...A Toys Orchestra

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La vita comincia a mezzanotte

Gli ...A Toys Orchestra in poco più di un decennio sono diventati un'istituzione della scena musicale indipendente italiana. Ripercorriamo assieme il loro percorso artistico dagli acerbi esordi di Job e Cuckoo Boohoo alla grande affermazione di "Technicolor Dreams", sino alla conferma della trilogia "Midnight"

di Claudio Lancia

Nel nuovo millennio si può ancora riuscire ad emergere dalla provincia cronica italiana?
Un gruppo di ragazzi di Agropoli (Salerno) ci ha provato, e nello spazio di pochi anni è diventato la dimostrazione di come con le idee giuste, con un progetto compiuto in testa, e soprattutto con delle belle canzoni, si possa ancora ambire a obiettivi importanti, anche senza partire dal centro del mondo.

La storia degli …A Toys Orchestra inizia nel 1998, in una cittadina campana dove gruppi musicali giovanili si formano e si disfano. Enzo Moretto e Raffaele Benevento militavano nei Mesulid, Ilaria D’Angelis nei Sugar And Cyanide, era il 1997, non esistevano sale prova in città, quindi per suonare le band locali affittavano delle case per testare le proprie composizioni.
Mesulid e Sugar si ritrovarono a provare nello stesso posto, s’incontrarono musicalmente, fu l’inizio della storia. Enzo, Ilaria e Raffaele diedero vita al primo nucleo degli ...A Toys Orchestra, in compagnia del batterista Fabrizio Verta, ed iniziarono a comporre i primi pezzi originali, rifacendosi a quei suoni alt-rock che negli anni Novanta erano andati per la maggiore, frullando assieme Pixies, Nirvana, un turbinio di post-punk e grunge, e una spiccata attenzione per la melodia.

I ragazzi registrarono i primi demo, e una loro cassetta riscosse l’apprezzamento della Fridge Records, che si rese disponibile a inserire  un pezzo dei Toys nella compilation che pubblicavano a cadenza annuale. Di lì a poco fu pronto un disco intero di ben 74 minuti, Job, pubblicato nel 2001, un lavoro dal quale traspaiono evidenti i primi germi del futuro sound della band, rintracciabili ad esempio nella iper-orecchiabile “Dance Of The Moth”.
Job è un lavoro istintivo, a tratti ancora ingenuo, contenente tredici tracce, alcune delle quali piuttosto dilatate (ben nove superano i cinque minuti), dove si lascia spazio a numerosi intermezzi strumentali e a improvvisazioni che sfociano in vere e proprie mini-jam, cosa che avviene già nell’iniziale “Joy- Killer- Day” e ancor di più nelle maggiormente strutturate “Learn To Unlearn” e “Merry-Go-Round”. Job fu molto influenzato dalla scena alternative rock che caratterizzò gran parte degli anni 90, ma la personalità del quartetto già si faceva largo. Non tutti i brani possono considerarsi completamente riusciti, ma i primi semi erano stati sparsi.

Nei mesi successivi il processo creativo continuò inarrestabile, e anzi ebbe un’ulteriore intensificazione: Moretto non perdeva tempo e puntualmente si preoccupava di inviare le registrazioni dei nuovi pezzi a molte label in giro per la penisola. Alla fine fu Paolo Naselli Flores della Urtovox a prenderli sotto la propria ala, colpito da alcuni demo ascoltati.
Nel frattempo la formazione si estese a un quinto elemento, Fausto Ferrara, che contribuì a sancire l’apertura verso nuove soluzioni, puntando sull’utilizzo più marcato di synth e sampler. Ferrara proveniva da ambienti legati all’elettronica, era interessato alla scena drum’n’bass, utilizzava attrezzature al momento totalmente sconosciute al resto del gruppo.

