Non è stata una serata per nostalgici quella di domenica 14 luglio al Rock In Roma, vuoi per la presenza in platea di molti giovani, di quelli che non avendo potuto vivere per ragioni anagrafiche l’ultima vera età d’oro della musica rock cercano in qualche modo di recuperare, vuoi perché i protagonisti della serata stanno facendo di tutto per dimostrare al mondo di avere ancora frecce appuntite al proprio arco. Sia gli Smashing Pumpkins che Mark Lanegan continuano a produrre dischi che a volte dividono critica e pubblico, ma che riescono ancora a piacere a molti, raccogliendo i frutti dei meravigliosi semi gettati un paio di decenni or sono.
La lunga serata ospitata nel consueto spazio dell’Ippodromo delle Capannelle fa quasi pensare a un mini-festival, e viene aperta dai californiani Beware Of Darkness, trio alt-rock di buona fattura, scelti da Billy Corgan come opening band del tour europeo 2013. Capitanati dal chitarrista/cantante Kyle Nicolaides, una sorta di Brian Molko molto meno affascinante, per una mezzoretta attirano l’attenzione del pubblico che ancora sta arrivando alla spicciolata. Ma quando iniziano a riscaldare l’ambiente grazie alla riuscita cover della beatlesiana “Yer Blues” ed alla conclusiva “Howl” (che apre il loro recente album d’esordio “Orthodox”, pubblicato ad inizio maggio) è già il momento di lasciare la scena a Mark Lanegan.
L’ex-leader degli Screaming Trees, più volte protagonista nei dischi dei Queens Of The Stone Age, nonché titolare di un’apprezzatissima carriera solista, si presenta full band, tutti rigorosamente in nero. Grande voce e musicisti eccelsi, ma i tre quarti d’ora scarsi di set lasciano un po’ l’amaro in bocca ai fan, non tanto per la breve durata (prevedibile, visto che trattasi di un’apertura) quanto per la scelta delle canzoni proposte, più da live club raccolto che da grande spazio open, e per il generale immobilismo che tutto sommato è una costante delle performance di Lanegan.
L’impatto di canzoni come “The Gravedigger’s Song” o “One Way Street “ è notevole, ma da un mostro sacro come lui era lecito attendersi qualche zampata vincente in più. L’unica concessione al passato remoto è “Black Rose Way”, seguita a metà scaletta da due cover ricercate: “Devil In My Mind” degli Smoke Fairies e “Creeping Coastline Of Lights” dei Leaving Trains.
Alle 21,35 entra in scena la nuova edizione delle zucche: accanto a Billy Corgan ci sono il chitarrista Jeff Schroeder, la bella Nicole Fiorentino al basso (tanto per confermare la tradizione femminile sulle quattro corde) e Mike Byrne alla batteria. C’è chi rimpiange la line-up storica, ma questi signori dimostrano di essere tutt’altro che gregari, per di più in grado di ricreare gli stessi identici suoni che da sempre contraddistinguono il marchio di fabbrica della band. Riprova ne è la doppietta iniziale “Quasar” / “Panopticon”, la stessa che apre il recente “Oceania”: il sound e la carica esplosiva son gli stessi degli anni 90. Dopo la banalotta “Starz”, ecco “Rocket” a rappresentare il primo tuffo nel passato, e se la cover della bowiana “Space Oddity” pare posticcia ed onestamente superflua, con l’incendiaria “X.Y.U.” si dà finalmente fuoco alle polveri.
Da lì il concerto decolla, ondeggiando fra indispensabili ripescaggi (“Disarm”, “Tonight”, “Today”, “Stand Inside Your Love”) e qualche concessione un tantino più tediosa ai brani di “Oceania”, fino a sfociare nel pogo selvaggio in “Bullet With Buttefly Wings” e “Zero”. Le versioni son tutte piuttosto fedeli alle originali, eccezion fatta per l’acclamatissima “Ava Adore”, resa ancor più potente con l’apporto delle due chitarre.
La lunga “United States” chiude i giochi prima del sospirato bis: un’immersione nelle prime tre tracce di “Gish”, l’esordio del gruppo, e per qualche minuto è come se il tempo si fosse fermato al 1991. E’ il trionfo, ma non è finita: la band torna sul palco per un secondo bis, forse non previsto, che si apre con la devastante cover di “Immigrant Song” dei Led Zeppelin, proposta con imprevedibile naturalezza.
Si chiude con “Cherub Rock”, ultima rappresentazione dei sogni del giovane Billy, che furono anche i sogni dei ragazzi della Generazione X.
Gli Smashing Pumpkins danno l’anima e convincono pienamente, ma è inevitabile riscontrare quanto i cavalli di battaglia continuino a funzionare dannatamente meglio rispetto alle proposte più recenti. L’unico rammarico è stata l’assenza di un’ospitata di Lanegan, un colpo di scena che avrebbe reso unico ed irripetibile lo show. Nonostante questo è stata una bella serata non solo per i nostalgici dell’alt-rock degli anni 90, realizzata da due band che cercano a tutti i costi di non apparire nostalgiche. Sul fatto di riuscirci o meno, a fine concerto ognuno avrà maturato la propria opinione.
Questo evento rappresenta un altro tassello della rassegna Rock In Roma 2013, che ha già visto transitare My Bloody Valentine, Green Day, Killers, Stereophonics, Toto, Korn, Stooges, Max Gazzé, Rammstein, Arctic Monkeys, Vaccines, Miles Kane, Bruce Springsteen e Mark Knopfler. Fino al 31 luglio si susseguiranno i concerti di Atoms For Peace, Ska-P, Casino Royale, Deep Purple, Zucchero, Daniele Silvestri, Neil Young, Devendra Banhart, Sigur Ros, Blur e Negrita. Finalmente anche Roma ha consolidato negli anni un festival ai livelli dei maggiori appuntamenti europei.
Setlist Smashing Pumpkins
Quasar
Panopticon
Starz
Rocket
Space Oddity
X.Y.U.
Disarm
Tonite Reprise
Tonight, Tonight
Pinwheels
Oceania
Thirty-Three
Ava Adore
Bullet With Butterfly Wings
One Diamond, One Heart
Pale Horse
Today
Zero
Stand Inside Your Love
United States
I Am One
Siva
Rhinoceros
Immigrant Song
Cherub Rock
Setlist Mark Lanegan
The Gravedigger’s Song
Sleep With Me
Hit The City
Gray Goes Black
One Way Street
Black Rose Way
Devil In My Mind
Creeping Coastline Of Lights
Phantasmagoria Blues
Harborview Hospital
Methamphetamine Blues