
Le manie di gigantismo presenti nel cartellone del Mad Cool, Festival che per il terzo anno si tiene a Madrid, potrebbero derivare dalla frustrazione di dover subire ogni anno il successo dei separatisti catalani: a Barcellona nello spazio di quindici giorni si tengono due fra le rassegne più acclamate d’Europa, in grado di soddisfare pienamente sia i fan del circuito indie (Primavera Sound) che gli oltranzisti della scena electro (Sonar).
Per cercare di conquistare la supremazia sul territorio spagnolo, ecco scendere in campo il colosso Live Nation, che mette in campo una parata di stelle in grado di attirare oltre 80.000 persone al giorno nel nuovo e più ampio spazio in zona Valdebebas, a Nord della capitale, a pochi chilometri dall’aeroporto e a fianco della ciutadella del Real, proprio dove fino a pochi giorni prima riscaldava i muscoli il campione europeo Cristiano Ronaldo, fresco di passaggio alla Juventus.
La zona è piuttosto distante dal centro città, e non proprio ben servita dai trasporti pubblici, specie nelle ore notturne, ma l’organizzazione riesce a piazzare funzionali navette che partiranno di continuo, dirette verso Plaza Castilla e Plaza Colon, e la metro nei paraggi resterà aperta per 24 ore durante tutta la durata del Festival. Certo, c’è da camminare un quarto d’ora buono per raggiungere una o l’altra, in mezzo al nulla cosmico, e la fila per i taxi è lunga un paio d’ore buone, ma in qualche modo a casa si riesce a tornare.
Le file: sarà questa una delle grosse spine nel fianco del Mad Cool: file all’ingresso per entrare, specie se si arriva oltre le 19, file per prendere da mangiare (ci fregheranno il primo giorno, poi provvederemo con economici panini acquistati al Carrefour sotto casa), file per prendere da bere (ci fregheranno il primo giorno, poi punteremo sui palchi meno affollati), e prezzi generalmente un pochino troppo alti, specie se confrontati ai consolidati standard spagnoli.
Insomma, non tutto funziona alla perfezione, e le proteste sui social si faranno sentire, ma basterà prendere qualche piccola contromisura per potersi godere un cartellone davvero importante, con un solo cruccio: l’inutile enorme area, posta sotto i due palchi principali, riservata ai possessori dell’abbonamento Vip. La conseguenza è che chi non ha il Vip resta un po’ distante, e lo spazio permane mezzo vuoto. Non proprio un bel vedere, neanche per gli artisti che si esibiscono, visto che sia Alex Kapranos dei Franz Ferdinand che Josh Homme dei Queens Of The Stone Age protesteranno con vigore dal palco per la situazione, quest’ultimo per la verità in maniera tanto forte da mettere quasi a rischio l’incolumità dei presenti, interrompendo il proprio set per invitare l’intero pubblico a urlare “Let them in!”.
Sono premesse necessarie, perché la disfunzioni vanno evidenziate, non tanto per criticare a tutti i costi, quanto per suggerire possibili miglioramenti: un’area tanto grande e tanto affollata va organizzata in maniera funzionale, evitando di creare troppi disagi al pubblico, magari posizionando i palchi in maniera che non si infastidiscano reciprocamente a causa degli alti volumi, problema che ha portato i Massive Attack a rifiutare di esibirsi, in quanto il suono proveniente dal palco dei Franz Ferdinand avrebbe loro nuociuto: anche di questo si è ampiamente scritto su tutta la stampa specializzata. Atteggiamento un po’ da divi, quello dei Massive, ma che evidenzia comunque qualche aspetto da sistemare in vista delle prossime edizioni di quello che potrebbe davvero diventare - in quanto a spiegamento di forze - uno dei più importanti Festival mainstream al mondo.
Due i palchi posti nell’arena centrale, altri due di capienza inferiore nei pressi dell’ingresso, più tre spazi semichiusi da tende per ospitare gli eventi dedicati alla musica elettronica e al circuito underground. Ricco merchandising, la ormai iconica ruota panoramica a sovrastare lo spazio, terreno interamente ricoperto da un tappeto di erba sintetica, comodo per sdraiarsi e perfetto per trasformare quella che prima era una zona brulla e polverosa in un ambiente coloratissimo e vivace.
