
Ebbene sì, la notizia è che ci stiamo provando anche noi italiani a metter su dei Festival propriamente detti, di quelli davvero con la F maiuscola, rassegne che non siano soltanto la mera somma di date sparse nell’arco di un periodo, alle quali assegnare un nome e un’organizzazione comuni. Sì, ci stiamo provando già da qualche anno (dopo il naufragio – in tutti i sensi - dell’esperimento Heineken) a emulare i vari Reading, Glastonbury, Coachella, Lollapalooza e Primavera, e lo stiamo facendo attraverso la condivisibile politica dei piccoli passi, giocando anche sul fatto che oggi tutte le band – anche le più grandi – per sopravvivere hanno bisogno di suonare dal vivo sempre più spesso. Per il momento non avremo la medesima visibilità internazionale delle rassegne sopracitate, ma ogni anno si cresce un pochino di più.
OndaRock ha seguito nelle ultime settimane il Siren di Vasto e il siciliano Ypsigrock, due eccellenze a quattro passi dal mare che riservano line-up sempre più competitive e location indimenticabili. Ma è ormai una realtà consolidata anche il miracolo del (gratuito!) Beaches Brew di Marina di Ravenna. Per chi ha voglia di allontanarsi dalle spiagge e accostare una bella città alla forza aggregante della musica, per il quarto anno consecutivo l’ultimo weekend di agosto significa soprattutto TOdays, tre giorni ben organizzati a Torino, in grado di accontentare un pubblico con età e gusti diversi. L’azzeccata formula di quest’anno prevede uno schema quotidiano con due artisti indie made in Italy, due superstar internazionali e una lunga nottata dedicata alle spirali electro, il tutto in diverse location situate entro lo spazio di un chilometro.
Venerdì 24 agosto
King Gizzard And The Lizard Wizard
Brano: Vomit Coffin
L’inizio è col botto: la band che lo scorso anno ha stupito (e incuriosito) tutti pubblicando la bellezza di cinque album nello spazio di dodici mesi, il fenomeno psych-rock del momento, un’iniezione di simpatica follia, un collettivo che finge di essere una manica di sballoni, ma in realtà schiaffeggia la platea con brani di una tale complessità che difficilmente sarebbero riproducibili se non da sobri. Questo MacKenzie da Melbourne è un mattacchione, un geniaccio che porta sul palco un collettivo numeroso e dal nome chilometrico, King Gizzard And The Lizard Wizard, piazzando al centro della scena due batteristi, uno di fronte all’altro, macinando una miscela portentosa fatta di psichedelia (“Muddy Water”), prog (“Crumbling Castle”), proto-metal (“The Lord Of Lightning”), derive mediorientali (“Sleep Drifter”) e riverenze zappiane (“Vomit Coffin” su tutte).
Sembrerebbe un miscuglio difficile da digerire. Niente di più falso: i ragazzi viaggiano che è un piacere, e nella trasposizione live riescono a essere ancor più concreti ed efficaci, evitando quelle lungaggini di troppo che rendono alcuni loro dischi a tratti prolissi e ripetitivi. Il mantra “Rattlesnake” diventerà uno degli inni del Festival, ma quasi l’intero set si mantiene su livelli d’eccellenza, tanto che da molti sarà considerato il miglior live della rassegna.
Prima di loro hanno aperto le danze i torinesi Indianizer, che giocano in casa ma meritano sul campo i galloni della vittoria, e i più noti romani Bud Spencer Blues Explosion, per quasi tutto il concerto in formazione allargata a quattro membri. I virtuosismi di Adriano Viterbini e il drumming di Cesare Petulicchio hanno consentito loro da tempo di essere considerati fra i migliori in Italia sui rispettivi strumenti. Prima parte un po’ morbida, finale al fulmicotone con chiusura riservata a “Hey Boy Hey Girl”, celebre personale rivisitazione di un classico del big beat, vale a dire come ti trasformo in rock i Chemical Brothers.
Dopo i King Gizzard è invece la volta dei War On Drugs, fra le superstar assolute di questa edizione. Svolgono benissimo il loro compitino, ma le emozioni arrivano col contagocce. Chi non è attratto dalla loro musica resterà più o meno indifferente anche dopo la prova live. Bravi, per carità, ma – ancor più dopo una prestazione maiuscola e fuori di testa come quella di King Gizzard – tutto appare un po’ freddino e calcolato, con qualche lungaggine di troppo.
Tutto questo si svolge fra tardo pomeriggio e prima serata nel giardino dello sPAZIO211, dimensioni perfette, palco che si vede benissimo da qualsiasi punto, acustica delle grandi occasioni, tecnicamente non si potrebbe chiedere di meglio. Migliorabile - ma giusto per cercare il pelo nell’uovo - il reparto food, che potrebbe riservare qualche opzione in più.
Per proseguire la serata ci si sposta di qualche centinaio di metri nell’area dell’ex-stabilimento INCET, vecchia fabbrica di cavi sorta alla fine del XIX secolo, abbandonata nel 1968 e oggi interamente ristrutturata, attraverso un ampio intervento di recupero urbano, in grado di salvaguardare il valore testimoniale dell’edilizia industriale di inizio Novecento. Lo spazio, dal tetto semicoperto, ospita la parte electro oriented del Festival, ed è valorizzato dalla presenza di un birrificio artigianale (purtroppo non è consentito accedervi direttamente dall’area concerti) che da qualche tempo vi ha preso sede.
