Chiara Civello

Chiara Civello

La cantautrice internazional-popolare

Persa nella sua nebulosa senza tempo di languori bossa nova, sinuosità jazzy e vocalizzi felpati, la ragazza che stregò Burt Bacharach e Tony Bennett resta un'aliena nel panorama pop nazionale. Cervello italiano in fuga negli Usa (e in Brasile), ha creato un mondo “tropicalista al contrario” tutto suo, che si propone di allargare i confini della canzone tricolore

di Claudio Fabretti

Chiara Civello è un’aliena nel panorama nazionale del pop al femminile. Mentre volgari schiamazzatrici da arena televisiva continuano a imperversare nelle classifiche, l'universo musicale della chanteuse romana di sangue siculo resta a distanza siderale, perso nella sua nebulosa senza tempo di languori bossa nova, sinuosità jazzy e vocalizzi felpati. Un felice isolamento che però ha sempre consentito alla Civello - forte anche del suo robusto pedigree internazionale - un'assoluta libertà nelle scelte artistiche. Un mondo “tropicalista al contrario”, che si propone di allargare i confini della canzone italiana, aprendola ad altri linguaggi. “Voglio essere internazional-popolare”: Chiara di nome e di fatto, l'ambizione della ragazza per la quale si scomodò Burt Bacharach (scrivendo per lei un brano) e che Tony Bennett definì "la miglior cantante jazz della sua generazione". Dopo tanto girovagare tra Stati Uniti e Brasile, miss Civello ha rimesso radici in Italia. Ma senza rinunciare alla vocazione cosmopolita che l’ha contraddistinta fin dagli esordi della sua carriera.

Da Modica a Boston

Chiara CivelloSangue siculo - di Modica, per l’esattezza - ma romana di nascita (15 giugno 1975), Chiara Civello è il classico talento precoce, destinato a essere esaltato o frustrato a seconda delle scelte compiute e delle persone incontrate. Nel suo caso sarà (quasi) un percorso netto.
Inizia a suonare il pianoforte da bambina, incoraggiata dalla nonna Bianca. A soli 13 anni già frequenta il Saint Louis di Roma, dove ha modo di conoscere la sua prima insegnante, Edda Dell'Orso, leggendario soprano delle colonne sonore di Ennio Morricone per la trilogia western di Sergio Leone e molte altre, nonché collaboratrice di lusso di svariate produzioni italiane, da De André a De Gregori. Le subentra dopo qualche tempo Cinzia Spata, che percepisce tutte le qualità della giovane Chiara, invitandola a partecipare alle audizioni che l'Umbria Jazz concede agli studenti della scuola. È grazie all’interpretazione del brano “What Are You Doing The Rest Of Your Life” di Michel Legrand, che ottiene una borsa di studio per il Berklee College of Music di Boston. Nel frattempo, muove i primi passi musicali anche in Italia, suonando per la Mario Raya Big Band e collaborando con artisti d’area jazz come Stefano Di Battista, Roberto Gatto e Danilo Rea.

Ma è il grande salto negli States la sua prima scelta indovinata. Appena compiuti 18 anni, nel 1994 si trasferisce a Boston per studiare al Berklee College of Music, dove forma un trio jazz con Alain Mallet, John Lockwood e Jamey Haddad. Dopo il diploma, si stabilisce a New York, dove nel 2002 ha già una formidabile opportunità: incidere alcune sue composizioni per l'album “October Road” di James Taylor.
Si diceva poi delle persone giuste da incontrare. La prima e più importante di queste, per lei, è Russ Titelman, produttore di star come Randy Newman, Chaka Khan, George Benson, James Taylor e Paul Simon. La giovane vocalist romana riesce a incrociarlo grazie ai musicisti con cui lavora, che orbitano proprio nel giro di Simon. E Titelman resta incantato. Un colpo di fulmine che permette a Chiara di incidere l’album d’esordio e di ottenere al contempo un primo, formidabile primato: diventa la prima artista italiana nella storia a debuttare con un disco inciso per la prestigiosa etichetta Verve Records.

