Avevo ascoltato con grande attenzione Ray Charles, notando che aveva scritto buona parte del suo vecchio repertorio. Poi arrivarono i Beatles, anche loro componevano la propria musica. Ho scoperto Miles Davis e Gil Evans, ed entro la metà degli anni 60 ero completamente rapito dalla musica di Antonio Carlos Jobim
(Robert Lamm)
Non esiste, nessuno vuole suonare quel coso ridicolo! Non ho alcuna intenzione di sembrare un folle e suonare il trombone!
(James Pankow)
E poi c'era Hendrix. Jimi è stato davvero l'ultimo che sia riuscito a spaventarmi sul serio. Suonava tutta la roba che avevo in testa io. Non potevo crederci, quando l'ho sentito per la prima volta. Cavolo, nessuno potrà mai fare quello che ha fatto lui con una chitarra. Nessuno potrà mai prendere il suo posto
(Terry Kath)
Terry Kath è il miglior chitarrista nell'universo
(Jimi Hendrix)
9 mm"Cosa pensi, che voglia farmi saltare il cervello?". Le ultime parole di Terry Alan Kath sono tra le più beffarde e inquietanti nella storia del rock, mentre il coroner arrivato nel quartiere di Woodland Hills, Los Angeles, certifica il decesso del "miglior chitarrista dell'universo" nella notte del 23 gennaio 1978. Il corpo del trentaduenne di Chicago viene avvolto in un sacco di plastica troppo piccolo per le sue dimensioni, tanto che fuoriescono i grossi stivali in pelle di serpente. "Terrò tutto sotto controllo - ha promesso ai suoi amici e compagni di band solo qualche mese prima - altrimenti questa roba mi ucciderà". L'ambulanza che trasporta il corpo svanisce nella notte losangelina, dopo l'ennesima festa a base di cocaina e superalcolici nella villa del
roadie e tecnico del suono Don Johnson. Il motivo del decesso è tra i più terrificanti, un colpo di arma da fuoco auto-inflitto per sbaglio, con una 9 mm solo apparentemente scarica. Terry è sempre stato un amante del tiro al bersaglio, ha da poco ottenuto il porto d'armi per dilettarsi con diversi revolver e fucili. Durante l'ultimo party, Johnson è visibilmente preoccupato, perché il chitarrista ha già provato a spararsi a un dito con una .38, questa sì, effettivamente scarica. "Non ti preoccupare Don - gli dice Kath - vedi il caricatore non è nemmeno inserito". Ma poi arriva quella maledetta 9 mm che per un assurdo motivo ha una pallottola rimasta in canna. Quella pallottola che spezza in un sospiro la vita di Terry, così come il futuro di una delle band più amate nella storia degli Stati Uniti d'America.
The Big Thing
"Pronto?". Il giovane e scapestrato batterista Danny Seraphine non risponde poi così convinto al telefono, in un periodo parecchio complicato nella sua adolescenza. "Ciao, sei Danny? Sono Tommy Ullo, amico. Ti chiamo perché Jimmy Ford and the Executives stanno cercando un nuovo batterista". "Cosa?", risponde quasi incredulo Danny. "Jimmy Ford and the Executives. Dwight Kalb, il batterista, sta lasciando perché vuole fare l'artista. Vogliono un sostituto subito. Ti interesserebbe fare un provino con loro?". A Danny non sembra vero, un intervento divino sotto forma di telefonata dopo aver deciso di mollare con la musica. Nato a Chicago, la "Windy City", alla fine di agosto nel 1948, Daniel Peter Seraphine è cresciuto nel quartiere italiano, appassionandosi fin da piccolo ai primi vagiti del rock 'n' roll. Ha iniziato a suonare la batteria nei corsi di musica alla St. Priscilla Catholic School, abbandonando presto gli studi per unirsi a una gang locale, la JPs. Tra bevute e risse con i rivali portoricani, a nemmeno 18 anni sta pensando di mollare tutto prima della chiamata di Tommy. Jimmy Ford and the Executives sono una tra le band più calde di Chicago, nel giro di Dick Clark per i suoi tour Cavalcade of Stars che includono artisti del calibro di Little Richard e Fats Domino. Mascherando l'emozione, Danny accetta la proposta e si presenta pochi giorni dopo a casa dello stesso Dwight Kalb, in cui conosce musicisti più grandi e affermati di lui. C'è Mike Sistack, chitarrista; Terry Kath, al basso; un sassofonista altissimo di nome Walt Parazaider. I componenti degli Executives indossano tutti dei golfini da collegiale, mentre Seraphine si presenta in giacca di pelle e brillantina tra i capelli. Il brano dell'audizione è "Papa's Got A Brand New Bag", dal repertorio di
James Brown. "Il lavoro è tuo, amico", gli dirà un soddisfatto Sistack. Cinquanta dollari a concerto, il primo tra due settimane a Pittsburgh con
Simon & Garfunkel, Four Seasons e un gruppo sconosciuto dal Regno Unito chiamato
Yardbirds. Danny quasi sviene quando apprende che ci saranno circa 10mila persone presenti.
Lavorando a braccetto sulla nuova sezione ritmica, Danny stringe amicizia con il bassista del gruppo, Terry Alan Kath. Nato il 31 gennaio 1946 e cresciuto nell'area di Norwood Park, Terry ha emulato fratello e madre appassionandosi alla musica sin dall'adolescenza. Si è procurato già a nove anni una chitarra e un piccolo amplificatore, rifiutando di prendere lezioni per esercitarsi da autodidatta ascoltando vagonate di dischi di ogni genere. Entrato nel mondo dei semi-professionisti all'interno dei Mystics, Kath è poi passato nei Jimmy Rice and the Gentlemen all'inizio del 1965. Prima di accettare il ruolo di bassista nella
road band di Dick Clark.
