Le ha amate, sfruttate, plasmate, usate, esaltate, messe una contro l’altra. Difficile immaginare la carriera di Prince senza pensare anche a tutte le splendide donne che lo hanno accompagnato, artisticamente e non, nel corso degli anni. Una passione per l’universo femminile che diventava quasi un'ossessione, una ricerca sul proprio lato femmineo (immortalata nella splendida “If I Was Your Girlfriend”, non a caso interpretata dal suo immaginario alter-ego, Camille) o, per alcuni, l’esorcismo di un’omosessualità repressa. Durante i primi quindici anni di carriera Roger Nelson ha creato, prima nella sua Purple House e successivamente nel sontuoso quartier generale Paisley Park (entrambi a Minneapolis), una sorta di famiglia allargata con cui creare musica continuamente e dare quindi sfogo alla sua incontenibile prolificità. Una purple family in cui le donne ne sono state spesso il fulcro, laddove i vari Morris Day, i futuri produttori Jimmy Jam e Terry Lewis (tutti facenti parte dell’ensemble The Time) e il chitarrista Dez Dickerson soffrivano invece maggiore competizione col non facile capofamiglia. Sono stati anni in cui le sue canzoni sono state interpretate da chi voleva svecchiare la sua carriera (Chaka Khan, Mavis Staples e Patti Labelle), confermarla (Cyndi Lauper, le Bangles, l'ormai dimenticata Martika e persino Celine Dion), da star di pari fama e meno malleabili (Madonna e Kate Bush) ma soprattutto da tutta un serie di affascinanti protégée che hanno influenzato, indirettamente e non, la carriera del nostro.
Jill, la fedele
L’italo-americana Jill Jones è stata probabilmente la più paziente, costante e fondamentale collaboratrice di Prince durante il suo periodo aureo, pur rimanendo spesso in ombra, dietro le quinte a coadiuvare i vari progetti paralleli del prolifico musicista. I due si incontrano nel 1980 durante il “Dirty Mind Tour”, lei è appena diciottenne ed è corista della cugina Teena Marie, che fa da supporto ai concerti del principe ogni sera. Lui rimane subito colpito dal suo talento, dalla sua bellezza e dalla sua intraprendenza: non passerà quindi molto tempo prima che i due inizino una relazione intermittente (e mai pubblica) ma soprattutto una fruttuosa collaborazione che dovrebbe fungere da trampolino di lancio per la di lei carriera solista. Trasferitasi a Minneapolis, prende quindi parte come corista del primo nucleo dei Revolution alla realizzazione della maggior parte dei brani di quel "1999" destinato a dare una svolta alla carriera di Prince; è lei la conturbante e disinibita “Lady Cab Driver” così come sua è la voce che apre (assieme a quella di Lisa Coleman) la celebre title track. I due hanno grande alchimia in studio al punto da armonizzare e registrare dallo stesso microfono, la sua voce diventa praticamente la controparte femminile di quella di Prince che la elegge a sua musa, ribattezzandola JJ e convincendola persino ad adottare un look à-la Marilyn Monroe. Prenderà quindi parte al trionfale “1999 Tour” e da lì in poi parteciperà come corista (spesso non accreditata) agli album di Vanity 6, The Time, Apollonia 6 e Sheila E., registrando nel frattempo anche un elevato numero di pezzi idealmente destinati al suo album di esordio. Debutto che però tarderà parecchio ad arrivare: Prince ha sempre bisogno di nuove muse di cui innamorarsi e che lo ispirino e, soprattutto, di nuovi progetti su cui riversare la sua prolificità a cui la Warner porrebbe altrimenti freno. Molti di quei brani verranno quindi “donati” ad altri artisti, ma lo smacco definitivo sarà la sua esclusione dalla line-up definitiva dei Revolution, ricompensata giusto da una piccola ma significativa parte nella pellicola "Purple Rain", da cui verrà comunque tagliata una sua performance musicale. Durante il triennio dei Revolution (‘84-‘86) JJ però si dimostrerà tutt’altro che inutile e anzi, sempre più determinata o semplicemente innamorata (nonostante le varie relazioni parallele dell’insaziabile principe), continuerà a lavorare col nostro su B-side (la notevole “Hello”), remix (l’extended-version di “Kiss”) e registrazioni live (“It’s Gonna Be A Beautiful Night”) e Prince come segno di riconoscenza le dedicherà quella che è probabilmente la più bella delle sue notevoli B-side, “She’s Always In My Hair” (il singolo è “Raspberry Beret”), praticamente un’ode alla fedeltà della sua corista.
E’ il 1987 quando il tanto agognato e omonimo album di debutto di Jill Jones vedrà finalmente la luce poche settimane dopo la pubblicazione di "Sign O’ The Times", eppure i due dischi non potrebbero essere più diversi. Se il disco di Prince è uno strabordante e geniale pastiche di stili musicali diversi, nato come riassunto di ben tre progetti precedentemente abortiti, "Jill Jones" è invece un coeso e modernissimo affair tra funk sintetico, soul e arrangiamenti jazzy. JJ si è rifatta il look, il suo canto ammaliante trasuda sensualità come non mai, la penna e la mano di Prince sono ovunque, inequivocabili nel singolo di lancio “Mia Bocca” (memorabile il sensualissimo videoclip diretto da Jean-Baptiste Mondino), praticamente una nuova “Kiss”. Eppure il disco guarda già al futuro, addirittura a quello dei New Power Generation nei primi anni 90: “G-Spot” corteggia i battiti house, nonostante i fiati, “With You” da "Prince" del ‘79 è spogliata da ogni leziosità, “For Love” è quasi un canovaccio per la futura hit “Cream”, “Violet Blue” è una lussureggiante mini-suite jazzata da brividi e la languida “Baby, You’re A Trip” una delle migliori ballate made in Minneapolis. Se dal punto di vista stilistico l’album è un trionfo, probabilmente quello con un’identità meglio delineata tra i vari side-project femminili di Prince, purtroppo il successo su suolo americano non arriverà nonostante le ottime critiche e, anzi, il disco si rivelerà un vero e proprio flop. Persino le vendite di "Sign O’ The Times" tradiscono le aspettative negli Stati Uniti e la stella di Prince, complici la sovraesposizione e la saturazione del mercato degli anni precedenti, comincia a emanare una luce un po’ sfocata per poter lanciare a dovere nel firmamento una nuova protégée. Andrà decisamente meglio in Europa (e soprattutto in Italia) dove in quel periodo la fama di Prince è più brillante (e tardiva) che mai, sia l’album che “Mia Bocca” riscuoteranno quindi un discreto successo.
