
Il video non illustra la canzone, ma ne amplifica e arricchisce la già complessa rete di rimandi intertestuali. Ci sono così le autocitazioni (il ritorno del personaggio di Major Tom dal vecchio hit "Space Oddity"), i riferimenti alla fantasia infantile (nella melodia che riprende alcune nursery rhymes ma anche nella scena sulla spiaggia che ricorda "Il Mago di Oz"), le confessioni psicanalitiche (la figura oppressiva della madre, citata anche nel testo, il cordone ombelicale che lega l'astronauta alla nave). Il personaggio Bowie è continuamente attorniato da figure che lo assillano, ma è sempre irrimediabilmente solo, riflettendo le idee ciniche su fama e moda contenute nel disco. Il carattere disturbante delle immagini è inoltre sottolineato dalla fotografia e dai colori, acidi e antinaturalistici, abrasivi come in pochi altri video degli anni Ottanta.
B come Bbc. Ovvero la mitica Tv di stato inglese che, in rispetto del fatto che la musica è parte della cultura del suo paese, si degna di dedicarle dei programmi appositi. A "Top of the pops" si esibiscono i musicisti presenti nelle classifiche di vendita, ed è così che il 14 aprile 1972 David Bowie e gli Spiders from Mars possono entrare nelle case di un'Inghilterra ancora puritana per portare una ventata di rivoluzione che è rock ma anche sessuale. A un certo punto infatti l'androgino cantante posa il suo braccio con fare lascivo sulla spalla del chitarrista Mick Ronson. Oggi fa tenerezza, ma dal giorno dopo la vita degli adolescenti britannici, omosessuali o no, non sarebbe stata più la stessa.
C come cambiamenti. Banalità assoluta, ma guardando tutti di fila i promo di Bowie contenuti nel dvd "The Best Of", non si può non notare che a rendere significativi i filmati è sempre e prima di tutto la capacità del cantante di trasformarsi, come uno specchio che riflette di volta in volta il proprio tempo. Dal disadattato punk (in anticipo di cinque anni su Sid Vicious) di "Jean Genie" all'intrattenitore platinato di "Serious Moonlight" è come assistere a una storia per immagini della nostra società e del rock insieme a essa.

In "D.J." Bowie impersona il protagonista nevrastenico della canzone. Le immagini di lui che distrugge la sua apparecchiatura sono alternate a quelle di una autentica passeggiata per Londra, con la gente che lo circonda e lo abbraccia, un'idea semplice ma efficace per un pezzo profetico che denuncia il dj come nuovo "artista della vita moderna".
"Boys Keep Swinging", invece, lo vede cantare con l'accompagnamento di un trio di "girls" che non sono altro che tre immagini di Bowie travestito. Prima della fine, Bowie si toglie la parrucca e distrugge il trucco passando la mano sul volto, così come aveva visto fare negli spettacoli di travestiti a Berlino. La figura più anziana è invece una bonaria parodia di Marlene Dietrich, sua partner nel film "Just A Gigolo" di David Hammings ( 1979).
In "Look Back In Anger" è un pittore che vede il suo volto deteriorarsi, mentre accarezza il viso perfetto di un angelo dipinto. Sempre nello stesso periodo c'è la più notevole performance televisiva di Bowie, quella del "Saturday Night Live" del 15 dicembre 1979, dove il cantante si esibisce indossando costumi ripresi dal teatro dada, in particolare da quelli concepiti da Hugo Ball per il Cabaret Voltaire di Zurigo.
Il rapporto con Mallet segna tutta la fase pionieristica dei videoclip di Bowie, fino ai celeberrimi promo per l'album "Let's Dance" e al video-concerto "Serious Moonlight".
E come Eighties. Il decennio in cui Bowie si esprime al massimo attraverso le immagini è, inevitabilmente, quello degli Ottanta, l'era del video da lui inaugurata con "Ashes To Ashes". All'epoca Bowie è una superstar, e la qualità della sua musica è, a detta di tutti, in caduta libera. Non di meno i video sono notevoli e, contrariamente al pregiudizio sull'epoca, per niente privi di "significato". Bastino le dissertazioni sull'imperialismo culturale di "Let's Dance" (protagonisti due giovani aborigeni australiani tentati dalla civiltà occidentale) e "China Girl" (entrambi di Mallet), la satira sulle religioni di "Loving The Alien" (farcita tra l'altro di citazioni artistiche, da De Chirico a Gilbert and George a Laurie Anderson), fino alla polemica sociale antiamericana di "Day In Day Out" (con al centro una ragazza madre che vive per strada), a tratti piuttosto cruda e scioccante. Insomma, pure allora Bowie aveva parecchie cose da dire.
F come Fashion. Altro concetto fondamentale nel mondo di Bowie, la Moda viene analizzata criticamente come fenomeno sociale, mostrando il rapporto surreale tra la star e il pubblico che ne ripete le mosse (due scene di coreografie parodistiche sia in "Fashion" che in "Blue Jean"), con Bowie sdoppiato nella parti del rocker e dell'Uomo della strada (si veda in particolare il secondo video citato, di Julian Temple).

