I primi passi
Umberto Maria Giardini nasce il 22 giugno del 1968 a Sant’Elpidio a Mare, provincia marchigiana. Si approccia alla musica suonando la batteria e formando sui banchi di scuola con alcuni amici gli Hameldome, in grado di aggiudicarsi nel 1989 il titolo di miglior band emergente alle finali di Arezzo Wave. L’esperienza viene però interrotta pochi mesi dopo, quando Umberto decide di trasferirsi in Scozia, dove resterà fino a metà 1994, scelta che gli consentirà di entrare in contatto con alcuni protagonisti della scena locale e affinare la propria tecnica, sia di scrittura che di esecuzione.
Rientrato in Italia, si stabilisce prima a Roma, poi a Milano e, nel 1997, a Bologna. Inizia a registrare del materiale, cantato in italiano, sotto lo pseudonimo Moltheni, mutuato dal nome di una farmacia milanese. Cinque tracce demo, fissate in una cassettina, giungono nelle mani di Francesco Virlinzi, storico produttore della scena catanese. E’ la svolta decisiva: Virlinzi resta colpito dai quei brani e mette il musicista marchigiano subito sotto contratto per la propria etichetta, la Cyclope Records, inserendolo presto anche come opening act per alcuni concerti di Carmen Consoli.
Nel 1999 si mette in luce grazie all’esordio, Natura in replay. Fra i musicisti coinvolti nelle registrazioni spiccano le presenze di metà dei Massimo Volume, Egle Sommacal e Vittoria Burattini, momentaneamente in stand-by con il gruppo di Mimì Clementi. E’ un brevissimo intro electro a schiudere al mondo l’universo di Moltheni, che sceglie di presentarsi al proprio potenziale pubblico sulle efficaci note della cult song “Il circuito affascinante”, la miglior sintesi possibile fra Afterhours (nella strofa) e Carmen Consoli (nel ritornello), due nomi di primissimo piano che si manifestano come le più evidenti influenze dell’intero album. In particolare, brani come “In centro all’orgoglio” ed “Equilibrio” risultano una versione al maschile della cantantessa siciliana.
Dentro Natura in replay, a una prima parte marcatamente alt-rock segue una seconda dove a prevalere sono atmosfere acustiche e digressioni vagamente psichedeliche, che prendono per mano l’ascoltatore fino alla morbida e sofferta “Un desiderio innocuo”, chiusura tutta giocata su voce e piano.
Da tracce come “Flagello e amore” già si scorge una forte componente dolente e introspettiva, che qualche anno più tardi verrà ampliata dall’autore. I momenti descrittivi sono sostenuti da tappeti post-rock dove le chitarre delineano le atmosfere. Moltheni si inserisce subito all’interno di quella scena “alternative” italiana che ha vissuto nel corso del decennio il momento di maggior splendore di sempre: presto sarà invitato a condividere il palco da alcuni dei massimi esponenti del circuito, Afterhours, Verdena e Ginevra Di Marco.
Nel 2000 tenta la carta Sanremo, presentando la brillante “Nutriente”, classificandosi al sesto posto nella sezione “Giovani”. Resterà l’unica esperienza di Umberto al Festival della Canzone Italiana. “Nutriente” sarà poi inserita come traccia centrale nella successiva ristampa di Natura in replay.
Elettricamente ancor più robusto, il successivo Fiducia nel nulla migliore conferma e migliora tutto ciò che di buono si è detto a proposito dell’esordio. Le profonde influenze Afterhours (basti ascoltare quanto Agnelli si scorge in brani come “Curami deus”, “Misma” o “In me”) e Carmen Consoli (“Ridi Irene ridi”) questa volta vengono diluite per mezzo di una vocalità che si avvicina in maniera stupefacente a quella di Edda (ascoltare per credere “Educazione all’inverso” e “Mondodown”), quasi un’involontaria anticipazione di quelli che saranno i lavori solisti del cantante dei Ritmo Tribale.
