King Hannah

Vibrazioni umbratili dal suono americano

intervista di Maria Teresa Soldani

Il 31 maggio è uscito il secondo disco della band inglese, “Big Swimmer” (City Slang, 2024), dopo l’acclamato debutto “I'm Not Sorry, I Was Just Being Me” (City Slang, 2022), che aveva stregato anche la redazione di OndaRock, che lo aveva eletto Miglior disco del 2022. Prima dell’uscita ci siamo ritrovati a Milano con Hannah e Craig per fare il punto dopo il successo della loro opera prima e parlare di questo nuovo lavoro.

Vorrei iniziare da lontano per raccontare la vostra storia ai nostri lettori. Come avete iniziato a suonare individualmente e che tipo di musica suonavate?
Hannah: Ho sempre voluto fare della musica il mio lavoro quindi mi sono sempre data da fare, ho sempre cantato e suonato la chitarra. Semplicemente, ho sempre scritto canzoni da quanto ricordo, erano canzoni acustiche semplici in stile singer-songwriter. Ero una grande fan di Laura Marling… canzoni acustiche fondamentalmente terribili…  e tu?
Craig: È stato un percorso simile, e amavo anche io Laura Marling. Mi piacevano anche musicisti più grandi come Jackson Browne, Crosby Stills & Nash, Joni Mitchell, quel genere di musica cantautorale che proveniva dalla California degli anni 70… la prima volta che ci siamo incontrati abbiamo visto Laura Marling, no? Penso che i nostri gusti siano ottimi.
Hannah: Lo spero!

Avete avuto altre band prima di formare King Hannah o componevate da soli i vostri pezzi senza suonarli in gruppo?
C.: suonavo in acustico in duo o in trio dai tempi della scuola, quando avevo 13/14 anni e ho iniziato a suonare la chitarra. Eravamo pessimi, facevamo cover di gruppi tipo gli Eagles… Quindi questa è effettivamente la prima band.

Accidenti, è incredibile come siate riusciti da subito a mettere su un progetto così coeso! La prima volta che ho ascoltato il vostro esordio mi ha colpito quanto sembrasse portarsi del tempo sulle sue spalle…
C. & H.: davvero? Grazie!

Allora avete deciso di formare una band nel momento in cui stavate lavorando nello stesso posto, giusto?
C. & H.: Sì.

Nella vostra musica come funziona il vostro reciproco equilibrio tra composizione e arrangiamento?
H.: Di solito scriviamo le canzoni separatamente, a casa, e poi ci lavoriamo. Quando hanno una forma abbastanza compiuta, le condividiamo noi due. Ci scambiamo idee, ascoltiamo canzoni di altri musicisti come reference, discutiamo sulla struttura. Poi ci lavoriamo ancora insieme a casa, e quando sentiamo che ci piacciono le nostre parti e come funzionano insieme, portiamo quello che abbiamo fatto al batterista e al bassista e le completiamo. Tutto qui.

La composizione è come un dialogo tra voi due, sembra il risultato del vostro dialogo…
C.: Sì. (Il processo) inizia individualmente, si sviluppa tra noi, quando arriva alla band abbiamo già un’idea di come verrà alla fine la canzone.
H.: Sì, a quel punto è già nella sua forma completa. Se provi a togliere il basso e la batteria è riconoscibile come la medesima canzone, come se ne fosse la versione acustica.
C.: Penso che ci aiuti avere gli stessi gusti musicali. Se io scrivo una canzone non suona come una canzone diversa rispetto a quella che suonerebbe Hannah, e viceversa. Entrambi siamo interessati agli stessi esiti. Credo sia questo il motivo per cui funziona. Per altre due persone potrebbe non andare bene, ma per noi è così.

Quindi nel futuro potremmo aspettarci anche delle date acustiche?
C.: Forse sì! Vediamo i nostri artisti preferiti suonare in acustico e anche se siamo un pochino intimoriti dal fatto di poter essere il tipo di artista che può farlo…
H: Assolutamente.
C.: …è solo una cosa diversa, non è necessario essere tutta la band, può essere fatto anche come una cosa a parte.