I risultati di questa fase finirono nei solchi di Cuckoo Boohoo (2004) da molti considerato il vero esordio del gruppo. Il quintetto asciugò le strutture, divenendo più focalizzato ed efficace, e il risultato fu un nuovo inizio ancor più promettente.
“Peter Pan Syndrome” (scelta per diventare il primo videoclip della formazione), “Panic Attack #  1”, “Hengie: Queen Of The Border Line” furono le grandi sorprese, le tracce che iniziarono a provocare clamore ed interesse nei confronti della band.
Brani lievi e malinconici giocati al pianoforte (“Elephant Man”, “Three Withered Roses”) si alternano a momenti più elettrici e briosi (“Modern Lucky Man”), coniugando intimismo e indie-rock. Si delinearono in maniera più netta gli ingredienti principali dell’approccio alla materia musicale degli …A Toys Orchestra. Cuckoo Boohoo rappresentò un passo avanti notevole nel percorso formativo dell’Orchestra, che a questo punto iniziava a costruirsi un proprio seguito, e non era che l’inizio...

In quel periodo Enzo iniziò a utilizzare in maniera sempre più massiccia il pianoforte in sede compositiva, a discapito della chitarra. Il risultato di questo spostamento di prospettiva generò nel 2007 quello che da molti è considerato il disco più rappresentativo degli …A Toys Orchestra: Technicolor Dreams, figlio di un momento di grandissima ispirazione. Per la produzione la band decise di farsi affiancare da Dustin O’Halloran dei Devics, in modo da entrare in contatto con un artista che potesse dare consigli e nuove linee-guida. Nella line up si verificò un importante avvicendamento: Fabrizio Verte abbandonò la partita, sostituito da Andrea Perillo, che pur non essendo (fino allora) un batterista, imparò i pezzi in poche settimane e iniziò da subito a dare un contributo significativo.
Technicolor Dreams ebbe anche un lancio europeo attraverso la Cargo, e i ragazzi affrontarono numerose date all’estero per la promozione del disco: un’esperienza formativa fondamentale che rimise in gioco la band, la quale si ritrovò a suonare davanti a platee nuove che non conoscevano nulla di loro. La veste data alle nuove composizioni era di matrice più spiccatamente elettronica rispetto al passato, il gruppo dimostrò così di essere in costante movimento dal punto di vista delle idee, pur avendo già individuato una propria precisa collocazione stilistica.
La malinconia pervase gran parte del nuovo materiale, le tante brillanti ballad che danno il tono al disco disegnano scenari struggenti ed epici: fra queste spiccano “Powder On The Words” (della quale sarà anche realizzato un videoclip), “Letter To Myself” e l’iniziale “Invisible”. Altre vette assolute si riscontrano nella trascinante synth-wave di “Cornice Dance” e nel delizioso quadretto noir “Mrs Macabrette”, che presto diventeranno colonne portanti delle loro esibizioni, nonché pezzi amatissimi dal pubblico. Altre sfaccettature cromatiche si riscontrano nell’elettroshock di “Ease Off The Bit”, nelle schitarrate di “Amnesy International”, negli svolazzi pianistici di “Santa Barbara” e “Danish Cookie Blue Box”, negli sprazzi acustici di “Be 4 Walk Away”. La conclusiva “Panic Attack # 3” chiude questo libro dei sogni, sancendo la fine dell’infanzia della band e l’ingresso nell’età adulta.

Il 23 novembre 2007 il P.I.M.I. (Premio Italiano Musica Indipendente) e la Siae nominarono Technicolor Dreams “Disco dell’anno”: fu la consacrazione da parte della critica italiana. Tre estratti del disco vennero scelti per la colonna sonora del film di Jess Manafort “The Beautiful Ordinary”, uscito nelle sale americane nel settembre 2007.
Non fu che la prima di una lunga serie di contributi che gli …A Toys Orchestra presteranno a pellicole italiane e straniere: due loro brani verranno inseriti nella seguitissima fiction Tv “I liceali”, mentre “Invisible” finirà nel soundtrack della pellicola d’esordio di Edoardo Leo, “18 anni dopo”. Ma l’evento clamoroso, che trasformerà la band in una realtà finalmente nota ai più, avverrà con l’inclusione di “Powder On The Words” nel film “Un giorno in più” di Massimo Venier, uscito a fine 2011.

Ma torniamo al 2007, quando, sulla scia del successo di Technicolor Dreams, Manuel Agnelli convocò gli …A Toys Orchestra” per il progetto Il paese è reale, facendoli partecipare alla relativa compilation con il brano inedito “What You Said”: l’ennesimo riconoscimento di un percorso virtuoso che stava imponendo il gruppo come una delle realtà più significative del panorama alternativo nazionale.
Nel 2009 la band decise di trasferirsi a Bologna, alla ricerca di una dimensione meno provinciale, ma i legami con il paese natio resteranno sempre molto forti.