Fiducia nel nulla migliore è un disco tiratissimo, per molti fan della prima ora resterà il migliore di Moltheni, il quale mette le chitarre elettriche in primissimo piano sin dalle prime note di “Zenith”, dimostrando poi nelle tracce successive di sapersi muovere con agilità sia sul formato indie-pop (“Finta gioia”) che su quello alt-rock (“Il bowling o il sesso?”), elaborando morbide spire giusto in corrispondenza di “Zona monumentale” ed “E poi vienimi a dire che questo amore non è grande come tutto il cielo che è sopra di noi”. Spazio anche a quei frangenti strumentali (“Fiducia in un nulla migliore”), che – come vedremo – saranno una presenza costante lungo l’intera produzione di Umberto.
Nel 2004 Moltheni registra delle canzoni ancora più dure e dirette, che avrebbero dovuto confluire in un disco intitolato “Forma mentis”. Quell’album, più volte rinviato da una multinazionale, non sarà mai pubblicato, e l’ubriacatura elettrica contenuta verrà sopraffatta dalla svolta acustico-introspettiva del musicista marchigiano, confezionata di lì a poco nel suo terzo album, quello che – sfumata la firma per una major - segna il passaggio alla label indipendente La Tempesta, causato dalla prematura scomparsa di Francesco Virlinzi e dalla conseguente cassazione delle attività della Cyclope Records.
La svolta acustico-introspettiva
Nel 2005 arriva quindi Splendore terrore, che porta in dotazione una netta svolta stilistica, un’evoluzione significativa del suono di Moltheni, la caratterizzazione del quale viene affidato a strumenti vintage, in particolare il piano wurlitzer, suonato da Pietro Canali, che si amalgama alla perfezione con la chitarra acustica, spesso effettata da distorsori, delay e riverberi. La batteria, semplice e lineare, è affidata di nuovo a Vittoria Burattini, ancora in pausa dai Massimo Volume, la quale ben si innesta nell’atmosfera generale, cupa e sensuale. Scarno ed essenziale, Splendore terrore è un lavoro pervaso da dolce malinconia, una raccolta di grandissima intensità, che si rifà all’intimismo di Nick Drake, alle atmosfere dilatate del post-rock e alla follia visionaria di Syd Barrett. Fra gli italiani, gli accostamenti più prossimi possibili sono quelli con il nobile cantautorato di Luigi Tenco e Sergio Endrigo. Il cambio di direzione impresso da Moltheni al proprio songwriting è deciso, il risultato finale si discosta con forza dalle influenze dei primi due album, per avvicinarsi allo stile folk di cantautori d’oltreoceano quali Devendra Banhart e Iron & Wine.
Il filo conduttore degli undici brani è il rapporto fra l’amore e la solitudine, un complicato viaggio interiore sospeso fra idillio e desolazione, che trova la morte come unico e inesorabile traguardo, in un continuo connubio fra realtà e fantasia.
La scaletta si apre con il breve strumentale “Gli occhi di Mara Cagol”, toccante acustico dedicato alla moglie del brigatista Renato Curcio, rimasta uccisa nel 1975 durante uno scontro a fuoco contro le forze dell’ordine. La passione dell’artista per la politica degli anni Settanta torna più avanti anche in “Fiori di carne”. Si passa dal forte impatto visionario degli strumentali “Blue”, “Tutta la bellezza dell’istinto materno” e “Tatàna” alla morbidezza di “Nel potere del legno” e “Limite e perfezione”, fino alla morbida psichedelia de “La ragazza dai denti strani”. “Suprema” è di nuovo una chiusura sofferta, affidata a un pezzo studiato per voce e pianoforte.
In Splendore terrore Moltheni si libera con forza di tutte le influenze attribuitegli al tempo dei primi due album, dimensionando una personalità completamente rinnovata. E’ una prima ripartenza del musicista marchigiano, e – come vedremo - non sarà l’ultima.
Alla fine del tour promozionale di Splendore terrore, Moltheni darà alle stampe Vinile Live, una raccolta di registrazioni dal vivo acquistabile soltanto sul sito ufficiale dell’artista.
Nel 2005 partecipa a una compilation omaggio a Lucio Battisti, "Respiriamo liberi", nella quale reinterpreta “Il tempo di morire” in chiave acustica, trasformandola a tutti gli effetti in una canzone di Moltheni.
Due anni più tardi è la volta di Toilette memoria, “tredici brani attraverso le sanguinose e infinite pianure dell’amore”, come recita la breve prefazione di un lavoro che vede la partecipazione di Franco Battiato (è sua la voce sintetizzata in “Sento che sta per succedermi qualcosa”), Carmelo Pipitone dei Marta sui Tubi e i fratelli Ferrari dei Verdena, tutti e tre protagonisti nelle giocose colorazioni di “Deserto biondo”.