Jill Jones però non si perde d’animo e sul finire del 1988 inizia a pianificare un secondo album sempre sotto l’egida di Prince. Viene registrata una manciata di brani e per l’ipotetico singolo apripista, la martellante “Boom Boom” (costruita sul battito di “Batdance”), viene addirittura girato un bel videoclip ma al momento di lanciarlo la Jones decide di bloccare tutto. Non è contenta delle canzoni proposte da Prince, a detta sua troppo frivole e che non permetterebbero di mostrare la sua maturazione artistica. E’ l’inizio della crisi tra i due, lei ha già lasciato Minneapolis per vivere in Europa ma il contratto con la Paisley Park Records sino al 1993 non le permette di tagliare del tutto i ponti. Ironicamente sarà davvero un ponte, quello di "Graffiti Bridge", film del 1990 e ipotetico, disastroso seguito di "Purple Rain", a sancire definitivamente la fine della loro storia decennale. Prince le chiede di riprendere il ruolo della pellicola precedente e la sua breve apparizione in cui durante un litigio pubblico si sfila le mutandine in segno di sfida e indipendenza rimarrà l’unica scena memorabile del film e soprattutto l’ultima loro apparizione congiunta. Nonostante le successive collaborazioni con Nile Rodgers, Ryuichi Sakamoto (sua la voce in “You Do Me” da "Beauty" del 1990) e Bomb The Bass, la sua carriera non decollerà mai e riuscirà a pubblicare nuovi album solo nel decennio successivo. Per più di vent’anni le strade di Jill Jones e del suo mentore non si incroceranno e i due si riappacificheranno soltanto nel 2016, per scherzo del destino proprio pochi mesi prima dell’improvvisa morte di Prince.
Susan, la lolita
La sedicenne Susan Moonsie, nata a Trinidad ma cresciuta a Minneapolis, incontra Prince nel 1980 e tra i due nasce subito una forte intesa, al punto che per quasi due anni sarà considerata ufficialmente la sua ragazza. Come in un copione che da lì in poi si ripeterà costantemente, Prince vorrebbe lanciare la sua nuova fiamma nel mondo dello spettacolo ma non essendo particolarmente dotata a livello vocale la immagina più come membro di un trio (assieme alla sorella Loreen e a un’impiegata del suo manager, in seguito sostituita da Brenda Bennett) che nella sua mente dovrebbe rivisitare in chiave erotica e synth-funk quelli tipici della Motown anni 60. Prince ha già in mente il nome per il gruppo, “The Hookers” (le prostitute), e il look con cui si dovrebbero esibire composto essenzialmente di guêpière provocanti, ma tergiversa sul momento opportuno per farle debuttare. Il destino di Susan, sia professionale che sentimentale, cambierà però drasticamente nel momento in cui nella vita di Prince entrerà a far parte l’attrice e modella Denise Williams, che lui designerà come nuova leader del trio (ribattezzato Vanity 6) e in cui la Moonsie avrà quindi un ruolo di minor rilievo. Nonostante il ridimensionamento, Susan sarà comunque in grado di ritagliarsi il suo spazio e resterà nell’immaginario per la sua bellezza esotica, il suo look da lolita con lingerie bianca e grosso orsacchiotto di peluche sempre appresso, ma soprattutto grazie all’ipnotica interpretazione dei pezzi più torridi, robotici e new wave del trio, come la clamorosa “Make Up” e il singolo “Drive Me Wild”.
Brenda, la ribelle
Tra tutte le protégéeanni 80, Brenda Bennett è sicuramente la più anomala. Moglie di un tecnico delle luci dei primi tour di Prince, inizia a lavorare come addetta al guardaroba degli spettacoli prima che le venga proposto di entrare a far parte del trio The Hookers, diventato poi Vanity 6. Piuttosto lontana dai canoni estetici del nostro, non particolarmente avvenente ma comunque a suo agio nei sensuali panni richiesti dal progetto, la bionda Brenda aveva però una caratteristica che la contraddistingueva dalle altre due colleghe: sapeva cantare, e bene. Figlia di musicisti country, aveva preso parte all’ensemble Ken Lyon and Tombstoneche che aveva aperto diverse date americane dei Mott The Hoople e dei Queen. Non essendoci alcun legame sentimentale tra i due, Brenda tiene spesso testa a Prince che si diverte a chiamarla l’anima punk del trio. E il personaggio che è chiamata a interpretare all’interno del gruppo è effettivamente quello della cattiva ragazza, dai toni scontrosi e con la sigaretta sempre in bocca. A lei viene affidato il momento più rockabilly (“Bite The Beat”) del loro album di debutto e una grossa parte di "If A Girl Answers (Don't Hang Up)" che rappresenta la prima incursione rap del Minneapolis sound. Sulla sua voce (e su quella di Apollonia) Prince modellerà anche la celebre “Manic Monday”, successivamente ceduta alle Bangles, e quella “17 Days”, che poi verrà tenuta dal titolare come B-side di “When Doves Cry”, pur mantenendo i cori della Bennett.
Vanity, la tenebrosa
Quando la modella canadese Denise “Vanity” Matthews incontra per la prima volta Prince agli American Music Awards del 1982, lei è la ragazza di Rick James; i due musicisti sono ormai rivali dichiarati e fanno a gara per rivendicare la paternità dell’idea di creare un trio femminile che ricordi le Supremes ma in chiave anni 80. Tra i duellanti, Prince ha la meglio, fa debuttare per primo il trio femminile che aveva in mente e ruba a James la ragazza, non soltanto designandola come leader del gruppo ma anche come first lady del suo crescente harem. E Denise per ricambiare tale onore gli fa perdere la testa. Non potrebbe essere altrimenti: è bellissima, sensuale e pur non possedendo una voce eccezionale, è dotata di una presenza magnetica, in grado di catalizzare l’attenzione sul palco coi suoi eleganti movimenti felini come nessun’altra prima d’ora. Prince proietta in lei il suo lato femminile, vorrebbe farle assumere come nome d’arte Vagina, ma lei riesce a contrattare un più casto Vanity, da cui deriverà il nome del trio: Vanity 6.