Già nel '90 il divo si fa comunque perdonare certi eccessi col Sound+Vision tour (tutto un programma fin dal titolo) dove usa per la prima volta un megaschermo per proiettare nuovi e vecchi video, con effetti di forte nostalgia.

Al periodo "berlinese" sono da ascrivere anche la partecipazione all'agghiacciante "Christiane F. I ragazzi dello Zoo di Berlino", dove Bowie fa se stesso e canta "Station To Station", e l'interpretazione per la Bbc del "Baal" di Brecht.
I come "I'm Deranged". Cioè il brano di Bowie che apre la sequenza iniziale di "Strade perdute" del 1997 di David Lynch, quella con la linea mezzana della strada che oscilla nel buio. Nel film lui non c'è (mentre faceva un cameo in "Fuoco cammina con me", sempre dello stesso regista), ma è di gran lunga il miglior momento della musica di Bowie al cinema.
J come Julian Temple. Il regista del famigerato "The Great Rock n' roll Swindle" coinvolge Bowie nel revival anni Cinquanta portato avanti dal film "Absolute Beginners" (1986), dove David recita la parte di uno "squalo" del mondo della pubblicità (in cui aveva lavorato davvero da ragazzo) e interpreta un'ambiziosa scena da musical. Temple gira anche il video del brano scritto per la soundtrack del film.

Il rapporto con Kemp continua ancora per due concerti, quelli al Rainbow Theatre del '72 dove Bowie sperimenta per la prima volta un approccio "multimediale" usando proiezioni e ispirazioni tratte dal teatro kabuki. Kemp cura la messa in scena e le scenografie, e la sua compagnia di danza affianca il cantante con una serie di balletti d'avanguardia: durante "Starman" il maestro penzola dal soffitto vestito da angelo e, poco ma sicuro, nessun rockettaro inglese aveva mai visto niente di simile. Una pallida eco dell'evento è conservata dal video di Mick Rock per "John I'm Only Dancing", dove si vedono le prove dello spettacolo.
L come "Little Wonder". Il video più bello del Bowie anni Novanta, girato dalla italo-canadese Floria Sigismondi, che si distingue per un montaggio ipercinetico, con continui cambi di ritmo e messa a fuoco, personaggi che si muovono a scatti o in modo sfalsato rispetto all'ambiente. Protagonisti del filmato sono una serie di cloni di Ziggy Stardust che si aggirano per una Londra cyberpunk, ma il tocco più inquietante all'ambientazione lo forniscono pupazzi zoomorfi e altri oggetti (enormi bulbi oculari) su cui sono proiettate immagini di volti agitati e baluginanti. Questi elementi, che aggiungono un ulteriore tocco alla dicotomia tra immobilità e ipercinesi che domina il video, sono opera dell'artista Tony Oursler, che collaborerà con Bowie per alcune esibizioni, oltre che per l'allestimento del tour di "Eartling" (come si vede nel clip di "Seven Years In Tibet"). La Sigismondi fornisce a Bowie un altro capolavoro con "Dead Man Walking", dove al solito ritmo infernale si susseguono citazioni del pittore Francis Bacon (morto nel '92), tra gabbie, prospettive oblique, quarti di bue, visi deformati o cancellati, in un tripudio di rosso sangue e con la bassista Gail Ann Dorsey trasformata in una grottesca figura di satiro.
Molto più dimesso il video per "I'm Afraid Of Americans", diretto da Dom and Nic sempre dello stesso periodo, dove però Bowie si toglie lo sfizio di farsi inseguire niente meno che da Trent Reznor (il suo equivalente per gli anni Novanta, sotto molti aspetti) nei panni di un personaggio alla De Niro di "Taxi Driver". Notevole è anche la scena in cui Reznor finge di imbracciare un fucile e la mitragliata della batteria nella canzone si tramuta in una serie di colpi veri che esplodono sul taxi, di fronte a un terrorizzato Bowie.
Insomma, la stagione creativa inaugurata con "Outside" trova compimento coi video realizzati per il disco successivo (appunto "Earthling") regalando alcuni dei migliori episodi del decennio che può essere a buon ragione considerato l'età dell'oro dei videoclip. Negli anni Duemila i budget necessari per le fantasmagorie della Sigismondi non ci saranno più.