Chiara CivelloIl disco si chiama Last Quarter Moon (2005), è prodotto dallo stesso Titelman e contiene dodici brani jazz-pop (cantati in inglese, italiano e portoghese), realizzati con il supporto di grandi musicisti come il batterista Steve Gadd, il tastierista Larry Goldings, Jimmy Greene al sax e Daniel Jobim (nipote del grande Tom e voce in “Sambaroma”, primo omaggio alla terra promessa brasiliana). La ciliegina sulla torta è una flessuosa ballata di nome “Trouble”, per la quale si scomoda nientedimeno che sua maestà Burt Bacharach, co-autore insieme a lei di un brano che sembra uscito direttamente dal Brill Building nei primi anni 60 e che appare, fin dal primo ascolto, un instant classic senza tempo.
Oltre a sfoggiare interpretazioni di indubbia classe ed eleganza, Civello si mette in mostra anche come compositrice, firmando le due piano-ballad atmosferiche “Parole incerte” (struggente riflessione sui fraintendimenti d’amore) e “In questi giorni” e poi – insieme ad Alvear Eduardo Alex - la malinconia tropicaleggiante di “Ora” (le sole tre tracce in italiano). Nel complesso dominano le atmosfere jazzy soffuse (“Last Quarter Moon”), tra inflessioni swing alla Julie London (“Here Is Everything”, con solo al sax di Miguel Zenon), pop d’autore (“The Wrong Goodbye”) e primi languori bossa nova alla Astrud Gilberto (“Sambaroma” e la cover di “Outono” di Rosa Passos e Fernando DeOliveira). Deliziosa, infine, la reinterpretazione della già pregevole “Caramel” di Suzanne Vega, resa qui ancora più morbida e struggente.
L’album esce in un momento propizio per il jazz-pop, in cui dominano artiste come Diana Krall e Norah Jones, e forse anche per questo ottiene ottimi risultati nelle classifiche statunitensi, conquistando la posizione numero 46 di Billboard e vendendo più di 32.000 copie, che gli varranno il titolo di "Top jazz album". Anche la stampa statunitense non lesina elogi. Billboard Magazine scrive di lei “la bellezza, lo charme e il carisma del suo debutto segnalano al mondo la prima rivelazione del nuovo anno”, l’International Herald Tribune dichiara che “la sua combinazione di personalità, profondità e sofisticatezza è impressionante”, mentre la webzine Jazz Times mette l’accento sulle influenze brasiliane, sottolineando che “Chiara Civello sembra aver vissuto gli anni della sua formazione a Rio, invece che a Roma”. Il disco farà impazzire anche Cyndi Lauper, che lo definirà "ammaliante e fantastico".
Peccato che in Italia, invece, in pochi se ne accorgeranno. Il destino dei cervelli in fuga…