Come è cambiata la vostra routine musicale quotidiana negli ultimi due anni, dopo il successo del debutto “I'm Not Sorry, I Was Just Being Me”? Ad esempio, avete esplorato diversi modi di comporre, oppure avevate bisogno di tornare a ciò a cui eravate abituati per registrare questo secondo album?
H.: Il modo di scrivere le canzoni non è cambiato, è lo stesso, ma dal momento che siamo stati molto tempo in tour non siamo riusciti a scrivere – almeno noi non componiamo quando siamo in tour. Siamo dovuti tornare a casa alle nostre abitudini quotidiane. Pensi sia stata questa l’unica differenza, no? (verso C.) Ci abbiamo messo due anni (per il secondo disco).
C.: Sì, non riusciamo a scrivere on the road
H.: Sì, quindi è tutta la nostra routine che è cambiata. Ma va bene così, si crea poi un equilibrio (tra le cose).

Cosa pensate di aver portato dentro “Big Swimmer” dalla vostra vita in tour?
C.: Credo che il nostro primissimo Ep e l'album fossero stati scritti e registrati senza praticamente esserci esibiti dal vivo. Abbiamo suonato una manciata di show nel 2017-18, ci siamo fermati e poi l’Ep e l’album sono usciti nel 2021. Ci siamo resi conto che le canzoni, suonandole dal vivo, cambiavano molto rispetto all’album e volevamo portare nel secondo album proprio il suono che avevamo dal vivo, al quale reagiva il pubblico. Anche se l’album piace e ci piaceva, volevamo che il disco suonasse reale, vivo, che restituisse la sensazione di avere persone nella stanza che interagiscono tra di loro… Ad esempio, non abbiamo usato il metronomo in molte tracce, volevamo che le persone si sentissero come a un concerto.

La mia impressione è che questa volta nelle registrazioni le chitarre suonino più vitali e vibranti, “respirino di più” come durante i live. Mi hanno fatto proprio pensare al suono che ricordavo del vostro concerto.
H.: Fantastico!

Sì, canzoni come “Milk Boy”, “Suddenly your hand” – sotto la stella di Neil Young – e “Somewhere Near El Paso”…
C.: Sì, abbiamo registrato questo disco in maniera diversa rispetto al primo, meno in diretta. Siamo partiti dalla batteria e dal basso, sopra i quali abbiamo aggiunto il resto. La chitarra stavolta suona più live e piena perché l’amplificatore era chiuso in una sua stanza. E non ci si poteva entrare perché il volume era veramente alto. Volevo proprio che le chitarre suonassero vive, corpose, vibranti, dinamiche… Ali Chant (ndr, Aldous Harding, PJ Harvey, Perfume Genius) è stato bravissimo a catturare quella sensazione di live, a sentirla.

Come si è sviluppata la produzione del disco?
H.: Abbiamo lavorato con Ali Chant a Bristol – dove viviamo – che ha uno studio dove siamo andati tutti i giorni per due settimane. È stato un grande, come produttore ha capito cosa volessimo e lui voleva la stessa cosa, che è ciò che desideri da un produttore. È stato incoraggiante, ha amato le canzoni. Sembra sciocco, ma vuoi lavorare con una persona alla quale piaccia cosa stai facendo… è difficile trovare un produttore, no?
C.: Sì.

È difficile trovare quacuno che sappia davvero andare “sotto la pelle” delle canzoni…
C.: Sì, aveva ascoltato bene i testi e tutto. Ci commentava i testi, senza dirci di modificare (ma per parlarne). Ha fatto davvero la differenza.
H.: Non lo avevamo mai fatto prima, sì.