L’età adulta venne certificata dal violento bacio immortalato nella copertina di Midnight Talks, che fa registrare la dipartita di Fausto e la partecipazione straordinaria di Enrico Gabrielli, che si occuperà di curare gli arrangiamenti orchestrali. Midnight Talks, pubblicato nell’aprile del 2010, fu il primo album della band realmente atteso da critica e pubblico, e l’accoglienza fu decisamente positiva. I ragazzi decisero di tornare a puntare su una tavolozza di colori un pochino più ampia, concedendo di nuovo largo spazio alle chitarre.
Melodie memorabili (“Sunny Days”, “The Day Of The Bluff”, “Plastic Romance Pt. 2”, “Pills On My Bill”, “Look In Your Eyes”, “Summer”) e ritmi irresistibili (“Red Alert”), sano alt-rock (“Mystical Mistake”, “Frankie Pyroman”), vertigini Arcade Fire (“Plastic Romance”) e rimandi alla tradizione nazional-popolare (“Celentano”) caratterizzano l’ennesimo passo in avanti della formazione campana. L’incendiaria “Backbone Blues” venne scelta per il videoclip di turno, e Beatrice Antolini si unirà alla band per il tour, al quale parteciperà anche Paolo Iocca (Franklin Delano, Blake\e\e\e, Boxeur The Coeur). Grazie a Midnight Talks gli ...A Toys Orchestra vennero nuovamente premiati dal P.I.M.I., questa volta come “Miglior Band” dell’anno, e giunsero sul podio nelle categorie “Miglior Disco” e “Miglior Tour”.

Il 24 maggio 2011 venne reso disponibile per il download gratuito (e dopo qualche giorno pubblicato in forma fisica) l’Ep Rita Lin Songs, un regalo ai propri fan contenente sei tracce, fra le quali la versione italiana di “Celentano” e la cover del celebre hit dei Duran DuranThe Chaffeur”, scelta spiazzante ma che si dimostrerà assolutamente azzeccata.
Completarono la tracklist una nuova versione di “Plastic Romance”, le inedite acustiche “Day By Day” e “Fisherman’s Psalm”, più il capolavoro “Noir Dance”, che anticipò involontariamente il disco successivo.

Fu un momento di grande produttività: il materiale scritto per Midnight Talks era tanto, sufficiente per affrontare diversi discorsi e dar vita a più di un disco.
L’idea iniziale era di fare un nuovo Ep, e invece, una volta tornati in studio, i ragazzi si resero conto di avere in mano un bel numero di buone canzoni, e arrivò un album intero, ideale continuatore del predecessore, tanto da mutuarne parzialmente il titolo.
Midnight (R)Evolution, pubblicato a fine 2011, si dimostrò disco più istintivo e rabbioso, in grado di esprimere con forza la coscienza civile di musicisti – cittadini, vogliosi di esternare alla loro maniera dei messaggi significativi.
L’album si apre con la convincente title track, che è quanto di più Arcade Fire i Toys abbiano mai realizzato. E’ solo il primo tassello di un lavoro travolgente che, come al solito, è in grado di ammaliare con l’infinita dolcezza di “Noir Dance” e “You Can’t Stop Me Now”, entrambe dotate di code superbe, ma anche di assestare sonore sferzate, come accade con “Nightmare City”. Le perfette rotondità di “Late September”, gli arrangiamenti spumeggianti di “Lotus”, le dolenti note di “Mutineer Blues”, gli slanci pop di “Welcome To Babylon” arricchiscono quello che s’impone come il disco della raggiunta maturità per Moretto e soci. Il cd è accompagnato da un interessante Dvd, contenente il documentario “Midnight Stories”, il quale ricostruisce l’intero percorso del gruppo attraverso immagini e interviste esclusive ai membri della band e ai principali collaboratori.

