Dennis Leigh è una di quelle persone con cui non vorresti mai smettere di conversare. Un vero gentleman, dalle pose quiete e dai toni ponderati. Scandisce lentamente ogni parola, quasi sottovoce, e sviscera i concetti con precisa pacatezza, esprimendo anche attraverso gesti misurati la sua visione del mondo. Un mondo nel quale convivono in armonia passati lontanissimi e presenti futuribili: macchine e acciaio, certo, ma sotto l'egida del tempo trascorso dalla sua notte fino a noi.
Metropoli, automobili, paesaggi attuali a fianco di luoghi silenziosamente remoti, giardini e cattedrali: il tutto racchiuso in fotogrammi melodici che sanno cogliere il comune denominatore con arte e percezione. L'approccio moderno quale essenza di un artista che sintetizza senza ridurre, che immortala la nostra era rimandando alla natura la sintesi definitiva.
New waver prima della new wave, misconosciuto mistico dell'ambient music, electro prima dell'electro. L'uomo e la città, la musica, l'architettura, il cinema, e anche il malcelato istinto di rimettere insieme gli Ultravox. Dalle sue stesse parole, ecco l'affascinante ritratto di un futurista dalla sensibilità romantica.
John, hai fatto uscire quattro album in poco meno di due anni. Il progetto ambient "Cathedral Oceans", poi "Tiny Colours Movies" e infine l'accoppiata con Louis Gordon "From Trash" e "Sideways". Ci puoi raccontare lo spirito che ha animato questi progetti, e il motivo di tutta quest'urgenza creativa?
Semplicemente ho molta musica da fare, e voglio farne finché è possibile. Tutto sembrava andare bene in questo periodo, così abbiamo potuto lavorare ininterrottamente, mentre spesso uno di noi è in tour, oppure sta facendo qualcos'altro, o magari non è possibile incontrare delle persone perché si trovano all'estero. Per qualche strana ragione, in questi due anni tutto ha funzionato come doveva, e così ho potuto concentrarmi sui vari progetti con continuità. A volte ci siamo cimentati su due album contemporaneamente, come è successo con "Sideways" e "From Trash". Non l'ho percepito come un lavoro: siamo andati avanti e, per certi versi, sembrava facile produrre così tante cose insieme. Solo alla fine dell'anno mi sono reso conto di aver realizzato cinque album, perché oltre a quelli che hai menzionato, ne ho fatto un altro con Robin Guthrie, e ne ho iniziato uno con Harold Budd. È successo tutto simultaneamente e "facilmente".
Forse perché per molto tempo non hai pubblicato niente…
È vero, ma stavo sempre scrivendo e registrando, per cui avevo già concepito parte del materiale che ho usato per alcuni di questi album.
Trovo che non sia stato dato il giusto risalto al tuo contributo agli sviluppi recenti dell'ambient music. Si parla tanto di "Metamatic", di "The Garden", degli Ultravox, ma in questi ultimi anni sei uscito con dischi che aggiornano in qualche modo questo genere, anche introducendo tematiche mistico-religiose.
No, non religiose!
E mistiche?
Sì, immagino si possa dire così...
Puoi dunque raccontarmi delle tue esperienze con l'ambient music?
Il progetto di "Cathedral Oceans" prosegue da molti anni, tanto che avevo registrato parecchio materiale, per circa sei album, direi. Originariamente è tutto cominciato a Milano, nel Duomo di Milano. La prima volta che entrai nella cattedrale mi resi conto di non esserci mai stato prima di allora, ma l'acustica e l'architettura erano così suggestive che diedero l'ispirazione per realizzare molte idee alle quali pensavo fin da quando ero ragazzino.
Da bambino, infatti, cantavo in un coro della chiesa: fu per poco tempo, per un anno circa. Ma ogni tanto andavo in chiesa prima delle prove, prima che arrivassero gli altri, e cominciavo a cantare da solo perché ero sedotto da quel suono; così ho abbozzato le mie prime canzoni, improvvisando, ma a quel tempo non me ne rendevo conto.