Il primo singolo pubblicato dalle tre, pubblicato nel giugno del 1982, è la pimpante “He’s So Dull”, ricca di riferimenti sixties, in maniera non troppo dissimile dalla formula delle Go-Go’s, ma si tratta di un pezzo ben poco rappresentativo del sound che permeerà l’imminente album, trattandosi dell’unico brano in scaletta a non portare la firma di Prince ma del suo chitarrista Dez. "Vanity 6" è infatti un disco strettamente imparentato al contemporaneo "1999", quindi ricco di funk sintetico, atmosfere spaziali e lascive, e contiene soprattutto il vero asso nella manica del trio, ovvero la celebre “Nasty Girl”. Irresistibile, spigolosa, sudaticcia e dannatamente sexy, è il primo vero grande singolo che Prince decide di donare a un’ugola femminile. Nonostante il testo scabroso, che gli costerà la censura presso diverse emittenti radiofoniche, il pezzo raggiungerà la prima posizione della classifica dance americana e trainerà l’intero disco sino alla posizione 45 della Billboard 200. Nella sua tracklist la voce di Vanity sarà la principale anche in “Wet Dreams”, che sembra spuntare dalle partiture di "Controversy" e riesce a non impallidire di fianco al pezzo di punta, e infine nelle solenni voluttuosità di “3 x 2 = 6”, unico momento romantico di un album altrimenti scoppiettante. A suggellare il successo del progetto, Prince invita il trio come gruppo spalla del “1999 Tour” e le tre si esibiscono, ovviamente discinte, in un breve ma rovente set con alle spalle una tenda oscurante: dietro ci sono i The Time a suonare ogni nota e Jill Jones a tappare ogni eventuale buco vocale. Nel frattempo la stampa inizia a incuriosirsi della frequentazione tra Vanity e il sempre più famoso Prince che, sebbene piuttosto restio a parlare della sua vita privata, decide di posare assieme a lei su una celebre e ai tempi audace copertina di Rolling Stone, ufficializzando di fatto la loro relazione. Terminato il fruttuoso tour, i due si mettono subito al lavoro su un nuovo album per il trio ma soprattutto alla stesura di una sceneggiatura cinematografica, intitolata "Purple Rain", che dovrebbe romanzare la loro storia d’amore e di cui Vanity e Prince diventerebbero ovviamente i protagonisti, se mai trovassero un regista disposto a far diventare realtà la pellicola. Quando però il regista viene effettivamente trovato, Vanity, probabilmente stanca dei tradimenti, delle relazioni mai realmente concluse con Jill Jones e Susan Moonsie e indispettita dalla possibilità di ricevere un cachet inferiore a quello di Prince, pianta in asso il suo partner, le Vanity 6 e il progetto "Purple Rain" poche settimane prima dall’inizio delle riprese.
Da quel momento in poi la vita di Vanity inizia però a colorarsi di nero e non più di viola. Nonostante un contratto con la Motown per la realizzazione di due album di medio successo, "Wild Animal" dell’84 e "Skin On Skin" dell’86, diverse apparizioni cinematografiche (comunque non memorabili) e televisive per tutti gli anni 80, e chiacchierate relazioni con Adam Ant, Billy Idol e quella devastante con Nikki Sixx dei Mötley Crüe, la sua stella inizia ad appannarsi. Denise ha infatti una nuova passione: il crack. La sua dipendenza la porterà più volte a un passo dalla morte e solo dopo una gravissima overdose nel ‘94 riuscirà gradualmente a disintossicarsi, diventando una predicatrice cristiana al limite del fanatismo e rinnegando la sua precedente vita di successo. Denise identifica Vanity come un fantoccio in mano al diavolo proprio mentre il non proprio angelico Prince userà i suoi gemiti precedentemente registrati (dalla mai pubblicata “Vibrator” del 1983) per costruire l’imbarazzante “Orgasm”, da "Come", pur non rivelando ufficialmente l’identità della partner. Gli abusi e gli eccessi del passato continueranno a perseguitarla proprio come un demone: dovrà sottoporsi a continue ed estenuanti dialisi peritoneali fino a un trapianto di fegato. Vanity morirà per insufficienza renale nel febbraio 2016. Affranto, alla notizia della sua morte, Prince le dedicherà un intero concerto durante una tappa australiana del suo ultimo tour; pochi mesi dopo anche lui perderà la vita, a causa di un’overdose di antidolorifici oppiacei.
Apollonia, l’attrice
Patricia Apollonia Kotero, modella e misconosciuta attrice figlia di immigrati messicani, si rivelerà per Prince un vero angelo della provvidenza, colei che gli permetterà di portare a compimento il suo progetto più ambizioso, destinato a fargli raggiungere il picco di fama e successo. E’ il 1983, Denise Matthews ha improvvisamente abbandonato Prince lasciando l’imminente film "Purple Rain" senza la sua protagonista femminile e le Vanity 6, che nella pellicola dovrebbero apparire in un numero musicale, senza leader. Il management di Prince si mette quindi subito in cerca di una possibile sostituta e dopo vari provini la scelta ricade proprio sulla Kotero, che in quel momento iniziava ad avere una certa visibilità a causa di una sua relazione extra-coniugale con David Lee Roth. Rispetto a Vanity, Apollonia ha però una presenza scenica decisamente meno aggressiva, è meno tormentata e affronta le interviste con un’inaspettata verve comica. Ed è altrettanto bella, seppur in maniera più rassicurante. Prince ne rimane subito affascinato, modifica la sceneggiatura del film per adattarla meglio alla nuova co-protagonista, più materna e romantica, la fa quindi trasferire a Minneapolis per iniziare le riprese e testa subito le sue purtroppo scarse doti vocali registrando con lei un nuovo brano da inserire all’ultimo momento nella colonna sonora. Il duetto “Take Me With You”, col suo piglio folk-pop, funziona comunque alla grande (anche quando verrà pubblicato come quinto e ultimo estratto dall’album "Purple Rain"), dopotutto non c’è voce che Lisa Coleman e Jill Jones non riescano a esaltare in studio. Anche Brenda e Susan accolgono Apollonia a braccia aperte nel loro gruppo che verrà quindi ribattezzato Apollonia 6; con loro registra subito un altro pezzo da novanta del canzoniere femminile di Prince, la pruriginosa “Sex Shooter”, fulgido esempio di palpitante Minneapolis sound che le tre presenteranno proprio all’interno della pellicola con una sensualissima performance.