Avete creato un altro viaggio affascinante e composito, mescolando generi e atmosfere  (dal post-rock allo slowcore, al country e alla psichedelia) con il vostro “tocco personale”, quello che ora possiamo riconoscere come tale. È qualcosa a cui avete prestato particolare attenzione durante la produzione o è diventato naturale nel vostro flusso operativo tra lo studio e il palco?
H.: Credo arrivi dagli artisti dai quali siamo influenzati. Ne ascoltiamo molti. Ascoltiamo Slint, Built To Spill, Weyes Blood…. Non è una cosa alla quale pensi, ma mettendoti ogni giorno a scrivere, il risultato diventa un riflesso di quello che hai ascoltato nei giorni precedenti. È lì.
C.: Un mio amico qualche mese fa, dopo aver ascoltato il disco nuovo, mi ha detto che non sapeva dire come suonaressero i King Hannah. Credo sia un’ottima cosa non avere un sound prestabilito. Non vogliamo che qualcuno ascolti un nostro disco e sappia già cosa aspettarsi prima di aver ascoltato il disco.
H.: Sì, ci piace sorprendere.
C.: Registriamo solo le canzoni che riteniamo valide. Non valutiamo in quei momenti se hanno o meno il “suono di King Hannah”: sono di per sé un brano di King Hannah, che dentro trattiene un sacco di generi.

Quando ascolto “Big Swimmer”, sento che è differente, ma allo stesso tempo siete voi.
H.: Questo è ottimo, è ciò che vogliamo!

Chi e cosa vi ha influenzato nella realizzazione di “Big Swimmer”?
H.: L’America è sicuramente un’influenza enorme. Molti dei testi delle canzoni raccontano storie alle quali abbiamo assistito quando eravamo là: “Milky Boy”, “El Paso”…

“New York, Let’s Do Nothing”…
H.: Sì! Anche i film ci ispirano: “Aftersun”, i documentari su omicidi... la musica durante il giorno e i film la sera. “Suddenly, Your Hand” riguarda uno di questi documentari, “Skully” riguarda “X-Files”.

Psichedelia e X-Files!
C.: Sì! Poi riguarda la vita di tutti i giorni: cuciniamo e guardiamo film, ascoltiamo le band che ci piacciono come John Prine, Slint, Bill Callahan
H.: Cerchiamo di mettere nelle storie più dettagli possibile, in modo che l’ascoltatore possa visualizzarle. Cose davvero normali e semplici, come il pollo nel forno o i baffi. Vogliamo che le persone visualizzino qualcosa allo stesso modo in cui noi lo visualizziamo mentre ascoltiamo la musica di altri artisti… ci proviamo!
C.: Mostrare questi piccoli momenti, senza dire agli ascoltatori come dovrebbero sentirsi. Ognuno reagisce a proprio modo e visualizza a proprio modo.

In questa direzione trovo davvero intrigante il fatto che musicalmente l'album dipinga una sorta di paesaggio americano come deposito di ricordi, mentre i testi suonano molto personali, al livello del “tu”. Ho letto ad esempio che amate Terrence Malick… come riuscite a coniugare la dimensione del tuo racconto personale con quella di un immaginario musicale e cinematografico che sia anche collettivo?
H.: È tutto interconnesso. Credo che Craig e io abbiamo veramente fiducia l’uno nell’altra. Se Craig scrive qualcosa, spero che possa fidarsi di come io possa cantarci sopra. Viceversa – soprattutto! – se io scrivo una canzone, metto tutte le parti e posso sentire cosa Craig potrebbe fare, gliela passo e lui aggiunge tutta la magia che ha…
C.: Non so se è magia, tu scrivi in maniera davvero personale…
H.: E tu lo senti…
C.: La musica è davvero fatta di vicende personali in cui vivi.
H.: Lui è fantastico nel sostenere il testo. C’è sempre spazio per entrambi. Non troverai mai parti di chitarra egoistiche. Sono sempre parti che camminano intorno alle parole, che suonano come suonano le parole. Calzano perfettamente… non so come fai! (verso C.)

Sono fraseggi anche quelli della chitarra, le melodie si sviluppano in frasi come i testi…
H.: Amo come suoni (verso C.). Lui lo fa semplicemente, e funziona benissimo… Quando ascoltiamo una canzone con le tue parti, mi colpisce quello che fai (verso C.).

