Max Casacci è tra i personaggi più attivi della scena italiana attuale: chitarrista, produttore e fondatore dei Subsonica (dopo aver contribuito alla nascita e alla crescita degli Africa Unite), compositore e autore di buona parte dei testi e delle musiche del gruppo, titolare fino a poco tempo fa dell'etichetta discografica Casasonica e direttore del Traffic Free Festival a Torino. Non solo. A confermare un'attitudine politicamente profonda e significativa, attualmente è impegnato insieme ad associazioni antimafia, ambientaliste, giovani universitari, dj e gestori di spazi e locali nel progetto Torino Sistema Solare (www.torinosistemasolare.it), un fronte spontaneo molto attivo nel mondo della notte e nel rinnovamento culturale in città.
L'intervista, slegata dalla consueta logica promozionale - uscita del disco-tour-progetti futuri - è una confessione appassionata di racconti, verità e opinioni. All'insegna di una sempre più inedita propensione naturale all'autenticità e alla trasparenza.
Ciao Max, grazie per la disponibilità e per il tempo che spenderai per OndaRock.
Ci dai qualche anticipazione sul sesto capitolo dell'avventura Subsonica? Che direzione sta prendendo? Domanda non banale, se si considera il vostro percorso: dopo la svolta rock dichiarata di "Terrestre", con "L'eclissi" siete tornati a una produzione fortemente electro.
"Non siete riusciti a bissare Microchip Emozionale", cantate: al di là dell'autoironia, che cosa vi aspettate - da un versante squisitamente artistico - da questo disco?
Quello che è lecito aspettarsi dai Subsonica a quattordici anni dall'inizio della storia è un album in grado di condensare la magmaticità sotterranea dell'elettronica più recente e la ventata di eclettismo che attraversa molte interessanti produzioni "indie", in una forma solida di scrittura. Da noi, come del resto dalla maggior parte dei gruppi italiani, si pretendono le canzoni. Nel nostro caso canzoni che sfuggano ai cliché di genere ma che siano pronte per essere ballate sotto un palco da migliaia di persone. Che se ci pensi è una condizione stilisticamente un po' più vincolante rispetto al suonare in un piccolo club guardandosi la punta delle scarpe.
Al momento ci sono più di cinquanta idee frutto di un'eruzione incontrollata, che aspettano di essere valutate, abbinate tra loro, e forse anche un po' capite. Poi passeremo ai testi e alla scelta degli strumenti e delle tinte necessarie per amalgamare il tutto. La scrittura a più mani necessita di una fase di decantazione e ci troviamo proprio a quel punto. Di certo c'è la volontà di dare più aria rispetto al tono cupo, (seppur profetico) della precedente eclissi.
Nonostante la maturazione e i cambi di direzione, io credo che nel primo disco ci sia già tutta la vostra personalissima cifra, la vostra "anomalia". Miscelando con sapienza suoni e suggestioni dal sapore moderno e internazionale, in bilico continuo tra un gusto vintage ed esplosioni da dancefloor, avete concretamente identificato un genere, riempito un vuoto. Ti riconosci in questa considerazione? Quanto di questa "anomalia" è frutto di un'idea precisa? Quanto di quello che siete adesso era nella tua testa, quando hai gettato le basi del progetto, e quanto è il risultato di una dimensione creativa di band?
Di preciso all'inizio non c'era proprio nulla. Nemmeno l'idea che dovessimo essere un gruppo vero, cioè con una line-up da palco e tutto il resto. Avevo abbandonato con un po' di delusione gli Africa Unite a un passo dal contratto con la Polygram, e non avevo tanto voglia di band, quanto invece di sperimentazione in studio, per questo avevo contattato Samuel, un cantante con tecnica, voglia di mettersi in gioco e sufficiente curiosità per lasciarsi guidare. Ciò che è successo da lì in poi è stato il frutto della somma tra necessità espressive di cinque musicisti, appassionati alle rivoluzioni sonore in corso negli anni 90. Sotto quest'aspetto la mia precedente attività di produttore si è rivelata determinante per amalgamare, almeno in senso musicale, le personalità.