L’estate del 1984 è all’insegna di un inaspettato successo senza precedenti negli Stati Uniti: film, album e singolo (“When Doves Cry”) raggiungono la prima posizione in classifica nella stessa settimana, non era mai successo prima. La stampa impazzisce, un tale livello di divismo era stato riservato soltanto a Michael Jackson l’anno precedente e alcuni critici considerano addirittura la pellicola come il miglior film musicale dai tempi di "A Hard Day’s Night" dei Beatles. Nonostante una storia densa di abusi fisici, Prince e Apollonia diventano la coppia che fa sognare fan e tabloid anche fuori dal grande schermo, ma paradossalmente i due manterranno la loro relazione soltanto in termini cinematografici e professionali, non andando oltre una sincera amicizia e riconoscenza reciproca. In autunno, dopo estenuanti rimaneggiamenti, verrà pubblicato anche il nuovo album "Apollonia 6", prova del nove per valutare la capacità del trio di sopravvivere al cambio di line-up. Riscuoterà solo un discreto successo in classifica, ma propone comunque diversi motivi per rimanere impresso nella mente. Più vicino, comprensibilmente, al pop variegato di "Purple Rain" che al funk futurista di "1999" e "Vanity 6", il nuovo album oltre alla ormai celebre “Sex Shooter”, contiene solo altri due brani a cui Apollonia presterà la sua non memorabile voce: una “Happy Birthday Mr. Christian” che addirittura anticipa i paesaggi sonori di "Parade" e il poema in spagnolo recitato su tappeto chitarristico à-laSantana di “In A Spanish Villa”. Spetta quindi a Brenda tenere davvero in piedi il nuovo progetto (ovviamente grazie all’aiuto dei Revolution) con brani come la nervosa “A Million Miles (I Love You)”, il sinuoso disco-funk di “Some Kind Of Lover” e il nuovo singolo “Blue Limousine”, praticamente una versione meno melodrammatica di “Little Red Corvette” che fa quasi il verso a Pat Benatar. A Susan Moonsie non resta quindi che prestare la voce alla sola “Ooo She She Wa Wa”, anche stavolta però il brano più sperimentale, folle e interessante del lotto.
Le Apollonia 6 si imbarcano quindi in un lungo tour promozionale per promuovere sia l’album che il film: Prince e i Revolution sono infatti già troppo impegnati nella pianificazione del tour e nella realizzazione di "Around The World In A Day" per poter rilasciare interviste in giro per il mondo. Anche per questo motivo le Apollonia 6 non parteciperanno al grandioso “Purple Rain Tour”, se non come ospiti in qualche data. Alla conclusione di quell’era irripetibile, Prince e Apollonia sanno di essere arrivati a un punto di stallo. Lui non è più interessato a portare avanti il trio e le propone allora un contratto blindatissimo e pieno di restrizioni, ben conscio che lei lo rifiuterà per proseguire la sua poco brillante carriera da attrice. Anche Susan e Brenda terminano quindi la loro avventura sotto la protezione di Prince, ma in termini piuttosto amichevoli. Apollonia, che tenterà nuovamente la carta di cantante per un’ultima volta, col fallimentare omonimo album del 1988, continuerà comunque a rimanere legata a Prince (e a gran parte delle sue collaboratrici) nel corso degli anni, sino alla di lui morte e rimproverando all’amico soltanto di non averle mai riconosciuto i crediti nella scrittura di “Manic Monday”, “The Glamorous Life” e “Mia Bocca” (dichiarazione mai presa troppo sul serio dai fan del Principe).
Wendy e Lisa, i bracci destri
Il duo femminile dei Revolution, praticamente un brand dentro al brand, tra le collaboratrici di Prince quelle più conosciute, citate e amate. Sicuramente anche quelle più rispettate per il loro talento di musiciste e compositrici e perché meno incasellabili nel cliché di “bomba sexy che Prince vorrebbe lanciare sul mercato dopo averla portata a letto”. Amiche di infanzia, entrambe figlie di musicisti losangelini, compagne di vita per vent’anni ma soprattutto inseparabili colleghe sino ad oggi, iniziano però a lavorare con Prince in momenti diversi della sua carriera.