Due canzoni ospitano Sharon Van Etten, sembra davvero integrata nella vostra musica. Come avete collaborato con lei e come è stato lavorare con lei in studio?
C.: È iniziato due anni fa quando abbiamo realizzato “Crème Brûlée” e lei l’ha postata su InstaGram dicendo “Ascoltate King Hannah”. Non ci potevamo credere! Le abbiamo scritto ringraziandola. L’abbiamo contattata di nuovo mentre facevamo questo disco, visto questo episodio, e pensando che sarebbe stato magnifico, le abbiamo mandato alcune e-mail e delle demo chiedendole se avrebbe voluto cantare e ci ha detto di sì. Ma la comunicazione non era costante, c’erano delle pause, quindi a un certo punto abbiamo pensato che non se ne facesse più di nulla, così abbiamo finito il disco, glielo abbiamo inviato, le è piaciuto molto. Così ha registrato la voce nel suo studio-garage in America e ce le ha rispedite. Noi le abbiamo mixate, è stata proprio l’ultima cosa che abbiamo fatto per il disco. È stato come avere la ciliegina sulla torta. Ancora non ci crediamo, siamo suoi grandissimi fan!
H.: Dicevi che la sua voce si adatta perfettamente ai brani, no? È una cosa incredibile! Quando l’abbiamo sentita siamo impazziti. Prima di sentire le sue parti, non avevamo idea di quanto il brano ne avesse bisogno! Come diventa l’armonia… grazie Sharon!
C.: Se senti solo le tracce vocali è meraviglioso…

È un altro elemento del disco inserito in un quadro così coeso. Non va in primo piano, non eccede nel brano.
H. & C.: Sì, sembra incorporata nel brano.
C.: Ha fatto davvero un grande lavoro. È una musicista incredibile!

Dove hai scattato la foto scelta per la copertina? Un altro pezzo affascinante del tuo immaginario, dato che era la tua precedente copertina di cui abbiamo parlato l’anno scorso…
C.: Hannah era immersa nell’acqua. Eravamo a Lanzarote, a gennaio. Avevamo l’idea di come fare foto, con Hannah immersa nell’acqua, e cercavamo un posto caldo.
H.: Acqua perché l’album si chiama “Big Swimmer”, quindi la volevamo.
C.: E tu avevi avuto già anche l’idea del volto coperto dalle mani. Così siamo andati là per un paio di notti, attendendo il tramonto. Tu avevi davvero freddo (verso H.).
H.: Il punto è che siamo andati a Lanzarote pensando che fosse caldo, ma non lo era…
C.: Dai lo era abbastanza!
H.: Non lo era! Non potevamo permetterci di andare più lontano, tipo in Messico o ai Caraibi. Sarebbe stato meglio andare ai Caraibi, fidati (verso C.)! Non c’era alcun lago riscaldato indoor, oppure piscine riscaldate che potessero sembrare laghi… Così avevamo bisogno del mare e che il mare fosse tiepido. Non volevo entrare nell’acqua, era fredda! È venuto fuori che era terribilmente fredda e ventosa…

Perfetta per la foto, ma non per la nuotatrice!
H.: Tu l’hai fatta!
C.: Ho portato due macchine fotografiche con i rullini, ne ho fatte il più possibile!

Ma siete soddisfatti dell’immagine, no?
H.: Sì, è un’ottima fotografia.

E voi ve la siete immaginati prima?
H.& C.: Sì!

Con il volto coperto dalle mani…
H.: Sì, credo sia un’immagine di vulnerabilità per una copertina. Intorno ho l’acqua del mare, sono in una posizione vulnerabile. Le mani sul volto sono un gesto di vulnerabilità. L’album è molto vulnerabile. E poi non voglio mostrare il mio viso.

Vi aspettiamo in Italia! Avete già programmato un tour dopo l'uscita del disco?
Abbiamo pianificato il tour in Europa a settembre, novembre e dicembre. Abbiamo quattro date in Italia a luglio, il 21 qua alla Triennale di Milano.

Grazie davvero per la vostra disponibilità e generosità.
H.: Grazie a te per le domande, erano ottime.
C.: Sì, sei andata a fondo nell’ascolto del disco.

Ne sono felice, aspettiamo il 31 maggio per parlare del disco a tutti!