Nel 2012 arriva il momento della prima retrospettiva, An Introduction To..., che raccoglie alcuni fra i migliori momenti della prima parte del percorso artistico della band.
Gli …A Toys Orchestra sono ormai una delle formazioni più amate dal popolo indie italiano, Enzo Moretto si è imposto nel tempo anche come apprezzato sessionman, tanto da dare un significativo contributo in veste di chitarrista a "Il Testamento", l’esordio solista di Appino degli Zen Circus, pubblicato a marzo 2013, con il quale è andato anche in tour per promuovere il lavoro.

A questo punto il quartetto decide che è il momento di mischiare un po' gli ingredienti e, terminato il lungo tour dei due Midnight, decide di trasferirsi a Berlino per immergersi in un'atmosfera diversa. Con il contributo di Jeremy Glover in produzione, a metà ottobre arriva nei negozi Butterfly Effect, che vede anche la partecipazione del polistrumentista Julian Barrett. L'album dimostra un songwriting maturo ed evoluto, un lavoro tendente verso un alternative pop piacevole, nel quale il ruolo dell’elettronica risulta tutt’altro che secondario, e l’epicità un obiettivo importante. I soliti ingredienti del quartetto, ma frullati in maniera lievemente diversa rispetto al passato. Si gioca molto con gli anni 80, quelli plasticosi e divertenti di “Always I’m Wrong” e “Mirrorball”, e con i ritornelli gloriosi di “Come On Get Out” e “Take My Place”. Resta forte la radice Arcade Fire, evidentissima in alcuni stralci di “Fall To Restart” e “Wake Me Up”, dai titoli persino assonanti con alcune hit di Wim Butler e soci (“Ready To Start” e “Wake Up”).
Ma i veri capolavori dell’album, quelli per i quali questo disco verrà ricordato nel tempo, prendono le sembianze di due ballad sopraffine. Una è la rotonda “Quiver”, l’altra è l’algida “My Heroes Are All Dead”, mirabile incrocio fra minimal- wave e indie- pop, con tanto di crescendo finale. E’ qui che Butterfly Effect guadagna punti decisivi imponendosi come uno dei lavori italiani più riusciti del 2014.

Nell'aprile del 2016, al termine del tour di Butterfly Effect, gli ...A Toys Orchestra vengono scelti come backing band per i concerti di Nada a supporto di L'amore devi seguirlo, oltre settanta date in giro per la penisola, più importanti apparizioni televisive e radiofoniche. 

Per il lavoro successivo bisognerà attendere ben quattro anni, fino al 27 aprile 2018, quando vengono diffuse le undici nuove dark ballad che compongono Lub Dub. Dopo le divagazioni synth-pop anni 80 che caratterizzavano il progetto precedente, la band torna ad esprimersi in un linguaggio più propriamente rock: vuoi che si parta da un pianoforte (“Candies And Flowers”), da un synth (“More Than I Need”, “My Body Is A Lie”) oppure da una chitarra acustica (“Take It Easy”, “Believe”), le nuove composizioni si avviano quasi sempre scure e sofferte, accogliendo cammin facendo gli altri strumenti attraverso stratificazioni successive, arricchite da emozionali increspature. Non che manchi la necessaria spinta elettrica, sia chiaro, ma il quintetto tende a mantenere un profilo più basso del solito, distanziandosi da quella grandeur di marca Arcade Fire (in particolare presente nei due “Midnight”) che in qualche modo aveva creato un trademark riconoscibile. C’è un minuzioso lavoro svolto sotto traccia, che non sfuggirà alle orecchie più attente, in particolare colpiscono le chitarre, non di rado volutamente lasciate sullo sfondo a soddisfare la curiosità dei meno distratti, sei corde che ci auspichiamo di apprezzare più roventi e in primo piano nella trasposizione live.
Del resto l’introspezione e il lavoro di fino sono territori sui quali la band ha in passato saputo dare il meglio, ma se Lub Dub non vuole avere un piglio barricadero, non è certo considerabile privo di sobbalzi, vedi la movimentata “Tiger Claw” o la rotonda “Dance Lady Dance”, in grado di conferire dinamicità alla tracklist. “Like A Matisse” e “Someone Like You” vengono invece lasciate in uno stato pressoché embrionale, minimalista, quasi dei bozzetti con il compito di fungere da introduzione ai due brani chiave dell’album: l’avvolgente “Show Me Your Face”, dolcissimo pezzo che vale una carriera, e la conclusiva title track, resa a due voci da Enzo (che scrive tutto: musiche e testi) e Ilaria D’Angelis. Accanto e loro i compagni e amici di una vita, Raffaele Benevento e Andrea Perillo, oltre alla conferma del polistrumentista Julian Barrett, tutti perfettamente amalgamati, infallibili nel creare piccoli sogni in technicolor, alcuni dei quali destinati a divenire classici nel repertorio della band. Pillole di sana malinconia che prima ti immergono nel buio interiore e poi ti aiutano a trovare la forza per reagire, attraverso un calibrato mix di dolcezza ed energia. Le nuove “Powder On The Words” sono servite.