Lisa Coleman è infatti a tutti gli effetti la prima tra le collaboratrici musicali di Prince. Il loro incontro avviene a fine 1979, quando le viene offerto di registrare "Dirty Mind" assieme alla sua band (anche se la sua presenza sull’album si limita ai cori della scabrosa “Head”). Da quel momento diviene ufficialmente la sua pianista (dividendo spesso il palco e i cori con Jill Jones), ruolo che ricoprirà dal 1980 sino alla fine del “Parade Tour” nel 1986. Fascinosa ma introversa è probabilmente la più anomala tra le donne di Prince, la più defilata ma anche la più concreta. E’ lei a invitare la compagna Wendy Melvoin durante le registrazioni di "1999" (in quel disco le loro voci si uniranno per la prima volta, assieme a quelle di Jill Jones e Vanity, nei cori di “Free”) e quando nel 1983, durante il “1999 Tour”, il chitarrista Dez Dickerson getterà improvvisamente la spugna, sarà proprio Wendy a sostituirlo, sancendo di fatto la nascita dei Revolution. A differenza di Lisa, Wendy è decisamente più estroversa e grintosa e, per via del ruolo ricoperto nella band, diviene il braccio destro di Prince e ne assume quasi le vesti di vice. Apparirà con lui nel celebre video di “Kiss” come unico membro dei Revolution e, caso ancora più unico nella discografia del Principe sino a quel momento, avrà l’onore di essere la voce portante in uno dei brani dei tre album da loro pubblicati (“I Wonder U” da "Parade"). Oltre alla realizzazione dei tre storici album a nome Prince & The Revolution, Wendy e Lisa partecipano anche alle registrazioni di vari progetti paralleli, quali The Time e Apollonia 6. Sono inoltre una forza negli spettacoli live, ritirano assieme a Prince il premio Oscar per la colonna sonora di "Purple Rain" (in cui ovviamente appaiono anche come attrici), posano con lui sulla copertina di Rolling Stone e soprattutto lo coadiuvano nella stesura di pezzi memorabili come “Computer Blue”, “17 Days”, “America”, “Mountains” e “Sometimes It Snows In April”, convincendolo a contaminare la sua musica con sonorità più pop e jazz. Eppure, all’apice del successo, qualcosa inizia a scricchiolare, le due non sono particolarmente contente della line-up ampliata dei Revolution che accompagna Prince durante il “Parade Tour”, temono che la direzione intrapresa dalla band si dimentichi del pop-rock a loro congeniale a favore di sonorità sempre più soul e funky. Contemporaneamente anche Prince inizia a provare insofferenza per le loro ingerenze sulla realizzazione del quarto album della band, "Dream Factory" (in cui anche Lisa dovrebbe cantare una canzone da solista, “A Place In Heaven”), e così alla fine del tour, esausto o più semplicemente in cerca di nuovi stimoli, scioglie i Revolution, con non pochi malumori interni, e blocca la realizzazione dell’ormai quasi pronto "Dream Factory" (che nei mesi successivi si trasformerà nel triplo "Crystal Ball" e che in seguito, su pressione della Warner, verrà sforbiciato nel doppio "Sign O’ The Times").
Wendy e Lisa intraprenderanno quindi una carriera come duo, pubblicando tre dischi senza la supervisione del principe ("Wendy And Lisa" dell’87, "Fruit At The Bottom" del 1989 ed "Eroica" del 1990) ma, proprio come Jill Jones, troveranno più riscontro in Europa che non in madrepatria, grazie a singoli di discreto successo come “Waterfall”, “Are You My Baby”, “Satisfaction” e “Lolly Lolly”, remixata da Prince quale ultima loro collaborazione e segno di riappacificamento prima di un’imprevedibile reunion diversi anni dopo. Nel 1999 viene annunciato infatti l’imminente ritorno di Prince And The Revolution per la realizzazione di un nuovo album, "Roadhouse Garden", contenente materiale precedentemente non pubblicato. Il progetto però naufraga sul nascere per incomprensioni fra i tre e verrà accantonato senza far troppo rumore. Dopo altri album autoprodotti e passati inosservati, composizioni di colonne sonore per la tv che varranno loro qualche Emmy, le due si uniranno infine a Prince e Sheila E sul palco dei Brit Awards del 2006 per il lancio dell’album "3121" e l’anno successivo prenderanno invece parte alla registrazione del non altrettanto memorabile "Planet Earth". Dopo la morte di Prince, riuniranno i Revolution per continuare a suonare dal vivo le canzoni realizzate durante quell’irripetibile periodo di impareggiata creatività.
Susannah, la fidanzata
Susannah Melvoin è la gemella di Wendy e, ovviamente, si invaghisce di Prince nel momento in cui la sorella entra a far parte dei Revolution. Lui è ormai ai ferri corti con Vanity, che da lì a poco lei lascerà per sempre la purple family, e lui avrà quindi carta bianca per corteggiare quella che probabilmente vede come la versione eterosessuale del suo nuovo braccio destro. A differenza di Wendy, Susannah non suona professionalmente alcuno strumento ma è una discreta corista su cui Quincy Jones ha già posato orecchio e Prince non perde occasione per assoldarla nei suoi vari progetti. Il suo primo ingaggio, nell’estate del 1983, è la registrazione di “Baby I’m A Star”, da "Purple Rain", e per i tre anni successivi la sua voce si sentirà in diversi brani dei Revolution (la sua apparizione più celebre è forse quella nel video di "Girls & Boys"), pur non entrando mai ufficialmente a far parte della band, se non durante il “Parade Tour” del 1986, prima del loro scioglimento. Per lei Prince ha infatti in mente altri progetti: The Time, la sua band “marionetta” capitanata da Morris Day, si è appena sciolta e vorrebbe quindi crearne un’altra con alcuni membri rimasti sotto la sua ala protettiva. La Melvoin viene designata come comprimaria del cantante St. Paul Peterson, nasce così The Family che nel 1985 pubblica l’omonimo e unico album. Il disco non potrebbe essere più diverso dal contemporaneo e psichedelico "Around The World In A Day"; come per i dischi di The Time, è il funky più luccicante e festaiolo a farla da padrone e “Mutiny” troverà spesso spazio nelle scalette live di Prince. A differenziarsi dall’atmosfera generale saranno il non troppo memorabile singolo “The Scream Of Passion”, una “River Run Dry” che suona come una prova generale per la futura hit “Thieves In The Temple” e soprattutto quella esangue “Nothing Compares 2U” che dominerà le classifiche del 1990 quando Sinéad O’Connor ne realizzerà un’incredibile e accorata cover. La presenza vocale di Susannah è però quasi impalpabile e ne esce schiacciata da quella di St. Paul, facendosi notare prevalentemente per la sua bellezza e i pigiami di seta che indossa.