Lo spazio intimo

Chiara CivelloPiù intimista ed ermetico, il secondo album The Space Between, prodotto da Steve Addabbo per la Emarcy/Universal Jazz and Classic nel 2007, griffato in copertina da una Civello pensosa con fiore in testa di Holiday-ana memoria. “È un disco sullo spazio – chiarisce lei - Sullo spazio tra le note, sui silenzi tra le parole, sullo spazio tra me e te, tra me e il mio passato o il mio futuro, e su tutti gli spazi ai quali oggi facciamo tanta fatica a pensare… lo spazio che ti fa percepire meglio la realtà, lo spazio che ti costringe a sentire la mancanza di qualcuno, lo spazio che non ti fa dire tutto subito, ma poco a poco, mentre il bisogno di dirlo si intensifica”.
L’album, edito ancora dalla Verve, raccoglie melodie jazz contaminate dalla musica brasiliana, ma anche da sfumature blues e pop. Oltre al piano, Civello si cimenta anche alla chitarra acustica, supportata dalle percussioni di Mauro Refosco (Thom Yorke, David Byrne), musicista dotato di uno stile innovativo ma mai soverchiante, che si esalta nella tambureggiante “L Train”. Il tutto sempre all’insegna di quella melanconia brasileira alla quale è stato dato il nome di “saudade”, che aleggia sul disco fin dall’iniziale (splendida) “Night”. Prevalgono ancora sonorità soffuse, notturne, da night-club fumoso (“If You Ever Think Of Me”, “Un passo dopo l’altro”, “My Broken Heart”) padroneggiate con interpretazioni sempre sofisticate ma mai stucchevoli.
Da segnalare anche le cover di Harry Nilsson – una “Without Him (Her)” riarrangiata in stile samba-bossanova - e Hoagy Carmichael (una struggente versione jazzata di “Skylark”), oltre alla nostalgica ballata scritta a quattro mani con l’attore/musicista Rocco Papaleo conosciuto in vacanza a Stromboli (“Isola”).

Tra Rio e New York

Consolidata la sua reputazione oltreoceano, Civello cerca di affermarsi anche in Italia, dove nel 2008 partecipa all'Umbria Jazz e scrive insieme a Pino Daniele il brano “L'ironia di sempre”, incluso dal cantautore napoletano nel suo album “Ricomincio da 30”. Nello stesso anno collabora anche con Nicola Conte, partecipando in veste di vocalist al suo “Rituals”.
L'anno seguente, parte per il Brasile, dove ad attenderla è Daniel Jobim. A Rio de Janeiro, si esibisce a un “sarao”, un tipo di meeting musicale in cui la chitarra viene fatta girare e a turno ognuno canta una canzone. Chiara canta “Isola”. Ed è qui che entra in contatto con artisti come Ana Carolina, Dudu Falcão e Totonho Villeroy.

Chiara CivelloL’influenza brasiliana è così ancora una volta al centro dei suoi progetti, come testimonia il terzo album, uscito nel 2010, con precisa connotazione geografica, ovvero 7752. Sono i chilometri che in linea d’aria separano le sue due città del cuore: New York, dove vive da tempo, e Rio de Janeiro, ormai sua patria d'adozione.
Nei dieci brani inediti, il repertorio della Civello si fa un po’ più pop e meno jazz, smussando angoli e suonando nel complesso più solare e accattivante. Non perdono in eleganza, invece, le orchestrazioni, arricchite da un cast stellare, sotto la supervisione di Andres Levin alla console, con il leggendario Marc Ribot (una vita con Tom Waits) alla chitarra elettrica e Jaques Morelenbaum (già al fianco di Tom Jobim, Caetano Veloso, Gilberto Gil, Ryuichi Sakamoto) a violoncello e arrangiamento d'archi, oltre agli amici di sempre Mauro Refosco alle percussioni e Guilherme Monteiro alla chitarra, per non parlare della ritmica esaltante di Gene Lake e Jonathan Maron e della popstar brasiliana Ana Carolina in veste di special guest, a voce e chitarra. Ne scaturisce una felice alchimia tra rock anni 60, melodia italiana, armonia brasiliana e r’nb.
Si spazia così dai sensuali ammiccamenti latini, spolverati dai fiati, di “8 storie” al vellutato “Sofà” (scritto con la stessa Ana Carolina e la giovane cantautrice romana Diana Tejera) ammantato di malizia e coretti suadenti; dal senso di “assenza immensa” colmo di rimpianti e nostalgia di “Non avevo capito niente” alle vibrazioni jazzate di "I Didn't Want" e "One More Thing", reminiscenti delle lunghe notti trascorse all’ombra della Grande Mela. E se le cicatrici amorose di “I’m Your Love” sembrano uscite direttamente dalla colonna sonora di un film d’annata di 007, non meno retrò suona il beat di “Dimmi perché”, che si apre in una radiosa apertura melodica tipicamente tricolore.
E poi c’è naturalmente il Brasile, quello melodrammatico, impregnato di saudade, di Ana Carolina, co-protagonista dello struggente duetto di “Resta” (che diverrà addirittura colonna sonora della telenovela brasiliana “Passione”, prodotta da Rede Globo), e quello non meno malinconico di una bossanova di Antonio Villeroy, “Un uomo che non sa dire addio”, declinata però in una veste cantautorale italiana, dall’inconfondibile (e irresistibile) sapore anni Sessanta, nonché dallo spirito orgogliosamente femminista.
Nel complesso, 7752 è un disco che rischia di più, cercando di allargare ulteriormente gli orizzonti geografici e musicali della Civello, anche a costo di apparire meno compatto e di sacrificare un po’ l’impostazione classicamente jazz dei predecessori. Verrà ristampato l'anno seguente anche in edizione deluxe, anticipato dal singolo “Tre”, scritto ancora insieme a Papaleo.