Si poteva citare in questo momento anche "Miriam si sveglia a mezzanotte" di Tony Scott (1982), ma di questa patinata storia di vampiri (dove Bowie recita al fianco della Deneuve, fornendo peraltro una performance più che dignitosa) si salvano soprattutto i primi due minuti, dove i Bauhaus cantano "Bela Lugosi's Dead". Ovviamente su suggerimento di Bowie al regista.
Pare che ci fosse un progetto di collaborazione tra Bowie e il fratello di Tony Scott, il ben più quotato Ridley, ma purtroppo non se ne è fatto niente. Sarebbe stato un connubio perfetto, tra i due grandi esteti dell'Inghilterra anni Ottanta.
N come nudo. Ebbene sì, Bowie si è tanto sacrificato per la sua arte da spingersi a mostrarsi nudo, avvinghiato alla sua bella su una spiaggia, nel video di "China Girl". All'epoca (era l'83!) la cosa fece scandalo e, potete non crederci, ma nella mia copia del dvd "The Best Of David Bowie 1980/1987" è ancora presente la versione censurata. Potenza di un paio di natiche.

Per il più innocuo "Hallo Spaceboy" è infine da notare il ritorno di David Mallet, con un'opera simile a quella eseguita per "Under Pressure", con un montaggio analogico di vecchi film dell'orrore anni Cinquanta e altre immagini d'archivio, alternate ai visi di Bowie e dei Pet Shop Boys (che collaborano al pezzo), stavolta con un ritmo incalzante figlio del nuovo decennio.
P come pupazzi. Ovvero i colleghi di Bowie nel film "Labyrinth" (di Jim Henson) del 1986, oltre alla piccola Jennifer Connelly (quella di "Phenomena", per i cultori di Dario Argento). Grazie alla sua disinvoltura nella parte di Jareth, re dei Goblins, e ai duetti con folle indiavolate di muppet, Bowie diventa l'amico fantasy di tutti i bambini degli anni Ottanta. Lui, e quel cane volante della "Storia Infinita".

Difficile dire come abbia fatto a trasformarsi dall'alieno malato di quei filmati al sex symbol di pochi anni dopo, è materia da body artist.
R come Romaneck, Mark. Il giovane regista autore di uno dei migliori clip di Bowie, "Jump They Say" (1993), e del successivo "Black Tie White noise". "Jump They Say", in particolare, è l'"Ashes To Ashes" degli anni Novanta, un video dove Bowie fa la parte di un funzionario in giacca e cravatta che si aggira tra corridoi lividi grigio-blu, si sporge dal cornicione di un palazzo stagliandosi su un cielo iperrealista, si schianta su un'auto in strada, in una replica della posa della copertina di "Lodger" di parecchi anni prima: fuori i sogni patinati e i colori pop, dentro durezza e violenza, l'estetica del nuovo decennio è definita. E' inquietante come ancora una volta il viso di Bowie appaia deturpato, con le immagini della caduta in strada che incalzano in un crescendo angoscioso, sottolineato dal veloce montaggio. Per giunta, tutto questo sembra rimandare alla biografia di Bowie, che ha perso da poco il fratellastro, morto suicida. La figura dell'anziana donna che compiange il Bowie schiantato sembra una replica della figura della madre che lo ossessionava lungo la spiaggia nell'allucinante finale di "Ashes To Ashes".
Il pop e il mondo artificale degli anni Ottanta lasciano il posto a una fotografia più naturalistica anche in "Black Tie White Noise", dove si parla di razzismo citando i colori freschi e i primi piani espressivi dello stile Benetton, collocati però in un contesto di degrado da ghetto urbano (le rivolte di Los Angeles sono un recente ricordo).
Negli stessi anni il cantante contribuisce con l'intera colonna sonora allo sceneggiato tv (per la Bbc) "The Buddha Of Suburbia", tratto dal romanzo di Hanif Kureishi, che per un ex-ragazzo della periferia di Londra come Bowie deve avere delle risonanze particolari.