La saga di “Midnight” si arricchisce nel 2024 di un nuovo capitolo, Midnight Again: un album che, come e più del suo predecessore, spariglia le carte in tavola rispetto alla produzione antecedente e riesce a sorprendere in più occasioni tanto nelle sonorità (nella maggior parte dei casi distanti da quella “matrice wave” che aveva caratterizzato buona parte dei lavori pre-Lub Dub), quanto negli arrangiamenti, estremamente curati e raffinati, indice di una spiccata maturazione stilistica.
Midnight Again è un album variegato e ammaliante, che accompagna l’ascoltatore nella misteriosa oscurità della notte facendolo fluttuare sotto un cielo talvolta plumbeo e foriero di pioggia (la visionaria “Halleluja” o la straziante “Miss U”), talaltra rischiarato da coloratissimi fuochi d’artificio (la trascinante “Life Starts Tomorrow”, la scanzonata “Goodbye Day” e la trionfale “OCD Lullaby”, coi loro irresistibili fiati, inseriti con grande perizia nei differenti contesti – e a tal proposito una menzione a parte merita l’inserto sghembo in “Goodbye Day”, dove sembra quasi far capolino il buon Stanley Brinks col suo sassofono). Alcune volte la notte di Midnight Again è immersa nel pieno della tempesta più furiosa (la poderosa “Our Souls”, con le sue atmosfere tenebrose tra Dave Gahan e Mark Lanegan), altre volte è tersa e trapuntata di scintillanti stelle (la sorprendente “Take Me Home”, che dall’elegia della ballata si trasforma inaspettatamente nella visionarietà della colonna sonora western passando attraverso sfavillanti cori gospel, e la caleidoscopica “Midnight Gospel”, dove, come lascia presagire il titolo, lo stilema corale diventa leit-motiv e si innalza al cielo accendendolo di una luce quasi mistica) oppure viene illuminato da romantici chiari di luna (su tutti il duetto di Enzo con Ilaria D’Angelis nella splendida “Whatever We Are”, una dolcissima rock ballad nella quale il tappeto strumentale incornicia con garbo le due voci, assolute protagoniste della scena, che si alternano e si rincorrono per poi fondersi più e più volte in un caldo abbraccio).
Grazie alla sapiente orchestrazione di pianoforte e archi, la notte di Midnight Again è pervasa da una sottile vena malinconica (“Hero”, “Miss U”, “Sometimes I Wonder”, “Out Of Control”). Si avverte talora anche un certo senso di inquietudine (particolarmente tangibile in “Goodbye Day”, dove il theremin di Ilaria fa volteggiare nell’aria gli stessi diafani fantasmi che popolavano già, nel lontano 2004, le atmosfere di “Peter Pan Syndrome”, uno dei singoli più amati della band).

Contributi di Alessandra Trirè ("Midnight Again")

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Discografia

Job (Fridge/Venus, 2001)

5

Cuckoo Boohoo (Urtovox/Audioglobe, 2004)

5,5

Technicolor Dreams (Urtovox/Audioglobe, 2007)

7,5

Midnight Talks (Urtovox, 2010)

7

Rita-Lin Songs (Ep, Urtovox, 2011)6
Midnight (R)Evolution (Urtovox, 2011)7
An Introduction To... (Urtovox, 2012)7
Butterfly Effect (Urtovox, 2014)7
Lub Dub (Ala Bianca, 2018)7
Midnight Again (Santeria, 2024)7,5
Pietra miliare
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