Poco male, Prince l’ha già disegnata come protagonista femminile del suo nuovo film ambientato in Francia, "Under The Cherry Moon", storia di un impenitente gigolò. Eppure, durante un soggiorno francese per scegliere le location della pellicola, lui cambia idea, temendo forse l’ennesimo abbandono (dopotutto Susannah ha già sopportato il suo chiacchierato flirt con Madonna e la presenza sempre più invadente di Sheila E.) non vuole più che la sua compagna diventi la star del nuovo progetto e preferirà quindi sostituirla con l’attrice Kristin Scott Thomas, al suo debutto cinematografico. In cambio le chiederà di sposarlo e le dedicherà “Forever In My Life”, vera e propria proposta di matrimonio in musica.
Il film sarà un insuccesso sia critico che commerciale ma anche al suo fidanzamento, ormai di dominio pubblico, non toccherà sorte migliore; dopo lo scioglimento dei Revolution, Prince cercherà infatti di tenere lontana la sua compagna dalle allora ostracizzate Wendy e Lisa. Per Susannah è troppo, decide quindi di rompere il fidanzamento e lasciare Minneapolis, pur mantenendo con lui un amichevole rapporto sino alla fine. Ultima testimonianza musicale della loro storia d’amore sarà l’unico brano scritto assieme, la deliziosa “Starfish And Coffee” da "Sign O’ The Times"; la promessa reciproca di tornare a lavorare assieme, infatti, non si concretizzerà mai. Il nome della Melvoin ricomparirà in seguito soltanto in una collaborazione con William Orbit, ironicamente trasformatasi in “Candy Perfume Girl” di Madonna (da "Ray Of Light"), e quando nel 2007 riformerà The Family sotto il nome di FDeluxe.
Sheila, l’ambiziosa
Tra le principali, più assidue e prolifiche collaboratrici di Prince, la talentuosa percussionista Sheila E. Escovedo (figlia d’arte e figlioccia di Tito Puente) detiene un importante record: fu infatti l’unica a godere di un buon successo in classifica per quasi un lustro. I due si conoscono sul finire degli anni 70, quando lei è membro effettivo dell’influente jazz-funk band di George Duke e può vantare collaborazioni prestigiose con Marvin Gaye, Herbie Hancock, Diana Ross e Lionel Richie. Si ripromettono subito di lavorare assieme, tuttavia passeranno alcuni anni prima che si incontrino finalmente in studio di registrazione, nel 1984, per registrare assieme quel gioiellino synth-funk di “Erotic City”, sporcacciona B-side di "Let’s Go Crazy", che godrà pure di un discreto airplay radiofonico. L’intesa artistica tra i due è immediata e quindi si mettono subito al lavoro su un album che possa mettere in evidenza le capacità di Sheila.
"The Glamorous Life" è un disco dalle tipiche sonorità princeiane di quel periodo, sintetiche e con la linn-drum a farla da padrone; paradossalmente a uscirne ridimensionata è proprio la specialità di Sheila E., ovvero la sua capacità di percussionista che in un simile contesto non è sempre del tutto apprezzabile. Lo scopo però è un altro, farne cioè una popstar e l’impresa riesce praticamente subito. La lunga title track è infatti un instant-classic,una contagiosa cavalcata retta da una linea di sax sorniona che raggiungerà la top ten dei singoli più venduti negli States, regalandole grande popolarità e nomination ai Grammy Awards. Fama che viene raggiunta anche in Europa grazie all’ancora più pop “The Belle Of St. Mark” e alla splendida ballata “Noon Rendevouz”, tra le più soffuse e fascinose del nostro. Non tutti i pezzi sono all’altezza e l’album si perde un po’ in qualche strampalata sbandata kitsch di Prince, come “Next Time Wipe The Lipstick Off Your Collar”, che ancora non riesce a trovare la quadra (poi miracolosamente raggiunta in "Parade" due anni dopo). Sheila E. però, nonostante una vocalità non esattamente incisiva, ha carisma da vendere, soprattutto sul palco, è sicura di sé ed è particolarmente ambiziosa. Prince ne è consapevole, la invita ad aprire i concerti del trionfale “Purple Rain Tour” e lei inizia quindi a studiarlo: a pettinarsi come lui, a vestirsi come lui, a muoversi come lui.
Al momento di pubblicare il secondo album in collaborazione con Prince, "Romance 1600" del 1985, lei ne è praticamente diventata il suo alter-ego femminile. Pur non rinnegando le sonorità del disco precedente, l’atmosfera generale sarà più variegata e giocosa come testimoniato dal primo singolo “Sister Fate”, dalla corale title track, colorata come "Around The World In A Day", e da una spassosa “Dear Michelangelo" in cui la voce di Prince sarà persino più udibile di quella della titolare. Troveranno anche spazio la jazzata “Yellow”, praticamente un’antenata della “Strollin’” di Diamonds And Pearls, l’(in)evitabile numero circense "Merci For The Speed Of A Mad Clown In Summer" e una ballata più soul, “Bedtime Story”, in cui per la prima volta Sheila E. tirerà fuori inaspettati attributi vocali. Il disco inizialmente deluderà le aspettative commerciali, ma si riprenderà in fretta quando verrà pubblicato come secondo singolo la famosissima “A Love Bizarre”, praticamente una “The Glamorous Life” parte seconda, ancora più lunga e praticamente in duetto con Prince. Sarà un nuovo gande successo, prolungato qualche mese dopo dal singolo “Holly Rock”, realizzato per il film "Krush Groove" (sulla nascita della Def Jem Recordings) di cui lei sarà tra i protagonisti. Alle soglie del 1987 Sheila E. è diventata l’ape regina della purple family, Susannah ha ormai lasciato Minneapolis e Jill Jones è presa dal suo imminente debutto discografico. La sua relazione con Prince non è più così nascosta ed è coronata dalla richiesta del nostro di entrare a far parte ufficialmente della sua nuova band, non solo come percussionista ma anche come direttore artistico delle lunghe tournée promozionali a supporto di "Sign O’ The Times" e "Lovesexy". I due collaborano anche sul parallelo progetto free-jazz Madhouse e contemporaneamente uscirà anche un nuovo album, "Sheila E.", in cui però l’apporto di Prince sarà concentrato solo sulla metà dei dieci brani in scaletta. Rispetto ai due lavori precedenti, il disco recupererà le sue radici latino-americane ma il riscontro del pubblico sarà decisamente meno caloroso e a spiccare saranno soprattutto i pezzi più tipicamente princeiani, seppur più di mestiere che in passato, come l’ipnotico e rappato singolo “Koo Koo” e “Love On A Blue Train”, che anticipa la deriva soul-funk di "Lovesexy".