Il disco conferma in toto il percorso intrapreso dal lavoro precedente, in decisa controtendenza rispetto agli esordi. Toilette memoria è un elogio pragmatico del ricordo amoroso, elaborato attraverso una scrittura ermetica, ponendo gli arrangiamenti orchestrali a ricoprire le nudità folk del terzo album, attraverso una strumentazione più corposa, che amplia il ventaglio delle sfumature. A prevalere è una sorta di “ottimismo sofferto”, espresso con toni quasi sempre austeri, solo a tratti spezzati da momenti più “leggeri” (“Minerva”, ad esempio, sorretta dal confermatissimo wurlitzer di Pietro Canali). Si rinnova la collaborazione con i Tre Allegri Ragazzi Morti, che hanno prodotto l’opera: si rinvigorisce così il sodalizio avviato con l’etichetta La Tempesta.
L’esaltante tessuto narrativo urbano, a tratti in forma di pura poesia, è accompagnato da sonorità che si muovono lungo svariate direzioni: dal folk stralunato di “Io” al rotondo passo da pop song d’autore de “L’età migliore”, “Eternamente, nell’illusione di te”, arricchita da una bella coda strumentale, e “Nella mia bocca”, dalla vacuità acustica che sorregge “L’amore d’alloro” agli accenti psych che contrassegnano la conclusiva ”Cavalli sciolti del nord”. Anche questa volta sono presenti passaggi interamente strumentali, come l’affresco malinconico e turbato di “Requiem per la Repubblica Italiana”.
Toilette memoria rappresenta la definitiva consacrazione di Moltheni, oramai entrato di diritto in quel ristretto circolo di cantautori che attraverso molteplici intuizioni stanno reimpostando le coordinate della canzone d’autore italiana, che qui trova nella toccante “Nel futuro potere del legno” uno dei suoi pilastri portanti, forte di in una scrittura che allontana sempre più Moltheni dalle illuminazioni degli esordi per condurlo verso il songwriting di autori più introspettivi, Riccardo Sinigallia in primis.
Passa un solo anno ed ecco sei nuove composizioni, raccolte nel mini Io non sono come te, aperto dall’evocativo strumentale “Risveglio”. Un disco rilassato, a tratti persino dimesso, interamente suonato soltanto con l’ausilio di chitarra, basso e synth, completamente privo del supporto della batteria. Moltheni continua a trasmettere la propria quieta, lucida e disperata concezione della vita e dei rapporti interpersonali, veicolata da una voce piena di pathos discreto, fragile e perfidamente inquietante. I temi dell’amore, della morte e della solitudine vengono affrontati con un’apparente rinuncia all’ansia.
Dai testi traspare una forma di misoginia verso il gentil sesso, concretizzata in particolare nei versi di “Tu”, impietoso resoconto delle croci e delle delizie del rapporto a due, attraverso l’elegante utilizzo di metafore non sempre ortodosse. “Giorni cattivi” e “Io non io” raccolgono il tipico pessimismo lirico metafisico dell’autore, mentre “Montagna nera” è l’emblema di un’incessante ricerca del percorso per raggiungere la pace interiore.
Con I segreti del corallo (2008) gli arrangiamenti tornano a essere pieni e rigogliosi: un disco che nasce in controtendenza rispetto alla calma dei lavori immediatamente precedenti. L’apertura è affidata a “Vita rubina”, una delle tracce più belle mai incise da Moltheni. Dalle rotondità alt-pop de “Gli anni del malto” e “L’amore acquatico” alle più miti riflessioni di “In porpora” e “Suprema” (grande poesia, con ospite la chitarra elettrica di Carmelo Pipitone), fino alle atmosfere vagamente pinkfloydiane dello strumentale “Che il destino possa riunire ciò che il mare ha separato”, I segreti del corallo è l’ennesimo lavoro di altissimo spessore qualitativo, che qualifica ulteriormente il percorso artistico di Moltheni, che ormai ha consolidato una posizione di centralità all’interno della scena indipendente italiana.