Sempre nel 2010, Civello scrive con Dudu Falcao “Simplesmente Aconteceu” (colonna sonora della telenovela brasiliana “Guerra dos sexos”), “8 estorias”, “10 minutos” e “Traiçao”, che, oltre alla succitata “Resta” saranno inserite nell'album di Ana Carolina “N9ve”. Parallelamente compone per Paola Turci il brano “Cuore distratto”, incluso dall’artista romana nell'album “Giorni di rose”, e partecipa in veste di cantante a “Lacrime di coccodrillo”, singolo inciso da Joe Barbieri.

Italia, croce e delizia

Chiara Civello a SanremoOrmai star internazionale, acclamata negli Stati Uniti, dove Tony Bennett l’ha proclamata “miglior cantante jazz della sua generazione”, e in Brasile, dove ha accumulato una fanbase vastissima, Chiara Civello prova finalmente l’affondo in patria. Ma il tentativo, come vedremo, si rivelerà molto più complicato del previsto.
Dopo aver preso parte al concerto del 1º maggio 2011 insieme a Fabrizio Bosso e aver duettato con Mario Biondi, nel brano da lei scritto “All I Really Want”, arriva l’opportunità della partecipazione al Festival di Sanremo 2012 nella categoria Big. Lo status è indiscutibile dal punto di vista internazionale, ma in Italia Chiara è poco più di una sconosciuta e tanti spettatori si interrogano su chi sia quella chanteuse dalle curve mozzafiato che canta con tonalità così soffuse e diverse dal resto della compagnia. Così, nonostante un brano dal discreto impatto melodico (l’ariosa ballata “Al posto del mondo”, firmata con Diana Tejera), Chiara non riesce a classificarsi in finale, finendo ingloriosamente ricordata soprattutto per quella mano malandrina di Shaggy nel corso della performance in duetto – invero non memorabile – di “You Don't Have To Say You Love Me” (“Io che non vivo senza te”).

Ma a chi è interessato solo alla musica, non resta che godersi il successivo tour di Al posto del mondo (2012), che, oltre al repertorio precedente, propone i brani dell’omonimo album. Un lavoro piuttosto disomogeneo, che oltre al brano sanremese, recupera la vecchia “Trouble” di Bacharach e propone una prescindibile cover di “Il cuore è uno zingaro” (la hit sanremese di Nicola Di Bari e Nada del 1971), aggiungendovi alcuni inediti variamente assortiti: la bluesy “Hey caro ragazzo”, lo swing-rock di “Got To Go” - scritto per lei da Jesse Harris, autore e chitarrista di Norah Jones - una delicata ballata di Bungaro (“A me non devi dire mai”), un paio di numeri pop non esaltanti siglati assieme a Diana Tejera (“Scusa”, “E se”), il quasi-vaudeville rock di “Una vita no” (con la complicità di miss “Dammi tre parole” Valeria Rossi) e infine il vero pezzo forte, la ballata romantica “Problemi”, nuovo duetto con Ana Carolina che spopolerà in Brasile, nella versione della cantante di Juiz de Fora, aggiudicandosi il Premio Multishow come miglior canzone dell'anno (e finendo nell’ennesima telenovela, “Fina estampa”).
Nel complesso un disco che tenta una difficile “italianizzazione” della cosmopolita di origine sicula, eccedendo sul lato melodico pop e sacrificando le sue preziose matrici jazz e bossanova. E non basterà per imporla su un mercato tricolore sempre poco ricettivo verso le atmosfere ovattate e i vocalizzi felpati della Civello.