Da soli, del resto, non credo saremmo andati molto lontano. Io sarei finito in pieno cortocircuito artistico a produrre materiale sperimentale per me stesso. Samuel e Boosta, probabilmente, avrebbero accorciato le tappe alla corte di qualche discografico dispensatore di fama e successo (esistevano ancora!) per poi finire bruciati nell'arco di una stagione, come è successo a quasi tutti i loro coetanei. Ninja avrebbe smesso di suonare per mettere a frutto la laurea da ingegnere informatico, come del resto stava per fare prima di concedere alla musica dei nascenti Subsonica un'ultima chance tra un tour in Brasile con la Vanoni e qualche turno poco entusiasmante in sala di registrazione. Il vecchio bassista Pierfunk, beh, lui ha scelto di non crederci del tutto, salvo poi tentare di rientrare anni dopo dalla porta sul retro con i Motel Connection.
All'epoca del primo "Subsonica", cioè nel '96, bastava uscire la notte, entrare in uno dei tanti club a Torino che proprio in quegli anni incominciavano a nascere, tendere un orecchio e restare sistematicamente folgorati da qualche cosa di innovativo. Per poi tornare in studio il giorno dopo con la voglia di rifare tutto da capo. Nessuna nostalgia, per carità ma, in effetti, in quegli anni la musica era entusiasmante e centrale nella vita di chiunque. E non parlo solo di musicisti. Sono affezionatissimo a "Subsonica" e a tutte le sue ingenuità, ma tentare di rifare per cinque altre volte quell'album, così figlio del proprio tempo, sarebbe stato un errore.
La sensazione che si ha dall'esterno, per chi vi segue, è quella di una band autentica, vera, passionale. Si legge la voglia di suonare insieme, ma anche la presenza di problemi, discussioni, incomprensioni. È stato ed è ancora difficile tenere insieme la macchina? Ci sono stati momenti delicati, in questi anni?
Dai Pooh agli U2, credo che per chi suona insieme da parecchio tempo, la questione fondamentale per potersi proporre con dignità riguardi la ricerca di nuovi stimoli e significati. Oggi, 2010: quali sono i tuoi stimoli e quelli dei Subsonica?
Il percorso, sotto molti aspetti impagabile - di quelli che valgono una vita intera - è stato talvolta difficile e lacerante. La nostra storia ha raggiunto rapidamente vette che nessuno di noi avrebbe mai ipotizzato. Le altezze però si trasformano facilmente in vertigini: come la paura di fare mosse sbagliate o di non essere in grado di gestire adeguatamente quello che succede, unitamente alle dinamiche centrifughe tipiche di ogni band - i vari percorsi solisti, l'intrusione di adulatori professionisti attratti dal successo che finiscono per dopare l'autenticità delle relazioni, il rapporto con radio, tv, discografici, sponsor, propinatori di ogni sorta di distrazione ai singoli e tutto il repertorio di luoghi comuni presenti in ogni biografia rock-pop - a me personalmente hanno tolto il sonno davvero molte volte. Troppe.
Devo però dire che esiste un legame profondo che ci unisce. Ed è un legame incomprensibile al mondo esterno. Tutte le persone che hanno provato a fare leva sulle diversità o momentanee spaccature, allo scopo di manovrare le nostre scelte, a sorpresa si sono trovate bruciate e fuori dai giochi. Gli stimoli primari sono legati all'armonia e al senso di benessere che si crea improvvisamente quando ci ritroviamo a fare quello che a tutti noi riesce meglio nella vita, cioè musica. Al netto di tutte le cazzate.