Nel gruppo c'è anche Walter Parazaider, originario di Maywood, formatosi all'università privata DePaul nello studio del clarinetto per una possibile affermazione come orchestrale. Walter è rimasto però folgorato dai primi dischi dei Beatles, deciso a formare una band di rock 'n' roll con l'aggiunta di strumenti a fiato. Specializzati in cover di artisti rock, R&B e soul, i Jimmy Ford and the Executives sono il giusto trampolino di lancio per coltivare il suo sogno, in attesa del grande concerto alla Civic Arena. È un autentico battesimo del fuoco per il nuovo batterista, che in breve tempo cementifica un rapporto speciale con Parazaider e Kath, mentre il gruppo suona nei principali club nell'area metropolitana di Chicago. Fino al giorno in cui i "tre moschettieri" vengono improvvisamente licenziati da Mike Sistack, perché gli Executives si fonderanno con un gruppo a fiati R&B chiamato Little Artie and the Pharaohs. "Non prendetela sul personale - pontifica Sistack - è solo business".
Fortunatamente è Parazaider a prendere in mano la situazione, dopo aver parlato con l'amico d'infanzia Chuck Madden che è alla ricerca di nuovi musicisti nel suo gruppo Missing Links. Il repertorio è composto da sole cover, ma la paga è da capogiro, ben 500 dollari a settimana. I Missing Links sono infatti molto ricercati dai diversi locali notturni di Chicago e offrono ai suoi nuovi componenti la possibilità di affinare l'intesa strumentale. Il gruppo ha però vita breve, perché nel giro di pochi mesi le richieste crollano in maniera vertiginosa. Entrato nelle aule della DePaul University per migliorare la tecnica, Seraphine propone a Walt e Terry di abbandonare i Missing Links per un progetto più ambizioso, che unisca rock e jazz in un unico
sound. Il supergruppo immaginato da Danny si scontra inizialmente con il rifiuto di Parazaider, che sta riflettendo sulla possibilità di entrare come secondo clarinetto nella Chicago Symphony. Mentre Kath viene corteggiato dagli Illinois Speed Press, gruppo rock-blues che sta per trasferirsi a Los Angeles per cavalcare il nascente movimento hippy. Ottenuto il benestare di Parazaider, Seraphine convince anche Kath, con la specifica proposta di farlo passare alla chitarra solista e soprattutto con l'entrata nel gruppo del suo grande amico Lee Loughnane. Nato nell'ottobre 1946 nell'area di Elmwood Park, Lee David Loughnane ha iniziato a suonare la tromba all'età di 11 anni, seguendo le orme paterne nella band della Army Air Force. Terminati gli studi cattolici, Loughnane si è iscritto alla DePaul University per studiare musica, convinto senza alcuna esitazione di poter diventare un musicista professionista.
La sezione fiati viene completata grazie all'introduzione di James Carter Pankow (1947), originario di St. Louis da una famiglia di origini tedesco-irlandesi. Trasferitosi a Park Ridge all'età di otto anni, James ha iniziato a suonare il trombone alla St. Paul of the Cross Elementary School, frequentando successivamente le università Quincy e DePaul. All'appello manca ancora qualcosa, un bassista che sostituisca Kath che sia però in grado di suonare anche l'organo, sulla scia di diversi musicisti dell'epoca come
Ray Manzarek. Viene così contattato Robert William Lamm, nato nel 1944 a Brooklyn, poi trasferitosi nemmeno quindicenne a Chicago dopo il secondo matrimonio della madre. Lamm si è avvicinato alla musica nel coro maschile della Grace Episcopal Church, per poi studiare musica alla Roosevelt University. Formati i Bobby Charles and the Wanderers, Lamm viene convinto da Seraphine a provare il doppio incarico ritmico, diventando il sesto membro del supergruppo tanto agognato.
Marzo 1967. Il gruppo organizza le prime prove nel sobborgo di Maywood, nel
basement della madre di Parazaider. L'alchimia musicale è subito ottima, così come quella umana: la band sarà assolutamente democratica, nessuno anteporrà il proprio ego all'obiettivo di fare buona musica. Non sarà mai "una questione di business" come nella concezione di Sistack, piuttosto un modo di vivere. Per lanciarsi nel circuito live, la band assolda il promoter locale Joe De Francisco, che propone subito un nome assai curioso: Top Banana. Ricevuti sguardi perplessi, Joe rilancia con The Big Thing, nella pronuncia Chicago-style, The Big Ting. Il progetto del nuovo manager è di rendere famoso il gruppo nella zona di Las Vegas, mentre i Big Thing provano brani come "Hold On, I'm Coming" e "(You're My) Soul And Inspiration". Il primo show è durante un sabato sera al Pussycat, celebre locale notturno, dove viene provato un
sound molto più elettrico rispetto alle prove in acustico. Inizialmente il gruppo fatica a trovare date, fino all’incontro con il giovane impresario ed esperto di marketing Phil Rapp, che li vede suonare una sera nel suo locale Barnaby's. La mossa di Rapp è decisamente estrema, offrire un box di pollo fritto insieme al biglietto, ma funziona.
La gustosa promozione attira i giovani di Chicago, così come la decisione di inserire il gruppo in apertura degli Exceptions, già molto popolari in città. I Big Thing inseriscono in scaletta brani di
Frank Zappa e
Beatles, attirando un numero crescente di persone ai propri concerti, finendo col superare gli Exceptions in termini di gradimento. La serata allo Shula's Club di Niles, Michigan vede uno spettatore in particolare, Jimmy Guercio, ascoltare la band con insolita attenzione. Classe 1945, James William Guercio ha alle spalle diverse esperienze come musicista e compositore, innanzitutto con il duo Chad & Jeremy sul singolo di successo "Distant Shores" (1966). È stato per un lampo tra i membri dei Mothers of Invention di Frank Zappa, prima di passare nello staff della Columbia Records e lavorare come produttore per il gruppo di Chicago The Buckinghams. Trasferitosi per un periodo in California, ha provato a far entrare Terry Kath negli Illinois Speed Press. Scottato dal rifiuto del chitarrista, Guercio decide di accettare l'invito dell'amico Parazaider, per scoprire appunto il gruppo scelto da Kath. "Ragazzi, voi siete la migliore band che ho ascoltato negli ultimi anni. Voglio che firmiate subito per la mia casa di produzione". I ragazzi sono al settimo cielo, si fidano di Guercio e sanno bene che le sue capacità sono molto più potenti del pollo fritto di Rapp. Nonostante un poco rassicurante parere legale - "fate attenzione, questo contratto vi legherà a lui mani e piedi" - i Big Thing firmano in un baleno, mentre Guercio parla già di un album d'esordio da registrare in California.
