Mi hanno sempre fatto impressione i Fleetwood Mac, con quelle canzoni sui loro amori incrociati che per anni hanno cantato davanti a folle oceaniche guardandosi negli occhi, scambiandosi sguardi al veleno. Taylor Swift è un altro tipetto che non le manda certo a dire: da sempre in molte delle sue hit usa strofe taglienti per fare a pezzettini gli ex, aprendo i propri diari in pubblico con l'innata capacità di trasformare qualsiasi fallimento in un brano di successo. Ma in "The Tortured Poets Department", il suo undicesimo progetto (Taylor's Versions escluse), compie l'impresa di alzare ulteriormente l'asticella: una lunga e tormentata seduta terapeutica durante la quale elabora due separazioni. Quella con l'attore Joe Alwyn, relazione naufragata dopo sei anni di agognata felicità, e quella con il cantante dei 1975, Matthew Healy, breve flirt consumatosi la scorsa estate. Una vera e propria sublimazione del dolore, compiuta evidenziando in maniera dettagliata - come mai prima d'ora - ferite e delusioni, senza alcun filtro, decodificando gli accadimenti per mezzo di decine di poesie scritte su pagine intrise di lacrime.
È arrivato tutto insieme "The Tortured Poets Department", senza alcun estratto diffuso in anticipo, senza alcuna informazione relativa allo staff che ha partecipato alla realizzazione, giusto quattro righe redatte con una macchina da scrivere il giorno di un'eclissi di sole. E le copertine, svelate subito dopo l'annuncio a sorpresa, avvenuto durante la cerimonia di premiazione dei Grammy Awards, lo scorso febbraio, quando Taylor Swift è diventata la prima persona al mondo ad aggiudicarsi per la quarta volta il riconoscimento per il Miglior Album dell'anno, a soli 34 anni. La vita è troppo breve per vedere come andrà a finire, ma la Swift sta stabilendo record che difficilmente potranno essere battuti: devi essere troppo bravo per troppo tempo, mantenendo una costanza di rendimento che pochissimi artisti hanno potuto permettersi nella storia. È arrivato tutto insieme, "The Tortured Poets Department" - dicevamo - e lo ha fatto con un colpo di scena inatteso: le tracce, dalle preannunciate sedici (più una bonus track per ognuna delle quattro deluxe edition inizialmente previste), sono diventate trentuno (!), quindici delle quali racchiuse in una extended version denominata con il suffisso "The Anthology", un doppio album di due ore che assume i contorni dell'opera monumentale, definitiva.
Lontana dall'immaginario country degli esordi e dall'electropop che da "1989" in poi la trasformò in superstar globale, Taylor questa volta prende il malinconico intimismo di "Folklore" ed "Evermore" e gli cuce addosso il vestitino notturno di "Midnights", aumentando il coefficiente dream-pop. Per rendere possibile questa operazione, si mantiene nella propria comfort zone, affidando la co-produzione ai due musicisti che hanno contribuito a modellare i tre album precedenti, Jack Antonoff e Aaron Dessner, i quali si spartiscono in parti uguali la prestigiosa incombenza, collaborando con la Swift anche alla composizione di quasi tutte le tracce. Antonoff tende a esaltare i brani ravvivandone il ritmo attraverso l'innesto di morbidi beat ("Fortnight", Down Bad" e la title track risultano fra le più incisive), Dessner si riserva invece la cura di molti dei momenti più struggenti e minimali, accompagnando spesso la cantautrice americana con eleganti interventi al piano ("Chloe Or Sam Or Sophia Or Marcus", "How Did It End?", "Cassandra", "Robin" e "The Manuscript" si rivelano tutte gemme preziose) oppure inserendo sottili linee di chitarra e curando con attenzione maniacale gli arrangiamenti, che prevedono numerosi interventi degli archi. Fanno parte del team Post Malone e Florence Welch, protagonisti nei duetti "Fortnight" e "Florida!", più Glenn Kotche, alle percussioni in una manciata di canzoni, Bryce Dessner, che in un paio di occasioni supporta l'opera del gemello, Thomas Bartlett (noto anche con lo pseudonimo Doveman e per l'esperienza nei Gloaming) e James McAlister, ex Ester Drang, ora nella band di Sufjan Stevens.
La scrittura di Taylor è cresciuta in maniera esponenziale negli ultimi anni, e ora diviene ancora più imponente, densa, straripante. In ogni singolo verso sono contenute parole da analizzare, una verbosità che a tratti ricorda la Alanis Morissette di "Supposed Former Infatuation Junkie" (in "But Daddy I Love You" la somiglianza desta impressione), compressa in strofe efficaci, ritornelli infettivi e bridge epici, in grado di mantenere intatta la propria forza persino quando restano immersi nel sofisticato ed emozionale chamber-pop minimalista orchestrato da Dessner, protagonista in particolare nella seconda metà del lavoro.
