David Bowie's Velvet Goldmine

Le pepite nascoste del Duca Bianco

E' dedicata all'altro lato di David Bowie, quello meno noto e celebrato, la nuova puntata di Rock in Onda, il programma condotto da Claudio Fabretti tutti i mercoledì dalle 12 alle 14 sulle web-frequenze di Radio Città Aperta (www.radiocittaperta.it).
Da "Karma Man" a "John, I'm Only Dancing", da "Quicksand" a "Red Sails", da "Velvet Goldmine" a "Buddha Of Suburbia": un lungo viaggio nella discografia del Duca Bianco dagli esordi ai grandi capolavori dei 70's, dalle mutazioni elettroniche alle sperimentazioni dei decenni successivi attraverso i brani meno conosciuti degli Lp, le outtake, le B-sides e le colonne sonore.

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David Bowie's Velvet Goldmine

Non solo hit e pezzi storici, la carriera di David Bowie è costellata di tanti piccoli gioielli da riscoprire. Siamo andati a recuperarli, da brani dei misconosciuti esordi come "Karma Man" e "Letter To Hermione" a chicche degli album più osannati ("Saviour Machine", "Quicksand", "Lady Grinning Soul", "Win", "V-2 Schneider", "It's No Game N.1", "Red Sails") da mirabili outtake rimaste fuori dalle sessioni dei dischi principali e incise solo successivamente ("Velvet Goldmine", "John, I'm Only Dancing", "Some Are") a preziose colonne sonore (da "When The Wind Blows" a "Buddha Of Suburbia", passando per "This Is Not America"), da spettacolari cover (il tema di "Wild Is The Wind", la "Criminal World" dei Metro) fino all'ultimo brano ("I Can't Give Everything Away") dell'ultimo album ("Blackstar") pubblicato dal Duca Bianco, proprio poco prima della sua morte .
Vi proproniamo quindi un'immersione nella "miniera di velluto" della sua produzione, che attraversa tutte le fasi di una carriera stellare: dalle pantomime glam-rock all'elettronica preveggente del periodo berlinese, dalle ballate folk alle scorribande nei territori del rhythm'n'blues e della dance, dai concept multimediali alle incursioni sul set. L'altro lato di David Robert Jones, il dandy caduto sulla Terra.


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Cinquant'anni di carriera all'insegna delle metamorfosi, dell'incessante ansia di percorrere e precorrere i tempi: "Time may change me, but I can't trace time" ("Changes", 1971) è sempre stato il suo credo. Un genio mutante, dunque. Ma il trasformismo è solo la più appariscente tra le arti di questo indecifrabile dandy, incarnazione di tutte le fascinazioni e contraddizioni del rock e, in definitiva, della stessa società occidentale. Nessuno come lui ha saputo mettere a nudo i cliché della stardom, il rapporto morboso, ma anche ipocrita, tra idoli e fan, il falso mito della sincerità del rocker, l'assurdità della pretesa distinzione tra arte e commercio. Bowie è stato anche uno dei primissimi musicisti a concepire il rock come "arte globale" (pop-art?), aprendolo alle contaminazioni con il teatro, il music-hall, il mimo, la danza, il cinema, il fumetto, le arti visive. Con lui scompare ogni confine tra cultura "alta" e "bassa". Perché - secondo una sua stessa felice definizione - "è insieme Nijinsky e Woolworth". E' grazie ai suoi show che il palcoscenico del rock si è vestito di scenografie apocalittiche, di un'estetica decadente e futurista al contempo, retaggio di filosofie letterarie e cinematografiche, ma anche dell'arte di strada dei mimi e dei clown. E in ambito musicale la sua impronta è stata fondamentale nell'evoluzione di generi disparati come glam-rock, punk, new wave, synth-pop, dark-gothic, neo-soul, dance, per stessa ammissione di molti dei loro esponenti di punta.
Ma Bowie è anche la prova definitiva che la critica rock è una scienza inesatta. Nessuno come lui ha fatto accapigliare critici e pennivendoli del globo. Oggi, all'alba di un nuovo millennio, sono rimasti davvero in pochi a contestarne il ruolo di innovatore e precursore del rock. Pochi, e spesso in malafede. Perché Bowie è tra i più amati, ma anche tra i più odiati miti della musica popolare contemporanea. Difficile da metabolizzare - specie per le frange critiche meno provviste d'ironia - il suo atteggiamento da primadonna altezzosa, ma soprattutto la sua eterodossia rispetto ai sacri dettami del rock: il suo uso spregiudicato dell'immagine, la sua ostentata artificiosità, il suo voler essere artista d'avanguardia vendendosi al pubblico come una starlette di Broadway.

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Rock in Onda



Discografia

Scaletta del programma
  1. Karma Man
  2. Letter To Hermione
  3. Saviour Machine
  4. Quicksand
  5. Velvet Goldmine
  6. John, I'm Only Dancing
  7. Lady Grinning Soul
  8. Sweet Thing
  9. All The Young Dudes (live)
  10. Win
  11. Wild Is The Wind
  12. Some Are
  13. V-2 Schneider
  14. Red Sails
  15. It's No Game (No. 1)
  16. Criminal World
  17. Zeroes
  18. This Is Not America
  19. When The Wind Blows
  20. You've Been Around
  21. Buddha Of Suburbia
  22. No Control
  23. Telling Lies
  24. Valentine’s Day
  25. I Can't Give Everything Away

Base strumentale: Sense Of Doubt


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