Chicago Transit Authority
Dopo aver firmato con Guercio, i Big Thing seguono con interesse le voci su un possibile addio di Peter Cetera agli Exceptions. Classe 1944, Peter Paul Cetera è originario dell'area a sud di Morgan Park, entrato da giovanissimo al Archbishop Quigley Preparatory Seminary su insistenza della madre che lo voleva prete. All'età di undici anni si è avvicinato alla musica tramite il canto, impratichendosi con una fisarmonica al posto della desiderata chitarra. Definito "un prodigio della polka", Peter si è avvicinato al rock 'n' roll verso i 15 anni, andando a vedere un concerto dei Rebel Rockers con gli amici. Ha così iniziato a suonare il basso in diversi gruppi non professionisti, appassionandosi ai
Beatles dopo Gene Vincent. Fino all'incontro con gli Exceptions alla metà degli
anni 60, firmando la sua prima canzone "Come On Home".
Rispettato da tutti per le sue innate qualità canore e strumentali, Cetera arriva allo scontro con gli Exceptions nella primavera del 1967, contrario alla svolta psichedelica voluta dagli altri membri del gruppo. "Perché non ti unisci alla nostra band - gli chiede Seraphine - saresti perfetto per le tonalità vocali più alte". Cetera sembra perfetto per virare verso un
sound più rock, ma inizialmente Guercio non avalla il suo inserimento, giudicandolo "troppo primadonna". In aggiunta, la personalità assertiva di Peter non si amalgama bene con quella più sopra le righe di Kath. Cetera inizia comunque a provare con la band, ora alla ricerca di materiale originale da affiancare alle solite cover. L'estate americana nel 1967 è caldissima, sia a livello musicale che politico, con sempre più frequenti e accesi scontri tra i sostenitori dei diritti civili e la polizia, mentre cresce la frustrazione generale per la guerra in Vietnam.
Prima di tornare in California, Guercio suggerisce al gruppo di ascoltare attentamente il lavoro dei Vanilla Fudge, nuova deriva di
rock psichedelico a partire dai classici del soul come "You Keep Me Hangin' On" delle
Supremes. I Big Thing iniziano così a provare i primi brani scritti da Lamm, scontrandosi con i gestori dei vari locali di Chicago che vogliono esclusivamente cover. Le nuove scalette creano più di un problema sul circuito notturno locale, facendo crollare di botto le prenotazioni del gruppo, ormai sull'orlo del collasso. Per sopravvivere, la band chiama Guercio e chiede di potersi trasferire in California, affidata alle cure del manager Larry Fitzgerald. Diventati sette, i Big Thing ottengono una paga di 45 dollari a settimana e un piccolo appartamento in Holly Drive, nel quartiere di Hollywood a Los Angeles. Dal Troubadour al Whisky a Go Go, i locali notturni sulla famosa Strip pullulano di musica e belle ragazze, ma il gruppo è concentrato sul lavoro, mentre Lamm e Pankow continuano a scrivere nuovi brani sui tumulti sociali che sconvolgono gli States dopo le tragiche morti di Martin Luther King e Robert Kennedy.
La nuova mossa di Guercio prevede un cambio di nome per la band, che abbandona il mai apprezzato The Big Thing per adottare quello di Chicago Transit Authority, da una compagnia di autobus spesso utilizzata in passato. Arriva così il primo live a Venice Beach, in apertura di
Frank Zappa and the Mothers of Invention, davanti a 60mila persone festanti tra ragazze in topless e fortissimo odore di marijuana. La risposta del pubblico - al netto delle droghe leggere - è buona, mentre i nuovi Cta si sentono finalmente liberi sotto il sole della
West Coast.
Dopo diversi e frustranti concerti in club per vip, il gruppo suona in apertura ai Love all'Earl Warren Showgrounds di Santa Barbara, ottenendo però un modesto successo davanti a oltre 50mila persone. La band ha paura di essere solo una delle tante formazioni del Midwest, fino all'incontro con Elmer Valentine e Mario Maglieri, ex-poliziotti di origini italiane provenienti proprio da Chicago, soprattutto proprietari del frequentatissimo Whisky a Go Go, sulla Strip. I due prendono a cuore le sorti dei Cta, facendoli suonare regolarmente e alimentando il passaparola tra i frequentatori del locale. Il pubblico aumenta così esponenzialmente, permettendo a Guercio di invitare i referenti A&R della Cbs all'interno di un suo accordo con l'etichetta discografica. Il gruppo è scatenato quando nel
backstage appare
Jimi Hendrix in persona, che si prodigherà pubblicamente in lodi sperticate sul "miglior chitarrista dell'universo". Il grande salto è a un passo, quando la band scopre che suonerà in apertura a
Janis Joplin con i suoi Big Brother and the Holding Company al Fillmore West di San Francisco, l'attuale mecca del pensiero progressista e del
flower-power.
Mentre i Cta sperimentano le prime dosi di Lsd, Guercio è al lavoro per assicurare un contratto discografico con l'amica Columbia, che inizialmente rifiuta di farli entrare perché ha già assoldato i Blood, Sweat and Tears. Ma la Columbia vuole Guercio per produrre gli stessi Bst, così nasce l'idea: lavorare al secondo disco omonimo della band di New York per far scritturare i Chicago Transit Authority. Il gruppo vola sulla East Coast per sistemarsi al City Square Hotel a Times Square, lavorando ai Cbs Studios su 42nd Street per le prime sessioni di registrazione dopo due anni di live e prove.