Sono sempre stato piacevolmente sorpreso dalla vostra (e tua) capacità di mantenere contatti diretti con il pubblico che vi segue, nonostante la sua esponenziale crescita avvenuta in questi anni. Siete stati infatti tra i primi a utilizzare il web come interfaccia immediata con i navigatori, dimostrando un'attenzione privilegiata a chi sta dall'altra parte. Con uno spettro così ampio di gente che vi ascolta (Frankie Hi Nrg diceva: "Dobbiamo prenderci tutta la riviera e qualche centro sociale"), e che vi dice di tutto, e che commenta tutto, nel bene e nel male, non è complesso e forse inutile dover rispondere a tutti o quasi della vostra identità e delle vostre scelte?
Se per mantenere il contatto con le persone che ci seguono dovessimo scegliere tra l'artificialità di una trasmissione televisiva, la lobotomia dei canali radiofonici, le volgari semplificazioni di molta stampa o il confronto, talvolta faticoso e ingrato, con chi sul web è abituato a spaccare il capello (e non solo quello) in quattro per ogni riga che scrivi, preferiremmo comunque il secondo. Detto questo abbiamo talvolta, probabilmente, esagerato nel tentativo di interagire/ spiegare/ raccontare minuziosamente nei minimi dettagli, così come nell'esporre posizioni ben oltre i confini del nostro ruolo di musicisti. Tuttavia, il numero crescente di contatti, che superano ormai le centomila presenze solo sul più recente Facebook, tende a dimostrarci che le persone finiscono per affezionarsi a chi si mette in gioco. Non solo con gli strumenti in mano. Anche quando non condividono tutto quello che pensi.
I Subsonica sono stati tra gli alfieri della "gloriosa" stagione indipendente italiana anni 90, che faceva capo a Mescal, al Cpi ecc. Che cosa ha permesso quell'esperienza? Oggi il riferimento sono realtà come La Tempesta, significative di uno spirito diverso ma soprattutto di una progressiva delocalizzazione che rivoluziona il concetto di "scena". Che cosa è veramente cambiato in questi famigerati anni Zero nell'indie italiano? E ha ancora senso considerare la musica legata a un territorio preciso (come può essere stata la Milano degli anni 80 e 90, o la vostra Torino)? Nel tuo caso, com'è cambiata la Torino musicale in questi anni?
La Mescal, al di là dei problemi che quasi tutti gli artisti hanno avuto con Valerio Soave, oltre ad avere rappresentato una grande opportunità per molti di noi, è stata il simbolo di una bella stagione. Tuttavia esperienze come quella o come il Consorzio non sarebbero ripetibili oggi, almeno non in quei termini. La disaffezione all'acquisto degli album ha spinto tutto il settore musicale verso differenti forme di profitto: gadget, cellulari suonerie, concorsi televisivi, per i quali il rinnovamento dei linguaggi musicali non è più indispensabile. Il fatto che il direttore di una delle più grandi discografiche abbandoni oggi il proprio posto, per mettersi a lavorare in un talent show, dice più di qualsiasi altra considerazione. Le indie label degli anni 90 utilizzavano risorse major per mettere i propri artisti in grado di competere alle stesse condizioni di visibilità, con la musica di mercato. Valeva per noi, Cristina Donà o gli Afterhours, ma, per capirci, ad altri livelli anche per un Aphex Twin, che senza i costosi video di Chris Cunningham, non avrebbe sviluppato la potenza rivoluzionaria che conosciamo.
Oggi chi fa musica lo fa inevitabilmente per urgenza espressiva, per necessità. Sta tornando, più o meno tutto come nei primi anni Ottanta, quando la musica era semplice questione di "vita o di morte". E infatti i locali ricominciano a riempirsi di live. Dopo un decennio piuttosto trascurabile torniamo anche ad ascoltare dei buoni album. Devo dire che non ho amato per niente gli anni Zero e la generazione del "tutto mi è dovuto". Mentre mi trovo perfettamente a mio agio con i musicisti ventenni nei quali riconosco slanci, generosità e coraggio spesso sconosciuti ai fratelli maggiori.