Nella seconda parte della tracklist prevale la componente più acustica, lenta e dolente, specie in brani come “Ragazzo solo, ragazza sola”, “Corallo”, “Verano” e “L’attimo celeste/ Prima dell’apocalisse”. “Suprema” sarà poi ripresa, l’anno successivo, da Edda, che ne inserirà una propria cover nell’Ep del 2010 “In orbita”.
Nel 2009, per celebrare i dieci anni di attività, Moltheni pubblica Ingrediente novus, una raccolta con 17 tracce riarrangiate e risuonate, più i due inediti “Petalo” e “Per carità di stato”, un’invettiva sociale che si mette in scia al De Gregori (o al Fossati, se preferite) più schierato. Fra gli ospiti che contribuiscono a nobilitare le nuove versioni spiccano i nomi di Mauro Pagani, Vasco Brondi (voce in “Zona monumentale”), Ilenia Volpe (voce in “In centro all’orgoglio”), Massimo Martellotta (chitarra in “Per carità di stato”) ed Enrico Gabrielli (direzione archi in “Nutriente”, “Suprema”, “Nella mia bocca” e “Un desiderio innocuo”).
Raccogliere parte del meglio di Moltheni, condividendolo con artisti in grado di fornire un ulteriore plus qualitativo: Ingrediente novus, altro album amatissimo dai fan, rappresenta il tentativo - decisamente riuscito - di compilare un’antologia rinnovando i brani contenuti. La sensazione è di avere fa le mani più un disco di inediti (ma con canzoni già note) che una vera e propria antologia. Al cd viene allegato un Dvd contenente un set registrato pochi mesi prima al Circolo Magnolia di Milano, un live acustico, i videoclip sino ad allora diffusi e un cortometraggio intitolato “Frutto del fiume”.
Proprio quando Moltheni ha raggiunto una dimensione tale da essere considerato uno dei maggiori esponenti della scena indipendente italiana, un cantautore che ha dimostrato assoluta credibilità sia indossando i panni del rocker sia quelli del songwriter profondamente introspettivo, per di più qualificandosi con una cifra espressiva del tutto personale, qualcosa si rompe nei meccanismi dell’artista, appena trentaduenne. Con un gesto a sorpresa, alla fine dell’estate del 2010, comunica al mondo che il proprio sito ufficiale è “chiuso per sempre”. Sembra uno scherzo goliardico, ma a distanza di pochi mesi confermerà la decisione di abbandonare l’attività cantautorale e l’utilizzo dello pseudonimo Moltheni.
Mentre i fan restano sgomenti, Umberto non cessa il proprio rapporto con la musica: ritorna al suo primo strumento, la batteria, sedendosi dietro le pelli del nuovo progetto Pineda, condiviso con Marco Maracas alle chitarre e Floriano Bocchino al synth. Ne esce fuori un album, Pineda, pubblicato nel 2011 per DeAmbula Records, interamente strumentale, dalle linee post-rock, molto Tortoise-oriented, con qualche divagazione prog e lunghe cavalcate dal sapore psichedelico, grazie al quale Moltheni può togliersi di dosso l’onere del frontman.
Nei ritagli di tempo Umberto centellina piccole ma preziose collaborazioni che contribuiscono a dare una mano a realtà di nicchia del circuito emergente. Fra le altre cose, presta la voce nel brano “Scompaio”, inserito nell’album "Croci" dei Miura (2008), in “Stella che non dimentica”, contenuto in "Disconoir" dei Gatto Ciliegia Contro il Grande Freddo, e in due canzoni (“Un giorno qualunque” e “Il muro”) comprese in "Il debutto" dei Colore Perfetto, edito nel 2010 da La Tempesta Dischi.
Oltre a comparire in alcune compilation di area indipendente, si è dilettato anche a suonare la batteria in un paio di date del tour de Il Pan del Diavolo, qualche anno più tardi, nel 2017 farà anche un’apparizione nella traccia “Gravità zero”, contenuta nel loro album "Supereroi". Nel 2009 partecipa a "Clowns And Jugglers: A Tribute To Syd Barrett", interpretando una cover del brano “It Is Obvious”.
