“Volevo festeggiare i miei primi quarant’anni di carriera ripescando le canzoni che amo di più. Così alla fine mi sono auto-coverizzato”. Parola di Luca Madonia, catanese, dieci anni nei Denovo a tener alto il vessillo della new wave italiana, trenta da raffinato cantautore solista. Il “regalo” si chiama “Stiamo tutti ben calmi” ed è una peculiare raccolta in chiave acustica di undici suoi brani storici più tre inediti. Ne è stato appena estratto come nuovo singolo “L'alieno”, “un brano - racconta Luca - che mi ricorda la grande amicizia con Franco Battiato, il Festival di Sanremo del 2011 fatto insieme a lui e il privilegio che ho avuto nel frequentare un essere speciale come lui”. Ne approfittiamo per una piacevole chiacchierata che spazia dai Denovo ai giorni nostri, tra musica, ricordi e riflessioni sul presente.
“Stiamo tutti ben calmi”, oltre che un titolo, è un’esortazione. C’è bisogno di darci una calmata?
Sì, stiamo vivendo in un’epoca di nevrastenia e di isteria collettiva. Una situazione emersa soprattutto dopo questi due anni di pandemia che hanno contribuito ad alimentare ancora più tensione e intolleranza. Questo album vuole essere un invito a vivere il presente con la dovuta calma. Il che non significa sedazione e mancanza di criticità, ma agire con onestà intellettuale, sapendo anche ascoltare e soprattutto prendendosi tempo per non comportarsi in modo impulsivo e aggressivo.
Ho agito per sottrazione, con un disco di canzoni asciugate in chiave acustica, minimale. In pratica, ho anticipato l'idea degli U2 di 'Surrender'
Il titolo però svela anche l’approccio scelto per rileggere i brani...
Già, volevo festeggiare questi bellissimi 40 anni di musica, percorsi attraverso tante stagioni, dalla new wave italiana con i Denovo negli anni 80 a trent’anni di carriera solista. E mi intrigava l’idea di andare a ripescare le canzoni che amo di più, che hanno rappresentato qualcosa di importante, oltre ai tre inediti che ogni raccolta ormai richiede. Ho scelto quindi di procedere per sottrazione, togliendo tanti suoni per far emergere soprattutto la voce e la melodia. Perché alla fine a invecchiare sono soprattutto i suoni, gli arrangiamenti, mentre le melodie, se sono belle, restano. Così ho riscoperto alcuni miei “mondi” di altri periodi, che hanno ancora un senso in chiave acustica, minimale: sono come rinati. Ho visto tra l’altro che gli U2 hanno fatto un’operazione simile con "Songs Of Surrender": posso dire di averli anticipati!
Sei convinto quindi anche tu, un po’ alla Dylan (o qui da noi De Gregori), che la canzone non sia un oggetto immutabile, ma possa trasformarsi nel tempo?
Ma sì, certo. I suoni inevitabilmente diventano un po’ datati, ma una linea melodica, un testo hanno ancora un peso e un senso anche oggi. Anzi, mi auguro di aver nobilitato alcune mie canzoni, tipo “Ma che idea” fatta nel 1988 per Sanremo con i Denovo: a risentirla ora, con quell’arrangiamento e quella trombetta, mi sembrava un po’ frivola, invece con questa nuova veste ha riacquistato un suo perché. Magari si tratta anche di brani che il pubblico mi chiedeva di suonare dal vivo e io non facevo più proprio per questi motivi: mi sembravano invecchiati male. Insomma, mi sono infilato in questo trip acustico e mi sto divertendo tantissimo, anche dal vivo.
Le riproporrai in questa versione anche dal vivo?
Sì, siamo due chitarre, voce e un basso elettrico, quindi c’è comunque la pressione, che rimane importante, ma quella la puoi creare anche solo con l’intenzione... Ad esempio, “Eleanor Rigby” dei Beatles credo sia una canzone bella tesa e potente, quasi rock, eppure è solo voci e archi, quegli archi taglienti impostati da George Martin che fanno la differenza. Io la intendo così, la pressione musicale, non è solo un colpo di batteria forte e via, così sarebbe troppo facile.
E poi ci sono sempre alcuni testi a illuminare. Ad esempio, in “Non ti mettere in nero” dei Denovo canti: “Un giorno forse si vedrà/ Più in là del nostro naso/ E sarà/ Quel giorno, sì, di certo/ Che sarà/ Un giorno molto lungo... Forse non ci saremo”. Mi sembrano parole molto in linea con i tempi che viviamo. Perché è diventato così difficile vedere oltre il nostro naso?