A Torino la rigenerazione della scena in corso è molto interessante. Si sviluppa tutto più o meno intorno a tre circuiti. Nel quartiere multietnico di San Salvario, dove la boheme studentesca cittadina trova domicilio, è nata una curiosa forma di canzone d'autore. Tra i protagonisti : Matteo Castellano, Deian, Vittorio Cane e altri autori visionari e disincantati le cui canzoni rimbalzano tra myspace e siti come www.torinosistemasolare.it (dove è possibile scaricare gratuitamente la compilation "San Salvario da mezzanotte alle quattro") o si ascoltano nei piccoli locali in stile Greenwich Village, della zona. L'alternative rock (tanto per usare un'espressione iTunes) è invece di casa allo Spazio 211: vero covo underground di periferia, che ha band come DiD, Stearica, Movie Star Junkyes, Discodrive come portabandiera. Gli stessi nomi sono presenti nei programmi dei locali di mezza Europa. Sovente anche negli States.
Nell'elettronica si muovono cose altrettanto interessanti. Dietro nomi enigmatici come "Vaghe Stelle" "The Licious", "Postal M@rket", "X-luve", "Passenger", "Abstract", si nascondono giovanissimi produttori a proprio agio con l'elettronica sperimentale ma contemporaneamente in grado di produrre sonorità dancefloor. Il Puddhu ai Murazzi e la serata "China Surprise" sono l'epicentro di questa piccola scuola. Gli LN Ripley poi, con il nostro Ninja ai tamburi, (a detta di tutto il circuito: la migliore drum'n bass live band del pianeta) ed Ezra produttore in bilico tra meticciato ritmico e pop obliquo, chiudono il cerchio di una scena viva e intensa come da anni non succedeva. Qualcosa mi porta a pensare che, anche se Torino le cose succedono con leggero anticipo, la stessa cosa stia capitando un po' ovunque.
Da cinque anni ormai siete sotto contratto con una major. Oggi si sente di tutto e di più sullo stato di salute delle multinazionali della musica. Come consideri la crisi del mercato discografico (italiano e non), e quanto ha pesato sulla tua esperienza da musicista? Non credi che, più che l'avvento di internet e del file audio compresso, a causarla sia stata la risposta impacciata e timorosa a queste nuove tecnologie? Quali possibilità ci sono per il futuro?
Oltre all'intramontabile e insostituibile live, le possibilità per il futuro le abbiamo quotidianamente sotto gli occhi mentre apriamo un laptop e aggiorniamo software sempre più completi per suono, grafica, fotografia, montaggio di immagini.. E' lecito aspettarsi che tra i cosiddetti "nativi digitali", si sviluppi a breve una scena "rinascimentale", fatta di artisti in grado di utilizzare simultaneamente tecniche espressive differenti. Il concetto di avanguardia ha sempre avuto a che fare con la distruzione dei confini disciplinari, e spazi come YouTube, ma forse ancora di più i nuovi"contenitori" come iPad o i cellulari, saranno talmente affamati di "contenuti" multimediali da fare presto dimenticare la necessità della discografia tradizionale. E chi meglio dei ragazzi che crescono maneggiando quotidianamente le infinite possibilità creative del proprio pc e interfacciati in tempo reale con tutte le piccole rivoluzioni sotterranee, dovrà mettere a frutto queste possibilità? Ovviamente tutto questo succederà in relazione al clima culturale. Ragione per cui, invece di interrogarci se piangere o meno sulle macerie di un circuito ormai morto, dovremmo concentrarci sulla battaglia culturale generale, che è quella da vincere. E non la vinceranno certo i candidati ministri, gli assessori, i salotti, né la maggior parte delle redazioni per come le conosciamo oggi. Sono andato fuori tema. Lo so.