The Chicago Transit Authority viene così prodotto in poco meno di una settimana nel gennaio 1969, un totale di 12 brani per quasi un'ora e venti di musica, che la band vuole pubblicare in un doppio album. I vertici della Columbia restano basiti, in pochissimi hanno azzardato un doppio disco all'esordio, ma alla fine accettano in cambio di una drastica riduzione nelle
royalties.
Anche noto in forma abbreviata come Cta, il disco viene pubblicato il 28 aprile 1969, aperto dal manifesto di Terry Kath "Introduction", sconvolgente jam accesa dalla sezione fiati in stile Motown e liberata in corsa tra movimenti free-jazz, ritmi da orchestra e svisate hard-blues che mettono subito in mostra il talento cristallino del nuovo protetto di
Jimi Hendrix. Il
sound della band è caratterizzato dagli intensi dialoghi in
free-form con la sezione fiati, quando il piano di Lamm prende il comando in "Does Anybody Really Know What Time It Is?", che riprende il gusto orchestrale della Tin Pan Alley in mix con il canto da
crooner e il pop lisergico dei
Beatles. Un delicato e arioso arpeggio acustico apre la successiva "Beginnings", ancora affidata alle tonalità da
crooner di Lamm che trova ispirazione dal lavoro di Richie Havens. Gli ultimi minuti del brano mostrano come una sezione fiati possa amalgamarsi perfettamente in un contesto tra jazz e rock, seguita dall'irresistibile coda caraibica.
L'acida "Questions 67 and 68" rivisita il formato della ballata ritmica in chiave soul-rock, affidata per la prima volta alla voce suadente di Cetera. "Listen" vira verso un
blues martellante sulla potente linea di basso in salsa funky, che viene ripresa dalla chitarra fiammeggiante di Kath per aprire e comandare l'ossessiva cavalcata "Poem 58". Il talento di Terry è definitivamente liberato tra le distorsioni strumentali di "Free Form Guitar", idealmente la "Revolution 9" del gruppo. Ancora il quartetto di Liverpool viene citato tra le righe del sensuale hard-blues "South California Purples", prima dello stupefacente ritmo in levare in chiave latin-jazz dell'unica cover, "I'm A Man", dallo Spencer Davis Group di
Steve Winwood.
L'ultima facciata del disco è aperta da "Prologue, August 29, 1968", breve registrazione di Guercio con il coro di protesta
The Whole World Is Watching davanti al Conrad Hilton Hotel di Chicago durante la convention democratica del 1968. Le proteste contro la guerra in Vietnam scorrono sul ritmo R&B di "Someday (August 29, 1968)", sfumate sul pirotecnico finale di quasi 15 minuti, la maestosa maratona "Liberation" scritta da Pankow tra blues incendiario, battiti soul e improvvisazione
free-form. Smentendo anche il più roseo degli ottimisti, il doppio disco volerà nella
Billboard 200 fino al diciassettesimo posto, restandoci per un periodo record di 171 settimane consecutive. Il gruppo verrà inoltre nominato per l'assegnazione del
Grammy Award for Best New Artist per l'anno in corso, andando a prendersi con la forza ben due dischi di platino con oltre 2 milioni di copie vendute negli States.
Chicago
Uscito sul mercato statunitense nella primavera del 1969, l'album
The Chicago Transit Authority fatica inizialmente a trovare consensi, osteggiato principalmente dalle radio Am, a causa di brani ritenuti troppo lunghi per l'
airplay. Gli sforzi profusi in marketing della Columbia sono tutti per i Blood, Sweat & Tears, mentre il gruppo si sbatte in diversi concerti nell'area di Los Angeles prima della chiamata miracolosa di
Jimi Hendrix, che vuole proprio loro in apertura dopo l'incendiaria esibizione al Monterey Pop Festival. La prima esibizione con il chitarrista è al Coliseum di Charlotte, in North Carolina, dove il pubblico apprezza il materiale del nuovo disco e il virtuosismo di Kath, innescando un passaparola decisivo per le sorti del gruppo.
I Cta si esibiscono tra San Francisco e New York, dove si fermano in estate per registrare subito un secondo disco con Guercio. Il titolo sarà semplicemente
Chicago - successivamente noto come "Chicago II" - dal momento che il
management della band ha suggerito di accorciare il nome dopo le minacce legali dell'omonima compagnia di trasporti. Ancora una volta viene registrato materiale per un doppio album, che nelle intenzioni del gruppo dovrà essere più controllato e meno grezzo del disco d'esordio. Il nuovo lavoro vede l'introduzione del logo in corsivo disegnato dall'
art director della Columbia, John Berg, ispirato a quello stranoto della Coca-Cola. Il lavoro agli studi Cbs è incentrato sulla nuova composizione di Pankow, la suite "Ballet For A Girl In Buchannon", che racconta del suo tentativo di riconquistare l'ex-fidanzata Terrie Heisler. È il primo esperimento del gruppo su un lungo formato composto da più movimenti, a partire da un approccio più
radio-friendly sul pop-soul "Make Me Smile". Il brano viene tagliato fino al formato accettabile di tre minuti e trentadue secondi, in cui si respira una maggiore ariosità che sfocia nel ritornello scanzonato.
Dal passo di valzer in "So Much To Say, So Much To Give" alla polvere western di "Anxiety's Moment", la suite si apre sul progressive strumentale "West Virginia Fantasies" per poi rallentare sulla
piano ballad romantica "Colour My World". Mentre la band suona in 4/4, il ritmo in 3/4 della batteria di Seraphine scandisce la sincopata "To Be Free", accompagnando Kath sul finale "Now More Than Ever" che riprende il tema centrale di "Make Me Smile".