C’è una sorta di individualismo esasperato, unito a quell’isteria di cui parlavamo. Diciamo la verità: non ce ne frega nulla dell’altro. Ma non solo del migrante che arriva qui da chissà dove, ma anche del vicino di casa. Siamo più esasperati, ma è cambiata la società a tutti i livelli. Sarebbe bello poter riacquistare quell’approccio collettivo, tornare a quel sogno collettivo che avevamo noi, pur con tutte le sue ingenuità - ci siamo caduti un po’ tutti, ma si cadeva insieme – Ora invece non si guarda davvero al di là del proprio naso, non ci capisce che ciò che c’è al di là poi ci ritornerà e potrà essere il nostro futuro.
Con i Denovo vivemmo una stagione bellissima. Con tournée infinite e amicizie forti, come quelle con Litfiba e Avion Travel. Andammo insieme a Barcellona in pullman per suonare. Era la new wave italiana, un ricambio generazionale profondo
Che stagione musicale è stata quella dei Denovo? E che rapporto avevate con gli altri gruppi della new wave italiana?
C’era un clima bellissimo. Intanto avevamo vent’anni… (ride) e c’era una voglia estrema di realizzarci in musica, di coronare la nostra passione. Non ci interessava tanto l’idea di avere successo, volevamo solo fare quel mestiere. Stavamo tutto il giorno a provare e poi suonava dal vivo. Si suonava veramente tanto: ricordo tournée di quaranta-cinquanta date. Tutto il movimento new wave italiano di quegli anni è stato un grande ricambio generazionale, un po’ come lo era stato il punk in Inghilterra. Proprio qualche giorno fa, io, che di solito uso poco i social, ho pubblicato su Instagram una mia foto insieme a Piero Pelù scrivendo “La new wave italiana degli anni 80”. È stato un periodo fantastico, una fase di grande riscatto per noi giovani dell’epoca. E devo dire, col senno di poi, che forse soltanto ora si percepisce la reale importanza di quella stagione musicale.
Si può dire che finalmente quella stagione inizia a essere accostata a quelle principali della storia della musica italiana, dall’era del progressive rock a quella dei cantautori storici?
C’è bisogno sempre di lasciar sedimentare un po’ le cose, prima di capirle davvero. Ed è quello che è successo anche con la new wave italiana. Quelli che sono cresciuti con noi e con la nostra musica, romanticamente, restano legati a quel periodo, ma ci sono anche molti giovani, specialmente tra quanti ascoltano e suonano tanta musica, che ci dicono cose bellissime, di noi, del tipo di sound che avevamo. E ovviamente mi fa un enorme piacere. Anche perché abbiamo sempre fatto tutto senza il minimo calcolo, gli eventi si sono susseguiti così, perché così doveva andare: l’incontro con Francesco Fracassi che è stato il nostro manager, i successi che poi sono arrivati, i tour… Tutto è avvenuto insieme agli altri protagonisti di quel periodo, ho citato ad esempio i Litfiba, con i quali abbiamo fatto tanti concerti insieme, ma anche gli Avion Travel. Si lavorava insieme, si partiva insieme… Era un’epoca in cui non c’erano ancora i cellulari e tutto funzionava in modo più diretto. Ricordo un tour alla Biennale di Barcellona in pullman: siamo partiti da Catania, a Messina abbiamo raccolto una compagnia teatrale - dove c’era Ninì Bruschetta, che poi è diventato un attore importante - poi a Napoli è salito tutto il mondo partenopeo, Avion Travel & company, poi in Toscana abbiamo prelevato i Litfiba, e siamo arrivati a Barcellona dopo due giorni di viaggio.
Noi dei Denovo eravamo stati ribattezzati 'il rock dell'agrumeto' per via del nostro sound mediterraneo. Ma la scena di Catania è sempre stata ricca di tradizioni culturali, tra musica e teatro. Fino a quando arrivarono Carmen Consoli, Uzeda, Basile & C. e divenne per tutti 'la Seattle del Sud', un'espressione che mi fa ancora ridere
In quella galassia, però, i Denovo avevano una loro specificità. Sono stati una sorta di variante mediterranea alla new wave più classicamente ancorata a suoni anglosassoni?
Forse i Litfiba all’inizio erano un po’ più scuri e tetri, un po’ più dark, noi ci avevano ribattezzati “il rock dell’agrumeto”, perché eravamo decisamente più solari, quindi, sì, anche mediterranei. Fondamentalmente abbiamo messo in musica i nostri amori, a partire dai Beatles: non ci appartenevano come generazione, ma ci siamo innamorati di questi quattro ragazzi di Liverpool, filtrando la loro musica attraverso quella di artisti successivi come Talking Heads, Joe Jackson, The Police e Xtc, un’altra band che abbiamo adorato. Per questo, è in fondo logico che sia uscito fuori questo suono, grintoso, nuovo, ma anche ironico, volevamo sdrammatizzare un po’ come facevano proprio Andy Partridge e compagni.
