King Hannah

L'incredibile anno del duo di Liverpool

intervista di Michele Corrado

Mescolando con sapienza e personalità istanze musicali in apparenza distanti quali dream-pop, post-hardcore, trip-hop e lo-fi, i King Hannah hanno realizzato quello che da molti è ritenuto essere il debutto discografico dell’anno, “I’m Not Sorry, I Was Just Being Me”. Per il duo di Liverpool è stato un anno molto intenso, che lo ha visto impegnato in un vasto tour a cavallo tra Europa e Stati Uniti, durante il quale ha riempito venue via via più grandi. Craig e Hannah sono però finalmente ritornati nella loro città per riorganizzare le idee e godersi una meritata pausa. Abbiamo colto l’occasione per scambiare con loro qualche chiacchiera, sulla loro musica, sull’anno appena trascorso, sui progetti futuri e qualche altra golosa curiosità.

 

Ciao ragazzi, come state, dove vi trovate?
Hannah e Craig: Stiamo molto bene, grazie! Ci troviamo a Liverpool e stiamo scrivendo il nuovo album!

 

Siete molto attivi su Instagram, postate sempre tantissime stories, quasi come se stesse documentando dove siete diretti, dove suonerete. Seguendovi, ho potuto capire quanto intenso e ricco di successi sia stato l’anno che proprio in questi giorni volge al suo termine. Avete praticamente girato il mondo, riempiendo ogni sera venue più grandi. Come è stato ricevere un tale abbraccio dai vostri fan? Ve lo aspettavate?
Hannah: è stato l’anno più incredibile delle nostre vite! Fare quello che ti piace e poterlo condividere con il mondo è la sensazione più bella del pianeta. Vedere la folla cantare le nostre canzoni all’unisono con noi è stato un sogno, una visione sin da che ho memoria: vederlo realizzarsi dal palcoscenico è stato sconvolgente e mi ha spesso ridotto alle lacrime! Tuttavia non ci sentiamo realizzati, al contrario vogliamo continuare a realizzare grande musica per il resto delle nostre vite.
Craig: è stato un anno folle e travolgente. Non ci saremmo potuti augurare un anno migliore. Suonare in giro per il mondo per tutte quelle persone è un sogno che diventa realtà e ci riteniamo fortunati di averlo potuto realizzare.

 

Sempre molto emozionante, la vostra musica è un mix di stili differenti tra loro, dove post-rock, post-hardcore, trip-hop e psichedelia possono coesistere pacificamente. Lo so che è una domanda bizzarra, ma come siete arrivati a un melting pot del genere e come fate a tenere tutti suoi elementi così in equilibrio?
Craig: grazie, hai detto una cosa davvero molto gentile. Io penso che la nostra musica sia semplicemente una combinazione di tutto quello che amiamo e che abbiamo amato crescendo. Non credo che la nostra musica faccia parte di un genere specifico, probabilmente proprio perché il nostro è un mix di tanti stili differenti. E poi penso che la musica che uno ama trovi sempre modo di farsi strada in quella che questi produce.
Hannah: Certamente. Crescendo abbiamo ascoltato tanta musica diversa e al momento di scrivere il disco tutta questa musica ha influenzato con naturalezza la nostra scrittura e le nostre idee.

 

Ecco, come scrivete le vostre canzoni? Raccontateci qualcosa sul processo creativo dietro “I’m Not Sorry, I Was Just Being Me”…
Hannah: io scrivo la maggior parte dei brani, dedico loro tutto il tempo di cui hanno bisogno nella mia stanza e poi, una volta che credo siano a un buon punto, li mostro uno per uno a Craig. A quel punto ci lavoriamo su insieme, nel nostro appartamento. Discutiamo sulla loro struttura, sulle parti che suoneremo individualmente, sugli umori e i riferimenti contenuti in essi. A quel punto, spesso condividiamo le canzoni con il resto della band mediante una playlist di Spotify. È davvero importante che ci si sintonizzi tutti sulla stessa lunghezza d’onda dal punto di vista del suono. Craig è l’uomo chiave una volta in studio, sia dal punto di vista tecnico che da quello musicale, lui adora avere un approccio molto istintivo e sperimentale alle registrazioni e devo dire che gli viene molto bene. Onestamente, semplicemente ci concentriamo con forza su quello che vogliamo ottenere e facciamo tutto quello che possiamo per conseguirlo.