Non mancano, però, nuove occasioni prestigiose in cui mettere in mostra una caratura internazionale ormai acclarata, come il Concerto di Natale del 2012 in cui Chiara si esibisce in duetto con un’altra leggenda: Al Jarreau. Si consolidano, poi, le radici verdeoro, grazie al nuovo duetto assieme ad Ana Carolina, “Um Sueno Bajo El Agua”, e a un tour tutto brasiliano, "Solo +", bissato poi da una seconda tranche italiana che toccherà anche il tempio jazz milanese del Blue Note.

Chiara CivelloMa Civello è ormai decisa a riaffermare la sua italianità, anche a costo di doversi cimentare con un repertorio in parte lontanissimo dal suo. Nasce così l’idea di un omaggio ai classici della canzone italiana, che cionondimeno conservi un’attitudine cosmopolita, grazie anche alla registrazione in giro per il mondo, effettuata in analogico tra Bari, New York e Rio de Janeiro. In cabina di regia, per l’occasione, viene chiamato Nicola Conte, dj e produttore specializzato in ibridazioni tra jazz e club culture. Ed è proprio questo trademark a reggere le file di Canzoni (2014), un lavoro per sua natura caotico ed eterogeneo, visto che presenta ben 17 cover di brani italiani che spaziano dagli anni 60 ad oggi, interpretati da artisti quali Mina, Rita Pavone, Lucio Battisti, Gino Paoli, Sergio Endrigo, Paolo Conte, Vasco Rossi, Vinicio Capossela, Subsonica & C.. Un repertorio interamente frullato e reinventato mescolando la bossa nova al northern soul, il latin jazz al blue eyed soul. Ad aggiungere un tocco internazionale in più, la partecipazione di amici brasiliani di lusso, come Gilberto Gil, Chico Buarque, Esperanza Spalding e Ana Carolina, che duettano con Civello, rispettivamente in “Io che non vivo senza te”, “Io che amo solo te”, “I mulini dei ricordi” ed “E penso a te”. Le architetture sonore sono arrangiate da Eumir Deodato e suonate dall'Orchestra Sinfonica di Praga; mentre alla pattuglia dei musicisti si aggiungono il sassofonista svedese Magnus Lindgren, il batterista finlandese Teppo Makynen, il bassista Luca Alemanno, il pianista Pietro Lussu, Gaetano Partipilo al sax alto e il chitarrista brasiliano Guilherme Monteiro, al fianco della cantautrice romana sin dai tempi del debutto.
Per la prima volta nelle vesti di sola interprete, Chiara riesce a plasmare la sua vocalità di seta su spartiti multiformi senza smarrire l’eleganza che la contraddistingue (si prendano ad esempio anche solo il caso di “Una sigaretta” o la bossa nova di “Metti una sera a cena” di Morricone) sebbene la durata eccessiva dell’album (70 minuti) e la scelta dei brani – già ampiamente inflazionati e coverizzati da altri artisti italiani – tolga un po’ d’appeal al disco, che per scrive resta il meno avvincente della sua produzione. La pensa in maniera nettamente diversa l’autrice, che subito dopo l’uscita manifesterà tutta la sua emozione: “Non potevo sognare oltre, è il disco che volevo fare con le canzoni che avrei voluto scrivere e un sound che strizza l'occhio al passato ma guarda al futuro e a un'Italia come quella di adesso, piena di promesse. Gil, Chico, Eumir, Nicola, Ana, Esperanza rendono omaggio alla musica italiana con una freschezza emozionante”.
A contribuire all’estetica dell’operazione è anche l’ironica (e iconica) immagine di copertina, omaggio all'attrice Florinda Bolkan nel film “Metti, una sera a cena”.
Nelle classifiche italiane Canzoni andrà bene, ma non benissimo, scivolando presto dietro Emma e compari. Civello però ha ancora una volta un’intuizione felice: capisce che quel tributo al made in Italy può diventare un ottimo biglietto da visita internazionale, consacrando così il suo ruolo di ambasciatrice della canzone italiana in giro per il mondo. A cominciare dagli Stati Uniti, dove l’album viene pubblicato sotto l'etichetta della Sony Music, debuttando per scelta di Bill de Blasio, sindaco di New York, all'Italian Heritage Celebration nella storica cornice del Metropolitan Museum. Ne segue un intricato tour per gli States diviso in 4 serate date tutte esaurite, a New York, Boston, Miami e Washington. Mica male.