Aperto dal mix di soul stile
fifties e jazz orchestrale in "Movin' In",
Chicago continua con la sperimentazione di un
sound sempre in bilico tra equilibrio e architetture sghembe. La melodica "The Road" vira subito verso un complesso ritmo progressive, mentre il piano conduce l'oscura fanfara
beatlesiana "Poem For The People". Riprendendo la tradizione blues nella calda "In The Country" - funziona a meraviglia l'alchimia tra Kath e Cetera - il gruppo introduce progressivamente atmosfere corali più pop, come nella "Wake Up Sunshine" in odore di
Beach Boys.
Il terzo lato dell'album è aperto dalla marcia "Fancy Colours", trasformata in ritmo latino tra effetti
wah-wah, squilli di tromba e flauto. Il nuovo corso è segnato dalla stupefacente "25 Or 6 To 4", composta da Lamm sulla frustrante urgenza di scrivere un brano nel cuore della notte, un mix di hard-blues
zeppeliniano - molto simile la progressione degli accordi su "Babe, I'm Gonna Leave You" uscita un anno prima - e armonie orecchiabili in tonalità folk che scala la classifica di Billboard fino al quarto posto tra i 100 singoli più venduti. I Chicago insistono con il formato suite aprendo in stile classico i circa 9 minuti di "Memories Of Love", in collaborazione con il compositore e conduttore americano Peter Matz. Gli arrangiamenti sono al limite del
disneyano, fino alla struggente interpretazione da
crooner di Kath che sfocia sul
riff funky di "It Better End Soon", altra opera in quattro movimenti per oltre dieci minuti di durata. Concepito come forma di protesta in musica per la guerra in Vietnam, il brano passa con estrema nonchalance dal folk pastorale all'improvvisazione jazz, dalle scale di
blues elettrico all'intensità del soul.
È un manifesto di superiorità tecnica e versatilità invidiabile, ora reso ancora più appetibile per il mercato di massa grazie a una maggiore inclinazione verso il formato radiofonico, come sull'elegante finale pop autoriale affidato a Cetera, "Where Do We Go From Here?".
Dopo aver suonato davanti a più di 100mila persone all'Atlantic City Pop Festival, i Chicago entrano nel giro che conta, invitati a esibirsi a Woodstock mentre terminano le registrazioni dell'omonimo album. Ma la band ha un contratto con l'impresario Bill Graham e deve onorare alcune date in contemporanea al Fillmore West di San Francisco. Echeggiano voci di corridoio: lo stesso Graham non vuole che la band si esibisca a Woodstock per non oscurare i
Santana, meglio tenerla alla larga dal festival che, tra l'altro, farà esplodere definitivamente Carlos e i suoi. Il gruppo si consola tornando per la prima volta a casa, all'Auditorium Theater di Chicago, nel
Thanksgiving Day.
Arriva poi il primo tour europeo, che parte alla Royal Albert Hall di Londra per proseguire verso Francia e Svizzera, al cospetto di un pubblico in estasi. Quando tornano negli States, i Chicago apprendono che il loro secondo disco, uscito nel gennaio 1970, ha superato le 500mila copie vendute. Sfiancato da oltre 250 date live in tutto il 1969, il gruppo si presenta negli uffici del
management per battere cassa, scoprendo con assoluto sgomento che, tra costi di produzione e tour, deve in realtà migliaia di dollari a Guercio. Sono gli effetti devastanti del contratto firmato all'epoca dei Big Thing, il conto da pagare per ottenere la celebrità nazionale quando "Make Me Smile" e "Colour My World" non smettono di passare per le radio americane. I Chicago sono ora sulle orecchie di tutti, pronti a fare il grande salto tra hotel di lusso,
groupie assatanate e un imponente aereo privato.
Alla Carnegie HallNonostante le condizioni contrattuali dettate da Guercio, gli ottimi risultati del secondo album permettono al gruppo di stabilizzarsi economicamente e concentrarsi con maggiore serenità sulle prossime mosse. Ci sono diversi brani tenuti fuori dai primi due dischi, nuove composizioni su cui lavorare e soprattutto diversi stili musicali da sperimentare. I sette sono esausti per la continua attività live fino al giugno 1970, quando tornano a New York negli studi Cbs per registrare
Chicago III, ancora (incredibilmente) un doppio album in uscita nel gennaio 1971.
Il disco parte sulle tonalità funky della lunga jam "Sing A Mean Tune Kid", lasciando spazio al frenetico
wah-wah di Kath prima di virare verso l'ormai caratteristica improvvisazione
jazzy in "Loneliness Is Just A Word". Con due album alle spalle, la band si concentra su un livello compositivo più certosino, come nell'armonica "What Else Can I Say" che danza su ritmo di valzer psichedelico tra raffinati arrangiamenti vocali. La forza e l'inventiva strumentale di Kath vengono liberate senza freni sull'hard-blues "I Don't Want Your Money", a metà tra i Canned Heat e gli Electric Flag. Il secondo lato del disco è interamente occupato dagli oltre venti minuti della "Travel Suite", introdotta dal morbido folk acustico "Flight 602" - tra le novità nel
sound della band - e scandita dall'assolo di batteria di Seraphine in "Motorboat To Mars". Lamm porta i fiati sull'aggressivo
uptempo rock "Free", seguito a ruota dalla pura improvvisazione nella sperimentale "Free Country". La suite viene ammorbidita dal
sound più rilassato in "At The Sunrise" e "Happy 'Cause I'm Going Home", che viaggiano su binari tra il pop
beatlesiano e progressioni latine in
la-la-la.
L'album è un nuovo fiume in piena, dal free-jazz "Mother" a "Lowdown", secondo brano scritto da Cetera con Danny Seraphine. "Non dite mai a nessuno che io ho suonato in quel pezzo", dirà Terry Kath ai compagni, ma lo stile scazzato porta il brano alla perfetta dose di relax elettrificato. È lo stesso chitarrista a firmare la gemma "An Hour In The Shower", mini-suite che parte con un blues acustico ("A Hard Risin' Morning Without Breakfast") per accelerare improvvisamente con i fiati soul ("Off To Work") e sterzare sulla psichedelia ("Dreamin' Home") prima di chiudere il cerchio sonico con il tema centrale ("Morning Blues Again"). Per certi versi, un lavoro molto simile al medley dei
Beatles sulla seconda parte di "
Abbey Road".