 

Ancor prima di ascoltare il vostro primo Lp, sono rimasto colpito dalla sua copertina, quel bellissimo tramonto nella natura incontaminata. Ultimamente ho notato che avete usato altre fotografie provenienti chiaramente dalla stessa sessione fotografica come copertina per nuove edizioni e versioni del disco. Dove le avete scattate? Raccontateci qualcosa a riguardo… Perché Craig si nasconde la faccia?
Craig: le fotografie sono state scattate nel Nord del Galles, non lontano da dove Hannah è cresciuta, per questo hanno anche un valore sentimentale che ben si sposa con l’umore nostalgico del disco. Sulla copertina non nascondo il capo di proposito, abbiamo semplicemente scelto una fotografia che sembrava raccontasse una storia che potesse andare a braccetto con la musica e che, allo stesso tempo, potesse portarla su un piano ancora un po’ più elevato. Questo è il genere di arte che amiamo.
Hannah: peraltro di nostro preferiamo la fotografia candida e naturale, scattata su di un set all’aperto piuttosto che in uno studio. Ci sentiamo molto più a nostro agio con questo genere di scenografie! E, sì, anche noi siamo rimasti molto contenti del risultato.

La scorsa primavera sono stato al vostro concerto in quel di Berlino, quando avete suonato “The Moods That I Get In”, molto probabilmente il vostro brano più escapista, ho visto nel fantastico stile chitarristico anche qualche traccia di David Gilmour, che non è esattamente il primo nome che viene in mente ascoltando la vostra musica. Craig, ti piace davvero Gilmour, o è stata soltanto una mia impressione?
Craig: ho ascoltato i Pink Floyd nei primi anni della mia adolescenza, ma poi li ho lasciati un po’ da parte. In realtà, sono molto più influenzato da chitarristi quali Neil Young, Nels Cline e Richard Lloyd, musicisti che usano la chitarra per creare un tipo di tessuti sonori ed energie differenti, un po’ più spigolose e strane. Questo è il tipo di chitarristi che mi emoziona davvero.

Durante Ie vostre performance live suonate spesso, se non sempre, un’incredibile cover di “State Trooper” di Bruce Springsteen, che a sua volta, se non ne è proprio una cover, è largamente ispirata a “Frankie Teardrop” dei Suicide. Perché questa canzone? Cosa significa per voi?
Craig: Beh, noi adoriamo Bruce Springsteen e in particolare “Nebraska”, forse proprio perché non suona come un disco tipico di Springsteen. E’ molto lo-fi e lui lo ha registrato da sé su un quattro tracce, quindi possiede quella qualità della musica DIY che noi amiamo. È anche una canzone con un immaginario, un’atmosfera e un ritmo che ci fanno impazzire e così abbiamo pensato che ci potessimo fare qualcosa di bello.
Hannah: io non sono così pazza di “Brucey” come lo è Craig, ma adoro il rimo di questa canzone e il suo umore. Peraltro generalmente io canto nei miei toni bassi e credo, e spero, che si sposino bene a questo pezzo. E poi adoriamo tutti i pezzi che ci consentono di sfociare in un gran finale bombastico ed emozionante!

 

La scorsa primavera avete suonato anche in Italia, a Milano, Genova e Roma. Che ve ne è parso della nostra terra e dei vostri fan italiani? Vi va di condividere con noi qualche bel ricordo da quelle date?
Hannah: sì, l’Italia è fantastica. Il pubblico dei nostri show italiani era davvero reattivo, caldo e vicino. Ci hanno fatto sentire in modo fantastico, li adoriamo. Qualche ricordo, certo… Mi ricordo con simpatia di quando abbiamo dovuto accorciare il nostro soundcheck dello show milanese perché alla stessa ora c’era una lezione di pilates! Prima dello show di Genova, invece, abbiamo mangiato la pasta al pesto più buona della nostra vita, e poi ovviamente mi ricordo che proprio quella sera la mia sorella maggiore mi ha detto di aspettare il secondo figlio! E potrei menzionare tanti altri fantastici ricordi...
Craig: il pubblico è certamente tra i migliori che abbiamo mai avuto. Tutti erano così, passami il termine, “vocali” e avevano tantissima energia. Abbiamo davvero avuto la sensazione che ci seguissero e la cosa ci ha permesso di suonare alcuni dei nostri migliori show di sempre.