L'electropop ballabile si affaccia di rado, di solito quando la mano passa ad Antonoff ("My Boy Only Breaks His Favorite Toys", indirizzata indovinate a chi...), trasformato però in un adult pop studiato a uso e consumo dei fan che stanno crescendo dal punto di vista anagrafico insieme alla Swift. Uno di questi, l'apparentemente scanzonata "I Can Do It With A Broken Heart", svela in realtà un testo molto sofferto, nel quale Taylor rivela al mondo quanto potesse essere complicato affrontare con tutta quell'energia il gigantesco palco dell'Eras Tour con il cuore spezzato da un amore che stava andando in frantumi, mentre viveva momenti difficili. Dice persino che a volte avrebbe preferito morire, in slanci di maledettismo che ben si sposano con l'iconografia da "poeti torturati". In "I Hate It Here", altra confessione a cuore aperto, la Swift scrive del ricorrente desiderio di fuggire via, verso luoghi dove poter ritrovare la propria serenità, lontano dagli sguardi degli intrusi. All'ascoltatore la libertà di interpretarli come pensieri che le siano davvero appartenuti, oppure come il canovaccio di una fiction sviluppata ad arte.
Se "The Smallest Man On Earth" e "Peter" (la sindrome di Peter Pan, beccati pure questa Healy...) sono tutte per il frontman dei 1975 (andatevi a cercare gli inequivocabili testi), l'autrice non va per niente sul sottile nemmeno con Alwyn, colpendolo con versi acuminati o fatalisti, come accade nella commovente "loml" e in "So Long, London", la fatidica traccia numero cinque. Un paio di battute acide vengono riservate anche a Kim Kardashian ("thanK you aIMee"), in ricordo della mai sopita faida che vede da anni contrapposti Taylor e Kanye West. In un paio di circostanze la cantautrice lascia entrare uno squarcio di luce, sotto forma di espresse dediche all'attuale fidanzato, il campione di football americano Travis Kelce, "The Alchemy" e "So High School", l'unico impulso indie-rock di questo progetto. Emerge un oceano di fragilità: quella ragazza neo-miliardaria, che sul palco dell'Eras Tour viene rappresentata come un supereroe della Marvel, forse ha davvero molte più cicatrici di quante possiamo immaginarne. Resta comunque la popstar che meglio di qualsiasi altra ha saputo interpretare i (mezzi offerti dai) tempi moderni per trarne profitto, realizzando di nuovo un disco che si adatta in maniera perfetta al preciso momento della sua vita. "The Tortured Poets Department" conferma la sua posizione dominante all'interno della cultura pop dei nostri giorni, uno strapotere fortificato da una iper-prolificità che non ha uguali nel mondo al medesimo livello qualitativo, oggi in grado di far impallidire qualsiasi potenziale concorrente. In un'epoca nella quale a regnare è l'individualismo, i suoi traumi personali e i suoi struggimenti amorosi hanno il potere di trasformarsi in un'esperienza collettiva, arricchita da citazioni e metafore attraverso le quali Taylor Swift mostra la propria crescita autorale, a costo di prendersi il rischio di restare a tratti incompresa dal proprio pubblico, fra Dylan Thomas e Stevie Nicks (a proposito di Fleetwood Mac...), fra Clara Bow e un'Aston Martin (c'è di mezzo il pilota Fernando Alonso?) fra il Chelsea Hotel e una canzone dei Blue Nile.
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Come largamente previsto, "The Tortured Poets Department" vola in testa alle classifiche di vendita in tutto il mondo, diventando il primo album della storia a superare i trecento milioni di streaming in un solo giorno sulla piattaforma Spotify (ma nessuno era neanche mai arrivato a duecento milioni...), superando - ma guarda un po' - il precedente album della Swift, "Midnights". Nello spazio di appena dodici ore diviene anche l'album con il maggior numero di streaming nello stesso giorno sulle piattaforme Amazon Music e Apple. Ma i record non riguardano soltanto la musica liquida: "The Tortured Poets Department" è il disco più venduto di sempre in pre-order; nei soli Stati Uniti, nel suo primo giorno di vita, il 19 aprile 2024, vende l'equivalente di 1,6 milioni di unità equivalenti: 1,4 milioni sono copie fisiche, seicento mila sono vinili.
Nella prima settimana, nei soli Stati Uniti, raggiunge la ragguardevole cifra di 2,6 milioni di unità equivalenti: 1,9 milioni sono copie fisiche, 859.000 sono vinili. “The Tortured Poets Department” diventa il quattordicesimo album della Swift (su quindici complessivi) a raggiungere il primo posto delle chart americane, e il dodicesimo a raggiungere la vetta delle classifiche inglesi, miglior solista di sempre, eguagliando il record di Madonna. Diviene anche il primo album nella storia a superare nella prima settimana dalla pubblicazione il miliardo di streaming sulla piattaforma Spotify. Il precedente record apparteneva a “Midnights”…
21/04/2024