È di pochi giorni la notizia della vostra partecipazione allo Sziget Festival. Il palco è prestigiosissimo, e avrete di fronte davvero un campione preciso di pubblico mondiale. Avete qualche idea particolare e diversa per quella data, o la ricetta sarà la stessa che vi ha portato in giro per l'Italia? Come sono andate le altre recenti esperienze all'estero? Credi di più in una musica italiana (di qualità) da esportazione, o in una musica italiana in lingua inglese capace di competere a livello europeo e mondiale?
E' una bella domanda, la seconda intendo. Per la prima, credo che riproporremo il live già rodato nel precedente giro dei locali europei (Londra, Bruxelles, Madrid, Barcellona, Ibiza), cioè un concerto centrato sul nostro lato più dance, che è tra l'altro un elemento associato all'italianità. Inoltre, sono poche le band sulla scena internazionale che mescolando strumentazione rock con attitudine dance risultano credibili e coinvolgenti on stage, a parte Soulwax, Lcd Soundsystem, Who Made Who e non molti altri. Quindi ricerchiamo lì il nostro spazio, per evitare di essere considerati i soliti italiani cloni di qualcos'altro.
Per quanto riguarda la musica italiana all'estero, direi che da un lato andiamo incontro a un'unificazione europea culturale e linguistica, quindi prima o poi anche all'Italia potrebbe toccare la considerazione (come Belgio, Germania o paesi scandinavi), di luogo a piena dignità rock. I gruppi di certo non mancano. Dall'altro il problema della lingua troppo spesso lo poniamo noi prima di chiunque altro. L'italiano è una lingua cool, certamente più dello spagnolo e almeno al pari del francese. Sta alla qualità del sound, alla personalità e al carattere di chi scrive in italiano, sapersi smarcare dai cliché della musica tricolore. Dal mio punto di vista, prima ancora dei Subsonica avevo già fatto diversi tour in giro per il mondo suonando con Africa Unite, o lavorando al mixer con la prima cellula dei Mau Mau. Si cantava in italiano, quando non in piemontese, senza il minimo problema da parte del pubblico.
Casasonica.it è ancora attivo, ma non più aggiornato da due anni. Che cosa è successo con le band sotto contratto, se puoi raccontarcelo? E come ti senti di giudicare questa esperienza discografica: rifaresti tutto? Qualcosa è andato storto, è stato un fallimento oppure alcune contingenze hanno portato naturalmente a questi esiti? Oggi che cosa significa Casasonica?
Casasonica etichetta, nei fatti, non esiste più. Può essere interessante analizzare gli errori, perché ci sono stati e le caratteristiche positive dell'esperienza, perché c'è qualche cosa di significativo anche lì. Innanzi tutto il mio errore fondamentale: non aver preteso da band alla prima uscita il sacrificio e la pazienza necessari ad affrontare la gavetta. Ovvero quella fase nella quale spendi tutte le tue energie senza nessuna certezza, che per me è durata almeno 15 anni, prima che le cose andassero in un altro modo. Mi trovavo imbarazzato nell'insistere con le band sul fatto avrebbero dovuto suonare tanto e ovunque, con o senza impianti anche per cento euro e dormire in furgone se necessario. Mi sentivo a disagio perché nel frattempo stavo riempiendo i palazzetti, dormendo in comodi hotel e viaggiando su un camper con playstation e Dvd. Da lì il tentativo di piazzare i loro concerti solo a determinate condizioni, affittando mezzi di trasporto e alloggiamenti, che ha provocato una notevole emorragia di risorse. Una band come i Petrol era arrivata al punto di pretendere i backliner fin dalla prima data.