 

Trovo che la vostra musica sia anche molto cinematografica, delle volte sembra davvero che le vostre canzoni siano perfette per accompagnare le scene di un film. Vi lasciate ispirare anche dal cinema? Quali sono i vostri film preferiti?
Hannah e Craig: Grazie, anche questa è una bellissima cosa da sentire. Sì, entrambi adoriamo i film e in generale il cinema e di certo questo amore ci accompagna anche quando scriviamo e registriamo la nostra musica. Ci piace davvero pensare che la nostra musica emozioni in questa maniera perché amiamo la connessione che si può instaurare tra suoni e immagini, il modo in cui le une possano valorizzare l’altra e viceversa. E’ magia!
Craig: i miei film preferiti probabilmente sono tutti degli anni 60 e 70, pellicole come “Badlands” e “Five Easy Pieces”, ma anche film francesi come “À bout de souffle”. Sono tutti film davvero caldi e densi di umanità, ti danno poi la sensazione che il cinema di quell’epoca stesse davvero spingendo forte in termini di innovazione e sperimentazione, sia dal punto di vista tecnico che da quello del racconto.
Hannah: io adoro tutti i film che mi facciano sentire a casa, dei quali mi piacciono l’estetica e i colori, film preferibilmente girati in posti veri, case vere, strade vere. Ah, recentemente siamo entrambi grandi fan del cinema di Ruben Östlund, io poi sono letteralmente ossessionata da tutte le sue cose che ho visto e non posso smettere di pensarci.

 

All’inizio dell’intervista ci avete dato la bellissima notizia che siete già al lavoro su nuova musica…
Hannah e Craig: Sì, stiamo scrivendo nuova musica! È stato un anno intensissimo, ma ora possiamo concentrarci sulla scrittura come piace a noi, con calma e con tanto tempo a disposizione. Al momento siamo davvero concentrati solo e soltanto nello scrivere il miglior album possibile.
È quasi la fine dell’anno ed è quindi tempo di fare le classifiche dei migliori dischi, giocate con noi! Qual è il vostro disco dell’anno?
Hannah e Craig: allora, entrambi adoriamo il nuovo disco dei Built To Spill, “When The Wind Forget’s Your Name”. Suona davvero come un disco di metà anni 90 e ha tantissime parti interessanti di chitarra, lo abbiamo ascoltato non-stop per mesi. Poi ci sono piaciuti davvero tanto quello di Tomberlin, “I Don’t Know Who Needs To Hear This…”, e l’Ep “Sunk” di Babehoven.

 

L’ultima domanda è bella tosta, siete avvisati. Voi siete di Liverpool, una delle città più importanti della storia della popular music. Quali sono i vostri concittadini musicali preferiti? Quelli del passato e quelli di oggi!
Craig: è divertente perché non pensiamo mai a noi stessi come a una band di Liverpool, ma suppongo che tecnicamente lo siamo. È una risposta ovvia, ma i Beatles hanno avuto un’influenza enorme sulla mia crescita e sono sicuramente la mia band preferita, anche se poi non hanno influenzato più di tanto i King Hannah. Dei nostri tempi, invece, ti dico Bill Ryder-Jones, che ha scritto davvero una buona parte della nostra musica recente preferita.
Hannah: risposta identica, per ovvie ragioni! E, sì, concordo anche su Bill Ryder-Jones, ha pubblicato davvero belle cose.

 

Grazie davvero per il vostro tempo.
Hannah e Craig: grazie a te per l’intervista e per il continuo supporto!