L’alba nell’Eclisse

Chiara CivelloArchiviato un nuovo duetto doc - con Sergio Cammariere nella latineggiante “Con te o senza te” – Chiara Civello si imbarca in un progetto che le consente il definitivo salto di qualità, Eclipse (2017). Un disco da sorseggiare lentamente, come un bicchiere di brandy, tra cover e inediti di valore, ai quali hanno contribuito autori di punta del pop italiano, come Cristina Donà, Francesco Bianconi (Baustelle), Dimartino, Diana Tejera e Diego Mancino. Registrato tra Parigi, New York, Rio de Janeiro e Bari, fa leva anzitutto su un'azzeccata scelta produttiva: Marc Collin dei Nouvelle Vague porta in dote, infatti, il suo bagaglio retrofuturista di tastiere, moog, drum machine e organi elettrici, forgiando un involucro elettropop che si attaglia magnificamente ai consueti struggimenti bossa-lounge-pop. È un uso calibrato, impressionista dell'elettronica, che riesce a modernizzare canzoni strutturalmente "classiche", aggiungendo un gusto eccentrico in grado di scrostare quella patina di leziosità che restava, forse, il principale difetto delle produzioni della Civello.
Nella gara tra gli autori, a sorpresa, la spunta il meno blasonato Mancino, che piazza due affondi melodici perfetti per le corde della cantante romana: l'iniziale "Come vanno le cose" e "Qualcuno come te". La prima è una bossa postmoderna alla Gal Costa, superbamente arrangiata con il french touch di Collin, la chitarra franco-algerina e le percussioni brasiliane di Refosco. La seconda è una di quelle ballate da letto sfatto e tormenti post-amorosi che un tempo avrebbero fatto la fortuna di Mina ("L'importante è finire" vi dice qualcosa?) o di Ornella Vanoni, e che Chiara suggella con un'interpretazione degna di cotante muse, anche per via di una sensualità irresistibile che già le valse il titolo di “afrodisiaco da assumersi sotto controllo medico” (cfr. Camillo Langone, "Il Foglio").
Ma anche il resto dei "duetti compositivi" non delude: con "Cuore in tasca" Dimartino asseconda le venature soul e gli istrionici voli stilistici della Civello su un soffice tappeto di organi d'antan, la rarefatta "New York City Boy" di Bianconi è una stanza d'albergo in penombra che riflette soffusi bagliori jazz-blues, "La giusta distanza" della Tejera mette in scena un più classico numero soft-pop con la Vanoni ancora dietro l'angolo, mentre "To Be Wild" (Donà) è una bella dichiarazione d'indipendenza al femminile, condita da una melodia struggente e sfiziosi arrangiamenti electro-lounge.
Corposa è poi la sezione cinematografica, con il ripescaggio di alcune chicche, come una versione intima per chitarra e voce di "Amore, amore, amore", scritta da Alberto Sordi e Piero Piccioni; una vellutata "Quello che conta", che riporta alla luce il bel tema interpretato da Luigi Tenco e composto da Ennio Morricone e Luciano Salce per il film "La Cuccagna"; e infine una spiazzante rilettura electro-funky di "Eclisse Twist", che Michelangelo Antonioni scrisse con Giovanni Fusco per affidarla alla voce di Mina. E a proposito della Tigre di Cremona, c'è posto per un suo classico, "Parole parole", che diventa l'occasione per gettare un ponte tra Italia e Francia sopra i ricami di un organo Crumar, rievocando anche la versione transalpina di Dalida e Alain Delon in un mood jazzy (con i pregevoli inserti di flauto di Alfonso Deidda).
L'immancabile omaggio al Brasile si sostanzia invece nello scanzonato sambalanco di "Sambarilove" (firmata con Roubinho Jacobina) e nel divertissement di "Um dia", in cui la protagonista gioca con Pedro Sà (il chitarrista di Veloso) sulle contraddizioni dei nati sotto il segno dei Gemelli, che un giorno vogliono una cosa e un giorno un'altra.

