grazie soprattutto al ruolo degli anarcho-punk Crass e, più avanti, del punk-rock celticheggiante dei Levellers (ispirati al movimento proto-socialista seicentesco dei livellatori). L’impronta psichedelica resta invece evidente in Cardiacs e band del giro (Ad Nauseam, Poisoned Electrick Head) nonché in formazioni come i Solstice, che stampa musicale e discografici tentano di inquadrare come neoprogressive per via della vicinanza con Renaissance e Curved Air, e che testimoni dell'epoca presentano tuttavia come “fattoni” (stoner) e “l’ultima delle grandi hippie band”.
Soprattutto, però, dal melting pot di tardissima psichedelia, elettronica new age, echi space figli degli Hawkwind, spirito do-it-yourself e rimandi prog emerge uno stile emblematico, di cui la jam band degli Ozric Tentacles è il modello inderogabile. Fulcro della nuova estetica sono lunghe e intrippanti evoluzioni strumentali che combinano distorsioni e sequencer, abbondando in stratificazioni ritmiche, tempi dispari ed esotismi. Un trance-rock elettronico che farà manciate di proseliti: Omnia Opera, Mandragora, Magic Mushroom Band, Webcore, Nukli, Ullulators, Oroonies, Nodens Ictus… E con sorpresa arriverà a inizio anni Novanta a “bucare” nel mainstream, portando l’album “Jurassic Shift” (1993) in classifica per quattro settimane.
È facile immaginare che queste sonorità ipnotiche e il loro contesto di utilizzo abbiano fatto da ispirazione, insieme alla nascente hardcore techno, per la nuova generazione di musicisti e appassionati responsabile nei primissimi anni Novanta del boom della cultura rave. Ancora una volta, il continuum germogliato sul finire degli anni Sessanta trova nuova linfa grazie a un inatteso innesto di pubblico, stimoli e tecnologie. Se i raver portano con sé suoni, droghe e soluzioni inedite (è vietato campeggiare a lungo al di fuori del proprio terreno? allora gli eventi dureranno una sola notte!), i navigati traveller possono offrire spirito di accoglienza e una decennale expertise. La collettività fluida Spiral Tribe è, con le sue molteplici gemmazioni, il soundsystem che più di tutti popolarizza il sincretismo culturale freetekno, ed è anche quella che paga maggiormente lo scotto quando una nuova stretta securitaria giunge a stroncare la diffusione del movimento.
Il festival di Castlemorton, a fine maggio 1992, è il ritrovo musicale gratuito più grande dai tempi dei raduni di Stonehenge e termina con l’arresto di tredici componenti della Spiral Tribe. La scia mediatica lasciata dall’evento consentirà al governo Major di introdurre nel 1994 il Criminal Justice And Public Order Act, contenente il noto divieto di condurre raduni da venti o più persone in cui la musica includa “suoni del tutto o prevalentemente caratterizzati dall’emissione di una successione di beat ripetitivi”. Lo stesso anno, in tutta risposta, gli Autechre pubblicheranno l’Ep “Anti”, un flusso imprevedibile di disritmie Idm studiate appositamente per eludere la proibizione. Ma questa è un’altra storia e dovrà essere raccontata un’altra volta.
Compilation:
AA.VV. - A Psychedelic Psauna (In Four Parts) (Delerium Records, 1991)
AA.VV. Dave Brock Presents... This Was Your Future 1978-1998 (Cherry Red, 2022)
Bibliografia:
Rob Young - Electric Eden: Unearthing Britain's Visionary Music (Faber & Faber, 2011)
Ian Abrahams, Bridget Wishart - Festivalized: Music, Politics And Alternative Culture (Gonzo Multimedia, 2015)
Chris Anderton - Music Festivals In The UK: Beyond The Carnivalesque (Routledge, 2018)
Videografia:
Time Shift - New Age Travellers (BBC4, 2004)
Sitografia:
UK Rock Festivals