A Berlino... va bene, per dirla con Garbo. In ogni occasione, e tanto più se è di scena Chelsea Wolfe, fresca autrice, oltre tutto, di uno dei suoi lavori migliori degli ultimi anni, “She Reaches Out To She Reaches Out To She”. Quindi, una volta accertata l’ennesima esclusione dell’Italia dall’itinerario del suo tour europeo 2024*, la tentazione è stata irresistibile: tornare nell'amata capitale tedesca per poter finalmente apprezzare per la prima volta le rinomate capacità di performer della musa gothic di Sacramento in versione live.
Eccoci quindi di ritorno in una imprevedibilmente torrida Berlino, diretti proprio a quell’Astra Kulturhaus che solo pochi giorni prima aveva ospitato la tre giorni di "CCCP in DDDR (Deutsche Demokratische Dismantled Republik)", trionfale celebrazione della reunion di Giovanni Lindo Ferretti e compagni là dove tutto era iniziato.
L'avvio delle danze è fissato in orario quasi pomeridiano, alle 19, quando è prevista l'esibizione della misteriosa band di spalla, Kælan Mikla. Confidando nella puntualità teutonica, prendiamo alla lettera il programma e, dopo rapida cena e birra d'ordinanza, arriviamo all'Astra in orario, attendendo così un'oretta nel piacevole giardino del club, situato in Raw Gelände a Friedrichshain, “avamposto di una Berlino ferroviaria e imperiale”, secondo la definizione dei CCCP. In realtà, la mente torna più prosaicamente – e con tanti rimpianti – allo storico Circolo degli Artisti di Roma, simile per conformazione e atmosfera, ma ormai, ahimè, da tempo defunto. Nel frattempo sfila una processione nerovestita ad alto tasso di eccentricità, che sembra uscita dalla limitrofa Lipsia del Wave Gotik Treffen. Ma non sarà che una delle tante anime del variegato pubblico di Chelsea Wolfe, quasi egualmente ripartito tra componente maschile e femminile.
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Trascorse le 20 da una decina di minuti, irrompono in scena le tre protagoniste di quello che scopriamo essere un trio islandese tutto al femminile, denominato per l'appunto Kælan Mikla (traducibile in “Signora del freddo”), già scelto come gruppo-spalla da un’istituzione neo-gothic come i Drab Majesty. Una bella sorpresa, almeno per chi scrive (su OndaRock sono state già recensite in due occasioni): la cantante Laufey Soffía, la bassista Margrét Rósa Dóru-Harrýsdóttir e la tastierista Sólveig Matthildur Kristjánsdóttir dimostrano grande personalità sul palco, inscenando un set cupamente gotico, tra dark e coldwave, nel quale paesaggi sonori tenebrosi ed esoterici, irresistibili ritornelli post-punk e pulsazioni dance si combinano con voci angeliche e urla agghiaccianti. Le tre ragazze di Reykjavík, femministe militanti, esprimono il loro senso di libertà presentandosi come streghe di un’indefinita era ancestrale, attingendo al folklore e alla mitologia delle gelide terre d’Islanda. Molto scenografica la vocalist Laufey, che gioca sugli stereotipi goth ruotando le mani adunche dalle lunghe unghie affilate nel buio spettrale del palco, anche se la voce più potente si rivela quella della tastierista Sólveig, che si cimenta anche al flauto. Tra i loro brani, annotiamo titoli come “Kalt”, “Svört augu”, “Andvaka” e “Sólstöður”, ben puntellati da solidi strati di tastiere e da un basso che rimbomba pulsante stile-Cure periodo dark - non a caso, proprio Robert Smith scelse il trio islandese per un paio di eventi live (Meltdown festival nel 2018 per il quarantennale dei Cure e Pasadena Daydream in California assieme a Pixies, Deftones e Mogwai).
È un bel successo per le Kælan Mikla: il pubblico berlinese riserva loro un’ovazione inaspettata (specie considerato il trattamento che vediamo solitamente subire dai gruppi spalla alle nostre latitudini). Le tre giovani witch di Reykjavík ringraziano tutti, anche “the magnificent Chelsea Wolfe”, alla quale dedicano un brano nel finale del loro applauditissimo set (visibile in streaming qui).
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Ora però l’attesa si fa davvero febbrile: l’Astra Kulturhaus si riempie in tutta la sua capienza (1.500 posti), per un evento sold-out da giorni. Un pubblico eterogeneo, si diceva: attempati darkettoni, bionde valchirie fasciate di pelle nera, ma anche molti giovani, non necessariamente di matrice dark. Scorgiamo anche un sosia tedesco di José Mourinho, visibilmente perplesso durante l’esibizione delle Kælan Mikla, più a suo agio in quella che verrà. Di teutonico c’è la disciplina: tutti in piedi sotto il palco ma a rigorosa distanza di sicurezza, senza mai spinte, balli, invasioni degli spazi altrui né chiacchiere moleste, e tutto sommato contenuto si rivelerà anche l’uso dei cellulari durante il concerto. Sarà un caso, ma la differenza con certe situazioni nostrane si percepirà eccome.
Le 21 sono passate da una decina di minuti quando sfuma "You Want It Darker" di Leonard Cohen e finalmente Chelsea Wolfe in punta di piedi conquista il centro del palco, attaccando subito "Whispers In The Echo Chamber", ovvero la nuova versione del suo teatro dell’orrore, rinvigorita da minacciose pulsazioni trip-hop/industrial alla Portishead altezza “Third”. La sua interpretazione è tanto ineccepibile quanto sobria e misurata: nessuna concessione allo show, anche nel look, un lungo abito nero, che lascia scoperte solo le spalle tatuate, e stivaletti a tacco alto ai piedi che la fanno sembrare ancora più alta del suo metro e 75.