Con Eclipse, dunque, si completa il percorso di riavvicinamento di Chiara Civello alle radici italiane, ma al tempo stesso si cristallizza definitivamente la sua irriducibilità alle mode nostrane (sono gli autori che si piegano al suo stile, non viceversa), la sua perenne vocazione internazionale di cervello musicale in fuga, che trova qui il miglior alleato possibile in Collin. Se con i Nouvelle Vague il musicista francese era riuscito nell'impresa di trasformare in soffici confetti bossa nova addirittura dei classici della new wave, al cospetto della cantante di “Last Quarter Moon”, in fondo, la strada era già in discesa. Non restava che aggiungere quel pizzico di ironia, leggerezza e imprevedibilità indispensabile per smussare gli ultimi residui accademici dell'artista forgiata dal rigido Berklee College of Music di Boston. Missione compiuta.

Raggiunto con Eclipse l'apice della sua carriera, Chiara Civello si concentra soprattutto sui concerti e su una serie di collaborazioni che la portano anche nel "suo" Brasile, dove rimane di fatto prigioniera, in esilio forzato a causa della pandemia, isolata nella sua casa/studio a progettare nuove canzoni e nuove ibridazioni internazionali. La prima a uscire, in ordine di tempo, è un'opera di rilettura dello sterminato patrimonio della canzone francese, in cui inevitabilmente c'è ancora lo zampino di Collin.