Anche il loro apparente idillio sarà però destinato a interrompersi bruscamente: al termine del “Lovesexy Tour” nel 1989, Sheila viene colpita da uno pneumatorace, rallentando quindi ogni attività, ma soprattutto non è d’accordo con la direzione stilistica che Prince vorrebbe farle intraprendere per il prossimo album. I due ritroveranno pace e intesa soltanto nel primo decennio del nuovo millennio, quando divideranno nuovamente, e spesso, il palcoscenico e Sheila contribuirà ad alcuni brani di "Musicology" del 2004, "3121" del 2006 e "Planet Earth" del 2007. Seguiranno però nuovi attriti, e la pubblicazione di un libro di sue memorie, pieno di dettagli privati, indisporrà parecchio Prince, al punto che i due smetteranno di parlarsi sino alla di lui morte. Nonostante questo, Sheila E. assurgerà al ruolo di presenzialista vedova inconsolabile e di organizzatrice principale degli eventi in suo onore, attirandosi le critiche di gran parte delle sue ex “sorelle”.
Sheena, la straniera
La scozzese Sheena Easton è sicuramente l’intrusa tra le partner musicali anni 80 di Prince; diversamente da tutte le altre, quando i due iniziano a collaborare nel 1984, lei è già una più che affermata cantante mainstream, nonostante la giovane età. Esordisce infatti nel 1980 in uno dei primissimi esempi di talent-show della tv britannica e, sulla scia di Olivia Newton-John, scala poi le classifiche con pezzi decisamente Adult oriented come “Morning Train (Nine To Five)”, la cover di “We’ve Got Tonight” (in duetto con Kenny Rogers) o il pezzo portante di 007 “For Your Eyes Only”. Sheena però vorrebbe consolidare il suo successo negli States e rendere la sua immagine un po’ più audace, come moda richiede. Quale idea migliore di chiedere quindi a Prince un pezzo per il suo sesto album? Detto fatto. Desideroso di aggiungere un’europea al suo carnet di voci femminili, lui le dona immediatamente lo spigoloso brano “Sugar Walls”, mandando su tutte le furie Jill Jones al cui album era inizialmente destinato. La trasformazione da brava ragazza a bad girl è immediata e credibile: quando il pezzo verrà pubblicato come singolo, le radio lo censureranno per via del testo che lascia poco spazio alle interpretazioni, ma nonostante questo sarà un successo da top ten.
Pur non trasferendosi mai in pianta stabile a Minneapolis e negando sempre ogni implicazione sentimentale con Prince, la Easton continuerà a lavorare con lui per tutta la seconda metà degli anni 80 incidendo altri suoi brani, tra cui la ballata “Eternity”, dalla soffice cadenza, e la più sensuale “101”. Tuttavia il vero asso nella manica da calare sarà il loro duetto su “U Got The Look”, il singolo di maggior successo estratto da "Sign O’ The Times", a cui seguirà anche l’eccessivamente zuccherosa “The Arms Of Orion”, dalla colonna sonora di "Batman" del 1989. Sarà anche la loro ultima collaborazione in una carriera destinata a durare ancora diversi anni ma con sempre meno successo e impatto mediatico.
Cat, l’esplosiva
Alla ballerina Cat Glover spetta un curioso primato: tra tutte le donne di Prince, è infatti la prima donna nera di etnia non mista a far parte della sua band. E lei si domanderà spesso il perché della sua selezione, ritenendosi non particolarmente bella o aderente ai canoni estetici del principe. Facile darsi una risposta: Cat è un vero animale da palcoscenico, un’atletica trascinatrice di folle, in grado di rubare persino la scena al nostro. Raggiunta la notorietà in un talent-show di danza grazie alla sua peculiare mossa “Cat Scat”, nel 1987 Prince le chiederà di coreografare il suo imminente tour in supporto di "Sign O’ The Times" e di affiancarlo sul palco per rendere i suoi spettacoli ancora più teatrali e dinamici. Si riveleranno una coppia esplosiva, l’alchimia e la tensione sessuale che i due trasmetteranno saranno decisamente palpabili (perché “mai soddisfatte una volta terminata la performance”, dichiarerà più volte la ballerina), come immortalato dal lungometraggio live girato per promuovere l’album sul territorio americano, non toccato dal tour. La Glover è anche l’unica a non avere, inizialmente, alcuna velleità da cantante. Eppure Prince la convince a entrare in studio di registrazione con lui, convinto non del tutto a torto che il rap possa essere tra le sue corde: sarà infatti lei a rappare su “Cindy C” dal "Black Album" e soprattutto su “Alphabet St” da "Lovesexy" (celebre l’esortazione “Cat, we need you to rap!”). In cantiere c’è anche un possibile album che però non si materializzerà mai, Cat riprenderà infatti il suo ruolo di ballerina e coreografa per il sontuoso tour mondiale del 1988 e saranno nuovamente scintille (testimoniate dal videoclip di “Glam Slam). Terminata la lunga serie di concerti, la Glover però getta inaspettatamente la spugna: è ai ferri corti con Sheila E. e Prince, tanto per cambiare, vorrebbe sbarazzarsi di alcuni membri della band a cui lei è ormai troppo legata, tra cui la sfortunata tastierista/corista Boni Boyer (morta prematuramente qualche anno dopo). La goccia che però fa traboccare il vaso è che lui vorrebbe fosse proprio Cat a licenziare il loro manager in comune, Steve Fargnoli, considerato troppo vicino all’ormai odiata Warner. Abbandonati Prince e Minneapolis, e non più così sicura della scelta fatta, alla fine tenterà comunque il suo debutto musicale con l’Ep "Catwoman" del 1989, ma il suo insuccesso la farà desistere e tornare alle attività a lei più congeniali. Negli anni successivi alla morte di Prince, la sua diventerà una delle voci più contrarie alla compagnia scelta per curare il patrimonio di Paisley Park, rea secondo lei di pensare più a batter cassa che a custodirne nel migliore dei modi l’eredità artistica.