L’avvio del concerto è tutto dedicato all’ultimo album “She Reaches Out To She Reaches Out To She” (che alla fine sarà eseguito per intero): si succedono l’elettronica di “Everything Turns Blue” con la sua sequela straniante di verbi declinati all’infinito (“To smoke, to dance, to fly/ To breathe into the night… To fuck, to feel the same in the end/ To hurt, to steal”), l’elettro-rock-noise pulsante di "House Of Self-Undoing" e l’etereo romanticismo da jazz-club fumoso di “Tunnel Lights”, con i suoi vocalizzi alla Elizabeth Fraser. Tutto fila liscio grazie anche all’ottimo affiatamento tra Chelsea, che si alterna tra chitarra elettrica e acustica, e la sua band: Bryan Tulao (chitarra), Ben Chisholm (tastiere), Jess Gowrie (batteria).
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È un tripudio ad accompagnare il recupero di due classici da “Hiss Spun” (2017): prima "16 Psyche", con le sue cadenze sludge-metal al servizio della catartica rievocazione di demoni interiori mai del tutto domati ("Let me wrap you up in these thighs/ It gets me out of my head again"), e poi il non meno angoscioso cerimoniale noisy di "The Culling", con il suo crescendo di distorsioni che scavano nei recessi più torbidi dell’inconscio. E allora la discesa negli abissi (“Abyss”, 2015) può compiersi, riportando la voce al centro della litania art-folk apocalittica di “Survive”, chiusa da un’altra orrorifica accelerazione rumorista.
Non c’è una pausa, pochissime parole: un saluto a Berlino, e poi Chelsea Joy imbraccia la sua chitarra acustica strimpellando i primi accordi di “The Mother Road” (da “Birth Of Violence”, 2019), uno dei suoi capolavori acustici, impreziosito da quella struggente, disperata invocazione finale (“Bloom and eclipse them, wake up and transform”) in cui la band torna a supportarla coralmente. L’emozionante parentesi acustica prosegue sul polveroso sentiero folk di “Deranged For Rock & Roll” (sempre dal disco del 2019), dimostrando come alla cantautrice californiana l’etichetta di “musa dark” stia decisamente stretta, considerata la sua poliedricità di stili e vocazioni (dal doom metal al folk passando per industrial e gothic).
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Le interpretazioni di Wolfe sono scarne, calibrate, sempre perfettamente centrate, mentre giochi di luce la avvolgono sul palco: una raggiera, una nuvola di fumo o, più spesso, soffusi bagliori rossi o bluastri. Avvinghiata alla sua chitarra, capelli raccolti e occhi socchiusi, la cantautrice californiana si avvia verso la fase finale del set senza pause, con il pubblico che le tributa lunghe ovazioni alla fine di ogni brano.
Ecco allora l’inconfondibile riff di tastiera a introdurre la poesia maudit di “Feral Love” (dall’ottimo “Pain Is Beauty”, 2013), prima di un nuovo capitolo dedicato all’ultimo album, che spazia dalla sensualità trip-hop di “Salt” all’andatura greve di “Unseen World”, dai beat spigolosi di marca industrial di “Eyes Like Nightshade” a quelli quasi dance di “Place In The Sun”, dalle trame caliginose di “Liminal” (qui in versione acustica) fino ai vorticosi giochi di tastiere del vampiresco singolo “Dusk”, praticamente l’unico brano del concerto presentato dalla sua autrice, seppur col minimo degli orpelli: “Just a couple of words… this is a song from my new album, it’s called Dusk”. Non è decisamente una tipa da molte parole, Chelsea Joy, che in compenso accentua la dimensione stregonesca della sua performance oscillando un pendolo e rigirandosi in mano un amuleto.
Prima del gran finale c’è spazio per un altro ripescaggio doc, quello della splendida “Flatlands”, una delle gemme di “Unknown Rooms: A Collection Of Acoustic Songs” (2012), in cui Wolfe, dismessi i panni di sacerdotessa gothic-rock, lasciò emergere la sua vena folk più scarna su cui ordire l'elogio delle proprie radici.
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Chelsea e la sua band abbandonano il palco per qualche minuto, per poi riapparire per l’unico bis, che però è un pezzo da novanta: la sontuosa, claustrofobica “Carrion Flowers”, scandita con voce stentorea tra scariche elettriche, pulsioni doom, laceranti feedback e le martellate del drumming, per l’ultima liturgia dell’Abisso: mai una discesa agli inferi era stata così entusiasmante.
Ci lascia così, Chelsea Joy, senza fiato, e senza aggiungere altro, limitandosi a un cenno di ringraziamento seguito dall’ultima ovazione di una serata per certi versi memorabile (qui e a fianco lo streaming integrale). Mentre guadagniamo l’uscita dell’Astra Kulturhaus, scorgiamo la cantante delle Kælan Mikla, ancora col trucco di scena scolato sul viso: sembra felice e appagata anche lei.
La città del Muro, antica culla di sonorità oscure - dal Bowie della trilogia a Nick Cave passando per Nina Hagen e Einstürzende Neubauten – ha rinnovato ancora una volta il suo incantesimo. Auf wiedersehen, Berlin.
* P.S. Mentre ci accingiamo a pubblicare questo articolo, scopriamo che Chelsea Wolfe si esibirà finalmente anche in Italia. Appuntatevi la data e, se potete, non perdetevela!
Qui sotto, invece, lo streaming integrale del concerto all'Astra Kulturhaus a cura di Berlin Concert Connoisseur.
(Foto di Claudio Fabretti, Elisabetta Fabretti e, in homepage, di Matteo Maniero)