Chicago III si chiude con il
magnum opus di Pankow in sei parti, "Elegy", che parte con la breve narrazione in "When All The Laughter Dies In Sorrow", ritorno alla protesta contro il governo americano. "Once Upon A Time..." svolazza classicheggiante, mentre "Progress?" si avventura nei territori inesplorati della musica concreta. Negli ultimi due momenti, "The Approaching Storm" e "Man vs. Man: The End", l'intera band si lancia senza paracadute verso un jazz-rock sopraffino, perfetto esempio di musica fusion senza compromessi.
Mentre il consumo di cocaina inizia a serpeggiare all'interno dei Chicago, il terzo doppio album scala le classifiche americane, avviandosi verso il disco di platino e trascinando vecchi singoli del primo Lp, che ora spopolano nelle
chart. Di ritorno nel Regno Unito, la band affronta la stampa di settore che non ha apprezzato
Chicago III, scatenando l'ira di Kath: "Andate a fare in culo tutti,
Eric Clapton fa schifo". Ad aprile, in terra statunitense, il gruppo si esibisce per una settimana consecutiva alla celebre Carnegie Hall di New York, prima formazione rock ad avere l'onore di suonare per sette date di fila in un autentico tempio della musica classica. Le prove non sono affatto facili, perché l'acustica della sala non si adatta al
sound della band, soprattutto alla sezione fiati. L'idea è di registrare i diversi concerti per un primo disco dal vivo, inizialmente proposto con un missaggio quadrifonico, poi abbandonato. La Columbia è a dir poco scettica a causa della sua lunghezza spropositata, un quadruplo album per quasi tre ore di musica.
Chicago At Carnegie Hall - meglio noto come "Chicago IV" - esce alla fine di ottobre, criticato dalla stampa musicale per l'eccessiva durata e soprattutto per la resa acustica che appiattisce percussioni e chitarra elettrica, così come la sezione fiati che è ovviamente tra i principali punti di forza del gruppo. Per l'ascoltatore è una vera e propria maratona, mentre la band si riscalda prima di salutare il pubblico e attaccare "In The Country". I problemi acustici sono subito evidenti, in particolare sui fiati che subiscono un effetto stile kazoo, mentre l'esplosiva chitarra di Kath viene come relegata in secondo piano. "Suoneremo tanti brani dai nostri primi tre album", promette Cetera al pubblico prima di "Fancy Colours", la cui scatenata coda caraibica è sicuramente meno coinvolgente rispetto all'originale su disco. Il concerto prosegue con il
tour de force pianistico che apre "Does Anybody Really Know What Time It Is?", seguita dalla chilometrica "South California Purples" che mette al centro le colossali architetture blues in
wah-wah di Kath.
La platea accoglie con piacere l'acida "Question 67 And 68", che sfocia nell'altra cavalcata funky-jazz "Sing A Mean Tune Kid", effettivamente depotenziata da un
sound non all'altezza della tecnica dei sette. Meglio, ad esempio, sulla suite
progressive "It Better End Soon" - grande assolo di flauto di Parazaider - o nello scatenato hard-blues "Introduction", nonostante l'appiattimento della
performance vocale di Kath.
I Chicago dimostrano comunque di essere una live band coi controfiocchi quando parte la progressione ritmica di "Mother" e la recente "Travel Suite", che occupa interamente il sesto lato del disco. La band non si risparmia, mettendo in scena l'altra suite "Ballet For A Girl In Buchannon" con l'accorata versione di "Make Me Smile". Ad aprire l'ultimo lato è l'inedita "A Song For Richard And His Friends", "dedicata" a Richard Nixon con un
blend di jazz e blues al gusto prog.
Si chiude in bellezza con la strepitosa cavalcata
latin della cover "I'm A Man". Con oltre un milione di copie vendute e un terzo posto raggiunto nella classifica di
Billboard,
Chicago At Carnegie Hall è un album che balla tra la straordinaria versatilità live e una resa audio non all'altezza della grandiosità del gruppo.
Live in JapanDopo l'abbuffata live alla Carnegie Hall, i Chicago volano nuovamente a New York alla fine di settembre per avviare le sessioni di registrazione di un nuovo album. Con milioni di copie vendute e fan in continuo aumento, la band decide che è arrivato il momento di lavorare a brani più brevi, più adattabili al formato radiofonico.
Chicago V esce nell'estate 1972, per la prima volta come disco singolo per una durata complessiva di circa 45 minuti, principalmente composto da Lamm con una maggiore attenzione a un sound più commerciale, non oltre i sei minuti di durata per singolo brano. La nuova avventura
progressive che apre l'album è "A Hit By Varèse", ispirata dal lavoro del compositore francese Edgard Varèse e condotta in modalità
free-form a metà tra
Emerson Lake & Palmer e
Yes. La lunghezza si ferma a 4 minuti e 54 secondi, a dimostrazione delle nuove intenzioni del gruppo che vuole abbandonare le jam sperimentali più estenuanti. Il massiccio contributo di Robert Lamm prosegue subito con le rilassate atmosfere vocali
à-la Beach Boys in "All Is Well", mentre Pankow torna al
sound più fusion del secondo album nell'aggressiva "Now That You've Gone". Il lirismo del gruppo non dimentica il messaggio di denuncia politica: nell'arioso
uptempo in due parti "Dialogue", le voci e gli strumenti di Kath e Cetera dialogano sui problemi dell'America. L'approccio è effettivamente più
mainstream rispetto alle furiose sperimentazioni dei primi dischi, ma i Chicago contano sul proprio stato di grazia per evitare inciampi, come sull'orchestrazione sopraffina di
wah-wah, fiati e cori nella coda della stessa mini-suite.