La seconda vita artistica
Passa un solo anno ed ecco un nuovo colpo di scena: Umberto torna protagonista utilizzando per la prima volta il proprio nome di battesimo ne La dieta dell’imperatrice, prodotto da Antonio Cooper Cupertino, una nuova partenza ricca di pathos, romanticismo decadente e validi arrangiamenti. Umberto Maria Giardini canta con voce malinconica di amori poetici o tormentati, con quello stile che torna ad avvicinarsi più al Manuel Agnelli versione ballata che non al Sinigallia delle ultime emissioni a firma Moltheni, preservando il proprio stile caratteristico, ma con i soggetti che tendono a farsi più criptici e claustrofobici.
Dal punto di vista musicale, La dieta dell’imperatrice è un disco dalla battuta lenta, rarefatto, ma sotto la superficie ribolle il mai sopito amore per il rock psichedelico, che in alcuni tratti esplode sotto forma di progressioni elettriche e ipnotiche, come accade in corrispondenza delle cavalcate “Il desiderio preso per la coda” (che conferma la passione per le tracce strumentali), “Il sentimento del tempo” e nell’epilogo de “L’ultimo venerdì dell’umanità”. Un disco di intensa liricità, con sprazzi di eccellenza (“Anni luce”, “Il trionfo dei tuoi occhi”, “Quasi nirvana”), ma a tratti monocorde, che contrassegna la transizione verso la seconda vita dell’artista che una volta si faceva chiamare Moltheni. Un lavoro che ottiene unanimi consensi presso pubblico e critica, a conferma di un livello di ispirazione assolutamente intatto da parte di Giardini.
Nel 2013 il nuovo corso viene confermato attraverso cinque composizioni inedite, dai toni chiaroscurali, contenute nel mini Ognuno di noi è un po’ Anticristo, perfettamente in linea con il ritorno firmato l’anno precedente. “Fortuna, ora”, inizialmente prevista proprio nella tracklist de “La dieta dell’imperatrice”, evidenzia la continuità del progetto, grazie a trame sonore che restano a cavalo fra psichedelia, post-rock e cantautorato illuminato.
Il nuovo Giardini fa dell’intensità delle trame sonore una delle caratteristiche peculiari, come ben dimostrano la cavalcata strumentale “Oh gioventù”, il crescendo di “Regina della notte” e i vibranti closing di “Omega” e “Tutto è Anticristo”.
Ognuno di noi è un po’ Anticristo è quindi un’opera che si pone in continuità con il passato, a dimostrazione che il cambio di ragione sociale non aveva l’obiettivo di creare una discontinuità, anche se gradualmente qualcosa nel percorso artistico di Umberto si sta spostando.
Ne è ulteriore conferma nel 2015 la pubblicazione di Protestantesima, il quale serba caratteristiche che lo distinguono dal resto della produzione. Il suono, pieno e rotondo, questa volta si basa meno sulle chitarre e lascia guadagnare spazio a tastiere, pianoforte e archi, pur senza lasciar loro raggiungere un ruolo di reale primo piano. Le linee vocali si adeguano all’attitudine sonora, risultando sempre morbide e lasciando da parte certe ruvidezze del passato. Piccoli aggiustamenti che fanno respirare un’aria nuova. Non cambia lo stile di scrittura, fra metafore ardite ma efficaci e repentini cambi di ambientazione. Negli argomenti trattati muta il bilanciamento fra vicende d’amore e riflessioni sul mondo, con le seconde che più volte prendono il sopravvento.
L’ispirazione melodica si fonde alla perfezione con il suono, il timbro vocale e i testi, amalgama dal forte impatto emotivo, pur se con meno rabbia e maggior disillusione rispetto al passato. Giardini mostra per la prima volta la sopraggiunta maturità dell’uomo navigato, che cerca di preservare le proprie sicurezze invece che farsi trascinare dagli eventi. Meritano menzione “Il vaso di Pandora”, arricchita da un poderoso crescendo nella seconda parte, e “Seconda madre”, sorretta da un binomio melodia-testo particolarmente coinvolgente. Un paio di episodi (“Sibilla”, “Urania”) restano un tantino statici, privi delle consuete atmosfere suggestive, indebolendo la parte finale del disco, senza comunque arrivare a minarne la qualità complessiva.