Erano anni di nuovi fermenti anche per la Sicilia e per Catania in particolare. Oltre a Franco Battiato e a voi, penso a Carmen Consoli, Cesare Basile, Moltheni, Uzeda, Kaballà. Tutti artisti usciti dalla scena della vostra città. Com’era quella Catania?
Negli anni 80 eravamo un po’ “pupi”, ma ricordo che Catania era già una città molto viva. Aveva questa vena artistica, non solo musicale, ma anche legata a una forte tradizione teatrale: lo Stabile di Catania, ad esempio, faceva cose veramente belle in giro per il mondo. I problemi comunque non mancavano: in tanti dovevano emigrare per suonare, c’erano pochi studi dove registrare e si facevano chilometri e chilometri. Poi abbiamo sdoganato anche lì questo modo di vivere e di interpretare la musica. Battiato è tornato a vivere in Sicilia e ha anche prodotto il nostro ultimo disco. Poi dagli anni 90 è partito l’altro filone, con Carmen, gli Uzeda e tutti gli altri. E c’è stata una maggiore attenzione su Catania, che era diventata “la Seattle del Sud”, una cosa che a me fa ancora molto ridere. La realtà è che l’Italia è tutta fatta di grandi province con grandi storie da raccontare. In provincia c’è sempre qualcosa di valido, ne parlammo anche una volta con Renzo Arbore (uno dei mentori dei Denovo, che portò ospiti fissi in tv a Doc, ndr), e lui era convinto di questo, che la provincia italiana sia sempre stata ricca di verità e di genialità. Una volta si credeva che solo a Roma o Milano potesse sbocciare qualcosa di veramente significativo, ma per fortuna negli ultimi anni il raggio d’azione è un po’ cambiato: del resto oggi un disco te lo registri anche in bagno, dove vuoi.
L’amicizia con Franco Battiato è stato uno dei più bei regali che la vita potesse farmi. Con lui si poteva affrontare qualsiasi argomento: era un grande studioso che aspirava al miglioramento di sé, non c'era nulla di impostato in lui. Era anche una persona divertentissima e disponibile, molto lontana da quell'idea di santone che in tanti si erano fatti di lui. Andare con lui a Sanremo fu la chiusura di un cerchio
Però, ovviamente, il faro di tutta quella scena era Franco Battiato. Tu lo hai conosciuto bene e l'hai frequentato assiduamente anche nell’ultimo, difficile periodo della sua vita. Che ricordo hai di lui?
Credo che l’amicizia con Franco sia stato uno dei più bei regali che la vita potesse farmi. L’ho conosciuto sul finire degli anni 80, quando stava tornando a vivere in Sicilia, dopo gli anni milanesi. Fu grazie a un nostro amico discografico che ci mettemmo d’accordo affinché proprio Franco producesse il nostro ultimo disco, “Venuti dalle Madonie a cercar carbone”. E da lì è partita un’amicizia meravigliosa fatta di tutto: di grandi discorsi, di quotidianità, di cose semplici, di cose più complicate. Franco era veramente una persona simpatica, buona. E conteneva moltitudini: era davvero tante cose insieme. Con lui si poteva affrontare qualsiasi argomento: era un grande studioso che aspirava al miglioramento di sé. Ha avuto la capacità di mettere in musica e far arrivare a tutti il suo mondo spirituale con l’abilità di un grandissimo musicista, è riuscito a incuriosire il pubblico su temi difficili con una grandissima maestria melodica e armonica. E poi era una persona divertentissima. Ricordo che all’inizio eravamo spaventati all’idea di incontrare questa specie di santone, invece ti metteva immediatamente a tuo agio. Del resto, la sua austerità era reale: lui era veramente un mistico, uno studioso, capace di mettere nei testi e nella musica il suo mondo complesso. Non c’era niente di impostato o di artefatto in lui: ci credeva davvero e viveva per la cultura. C’è stata poi una lunga frequentazione, mia e di mia moglie, che credo sia diventata la sua migliore amica per una trentina d’anni. Ricordo tanti viaggi insieme, musica insieme, granite insieme, eventi quotidiani spassosi. Aveva questa capacità di sdrammatizzare che mi ha insegnato tanto, anche in questo mestiere di pazzi, in cui c’è gente che si sente onnipotente solo perché va in radio per un mese di fila. Ecco, per fortuna lui mi ha insegnato a guardarci da fuori, per sdrammatizzare e per capire se si sbaglia o meno.