La seconda facciata del disco si apre con la sintetica jam "While The City Sleeps", anticipando quella che diventerà una delle hit più conosciute e apprezzate del gruppo, lo scintillante power-pop "Saturday In The Park" che scala immediatamente le classifiche dei singoli fino al primo posto. È il brano cardine del nuovo corso più melodico, che trascina tutto il lavoro verso il doppio disco di platino con oltre 2 milioni di copie vendute. Seguono i due brani più lunghi, lo strepitoso ritmo hard-funky di "State Of The Union" - grande prestazione su voce e basso di Cetera - e l'improvvisazione soft-jazz di "Goodbye". A chiudere, la lentezza
hendrixiana di "Alma Mater", portata da un Kath in generale meno coinvolto nel processo creativo, più raffinato esecutore di un nuovo
sound che strizza l'occhio alle radio e vende vagonate di copie.
Per cavalcare il successo di
Chicago V, la band si imbarca nel suo primo tour mondiale che tocca ben 16 nazioni in circa un mese. I rapporti personali tra i sette sono però minati da normali incomprensioni generate da una vita sempre in giro per il globo, aggravate dalla decisione di portare mogli e fidanzate. A Stoccolma va in scena un furioso litigio che per poco pone fine all'avventura dei Chicago, risolto dalla regola autoimposta di non portare più le rispettive metà in un intero tour. Al ritorno negli States vengono contattati dal famoso produttore Quincy Jones che sta organizzando un tributo a Duke Ellington in uno show tv alla Cbs, con leggende come Ray Charles e
Aretha Franklin. I Chicago scelgono "Jump For Joy", guadagnando il rispetto della scena jazz americana che all'inizio ha storto il naso per la scelta di Jones.
Con la distribuzione locale di Sony Japan, la Cbs pubblica alla fine del 1972 il doppio disco
Live in Japan, tratto da tre esibizioni del gruppo alla Osaka Festival Hall nel giugno precedente. Il nuovo
live album rende finalmente giustizia al
sound del gruppo dopo i problemi alla Carnegie Hall, grazie alla registrazione in presa diretta con due sistemi a otto tracce. Se il live newyorkese risulta probabilmente più soddisfacente da un punto di vista tecnico, quello a Osaka racchiude un senso più urgente e genuino, a partire dal dialogo tra basso e chitarra nelle due parti della recente "Dialogue". Il doppio album è la quintessenza della versione
seventies del gruppo, tra abbigliamento hippie e sgasate in
wah-wah. Con il contributo lirico di Osamu Kitayama, "Lowdown" viene cantata in giapponese, prima della cavalcata "State Of The Union".
Rispetto alla Carnegie Hall, il
sound della suite di quasi 15 minuti "Ballet For A Girl In Buchannon" è assolutamente fedele a quello su disco, con la sezione fiati in primissimo piano. Kath prende il comando sul funky-blues "Mississippi Delta City Blues", portata in tour dopo l'esclusione dalla
tracklist di
Chicago V. Ancora in lingua giapponese la versione di "Questions 67 And 68", ultima linea melodica prima del furioso e magnifico finale, composto dal trittico "25 Or 6 To 4", "I'm A Man" e "Free". La band è al massimo della forma, nonostante gli impegni ravvicinati, tra imponenti cavalcate hard-blues e arrangiamenti
latin-soul-jazz da urlo.
VI & VII
All'inizio del 1973 i Chicago abbandonano gli studi Cbs a New York per registrare al nuovo Caribou Ranch ultimato in Colorado da Guercio, nel cuore delle Rocky Mountains. A differenza di molti studi del tempo, il Caribou Ranch è un luogo per lavorare ma anche da vivere, offrendo ai musicisti stanze per rilassarsi. Un'altra grande differenza sta nei tempi di registrazione, che ora possono essere meno restrittivi dal momento che non ci sono altre band prenotate. È uno spazio totalmente dedicato al gruppo, che ha appena portato un disco al primo posto in classifica e ora rilancia con un nuovo membro, il percussionista brasiliano Laudir de Oliveira. Conosciuto tramite diverse jam con il gruppo di Sergio Mendes, Laudir dovrà arricchire le già note influenze
latin della band. Parte delle sessioni di registrazione viene ripresa dalla Dick Clark Productions per uno special televisivo chiamato "Chicago in the Rockies".
L'atmosfera e i tempi del Caribou Ranch cambiano il ritmo compositivo del gruppo, che lavora di giorno per poi distruggersi la sera tra donne, alcol e cocaina. A preoccupare in particolare è la mancanza di freni in Terry Kath, che ha da poco iniziato a coltivare l'hobby delle armi da fuoco, sparando visibilmente alterato a lattine di birra posizionate come bersagli all'esterno del Ranch. Noti alla stampa con l'etichetta di
Mercedes of Rock - a rimarcare un'immagine di serietà, eleganza e sobrietà - i Chicago cercano a tutti i costi di mantenere un'aura diversa da quella di gruppi come gli
Zeppelin. Kath riesce a suonare divinamente anche da strafatto, ma gli altri membri sono sempre più preoccupati a causa del suo generale declino psico-fisico.
Nel maggio 1973 il gruppo torna in tour negli States ospitando in apertura un giovanissimo
Bruce Springsteen, da poco uscito sul mercato con il suo album di debutto "Greetings From Asbury Park N.J.". Un mese dopo esce
Chicago VI, introdotto dal pianoforte mellifluo di "Critics' Choice", altra composizione di Lamm in risposta a diverse critiche piovute sul gruppo dopo la presunta svolta commerciale in
Chicago V. L'aggressività dei primi album sembra però svanita, soppiantata da un più tenero
easy listening nella
pop-ballad "Just You 'n' Me" scritta da Pankow. L'album è insolitamente breve - nemmeno 40 minuti - realizzato partendo da brani efficaci ma decisamente meno sperimentali, come il classico tempo blues-rock di "Darlin' Dear", dove molti notano una somiglianza con i Little Feat. Kath firma l'accorata "Jenny" lavorando su uno stile chitarristico vicino alla "Angel" di
Jimi Hendrix, accompagnato dalle congas del nuovo arrivato Laudir de Olivera.