(31/05/2024)

***

L'incredibile anno del duo di Liverpool

di Michele Corrado

Mescolando con sapienza e personalità istanze musicali in apparenza distanti quali dream-pop, post-hardcore, trip-hop e lo-fi, i King Hannah hanno realizzato quello che da molti è ritenuto essere il debutto discografico dell’anno, “I’m Not Sorry, I Was Just Being Me”. Per il duo di Liverpool è stato un anno molto intenso, che lo ha visto impegnato in un vasto tour a cavallo tra Europa e Stati Uniti, durante il quale ha riempito venue via via più grandi. Craig e Hannah sono però finalmente ritornati nella loro città per riorganizzare le idee e godersi una meritata pausa. Abbiamo colto l’occasione per scambiare con loro qualche chiacchiera, sulla loro musica, sull’anno appena trascorso, sui progetti futuri e qualche altra golosa curiosità.

 

Ciao ragazzi, come state, dove vi trovate?
Hannah e Craig: Stiamo molto bene, grazie! Ci troviamo a Liverpool e stiamo scrivendo il nuovo album!

 

Siete molto attivi su Instagram, postate sempre tantissime stories, quasi come se stesse documentando dove siete diretti, dove suonerete. Seguendovi, ho potuto capire quanto intenso e ricco di successi sia stato l’anno che proprio in questi giorni volge al suo termine. Avete praticamente girato il mondo, riempiendo ogni sera venue più grandi. Come è stato ricevere un tale abbraccio dai vostri fan? Ve lo aspettavate?
Hannah: è stato l’anno più incredibile delle nostre vite! Fare quello che ti piace e poterlo condividere con il mondo è la sensazione più bella del pianeta. Vedere la folla cantare le nostre canzoni all’unisono con noi è stato un sogno, una visione sin da che ho memoria: vederlo realizzarsi dal palcoscenico è stato sconvolgente e mi ha spesso ridotto alle lacrime! Tuttavia non ci sentiamo realizzati, al contrario vogliamo continuare a realizzare grande musica per il resto delle nostre vite.
Craig: è stato un anno folle e travolgente. Non ci saremmo potuti augurare un anno migliore. Suonare in giro per il mondo per tutte quelle persone è un sogno che diventa realtà e ci riteniamo fortunati di averlo potuto realizzare.

 

Sempre molto emozionante, la vostra musica è un mix di stili differenti tra loro, dove post-rock, post-hardcore, trip-hop e psichedelia possono coesistere pacificamente. Lo so che è una domanda bizzarra, ma come siete arrivati a un melting pot del genere e come fate a tenere tutti suoi elementi così in equilibrio?
Craig: grazie, hai detto una cosa davvero molto gentile. Io penso che la nostra musica sia semplicemente una combinazione di tutto quello che amiamo e che abbiamo amato crescendo. Non credo che la nostra musica faccia parte di un genere specifico, probabilmente proprio perché il nostro è un mix di tanti stili differenti. E poi penso che la musica che uno ama trovi sempre modo di farsi strada in quella che questi produce.
Hannah: Certamente. Crescendo abbiamo ascoltato tanta musica diversa e al momento di scrivere il disco tutta questa musica ha influenzato con naturalezza la nostra scrittura e le nostre idee.

 

Ecco, come scrivete le vostre canzoni? Raccontateci qualcosa sul processo creativo dietro “I’m Not Sorry, I Was Just Being Me”…
Hannah: io scrivo la maggior parte dei brani, dedico loro tutto il tempo di cui hanno bisogno nella mia stanza e poi, una volta che credo siano a un buon punto, li mostro uno per uno a Craig. A quel punto ci lavoriamo su insieme, nel nostro appartamento. Discutiamo sulla loro struttura, sulle parti che suoneremo individualmente, sugli umori e i riferimenti contenuti in essi. A quel punto, spesso condividiamo le canzoni con il resto della band mediante una playlist di Spotify. È davvero importante che ci si sintonizzi tutti sulla stessa lunghezza d’onda dal punto di vista del suono. Craig è l’uomo chiave una volta in studio, sia dal punto di vista tecnico che da quello musicale, lui adora avere un approccio molto istintivo e sperimentale alle registrazioni e devo dire che gli viene molto bene. Onestamente, semplicemente ci concentriamo con forza su quello che vogliamo ottenere e facciamo tutto quello che possiamo per conseguirlo.