T come "Thursday's Child". E' l'ultimo grande videoclip di Bowie, che poi si distaccherà dal medium, intuendo che "internet kills the video stars". Il filmato contiene una delle tematiche fondamentali nella galleria visiva bowiana, ovvero il Tempo, la degenerazione del corpo, già affrontata nel video di "Look Back In Anger", dove il divo era una sorta di Dorian Gray al contrario, o in "Miriam si sveglia a mezzanotte", dove invecchiava orribilmente in pochi minuti.
Qui si vede il cinquantenne Bowie che fissa la sua immagine allo specchio in un bagno, mentre la sua donna si cambia le lenti accanto a lui. Pian piano le immagini riflesse dei due vengono sostituite da quelle di due ragazzi, tra cui un alter ego di Ziggy Stardust incredibilmente somigliante, fino a che il Bowie anziano si volta a baciare la fanciulla, ritrovando però al suo posto la sua compagna, indifferente. La lentezza del montaggio ha qualcosa di struggente e angosciante assieme, come in certi film di Lynch: è segno che una stagione è finita, sia per il mondo dei video sia per Bowie come persona. In seguito comparirà sempre meno, anche considerando che la carriera cinematografica si era rarefatta già nel corso dei Novanta. La sua ultima interpretazione significativa è quella dello scienziato Nikola Tesla nello sconcertante "The Prestige" di Christopher Nolan (2006).

Il film è un po' datato ma, col suo eccesso di alienazione, solitudine, fragilità, è parte fondamentale dell'opera bowiana e va ben oltre la fantascienza, per trasformarsi in un ritratto preciso del personaggio nel pieno della sua disperazione esistenziale.
Roeg ha scelto Bowie per la parte dopo aver visto il documentario "Cracked Actor" di Alan Yentop, dove il cantante londinese compariva in preda alla cocaina, nel suo periodo più buio, a Los Angeles.
V come "Velvet Goldmine". Ovvero il film di Todd Haynes del 1998 sul glam-rock e in particolare su... David Bowie. Il personaggio che lo ritrae assomiglia più a un Dorian Gray degli anni Ottanta che a Ziggy Stardust.
Il film è gradevole e ben girato, ma la sensazione è quella di assistere a una dissertazione sull'omosessualità nel rock che ha a che fare non tanto con l'approccio sottile di David Bowie alla questione, quanto piuttosto con la biografia dello stesso regista.

X come xenofobia. Che in Bowie non c'è, anzi se esistesse la parola contraria (xeno-filia?) sarebbe adatta a lui. Il suo interesse per il diverso ("Loving The Alien") va ben oltre il politically correct progressista, da lui preso in giro in "Black Tie White Noise". Il talento del camaleonte è quello di assimilare il diverso e diventare lui: "I'd like to put you all inside my show", come diceva in "Andy Warhol".
Y come "Young Americans". Si tratta del disco che porta Bowie a esibirsi (nel 1975) come primo cantante bianco al programma della tv Usa "Soul Train", e a suo modo anche questa è una apparizione storica, che butta giù certe barriere del razzismo come aveva fatto "Starman" con l'omofobia. Il brano omonimo è anche la seconda grande comparsata della musica di Bowie al cinema: quando la canzone arriva sul finale di "Dogville" di Lars Von Trier, la sensazione è quella di un connubio tra menti affini. Per la cronaca, al terzo posto della mia classifica, metto la scena in cui l'ebrea Shoshanna si prepara alla carneficina di nazisti sulle note di "Cat People", in "Inglorious Basterds" di Quentin Tarantino. Da notare qui la genialata del regista americano, che riprende una canzone scritta per un altro film (l'orrendo "Cat People" di Paul Schrader, del 1981, a sua volta remake di un mitica pellicola di Jacques Tourneur) e ne cambia contesto e significato: "Putting out fire with gasoline" stavolta preannuncia grossi guai per Hitler e soci...

Per quanto buio e a tratti sgranato, il film testimonia l'innocenza e la tenerezza di un momento irripetibile, dove il rock è magia, liberazione sessuale, celebrazione della giovinezza e di tutto ciò che è bello proprio in quanto effimero.