Tutto quello che desideravo era di avvicinarmi a quella particolare atmosfera, ma per via dell'eco non riuscivo a ottenerla in nessun altro luogo che non fosse la chiesa. Come vedi, non ha niente a che fare con la spiritualità, è solo una questione di... acustica!
Crescendo, col senno di poi, ho capito che quando canti in quegli spazi si verifica un ritardo, una rifrazione che puoi armonizzare con la tua voce. Insomma, quando la nota torna indietro, è possibile creare un'armonia e svilupparla. La mia teoria è che tutta la "church music" si sia evoluta in questo modo, ossia partendo dai suoi edifici. Una sorta di "musica architettonica"...
Ero eccitato quando ho compreso questo e, come dicevo, è successo proprio nel Duomo di Milano: quando sono entrato ho assistito a un coro che cantava, ma quando il coro ha smesso si udivano ancora le eco nell'edificio. Le voci erano ancora lì, perché c'è un vuoto talmente ampio da rendere il riverbero esagerato, meraviglioso. Ciò mi ha illuminato su quanto avevo cercato di comprendere in tutti quegli anni. Così sono tornato a casa e ho scoperto che era possibile ottenere una cattedrale in un digital box: puoi avere un riverbero digitale, che è come una cattedrale in uno spazio molto, molto più piccolo!
Allora ho pensato che avrei potuto comporre della musica che fosse molto moderna utilizzando l'architettura digitale, pur esprimendo un tipo di suono molto primitivo: penso che fosse usato prima del Cattolicesimo, cantato nelle caverne e negli oceani...
Quindi non c'è alcun nesso con la religione...
No, non m'interessa molto la religione, penso che essa abbia a che fare con le strutture del potere e della politica. Sono altrettanto convinto che vi siano dei sentimenti umani molto importanti che hanno finito per essere connessi alla religione, ma che quest'ultima, in sé, non possiede. Dei sentimenti e delle esperienze umane che esistevano ben prima delle religioni.
John, sei stato uno dei più influenti pionieri nell'uso dell'elettronica nella musica pop. Che opinione hai dell'evoluzione contemporanea delle forme più astratte e radicali di musica elettronica?
M'interessano soltanto in senso... astratto. Perché voglio fare una musica che non sia astratta, ma al contrario più letterale, connessa alle canzoni, alle voci, non così avulsa da esse.
Benché io apprezzi quella forma e ne usi degli elementi nei miei lavori, ciò che davvero m'interessa è scrivere delle canzoni. Mi piacciono le melodie, prediligo la semplicità.
Preferisco mantenere il processo creativo il più lineare possibile, proprio perché sono convinto che fare la cosa semplice sia davvero la cosa più difficile: ci vuole molto lavoro per togliere tutto quello che non è necessario.
Certo, con forme di musica astratta puoi incanalare teorie, considerare esperienze e sensazioni più intense, a volte: sono sempre stato consapevole di questo, ed è lo stesso con le arti visive. Tuttavia, in molte espressioni artistiche attuali, si è arrivati a un punto in cui è più importante il concetto dell'oggetto, e io non ho mai voluto che accadesse lo stesso con la mia musica. Io voglio che l'oggetto, la musica, conservi la sua centralità.
Insomma, apprezzo e continuo ad apprezzare la semplicità della melodia, e penso che sia l'obiettivo più difficile da raggiungere. Quindi se qualcosa non è melodico, mi è difficile lavorarci e anzi non voglio lavorarci affatto.
Uno dei motivi ricorrenti della tua produzione è lo scenario urbano. "Shifting City", "Quiet City", "Cities Of Light", "Uptown/Downtown". Cosa rappresenta la città nell'immaginario artistico di John Foxx?
Credo che riguardi qualunque cosa: penso che tutto nella mia vita sia vissuto dal punto di vista dell'uomo nella città; è quanto descrivo, ed è ciò che conosco meglio. Ho vissuto anche a contatto con la natura, quindi posso dire di conoscerla ma, come gran parte delle persone, vivo in una città.
Vivi a Londra?