 

Ancor prima di ascoltare il vostro primo Lp, sono rimasto colpito dalla sua copertina, quel bellissimo tramonto nella natura incontaminata. Ultimamente ho notato che avete usato altre fotografie provenienti chiaramente dalla stessa sessione fotografica come copertina per nuove edizioni e versioni del disco. Dove le avete scattate? Raccontateci qualcosa a riguardo… Perché Craig si nasconde la faccia?
Craig: le fotografie sono state scattate nel Nord del Galles, non lontano da dove Hannah è cresciuta, per questo hanno anche un valore sentimentale che ben si sposa con l’umore nostalgico del disco. Sulla copertina non nascondo il capo di proposito, abbiamo semplicemente scelto una fotografia che sembrava raccontasse una storia che potesse andare a braccetto con la musica e che, allo stesso tempo, potesse portarla su un piano ancora un po’ più elevato. Questo è il genere di arte che amiamo.
Hannah: peraltro di nostro preferiamo la fotografia candida e naturale, scattata su di un set all’aperto piuttosto che in uno studio. Ci sentiamo molto più a nostro agio con questo genere di scenografie! E, sì, anche noi siamo rimasti molto contenti del risultato.

La scorsa primavera sono stato al vostro concerto in quel di Berlino, quando avete suonato “The Moods That I Get In”, molto probabilmente il vostro brano più escapista, ho visto nel fantastico stile chitarristico anche qualche traccia di David Gilmour, che non è esattamente il primo nome che viene in mente ascoltando la vostra musica. Craig, ti piace davvero Gilmour, o è stata soltanto una mia impressione?
Craig: ho ascoltato i Pink Floyd nei primi anni della mia adolescenza, ma poi li ho lasciati un po’ da parte. In realtà, sono molto più influenzato da chitarristi quali Neil Young, Nels Cline e Richard Lloyd, musicisti che usano la chitarra per creare un tipo di tessuti sonori ed energie differenti, un po’ più spigolose e strane. Questo è il tipo di chitarristi che mi emoziona davvero.

Durante Ie vostre performance live suonate spesso, se non sempre, un’incredibile cover di “State Trooper” di Bruce Springsteen, che a sua volta, se non ne è proprio una cover, è largamente ispirata a “Frankie Teardrop” dei Suicide. Perché questa canzone? Cosa significa per voi?
Craig: Beh, noi adoriamo Bruce Springsteen e in particolare “Nebraska”, forse proprio perché non suona come un disco tipico di Springsteen. E’ molto lo-fi e lui lo ha registrato da sé su un quattro tracce, quindi possiede quella qualità della musica DIY che noi amiamo. È anche una canzone con un immaginario, un’atmosfera e un ritmo che ci fanno impazzire e così abbiamo pensato che ci potessimo fare qualcosa di bello.
Hannah: io non sono così pazza di “Brucey” come lo è Craig, ma adoro il rimo di questa canzone e il suo umore. Peraltro generalmente io canto nei miei toni bassi e credo, e spero, che si sposino bene a questo pezzo. E poi adoriamo tutti i pezzi che ci consentono di sfociare in un gran finale bombastico ed emozionante!

 

La scorsa primavera avete suonato anche in Italia, a Milano, Genova e Roma. Che ve ne è parso della nostra terra e dei vostri fan italiani? Vi va di condividere con noi qualche bel ricordo da quelle date?
Hannah: sì, l’Italia è fantastica. Il pubblico dei nostri show italiani era davvero reattivo, caldo e vicino. Ci hanno fatto sentire in modo fantastico, li adoriamo. Qualche ricordo, certo… Mi ricordo con simpatia di quando abbiamo dovuto accorciare il nostro soundcheck dello show milanese perché alla stessa ora c’era una lezione di pilates! Prima dello show di Genova, invece, abbiamo mangiato la pasta al pesto più buona della nostra vita, e poi ovviamente mi ricordo che proprio quella sera la mia sorella maggiore mi ha detto di aspettare il secondo figlio! E potrei menzionare tanti altri fantastici ricordi...
Craig: il pubblico è certamente tra i migliori che abbiamo mai avuto. Tutti erano così, passami il termine, “vocali” e avevano tantissima energia. Abbiamo davvero avuto la sensazione che ci seguissero e la cosa ci ha permesso di suonare alcuni dei nostri migliori show di sempre.