Ma è la line-up il vero punto di forza della manifestazione, non solo fra i nomi di cartello ma anche fra le seconde linee: basti pensare che già la prima giornata assicura una presenza che da sola vale il prezzo dell’intero abbonamento, quella dei Pearl Jam, pur se con un set ridotto a sole due ore e con una scaletta fra le meno convincenti dell’acclamato tour in corso. Se accanto a loro ci metti anche pesi massimi come Tame Impala (sempre più edulcoratamente pop) e Kasabian, difficile resistere alla tentazione di riversarsi sull’arena principale, che già alle 19,20 ospitava l’ottima esibizione degli Eels e a tarda notte gli MGMT.
Nomi grossi, ma occhio ai palchi secondari, dove si aggirano gruppi come Fidlar e Yo La Tengo, protagonisti del miglior live della giornata (direi a pari merito con gli Eels), The Last Internationale (niente male i ragazzi) e Japandroids (stanno invecchiando male, con la formula a tre che li sta rendendo drammaticamente ripetitivi). In zona electro allo sfortunato Gold Panda va in panne il pc, bravi ma un pochino soporiferi i Lali Puna, iper-adrenalinici i Justice.
Questo tanto per citare i nomi più clamorosi, ma le chicche sono tante e, come in ogni festival di queste dimensioni i sacrifici da calcolare in termini di rinunce sono spesso drammatici.
Il secondo giorno nella Main Arena si parte diesel con Kevin Morby, ma quando il sole è ancora ben presente gli At The Drive In svegliano tutti con un’oretta di post-hardcore che si trasforma in una mazzata infernale. Dopo un simile sconquasso elettrico, gli Snow Patrol sembrano delle educande, meglio farsi un giretto altrove, per spizzare le (sopravvalutate?) Goat Girl e osservare il divertente dj-set degli Ofenbach, anche se per gli amanti del ballo l’appuntamento-clou più tardi sarà quello con i sentieri techno di Paul Kalkbrenner.
Sui palchi secondari sfilano Perfume Genius, Alice In Chains, Sampha, Black Pistol Fire, ma è chiaro che a catalizzare l’attenzione siano sui principali la presenza di Jack White, grande voce, gran chitarra, ottimo set che spazio fra repertorio solista, Raconteurs, Dead Weather e molto White Stripes, degli stilosissimi Arctic Monkeys (a due passi dalla perfezione, con i brani nuovi che garantiscono dinamica alle sparate adrenaliniche di “Brianstorm” e “I Bet You Look Good On The Dancefloor”) e dei vitaminici Franz Ferdinand.
Terzo giorno. Sarà una lunga nottata, quindi meglio recarsi al Festival un po’ più tardi, così alle 20,30 ti puoi godere Jack Johnson sdraiato sull’erba sintetica in attesa dei Queens Of The Stone Age, buttare l’occhio verso qualche evergreen dei Depeche Mode mentre passi dal garage-rock dei Black Rebel Motorcycle Club ai visual psichedelici dei Daniel Avery, apprezzare il genuino blues-rock dei Rival Sons mentre ti dirigi in fretta e furia verso i Nine Inch Nails.
Non era la band più attesa del Festival, no, ma stasera camminando verso l’uscita il coro sarà pressoché unanime: il miglior concerto del Mad Cool 2018, quello che (dovendone sceglierne per forza uno) sarà ricordato, è quello della band di Trent Reznor. Bella scaletta, tiratissima, con l’unico momento di serenità relegato sul finale per l’emozionante “Hurt”. Dopo di loro ci saranno i rinati Jet di Nic Chester, ci saranno decine di migliaia di persone a ballare fino alle 4,30 sulle note degli Underworld, e di Black Madonna, protagonista del dj-set che chiude il sipario, ma dopo i Nine Inch Nails non c’è ancora molto da chiedere.
Si torna a casa sazi e soddisfatti. Che poi il Primavera Sound sia un’altra cosa – questa la frase più ricorrente nei giorni successivi – in termini di location e atmosfera, beh, difficile non trovarsi d’accordo, ma il Mad Cool è un festival giovane, che può soltanto crescere e migliorare.
Se la concorrenza genere sfide di questo calibro, ben venga l’abbondanza, in un momento storico dominato dalla realtà virtuale dei social, nel quale giovani e meno giovani sentono tutti un grande bisogno di trovare spunti di aggregazione. E un grande bisogno di ascoltare buona musica dal vivo. Come mai accaduto prima d’ora.