Sì, vivo un po' a Londra e un po' a Bath. Ho costantemente vissuto in città durante la mia vita, anche se da bambino vivevo in un paese vicino a Manchester, sul confine. Credo che il progetto di "Cathedral Oceans" sia molto geografico proprio perché ho vissuto lungo quel confine: andando in una direzione, mi ritrovavo nella regione dei laghi, mentre nell'altra ero in città. A dieci minuti da casa mi ritrovavo in paesaggi profondamente diversi, e questo deve avermi reso un po' schizofrenico.
Ad ogni modo, trascorro a Londra la maggior parte del tempo, e qui ho vissuto per moltissimi anni. Tutte le mie esperienze importanti hanno a che vedere con le città: penso a New York, Milano, Roma, Parigi, Tokyo. Ritengo che sia interessante capire come sia possibile vivere in una metropoli, che cosa vi si possa fare, con quali stati d'animo e, in fin dei conti, che luogo sia realmente.
Perché se ti ci soffermi, capisci che non sappiamo ancora bene cosa sia la città. Ne abbiamo costruite per migliaia di anni, ma cos'è davvero una città? È un po' come una barriera corallina, sono gli animali a costruirla, un po' come l'alveare per le api, come un formicaio. È la replica evoluta di quelle costruzioni, e l'uomo vi svolge le medesime attività, soltanto più sofisticate rispetto a quelle del formicaio, dell'alveare e della barriera corallina.
Se osservi un'ape, scopri che essa non è necessariamente l'organismo. Il vero organismo è l'alveare, perché è per mantenerlo vivo che essa spende la maggior parte del suo tempo. L'ape è come un'anima, quindi forse la città è l'organismo, mentre noi siamo l'anima, e non sappiamo esattamente perché facciamo tutte queste cose. Perciò la città è tanto importante: se guardi le cose da questo punto di vista, ottieni una nuova dimensione, ed è questa la percezione che voglio tenere a mente.
E poi c'è il potere d'associazione della città: ricordo la prima volta che arrivai a Londra, ero giovanissimo ed ero così eccitato. Tuttavia all'inizio non mi piaceva, mi spaventava: era troppo grande, mi sentivo un alieno. Ma più camminavo per le strade, più nel corso degli anni raccoglievo ricordi e associazioni: incontravo qualcuno, per caso, e me ne ricordavo. Andavo a teatro, o al ristorante, o a un concerto e facevo amicizia: improvvisamente, beh diciamo dopo un lungo periodo, programmi te stesso arricchendoti con molte esperienze. La città diventa talmente familiare che ogni volta che vi cammini diventa l'occasione per nuove associazioni.
È un lungo processo arrivare ad amare una persona, o un luogo, e alla fine percepisci che quel posto entra dentro di te e che anche tu, in qualche modo, contribuisci a cambiarlo con il tuo lavoro, con le cose che fai. Ora cammino per la strada, a Londra, a New York o altrove, e sono una parte della città sia per la gente che mi riconosce per ciò che ho fatto, sia per il volto anonimo che posso rappresentare per altri, e tutto questo mi piace.
Tutte queste cose alla fine si uniscono, ed è quanto ho cercato di scrivere, per quanto sia talmente difficile farlo che, solo per esprimerne una parte, mi ci è voluto il tempo di una vita.
"Metamatic" è un album molto importante per l'uso dell'elettronica in musica. Il fascino della meccanicità è presente attraverso i suoni e nell'utilizzo della voce: "Metal Beat" sembra essere influenzata dall'estetica futurista e dall'entusiasmo per la tecnologia. Eri interessato al Futurismo?
Certamente, Marinetti e gli altri furono i primi a teorizzare un'estetica della macchina e della tecnologia moderna. La cosa più importante è che la concezione artistica del Futurismo andava realmente oltre, attraversando tutti i campi dell'arte e del pensiero.
Purtroppo c'è anche l'aspetto di connessione col fascismo e l'uso del Futurismo per faccende politiche, e questo sicuramente non mi piace. Tuttavia, ammiro quel tipo d'intelletto in grado di osservare la vita moderna: la cosa più difficile è riuscire a vedere il presente, in altre parole quello che ho sempre cercato di fare. I Futuristi stavano semplicemente vedendo il presente non riconosciuto dai più.
È molto difficile farlo nel momento in cui sta accadendo: puoi farlo vent'anni dopo e constatare cosa è successo, ma è molto diverso capirlo in quell'esatto istante.