Piccoli ritorni all’antico
Altri due anni e l’asse continua a spostarsi, Futuro Proximo nel 2017 torna a smuovere le acque, riportando in primo piano l’elettricità degli esordi, arrivando persino a ricercare il noise e le derive electro nelle chiusure di “Avanguardia” e “Alba boreale” che, essendo poste a inizio tracklist, conferiscono il mood all’intero lavoro.
Per il resto, Futuro Proximo scorre piacevolmente, ma senza particolari sussulti. Un disco pieno, molto suonato, con brani sontuosi di facile presa (“Il vento e il cigno”, “Dimenticare il tempo”) e un aggressivo strumentale arricchito dal sax e da una struttura quasi prog (“Ieri nel futuro proximo”). Come più volte è accaduto nella carriera di Giardini, l’ultima traccia è una morbida e sofferta ballad al piano: “Mea culpa”.
Sempre nel 2017 Giardini realizza un disco dalla rinnovata impronta indie-rock sotto il nome di Stella Maris. Nella band accanto a lui ci sono Ugo Cappadonia, Gianluca Bartolo (Il Pan del Diavolo), Emanuele Alosi (La Banda del Pozzo) e Paolo Narduzzo (Universal Sex Arena). Spiccano “L’umanità indotta”, la potentissima “Piango pietre” e i riusciti omaggi agli Smiths di “Rifletti e rimandi“ e “Eleonora no” (ma riferimenti alla band di Morrissey e Johnny Marr sono sparsi un po’ ovunque).
Nel 2018 vengono condivise le tracce “Madre nera” e “Flagello d’amore”, registrate assieme a Edda, concretizzando una collaborazione che ci riporta il sapore degli esordi. Nello stesso anno viene diffuso il singolo “Il giorno che muore”, il quale presenta come traccia accompagnatoria una versione acustica di “Curami deus”.
Belle sorprese a inizio 2019. Umberto rimette mano al progetto abortito nel 2004, quello che sarebbe dovuto diventare il terzo album di Moltheni. Quindici anni più tardi ritrova nel sangue e nei nervi la medesima urgenza espressiva, e quel disco dimenticato riprende “forma”. Chitarre, tante chitarre arrivano teletrasportate direttamente dagli anni 90, a sottolineare i temi ricorrenti della morte e della fine. Atmosfere energiche che non vanno lette come un atteggiamento spiazzante da rocker fuori tempo massimo, no, Forma mentis è una benvenuta sorpresa rinvigorente, del tutto coerente col percorso artistico del suo autore. Coerenza rafforzata da una voce ormai inconfondibile e dall’accurata scrittura sempre riconoscibile, che sa come dar vita a finezze d’infinita dolcezza, quali “Pleiadi in un cielo perfetto”, “Le colpe dell’adolescenza” e “Tenebra”, i momenti che meglio si ricollegano alla produzione recente.
Ma il Giardini del 2019 sente il bisogno di comunicare che qualcosa è cambiato: invece di arrotolarsi su sé stesso, ripetendosi all’infinito, affila le armi e architetta dodici tracce vigorose, che si increspano anche quando inizialmente non vorrebbero, anche quando partono soffuse, come accade nello svolgimento de “La tua conchiglia” e nell’epilogo della dolcissima “Luce”, consegnata a un’improvvisa sterzata stoner. “Argo”, la strumentale “Vortice cremisi” e la lunga title track dal tratto epico (posta in chiusura, con ospite Adriano Viterbini) sono le punte più affilate del progetto, quelle che più di tutte finiscono per caratterizzarlo.
Una vocalità che a tratti torna a ricordare il Manuel Agnelli più ispirato (dal quale mutua la tecnica del cut-up di burroughsiana memoria), un approccio elettrico a metà strada fra il grunge dei Soundgarden (“Materia nera”) e qualche digressione psichedelica (“I miei panni sporchi”) fanno di Forma mentis un disco da cantautore vecchia maniera, realizzato da un musicista che ha saputo mantenersi integro negli anni, cambiando pelle più volte ma restando sempre fedele a sé stesso. Un lavoro che si distingue da tutto il resto della discografia di Umberto Maria Giardini sia per caratteristiche sonore che per bellezza assoluta.