I Mount Kimbie sono i protagonisti della prima serata, poi fino a notte fonda sarà la volta dei dj-set di Lena Willikens e Falty DL.
Sabato 25 agosto
Echo & The Bunnymen
Brano: Over The Wall
La più cantata è videoripresa è stata “The Killing Moon”, ma è “Over The Wall” la canzone che ha fatto drizzare i capelli ai reduci new waver che hanno affollato la seconda serata del TOdays. Va bene la presenza di Colapesce, attualmente uno dei nostri cantautori più illuminati, va bene la presenza dei Mogwai (con loro si va sempre sul sicuro, e qualche momento di stanca viene riscattato dalla conclusiva nucleare “Mogwai Fear Satan”, che noi non abbiamo visto perché ci eravamo spostati in zona Cosmo, ma ci hanno raccontato…) che hanno degnamente sostituito i desaparecido dell’ultimora My Bloody Valentine (sigh!), ma l’attenzione di quasi tutti i presenti oggi è per Echo & The Bunnymen, se non altro per il fatto che sono in moltissimi a non averli mai visti prima su un palco.
Ian McCulloch canta appoggiato all’asta del microfono come un novello Liam Gallagher (oops, forse sarebbe corretto invertire le parti…), la band alle sue spalle ricrea certe spirali wave, ma quelle vere, quelle profondamente anni 80, difendendo a spada tratta il proprio trademark, senza preoccuparsi troppo di attualizzare il suono.
Soltanto tredici le tracce eseguite, ma i Bunnymen trovano il modo di regalare un paio di preziosi (e ben eseguiti) omaggi, infilando “Roadhouse Blues” dentro “Villiers Terrace” e “Walk On The Wild Side” dentro “Nothing Lasts Forever”, il brano che aveva saputo anticipare i Verve e tanto altro britpop.
Tutto questo se avete più di 35 anni, altrimenti il tripudio della serata è all’ex-INCET, dove Cosmo trionfa a mani basse, dimostrando di essere uno dei più bravi e lungimiranti artisti italiani del momento. Parte con i coriandoli sparati sul pubblico e sviluppa un vero e proprio party-concerto dai suoni potentissimi. A tratti un po’ impacciato, con quella faccia da nerd, la tuta e il giubbottino giallo fosforescente, ma i ragazzi (e alla fine non soltanto i ragazzi…) impazziscono per lui, anche perché le canzoni dal vivo spaccano di brutto, ancor più che su disco. Il dj-set interno è poi uno spettacolo nello spettacolo: potremmo definirlo il Calcutta del dancefloor, probabilmente nessuno si offenderà.
Poi toccherà ai Mouse On Mars - un pezzettino di storia della musica elettronica contemporanea - e ai dj-set di Acid Arab e Red Axes chiudere la seconda, strepitosa giornata del TOdays.
Domenica 26 agosto
Editors
Brano: Sugar
Se, ancora barcollanti dai colorati big beat programmati da Cosmo, siete alla ricerca di una sua versione femminile, la troverete il giorno successivo al Parco Urbano Peccei. Myss Keta alle 17 accende il pomeriggio torinese – già illuminato da un bel sole - con una performance che convince anche i più scettici. Il sole splende e Myss Keta – sempre con volto rigorosamente coperto - farà meglio dei successivi Generic Animal e Maria Antonietta, quest’ultima vittima di una laringite che rischia di compromettere la riuscita dello show.
Ariel Pink bravo, ma a tratti fuori contesto per un pubblico che è lì soprattutto per gli headliner della giornata, che arrivano – come tutti gli altri – in perfetto orario.
Gli Editors si confermano impeccabili e trascinanti, favoriti da un canzoniere importante in grado di muoversi fra songwrting sopraffino (“Smokers Outside The Hospital Doors”), rabbia (“The Racing Rats”), cavalcate da dancefloor (“Violence”), cascate darkwave (“Bricks And Mortar”), hit del circuito alternativo (“Papillon”), brividi da restare senza fiato (“No Harm”) e piccoli gioiellini indie-pop da trasferire ai posteri (stasera “Sugar” su tutte).
Tom Smith ha una voce profonda, ancor più evidenziata quando da solo con la chitarra acustica esegue “No Sound But The Wind”. A “Magazine” il compito di chiudere non soltanto il set degli Editors, ma l’intero Festival, quando sono appena le 23,30, perché qui siamo a Torino e nel laborioso capoluogo torinese la mattina seguente si lavora.
Percorsi collaterali
Parallelamente alla programmazione principale c’è stato molto altro, come le esibizioni di artisti più sperimentali, quali gli italiani Giuseppe Ielasi e Fabio Perletta e gli stranieri Philip Jeck e Simon Scott, tutte figure di spicco quando si parla di sperimentazione sonora e manipolazione, che si sono esibiti al PLARTWO, altro ex-spazio industriale, oggi sede del nuovo Centro di Arte Innovazione e Ricerca, ente con l’obiettivo di promuovere arte, design, innovazione culturale e creatività.
A questo vanno aggiunti i laboratori, le conferenze e i seminari che hanno arricchito il programma di TOLAB, svolti presso i locali della Galleria d’Arte Gagliardi e Domke e gli Arca Studios. Tutti tasselli fondamentali per eseguire tanti piccoli passi di avvicinamento verso le più grandi realtà internazionali. Ci siamo quasi, il distacco non è più così abissale. Ci rivedremo il prossimo anno, sempre puntuali per l’ultimo weekend di agosto, l’appuntamento è già segnato in agenda…
(Nella foto in alto: Tom Smith degli Editors)