La gente immagina un sacco di cose riguardo al futuro, ma io non sono fra quelli. Non scrivo mai del futuro, mi piace scrivere di ciò che sta succedendo ora, ben sapendo che possono volerci 20 anni per riconoscere il presente. Anche per me, su alcune cose, ci sono voluti molti anni, ma se al contrario riesci a intuirlo subito, è assai emozionante. Ciò non di meno, devi essere consapevole che molta gente non ci riuscirà per tanto tempo, ed è quanto accaduto con Marinetti. Tantissimi suoi contemporanei non hanno riconosciuto la portata della sua opera: solo 50 anni dopo si è capito quanto fosse rilevante. Questo per quanto riguarda il Futurismo, ma tutta l'arte italiana, in generale, ha sempre rappresentato molto per me e per la mia carriera.
Ho saputo che ti trovavi in Italia prima di realizzare "The Garden". Quanto dell'amore per il senso di decadenza dell'Europa che troviamo in "The Garden" è dovuto al paesaggio italiano e alla quantità di rovine storiche che si possono trovare qui?
È curioso cogliere un'analogia: da bambino sono cresciuto nelle città industriali dell'Inghilterra del Nord, quando le fabbriche iniziavano progressivamente a chiudere, a cadere in disuso. Insomma, la natura avanzava, gli uccellini facevano i nidi dentro i capannoni dismessi, così quando ho visto le rovine di Roma, ho preso coscienza che l'architettura del Nord dell'Inghilterra era un'imitazione naturale dell'architettura romana. Ma la cosa incredibile è che talvolta quelle stesse industrie furono concepite proprio per assomigliare ai templi romani: erano utilizzati dei materiali in apparenza simili, e in quel momento si stavano trasformando in rovine proprio allo stesso modo degli edifici romani.
Fu anche l'idea dei giardini incolti, abbandonati, e delle città del passato che continuano a esistere nelle nuove costruzioni: la gente prendeva materiale dalle rovine e ci costruiva case. Per cui a Roma, per esempio, possiamo trovare piccole abitazioni costruite con parti di templi, come una serie di stratificazioni. Molta della musica che stavo facendo aveva a che fare con quelle stratificazioni, la stessa connessione con il passato, la medesima architettura, poiché non era una cosa sola, bensì il risultato di una serie d'edifici assemblati.
Veniamo agli Ultravox. Una band importantissima, perché suonava new wave prima che nascesse la new wave. Cosa ricordi di quell'esperienza e di quegli anni?
Beh, era tutto molto eccitante, perché la prima volta che sono stato a Londra nel 1973 non c'era musica per le strade, mentre incontravo persone che al contrario volevano farne, come ad esempio Mick Jones, Glenn Matlock e altri che avrebbero fatto parte dei Clash e dei Pistols.
È vero che c'è stato un momento in cui stavi per diventare il frontman dei Clash?
La prima volta che ho incontrato Mick Jones sembrava Keith Richards, si vestiva di pelle come lui, e io pensavo che questo non potesse significare niente di buono. Vedi, la maggior parte delle persone che si vestono così non vanno bene, non sanno suonare: hanno un bel look, ma non sanno suonare!
Poi Mick ha formato i Clash, e a quel punto lui ha cominciato a pensare che noi eravamo andati troppo avanti, dato che eravamo già saliti sul palco e, in effetti, la band con cui suonavo faceva già da spalla ad altri, on stage. Una sera, dopo un concerto da qualche parte, mi ha chiesto di unirmi a loro, ma ormai la mia esperienza si era già, in qualche modo, consolidata e alla fine non se n'è fatto niente.
Avevi già incontrato Billy e gli altri…
Sì, ho incontrato Billy, Chris e gli altri che sarebbero stati negli Ultravox. Cambiavamo nome tutte le settimane: The Zips, The Fire of London, The Plims, ci sono stati un sacco di nomi. Potevamo cambiare ogni volta che volevamo: non faceva differenza, perché nessuno sapeva in ogni caso chi fossimo.
E una reunion con Billy e gli altri degli Ultravox non ti piacerebbe?