Altro errore di valutazione: non avere capito, per tempo, che gli anni 90 erano finiti da un pezzo e che la quaresima degli anni Zero stava per raggiungere il suo picco di desolazione: poco pubblico ai concerti e zero interesse per le nuove band. Insomma, non che pretendessimo di vendere gli album, ma che in tempi relativamente brevi qualche band avrebbe incominciato a spaccare nei live, ce lo saremmo aspettati. La cosa certamente più deleteria è stata la sovrapposizione con Casasonica/management voluta dal manager Alessandro Chiapello, decisamente più interessato alla gestione di artisti già affermati come Afterhours e Baustelle prima e Niccolò Fabi e Arisa poi (e a quel punto ho capito che non c'era più storia). In pratica, il livello più underground della factory/etichetta (quello che a me interessava) produceva album, realizzava laboratori di comunicazione come newsonica, allevava artisti visivi e sperimentava forme di comunicazione via web, creava l'habitat per la formazione di band trasversali come LnRipley, album come "Gatto Ciliegia" e "Robertina" etc. E il livello più manageriale ignorava il tutto per dedicarsi unicamente a esperienze di più gratificante visibilità. È tuttora in corso un confronto piuttosto acceso, tra me e Chiapello, per capire come portare a conclusione tutta l'esperienza.
Sei stato ideatore e realizzatore anche di un'altra esperienza fondamentale per la città di Torino: il Traffic Free Festival. Che bilancio dai, dopo sei anni dal primo evento? Penso che in Italia il Traffic possa considerarsi un evento unico, a livello di produzione e di offerta. È questa la strada da seguire per la musica live in Italia? Qual è la ricetta per poterlo esportare anche in altri luoghi della penisola?
La ricetta se mai esiste, consiste nell'interrogarsi a fondo sul significato di festival (vogliamo chiamarlo rock?) in anni come questi. Interrogarsi soprattutto sulla differenza tra un semplice avvicendamento, più o meno variegato, di band su un palco, che sarebbe più opportuno definire rassegna, e la necessaria "dimensione" di un festival. Elementi come la totale gratuità, la ricerca di linee guida sulle quali costruire e motivare le decisioni artistiche, la volontà di sviscerare in chiave multi-disciplinare tutto quello che la musica si porta appresso: mediante il cinema, la comunicazione grafica e visiva, il clash con la letteratura tendono a restituire all'"evento", un ruolo più completo, appagante. Vogliamo sporcarci le mani con la dietrologia? Ok :"Spirituale".
Per quanto riguarda l'Italia, quello che ti posso dire è che un discorso come questo portato al tavolo di una qualsiasi amministrazione culturale produce immediatamente irritazione se non sbadigli. Qui a Torino, l'esperimento è stato tentato fondamentalmente perché sono stato disposto a giocarmi la faccia accettando un'eventuale crocifissione. Al suo posto ci sono stati invece i risultati: di numeri, di feedback internazionali, di promozione della città e della regione in termini di immagine, e della considerazione culturale solitamente negata ai festival giovanili. Nonostante l'investimento, nettamente inferiore a quello di qualsiasi altro festival di uguali dimensioni, la magnitudo del Traffic ha proporzioni paragonabili ai più grandi e mega sponsorizzati eventi della penisola.
Non hai mai nascosto il tuo interesse vivo e appassionato per l'impegno civile, attraverso i testi, il palco e il web. Con i Subsonica, avete perorato la causa di molte associazioni e iniziative davvero toste, recentemente Nonuke, Global Zero... Credi che il musicista/artista sia uno degli ultimi comunicatori politici e sociali rimasti? Anche in questo, l'esperienza di Obama (che ha avuto l'appoggio di buonissima parte del mondo artistico americano) ci ha insegnato o ci deve insegnare qualcosa?