Il ritorno di Moltheni
Poi, all’improvviso, giusto dieci anni dopo aver ritirato dalle scene il personaggio Moltheni, la decisione di recuperare parte del materiale rimasto inedito dalla virtuosa avventura giovanile, riregistrato all’alba del 2020 con la presumibile prospettiva – poi naufragata nell'immediato - di portarne i frutti in tour, accanto al repertorio storico. Il risultato è Senza eredità, un disco dal sapore “antico”, ma sospeso in una sorta di bolla atemporale che lo fa percepire come senza età. Un solo brano è stato composto di recente, “La mia libertà”, posto come programmatico proclama a inizio scaletta. Il resto è riemerso dagli archivi di Francesco Virlinzi (grazie all’opera di certosina ricerca compiuta dalla madre del produttore, prematuramente scomparso) e di Massimo Roccaforte, il chitarrista storico di Carmen Consoli. Fra i musicisti coinvolti nell’operazione, spiccano le prestigiose collaborazioni di Riccardo Tesio, Egle Sommacal e Carmelo Pipitone, oltre che dello stesso Roccaforte.
Alcune di queste canzoni avevano trovato forma compiuta già all’epoca, tanto che (è il caso di “Ieri”) vennero persino suonate dal vivo durante l’ultimo tour a nome Moltheni, per poi essere accantonate in favore di soluzioni che – secondo la visione del cantautore - meglio si sposavano con la nuova estetica ricercata. Dentro ci ritroviamo molto del Moltheni più introspettivo, specie nelle tracce acustiche, dove Umberto dimostra di aver mandato a memoria la lezione dei grandi songwriter folk, facendola propria, per produrre trame in grado di scavare nell’animo, lasciando profonde cicatrici. E’ il caso di “Estate 1983”, “Sai mantenere un segreto?” e “Tutte quelle cose che non ho fatto in tempo a dirti”, molto efficace nella sua estrema semplicità. In altri frangenti apprezziamo la dinamica e l’elettricità, specie in “Il quinto malumore”, episodio che farà la gioia dei fan della prima ora, quelli che adorarono una scrittura e un registro vocale in grado di mantenersi in prodigioso equilibrio fra la Consoli e gli Afterhours.
Su tutto si stende quel velo di malinconia che quasi fa male, tipico di tutti i periodi della carriera di Umberto Maria Giardini. Dopo la parentesi più “rock” dell’ottimo “Forma Mentis”, Senza eredità rappresenta una nuova coraggiosa ricerca del cambiamento, all’interno di un percorso artistico contrassegnato da una sensibilità e da una bellezza davvero rari, continuando a produrre album di grande valore nonostante la presenza di evidenti discontinuità, anche stilistiche.
Dopo aver “riportato in vita” Moltheni per lo spazio di un album e di un tour celebrativo durante il quale ha recuperato parte del prezioso materiale composto nella sua prima incarnazione artistica, nell'ottobre del 2023 Umberto Maria Giardini torna a incidere col suo vero nome. Mentre si trova in studio per definire i contenuti del suo prossimo disco, pubblica un Ep di tre tracce, Domus Meus, contenente un brano inedito, “Le bilance della mente”, che resta sulla falsariga di quel folk intimistico dal forte carico emozionale al quale Umberto ci ha da sempre abituati, e due canzoni riprese dal repertorio di Giardini, risuonate dal vivo, in presa diretta, presso i Mushroom Studios di Frisanco, in provincia di Pordenone.
Si tratta di “Graziaplena” (originariamente in “Futuro Proximo”, 2017) e “Anni Luce” (risalente a “La dieta dell’imperatrice”, 2012). Niente batteria, canzoni che scorrono lasciando che le emozioni si susseguano con lentezza, colpendo al cuore l’ascoltatore. Il progetto Domus Meus è accompagnato da un videoclip dal taglio documentaristico diretto da Marco Falanga, che coglie Umberto Maria Giardini mentre passeggia per le campagne friulane e durante le session in studio insieme alla band che lo accompagna: Marco Marzo Maracas (già insieme nell'avventura Pineda) alle chitarre elettriche e Michele Zanni a pianoforte, moog e rhodes, più Enrico Berto che si è occupato di registrare e mixare il tutto.