Di recente ho parlato con Rob (Robin Simon, chitarrista degli Ultravox ai tempi di "Systems Of Romance", ndr) e penso che sia uno dei più grandi chitarristi di sempre. Vedi, anche se non è mai stato riconosciuto come tale, o comunque non del tutto, Robin è stato davvero imitato da tutti.
Ha inventato un certo suono di chitarra proprio della new wave...
Sì! Anche le nuove band continuano a imitarlo, per quanto spesso non ne siano neppure consapevoli. E questo perché tentano di copiare quelli che, a loro volta, sono stati influenzati da Rob. Lui è stato veramente il primo a suonare la chitarra in quel modo, con quell'eco e quegli effetti che non erano degli extra: erano parte del sound, era così che lui lo costruiva.
Mi ricordo di com'ero entusiasta la prima volta che lo sentii suonare, non riuscivo davvero a crederci. Continuava a suonare, e quando gli davo delle idee per una canzone, a un certo punto gli dovevo dire: "Stop! Stop! Guarda che me ne serve soltanto una!". Era molto brillante, a dir poco.
E cosa mi dici di Billy Currie?
Oh, anche Billy! Lui è un musicista di formazione classica, un ottimo musicista, non di quelli che trovi di solito in una band del genere. I musicisti d'estrazione classica non sempre riescono a capire la potenza della musica rock, invece Billy ci riesce in modo tale che tutta la forza e la rabbia siano rimodellate con raffinatezza, in una combinazione fantastica: non ho mai incontrato nessun altro in grado di farlo così.
E poi è molto intelligente, capisce come deve essere costruito il suono, sa sempre creare qualcosa di nuovo: ha un gran talento e vorrei lavorare ancora con lui. Insomma si, ne abbiamo parlato, magari faremo nuovamente qualcosa insieme...
Una domanda tecnica: in "The Garden" usi quel misterioso dispositivo chiamato "Human Host". Puoi dirmi di che tipo di meccanismo si tratta?
Si tratta di un dispositivo basato su un vocoder Roland molto primitivo, uno dei primi che poteva suonare come un coro, come delle voci reali. Quando ne sono entrato in possesso, sono rimasto così soddisfatto che subito ho aggiunto degli altri strumenti elettronici: degli armonizzatori e delle echo machine; quindi, in realtà, erano più congegni assemblati insieme.
Cantando nello "Human Host", cantavo come in un coro che a volte sembrava proprio fuori controllo, e io stesso mi sentivo fuori controllo. Non potevo usarlo spesso, era impossibile, era davvero molto complicato.
Fu una tua invenzione?
Non esattamente, le singole componenti c'erano già; io le ho soltanto messe insieme in modo che andassero bene per me, le ho adattate.
Parliamo di cinema. Ci racconti com'è nata la tua collaborazione con il maestro Michelangelo Antonioni?
Sì, ho lavorato a parte della colonna sonora del film "Identificazione di una donna". Dunque, l'assistente di Michelangelo Antonioni, Dante, era venuto su a Londra chiedendomi se conoscessi Antonioni e se volessi lavorare con lui. Gli ho risposto: "Assolutamente. Certo che voglio!".
Ero felicissimo, perché amo il cinema europeo, quello italiano, e conoscevo i lavori di Antonioni; così sono andato a Roma, a Cinecittà, e sono entrato in questo grande cinema che aveva solo due poltrone. Lui era seduto e mi mostrava le sequenze del film, ma le faceva scorrere deliberatamente, così io non potevo capire esattamente di cosa si trattasse! E pensa che non me l'ha neppure spiegato: si è rifiutato di dirmi qualunque cosa.
Deve essere stato difficile per te…
L'ho trovato semplicemente divertente e quando, solo dopo, mi ha spiegato di cosa parlasse ho esclamato solo: "Oh boy!".
È stata un'esperienza interessante. Continuavo a venire a Roma e ci restavo per un po'. Mi ero appassionato alla città, ma quando ho finito il lavoro per la colonna sonora, sono rientrato in Inghilterra. Però continuavo a ritornare trattenendomi qualche mese come turista, soltanto per passeggiare e per scoprire la città. Quell'esperienza è stata l'occasione per la mia introduzione alla conoscenza di Roma. Ero molto entusiasta di vedere da quella prospettiva una parte del cinema italiano di cui avevo solo sentito parlare, gli studios... Potevo girare e incontrare Antonioni o Monica Vitti, e tanti artisti di cui avevo letto e che volevo vedere.