Ho di recente conosciuto Trevor Fitzgibbon, cioè l'inventore di Move on: il movimento da cinque milioni di voti che ha prodotto la vittoria di Obama alle primarie prima, e alla Casa Bianca poi. E ho capito che se un rockettaro di Seattle, appassionato di cause civili, forte della sensibilità di carattere empatico che l'esperienza della musica ti fornisce, riesce a fare quello che a fatto - e inoltre con la campagna "global zero" sul disarmo nucleare mondiale responsabile dei più recenti accordi Usa-Russia continua a fare - molte cose sono possibili. Trevor è venuto in Casasonica dopo una conferenza torinese su attivismo e social network, perché aveva sentito parlare dei Subsonica e del loro impegno, ma soprattutto per via di www.torinosistemasolare.it , di cui sono un responsabile. Incuriosito da un clip ("Mafia spa") realizzato in collaborazione con Libera sul rapporto tra mafia e consumo di cocaina, ha voluto capire che tipo di trasversalità ci fosse dietro e come si muovesse questa strana rete cittadina autogestita. Una rete formata da associazioni studentesche, musicisti, luoghi, della notte, associazioni antimafia, artisti visivi etc. e impegnati a riprogettare la città. Ci ha riempiti di complimenti e si è portato via un bel po' di materiale, oltre a qualche cd dei Subsonica.
Questa gratificazione (decisamente importante) ci insegna che le cose vanno semplicemente fatte, che non bisogna perdersi solo dietro a chiacchiere e fritture dell'aria e che soprattutto non bisogna tanto aspettare la politica, quanto anticiparla, sensibilizzarla, pilotarla. Magari attraverso piccole, quotidiane utopie territoriali, capaci di riprogrammare obiettivi e senso di appartenenza. La musica, non solo i suoi protagonisti ma anche e soprattutto i suoi luoghi, possono davvero molto più di quanto pensiamo.
Sei una persona in prima linea per quanto riguarda le politiche culturali della tua città, per i tuoi progetti credo tu abbia tenuto e tenga relazioni con la politica e gli ambienti decisionali. Se fossi tu ad avere in mano le carte da firmare per poter decidere, quali provvedimenti urgenti prenderesti oggi per la musica?
Farei una cosa impensabile, radicale, estremamente rivoluzionaria, che nessuno (nemmeno Veltroni, con il suo ventilato programma per la musica) ha mai pensato di fare. Parlerei con i musicisti. Con quelli veri però, non con chi come me ha già una professione, né con chi imbraccia uno strumento per la prima volta e ha già a disposizione le mille rassegne per gruppi emergenti, cioè tutto ciò che le amministrazioni riescono a proporre.
Parlerei con chi sta tentando di fare della musica la propria vita e magari necessita di cose semplici e realizzabili come un ufficio sponsor del proprio comune che si sbatta per procurare un furgone, o uno spazio dove accedere a servizi di consulenza legale per affrontare i primi contratti senza la paura di accettare patti con diavolo. A livello nazionale sarebbe certamente necessaria una semplificazione fiscale e burocratica per non doversi impelagare tra società e commercialisti prima ancora aver capito se la tua musica potrebbe diventare una reale opportunità di lavoro.
Domanda finale di rito. Che cosa gira almeno una volta al giorno nel tuo iPod-Pc-lettore cd-giradischi?
Musica strumentale, generalmente ambient, da Brian Eno a Murcof, ma anche astrazioni ritmiche come Burial o Autechre. Forse perché spesso mi occupo di canzoni sento il bisogno di decongestionare un po' il tutto.
Subsonica (Mescal, 1997) | 7,5 | |
Microchip emozionale (Mescal, 2000) | 7 | |
Amorematico (Mescal, 2001) | 5 | |
Controllo del livello di rombo (Mescal, 2003) | ||
Terrestre (Emi, 2005) | 4 | |
Terrestre live e varie altre disfunzioni (live, EMI, 2006) | ||
L'Eclissi (Virgin, 2007) | 7 | |
Eden (Emi, 2011) | ||
Una nave in una foresta (Emi, 2014) | 6 | |
8(Sony, 2018) | ||
Microchip Temporale (Rca, 2019) | ||
Mentale strumentale (Rca, 2020) | 6,5 | |
Realtà aumentata (Sony, 2024) | 7 |
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