E proprio con Battiato sei andato a Sanremo nel 2011 con “L'alieno”. Che esperienza è stata?
Sono salito quattro volte su quel palco. Nel 1987 ero a “Sanremo Rock” in quell’edizione magica con Carlo Massarini: stavo lì con i Denovo insieme a tutti questi straordinari ospiti internazionali… Paul Simon, Simply Red, Smiths, Style Council, Paty Kensit, Duran Duran & C. Poi sono tornato nel 1988, in gara sempre con i Denovo, e nel 2008 ospite di Mario. E poi, per chiudere il cerchio, c’è stata l’edizione del 2011. Morandi mi aveva invitato e non so per quale magia – o forse per una questione di amicizia – sono riuscito a convincere Franco a venire con me. Lui mi disse: “Vengo, ma solo a farti da corista!”. In realtà, veniva soltanto per affetto, non gliene poteva fregare di meno della gara, ma i divertì moltissimo. E così, a 2 minuti e 40 secondi del brano, sbucava con quella cuffia… era lui il vero Alieno!
Negli ultimi anni il Festival di Sanremo ha subito diverse trasformazioni, forse è anche un po’ ringiovanito, con un’apertura diversa verso stili musicali un tempo tabù: ci torneresti?
Sanremo resta una grande vetrina, e, sì, nel frattempo è cambiato anche il mondo. Vedo artisti che non mi dispiacciono e altri di cui.. boh, non capisco proprio il senso! Però, perché no, potrei anche tornarci un giorno, anche se onestamente non ci ho mai pensato. Anche perché l’ultima volta con Franco – come ti dicevo – è stata la chiusura di un cerchio. Non voglio fare lo snob, comunque: resta indubbiamente una vetrina importante.
Hai nuovi progetti musicali in programma?
Ora sono impegnato soprattutto nei live, che sono l’aspetto più vero della mia musica attualmente. In questo trio acustico c’è una bella intesa, ci divertiamo e vorremmo portare in giro questa emozione. Stiamo mettendo in piedi delle serate che porteremo avanti tra la primavera e l’estate. Il live è un banco di prova: vorrei riproporre il concetto dell’ultimo disco, quindi la mia storia ma in chiave più asciutta e semplice, unita al racconto di qualche aneddoto, perché sono diventato logorroico e mi diverto a chiacchierare sul palco. E pensare che prima parlavo pochissimo… con i Denovo non dicevamo una parola, a stento “ciao”.
Che musica ascolti oggi?
Devo dire che questo mestiere mi ha fatto un po’ cambiare la percezione dell’ascolto. Quella emozione immediata, da pelle d’oca, è scomparsa. Ma riesco ancora a emozionarmi con la musica, che resta la mia malattia, anche se con un approccio diverso. Tra i più giovani, ad esempio, mi piacciono Colapesce e Dimartino, li trovo intelligenti, spiritosi. Con loro ho fatto anche diverse cose, ad esempio, il 21 settembre 2022 all’Arena di Verona - in una specie di riunione siciliana con Carmen, Giovanni Caccamo, Mario Incudine - abbiamo chiuso il concerto in ricordo di Franco Battiato facendo insieme “Centro di gravità permanente”, in modo del tutto estemporaneo. Però ti devo confessare che se ascolto un vecchio brano dei Beatles, degli Xtc o di Franco, mi emoziono sempre molto di più.
(01/06/2023)
DENOVO | |
Niente insetti su Wilma (Ep, Suono, 1984) | |
Unicanisai(KinderGarten, 1985) | |
Persuasione (KinderGarten, 1987) | |
Così fan tutti(Philips, 1988) | |
Venuti dalle Madonie a cercar carbone (Philips, 1989) | |
Live (live, Arcana, 2004) | |
Denovo (Sni, 2005) | |
Kamikaze Bohemien (2014) | |
LUCA MADONIA | |
Passioni e manie (Wea, 1991) | |
Bambolina (Wea, 1993) | |
Moto perpetuo (Wea, 1994) | |
La consuetudine (Storie di Note, 2002) | |
L’essenziale (Storie di Note, 2004) | |
Vulnerabile (Storie di Note, 2006) | |
Parole contro parole (Dontworryrecords, 2008) | |
L'alieno (Universal, 2011) | |
La monotonia dei giorni (Universal, 2015) | |
Il tempo è dalla mia parte (Viceversa, 2017) | |
La piramide (Viceversa, 2019) | |
Stiamo tutti ben calmi (Musica Lavica Records, 2022) |
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