A novembre del 2023 arriva anche un nuovo album, Mondo e antimondo, che presenta un suono pieno, architettato con l’idea di innestare nell'introspettivo songwriting di Giardini le giuste dosi di rock e psichedelia, persino vaghe influenze prog che emergono ad esempio nelle cangianti strutture di “Andromeda”. Umberto si presenta intatto, immacolato, decisamente ispirato, impregnando il materiale di una poesia a tratti quasi insostenibile per la sua smisurata intensità. L'autore narra di mestieri antichi, ricorre a immagini campestri, racconta di gesti semplici con grande profondità d’animo. Attraverso superbe analisi interiori cuce storie declinate al negativo, dove non lascia mai troppe opportunità al lieto fine. Sincero e drammaticamente realista, utilizza tutta la calma del mondo per curare con piglio artigianale ogni minimo dettaglio, dedicandosi con amorevole attenzione alla definizione degli arrangiamenti.
Nelle dieci tracce di Mondo e Antimondo Giardini resta legato in maniera ferma alle proprie radici, allo stile che ha caratterizzato tutti i lavori dell’epoca post-Moltheni, esprimendo quella sua caratteristica essenza nordica, scolpita in atmosfere commoventi e malinconiche. Suonato in maniera impeccabile, a tratti con deciso vigore elettrico, impreziosito dalla sua inconfondibile voce, potente ed evocativa, Mondo e Antimondo si avvale anche di prestigiose collaborazioni, fra le quali quella di Cristiano Godano, che presta il proprio canto per interpretare “Le tue mani”, frangente non troppo distante dalle migliori ballad dei Marlene di mezzo, quelli ci “Bianco Sporco” e “Uno".
Contributi di Giuliano Delli Paoli (“Toilette memoria”), Stefano Bartolotta (“Protestantesima”)
MOLTHENI | ||
Natura In Replay (Cyclope/Bmg, 1999) | 7 | |
Fiducia Nel Nulla Migliore (Cyclope/Bmg, 2001) | 7,5 | |
Splendore Terrore (La Tempesta/Venus, 2005) | 7 | |
Toilette memoria (La Tempesta/Venus, 2006) | 6,5 | |
Io non sono come te (Ep, La Tempesta/Venus, 2006) | 6 | |
I segreti del corallo (La Tempesta, 2008) | 7 | |
Ingrediente Novus (La Tempesta, 2009) | 7,5 | |
Senza eredità (La Tempesta, 2020) | 7 | |
UMBERTO MARIA GIARDINI | ||
La dieta dell'Imperatrice (La Tempesta, 2012) | 7 | |
Ognuno di noi è un po' Anticristo(Ep, Woodworm, 2013) | 6 | |
Protestantesima (La Tempesta/Woodworm, 2015) | 6 | |
Futuro Proximo (La Tempesta, 2017) | 6,5 | |
Forma Mentis (Ala Bianca, 2019) | 7,5 | |
Domus Meas (Ep, La Tempesta, 2023) | 7 | |
Mondo e antimondo (La Tempesta, 2023) | 7 | |
PINEDA | ||
Pineda (DeAmbula, 2011) | 6 | |
STELLA MARIS | ||
Stella Maris(La Tempesta, 2017) | 6,5 |
Il circuito affascinante (videoclip da Natura in replay, 1999) | |
In centro all'orgoglio (videoclip da Natura in replay, 1999) | |
Nutriente (esibizione al Festival di Sanremo, 2000) | |
Finta gioia (videoclip da Fiducia nel nulla migliore, 2001) | |
Limite e perfezione (videoclip da Splendore terrore, 2005) | |
Nella mia bocca (videoclip da Toilette memoria, 2006) | |
Gli anni del malto (videoclip da I segreti del corallo, 2008) | |
Verano (videoclip da I segreti del corallo, 2008) | |
Il trionfo dei tuoi occhi (videoclip da La dieta dell'imperatrice, 2012) | |
Quasi nirvana (videoclip da La dieta dell'imperatrice, 2012) | |
Protestantesima (videoclip, da Protestantesima, 2015) | |
Alba boreale (videoclip, da Futuro Proximo, 2017) | |
Eleonora no (videoclip, da Stella Maris, 2017) | |
L'umanità indotta (videoclip, da Stella Maris, 2017) | |
Madre nera (videoclip, feat. Edda, 2018) | |
Pleiadi in un cielo perfetto (videoclip, da Forma Mentis, 2019) | |
Argo (videoclip, da Forma Mentis, 2019) |
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