 

Trovo che la vostra musica sia anche molto cinematografica, delle volte sembra davvero che le vostre canzoni siano perfette per accompagnare le scene di un film. Vi lasciate ispirare anche dal cinema? Quali sono i vostri film preferiti?
Hannah e Craig: Grazie, anche questa è una bellissima cosa da sentire. Sì, entrambi adoriamo i film e in generale il cinema e di certo questo amore ci accompagna anche quando scriviamo e registriamo la nostra musica. Ci piace davvero pensare che la nostra musica emozioni in questa maniera perché amiamo la connessione che si può instaurare tra suoni e immagini, il modo in cui le une possano valorizzare l’altra e viceversa. E’ magia!
Craig: i miei film preferiti probabilmente sono tutti degli anni 60 e 70, pellicole come “Badlands” e “Five Easy Pieces”, ma anche film francesi come “À bout de souffle”. Sono tutti film davvero caldi e densi di umanità, ti danno poi la sensazione che il cinema di quell’epoca stesse davvero spingendo forte in termini di innovazione e sperimentazione, sia dal punto di vista tecnico che da quello del racconto.
Hannah: io adoro tutti i film che mi facciano sentire a casa, dei quali mi piacciono l’estetica e i colori, film preferibilmente girati in posti veri, case vere, strade vere. Ah, recentemente siamo entrambi grandi fan del cinema di Ruben Östlund, io poi sono letteralmente ossessionata da tutte le sue cose che ho visto e non posso smettere di pensarci.

 

All’inizio dell’intervista ci avete dato la bellissima notizia che siete già al lavoro su nuova musica…
Hannah e Craig: Sì, stiamo scrivendo nuova musica! È stato un anno intensissimo, ma ora possiamo concentrarci sulla scrittura come piace a noi, con calma e con tanto tempo a disposizione. Al momento siamo davvero concentrati solo e soltanto nello scrivere il miglior album possibile.
È quasi la fine dell’anno ed è quindi tempo di fare le classifiche dei migliori dischi, giocate con noi! Qual è il vostro disco dell’anno?
Hannah e Craig: allora, entrambi adoriamo il nuovo disco dei Built To Spill, “When The Wind Forget’s Your Name”. Suona davvero come un disco di metà anni 90 e ha tantissime parti interessanti di chitarra, lo abbiamo ascoltato non-stop per mesi. Poi ci sono piaciuti davvero tanto quello di Tomberlin, “I Don’t Know Who Needs To Hear This…”, e l’Ep “Sunk” di Babehoven.

 

L’ultima domanda è bella tosta, siete avvisati. Voi siete di Liverpool, una delle città più importanti della storia della popular music. Quali sono i vostri concittadini musicali preferiti? Quelli del passato e quelli di oggi!
Craig: è divertente perché non pensiamo mai a noi stessi come a una band di Liverpool, ma suppongo che tecnicamente lo siamo. È una risposta ovvia, ma i Beatles hanno avuto un’influenza enorme sulla mia crescita e sono sicuramente la mia band preferita, anche se poi non hanno influenzato più di tanto i King Hannah. Dei nostri tempi, invece, ti dico Bill Ryder-Jones, che ha scritto davvero una buona parte della nostra musica recente preferita.
Hannah: risposta identica, per ovvie ragioni! E, sì, concordo anche su Bill Ryder-Jones, ha pubblicato davvero belle cose.

 

Grazie davvero per il vostro tempo.
Hannah e Craig: grazie a te per l’intervista e per il continuo supporto!

(21/12/2022)