Come sta capitando a me con te, adesso…
Grazie. Vedi, ero così eccitato. Ero un ragazzo molto giovane, a Roma, e potevo parlare con Antonioni e con tutta quell'altra gente intorno, non potevo essere più felice.
ULTRAVOX! | |
Ultravox! (Island, 1977) | |
Ha!-Ha!-Ha! (Island, 1977) | |
Systems Of Romance (Island, 1978) | |
JOHN FOXX | |
Metamatic (Virgin, 1980) | |
Burning Car (Ep, Virgin, 1981) | |
The Garden (Virgin, 1981) | |
The Golden Section (Virgin, 1983) | |
In Mysterious Ways (Virgin, 1985) | |
Assembly (antologia, Virgin, 1992) | |
Cathedral Oceans (Metamatic, 1997) | |
Cathedral Oceans II (Metamatic, 2003) | |
Cathedral Oceans III (Metamatic, 2005) | |
Tiny Colour Movies (Metamatic, 2007) | |
Metal Beat (antologia, Metamatic, 2007) | |
A New Kind Of Man (live, Metamatic, 2008) | |
Glimmer (antologia, Townsend, 2008) | |
In The Glow (live, Edsel, 2009) | |
My Lost City (Metamatic, 2009) | |
The Quiet Man (antologia, Metamatic, 2009) | |
Metatronic (antologia, Edsel, 2010) | |
D.N.A. (colonna sonora-video, Metamatic, 2010) | |
B-Movie (Ballardian Video Neuronica) (Metamatic, 2012) | |
Metadelic (antologia, Demon/Edsel, 2013) | |
London Overgrown (Metamatic, 2015) | |
The Marvellous Notebook (Metamatic, 2022) | |
The Arcades Project (Metamatic, 2023) | |
Avenham (Metamatic, 2023) | |
JOHN FOXX & LOUIS GORDON | |
Shifting City (Metamatic, 1997) | |
The Pleasures Of Electricity (Metamatic, 2001) | |
Crash And Burn (Metamatic, 2003) | |
From Trash (Metamatic, 2006) | |
Sideways (Metamatic, 2006) | |
Live From A Room (As Big As A City) (live, Metamatic, 2006) | |
Retro Future (live, Metamatic, 2007) | |
Impossible (remix, Metamatic, 2008) | |
Neuro Video (live, Metamatic, 2008) | |
JOHN FOXX & HAROLD BUDD | |
Translucence/Drift Music (Metamatic, 2003) | |
Nighthawks (featuring Ruben Garcia, Metamatic, 2011) | |
ALTRE COLLABORAZIONI | |
A Secret Life (with Steve Jansen & Steve D'Agostino, Metamatic, 2009) | |
Mirrorball (with Robin Guthrie, Metamatic, 2009) | |
Torn Sunset (with Theo Travis, Edsel, 2011) | |
European Splendour (Ep, with Jori Hulkkonen, Sugarcane, 2013) | |
Empty Avenues (Ep, with The Belbury Circle, Ghost Box, 2013) | |
Evidence Of Time Travel (with Steve D'Agostino, 2014) | |
JOHN FOXX AND THE MATHS | |
Interplay (Metamatic, 2011) | |
The Shape Of Things (Metamatic, 2011) | |
Evidence (Metamatic, 2012) | |
Analogue Circuit: Live At The Roundhouse (live, Metamatic, 2012) | |
Rhapsody (studio-live, Metamatic, 2013) | |
The Machine (Metamatic, 2017) | |
Howl (Metamatic, 2020) | |
NATION 12 (with Tim Simenon) | |
Electrofear (Tape Modern, 2005) |
He's A Liquid | |
Underpass | |
Underwater Automobiles (videoclip, da Tiny Colour Movies, 2006) | |
Smokescreen | |
Estrellita | |
Underpass | |
A New Kind Of Man | |
He's A Liquid |