Ingrid, la spirituale
Quando Ingrid Chavez e Prince si incontrano a fine 1987, lei è una ragazza madre da poco trasferitasi a Minneapolis, lui sta attraversando un momento di crisi mistica che l’ha appena portato a bloccare la pubblicazione del già stampato "Black Album", ormai considerato alla stregua di un’opera del diavolo. Lei gli si presenta come aspirante musicista, ma in realtà è più una poetessa, e lui rimane affascinato dal tono della sua voce e dall’aura spirituale che la ragazza emana, identificandola subito come uno spirito guida che possa dargli slancio per realizzare nuova musica in grado di redimere la sua anima. La porta immediatamente negli studi di Paisley Park, il suo quartier generale, e i due registrano delle poesie con accompagnamento musicale. Nasce così “the spirit child”, la voce narrante che introdurrà vari pezzi del futuro "Lovesexy", ovvero la risposta paradisiaca al dannato "Black Album".
Per ringraziarla dell’ispirazione “giusta”, Prince vorrebbe produrle un intero album di poemi musicati e i due si mettono subito al lavoro, col disappunto di una sempre più gelosa Sheila E., ancora piccata per non esser riuscita fargli mettere sotto contratto i Tony! Toni! Toné! Nemmeno la Warner però è troppo entusiasta all’idea e preferirebbe un album con pezzi cantati piuttosto che recitati; le registrazioni quindi procedono a rilento e Prince, distratto anche dai preparativi per il sontuoso tour mondiale in supporto di "Lovesexy", inizia a perdere interesse. L’omonimo album alla fine verrà pubblicato soltanto nel 1991 senza far troppo rumore e conterrà soltanto cinque dei poemi registrati a Paisley Park, tra cui il singolo “Elephant Box”.
Precedentemente però Ingrid e Prince avranno modo di unire le forze per un’ultima collaborazione. E’ ormai da tempo che lui ha in mente di realizzare una sorta di sequel di "Purple Rain" ma, a parte Cat, non riesce a trovare partner femminili che gli diano retta: sia Apollonia che Madonna (non certo una dal fiuto infallibile quando si tratta di film) voltano le spalle alla richiesta del collega. E’ il 1989 quando Prince propone quindi alla sua nuova fiamma, l’attrice Kim Basinger (fresca di “ansimante” partecipazione a “The Scandalous Sex Suite”, estratta da "Batman", e del mai pubblicato album "Hollywood Affair"), di realizzare assieme la pellicola, ma la chiacchieratissima relazione avrà vita breve e così il loro progetto cinematografico. Una volta modificata la sceneggiatura, la Chavez accetta di buon grado di sostituire la ben più famosa attrice, dopotutto il ruolo immaginato per lei è quello di angelo custode, a lei congeniale. Nato sotto una cattiva stella, "Graffiti Bridge" si rivelerà un film disastroso sotto ogni punto di vista, salvato in parte dalla discreta colonna sonora composta da diverse demo risalenti a precedenti progetti e rivisitate per l’occasione.
Proprio durante le riprese di "Graffiti Bridge", Prince presenterà Lenny Kravitz alla Chavez e i due intraprenderanno una breve relazione durante la quale registreranno una delle sue poesie. Qualche mese dopo, terminata la relazione, tale poema diverrà la celebre “Justify My Love” di Madonna. Kravitz si è però “dimenticato” di citare Ingrid tra gli autori del pezzo, ma a quel punto sarà proprio Prince a spronare la sua protetta a passare per vie legali, vincendo la causa. Terminata definitivamente la sua relazione professionale con Prince, Ingrid Chavez collaborerà con Ryuichi Sakamoto per "Heartbeat" del ’91 (sua la voce nell’omonimo singolo e in “Cloud #9”), esperienza che le permetterà di incontrare il suo futuro marito David Sylvian. Con lui collaborerà ai suoi dischi sino alla loro dolorosa separazione nel 2003, fonte di ispirazione per l’album "Blemish".
Le altre donne
Tra la fine degli anni 80 e i primi 90 tante altre artiste intrecceranno disordinatamente il loro cammino, personale o professionale, con quello di Prince. Nessuna di loro però riuscirà ad entrare davvero nel cuore dei suoi fan e il pubblico le percepirà più come un lussuoso accessorio da sfoggiare, incapaci di durare suo fianco del principe per più di un semestre. Si susseguiranno quindi la giovanissima Anna “Fantastic” Garcia (musa ispiratrice per diversi pezzi di "Batman"), la talentuosa Rosie Gaines, prima corista di quei New Power Generation con cui Prince otterrà il suo maggior successo discografico dai tempi di "Purple Rain", le ballerine Diamond e Pearl, la bomba sexy (ma mediocre cantante) Carmen Electra e Nona Gaye, figlia di Marvin, a cui Prince spezzerà il cuore preferendole la coreografa Mayte Garcia, “The Most Beautiful Girl In The World” e musa di "Love Symbol". Dopo diversi anni di relazione i due convoleranno a nozze nel 1996, ma il loro matrimonio sarà a breve segnato dalla morte del loro primogenito, affetto da una grave malformazione cranica, sei giorni dopo la sua nascita e da un successivo aborto. Il drammatico avvenimento proverà entrambi e li condurrà al divorzio nel 2000, proprio quando Prince inizierà a trovare conforto come Testimone di Geova, religione che lo porterà a rivedere diverse scelte stilistiche della sua carriera e anche il rapporto con le donne. Seguiranno altre relazioni (tra cui la seconda moglie, l’italiana Manuela Testolini), collaborazioni durature (come con la bassista Rhonda Smith) e altre artiste da lanciare inutilmente sul mercato (Tamar Davis, Bria Valente, il trio 3rdeyegirl…) ma da quel momento in poi il noto riserbo sulla sua vita privata diventerà praticamente impenetrabile e tutto sommato noioso, facendo rimpiangere quel capriccio divistico ma terribilmente stimolante che fu il suo harem anni 80.