La chansonnier

Chiara CivelloChansons (2021) rischiava di essere un mero recupero dei classici d'oltralpe che non andasse al di là dell'omaggio, dell'esercizio calligrafico. Ma, con la complicità del fido produttore, già rodato sul fronte delle cover dall'esperienza Nouvelle Vague, la chanteuse romana dal sangue siculo ha trovato una duplice via per schivare l'insidia. Anzitutto – come ci ha raccontato in questa intervista – restringendo il campo a quei grandi standard internazionali che in pochi sanno essere frutto di penne francesi; in secondo luogo, affidandosi completamente alla visione musicale di Collin, mago di atmosfere in chiaroscuro, dal gusto retrofuturista e spesso sottilmente esotico. Il risultato è una raccolta di brani in cui Chiara gioca a fare l'ortodossa e Marc il guastafeste ribaltando spesso la matrice sonora di partenza. Emblematico il caso del singolo “La Vie En Rose” che ha anticipato il disco, in cui alla vocalità leggera della Civello, che svolazza soffice fra le note, fa da contrappunto un ensemble intento a pestare duro su un ritmo incalzante. Ma ancor più efficace è la resa della struggente “Hier Encore” di Charles Aznavour, tradotta in una funkeggiante “Yesterday When I Was Young” che rimpiazza la malinconia con una languida sensualità.
Gli episodi più ispirati sono proprio quelli in cui Chiara e compagni sembrano lasciarsi prendere la mano, divertendosi a stravolgere il canovaccio di partenza con un mix calcolato di mestiere e improvvisazione. Come ad esempio nella sempiterna “Un uomo, una donna” (“Un homme et une femme”) di Francis Lai, virata in un liquido cocktail alla Nouvelle Vague, tutto frivolezza e bollicine; oppure nel recupero del nucleo sonoro originario di quella “Pour Toi” scritta da Loulou Gaste nel 1956 per il film “Le Feu Aux Poudres” e reincarnatasi 20 anni dopo nella hit “Feelings” di Morris Albert con intatta linea melodica (e conseguente battaglia legale, vinta alla fine da Gaste).
Altrove il divertimento lascia spazio a una maggior compostezza, mirata a riportare alla luce l'austera eleganza degli originali, come nella sentita “Col tempo”, omaggio all'originale di Léo Ferré ma anche alla riuscita cover di Gino Paoli, colonna sonora delle traversate in macchina della piccola Chiara, assieme al padre, per andare in Sicilia, nella sua Modica. Anche la “Ne me quitte pas” di Jacques Brel occhieggia soprattutto alla versione tricolore di Patty Pravo (“Non andare via”), senza però conservare quella vena di lucida follia melodrammatica che impregnava il “recitato” dell'artista veneta. Alle piume di struzzo (che pure indossa nel videoclip di "La Vie En Rose") della teatralità e dell'istrionismo, Civello preferisce il velluto e la seta delle orchestre jazz, e forse è eccessivo chiederle quel surplus di stravaganza che non appartiene alle sue corde.
In ogni caso, la classicità di interpretazioni come “Que rete-T-Il De Nos Amours?” (Charles Trénet), “I Will Wait For You” (“Les parapluies de Cherbourg”) del suo compositore-feticcio Michel Legrand (sulle cui note superò l'audizione per una borsa di studio al Berklee College of Music a soli 16 anni) e della stessa “My Way” - prosciugata dell’enfasi da crooner alla Sinatra e riportata alla sommessa malinconia dell'originaria “Comme d’habitude” di Claude François e Jacques Revaux - è l’ennesima testimonianza della classe di una cantante di categoria superiore. Testardamente disallineata alle mode dell'attuale panorama musicale italiano, ma comunque libera. Al punto da poter dire, anche stavolta, I did it my way.

 

Nel 2023 Civello pubblica un nuovo singolo firmato assieme al cantautore Kaballà ("Sono come sono"), riadattamento in italiano di una hit brasiliana di Sandra de Sásu (“Olhos Coloridos”) divenuta un inno della lotta al razzismo, facendone un raffinato numero funky che mette al bando tutte le discriminazioni.

Chiara Civello

Discografia

Last Quarter Moon(Verve, 2005)
The Space Between(Emarcy, 2007)
7752 (Universal, 2010 - ristampato nel 2011 in edizione deluxe)
Al posto del mondo(Intersuoni, 2012)
Canzoni(Sony, 2014)
Eclipse (Sony, 2017)
Chansons - International French Standards (Kwaidan Records, 2021)
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Resta (duetto con Ana Carolina)
(videoclip da 7752, 2010)

Al posto del mondo
(videoclip, da Al posto del mondo, 2012)

Io che amo solo te (duetto con Chico Buarque)
(videoclip, da Canzoni, 2014)

Cuore in tasca
(videoclip, da Eclipse, 2017)

Pour Toi / Feelings
(videoclip, da Chansons, 2021)

La Vie En Rose
(videoclip, da Chansons, 2021)


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