In generale, l'album segna una virata verso un approccio Middle Of the Road (MOR), portando le tipiche tendenze fusion verso un
sound più orecchiabile come in "What's This World Comin' To". "Something in This City Changes People" gioca con le melodie vocali più dolci sul mix tra piano classico e leggerezze latine, così come in "Hollywood" è percepibile il modo in cui il
sound tipico del gruppo rallenti per favorire un ascolto rilassato e senza impegni. Non per forza un male, perché la struttura dei brani resta di alto livello, con il basso di Cetera a dialogare con il nuovo interlocutore brasiliano. "In Terms Of Two" introduce l'armonica per disegnare un panorama country-pop, seguito dalle sinuosità sussurrate dalla chitarra in
wah-wah di "Rediscovery". La nuova hit è "Feelin' Stronger Every Day",
uptempo rock scritto da Pankow con Cetera sulle relazioni difficili ma ancora molto solide tra i componenti stessi della band.
Chicago VI bissa il successo del disco precedente, piazzandosi ancora una volta al primo posto della classifica di
Billboard, facilitato da un
sound più appetibile per il grande pubblico.
Tornata in tour, la band sottopone a un legale il nuovo contratto di Guercio con la Columbia, per evitare l'errore fatto cinque anni prima. I termini non sono favorevolissimi, ma l'unico a contestarli è Danny Seraphine, visto che gli altri membri sembrano abbondantemente soddisfatti dello
status raggiunto, artisticamente e finanziariamente. I Chicago firmano così senza troppe contrattazioni, tornando agli studi Caribou Ranch nell'estate del 1973, per pianificare la prossima mossa discografica. Emerge però una prima spaccatura interna al gruppo, con Seraphine a caldeggiare un ritorno immediato alle radici jazz e R&B dopo gli ultimi rallentamenti commerciali. Dall'altra parte ci sono principalmente Peter Cetera e Guercio, che non vedono il motivo di abbandonare un
sound MOR spacca-classifiche.
L'allarme rientra trovando una via di mezzo, pubblicando ancora un doppio disco che esce nel marzo 1974.
Chicago VII è aperto non a caso dallo strumentale
tropicalista "Prelude To Aire", condotto da percussioni e flauto a confluire nella successiva "Aire", in cui l'approccio carioca di Laudir de Oliveira si fonde con la sezione fiati nello stile dei
Weather Report. È l'anima sperimentale della band che vuole riaffiorare sulle radici di jazz e R&B, affidandosi all'elegante assolo di Kath prima di lanciarsi negli oltre dieci minuti di "Devil's Sweet". Il ritmo notturno di Seraphine è accompagnato da arrangiamenti
à-la Miles Davis, in accelerazione tra effetti spaziali di tastiere e sintetizzatori, con l'inserimento del nuovo membro esterno, David James "Hawk" Wolinski. L'approccio sperimentale è estremizzato nella successiva "Italian From New York", ai limiti della musica concreta, con l'uso massivo del sintetizzatore Arp suonato da Lamm in dialogo con il
wah-wah fantascientifico di Kath. Un inizio di album mai ascoltato dai fan dei Chicago, totalmente privo di voci fino al breve intermezzo fusion "Hanky Panky".
Dall'ipnotico
midtempo funky "Life Saver" inizia un altro disco, con un progressivo ammorbidimento dei toni e dunque una decisa virata verso il cosiddetto Mor. La band è ancora in grado di sprigionare splendide cavalcate soniche, ma il desiderio di ammiccamento verso le classifiche si traduce in tonalità più rilassate e romantiche, come in "Happy Man". "(I've Been) Searchin' So Long" è la nuova hit che arriva all'ottava posizione nella classifica dedicata al genere
Adult Contemporary, un brano mellifluo e sognante che mescola certe atmosfere progressive degli
Yes con lo stile vocale dei
Beach Boys. Se la spensierata "Mongonucleosis" gioca con funk e arrangiamenti
à-la Tito Puente, "Song Of The Evergreens" è il primo contributo diretto di Terry Kath al disco, sospesa a galleggiare in un
sound spaziale prima di accelerare su un soft-rock potenziato. Il chitarrista esalta le sue immense doti tecniche sulla successiva "Byblos", serenata acustica in salsa latina.
L'altra faccia del disco è nell'eterea
pop ballad "Wishing You Were Here", con il contributo speciale ai cori di Al Jardine con Carl e Dennis Wilson, che mette il vecchio spirito hippy al servizio di nuove necessità commerciali. La successiva "Call On Me" è infatti un duplicato di "Saturday In The Park" per evocare scene da tramonto sulla spiaggia sul ritmo composto delle percussioni da Ipanema Beach. Decisamente più interessante il
wah-wah che conduce il funky-jazz "Women Don't Want To Love Me", seguito dal caldo gospel-soul "Skinny Boy".
In equilibrio tra sperimentazioni di alto livello e ancheggiamenti commerciali,
Chicago VII resta un disco pienamente centrato, nonostante le prime divergenze interne alla band.
La svolta popLe sessioni di registrazione agli studi Caribou Ranch terminano a fine 1973, seguite da un breve tour americano con i
Beach Boys, assistiti da Guercio nel tentativo di risalire la china nelle classifiche a stelle e strisce. L'ennesimo successo commerciale con
Chicago VII porta il manager a spremere ulteriormente la band, che si riunisce ancora in Colorado nell'estate del 1974. Le energie creative sono però in via di esaurimento, tanto che Laudir de Oliveira viene inserito in pianta stabile come ottavo membro del gruppo.
Chicago VIII esce nella primavera del 1975, contraddistinto dal ritorno a un sound più rock e dal sempre minore coinvolgimento di Robert Lamm, che decide di lasciare più spazio a Cetera, Pankow e Kath. L'entusiasmo generale nei dischi precedenti prova a riaffacciarsi con il beat-rock melodico "Anyway You Want", ma con la levigatezza R&B "Brand New Love Affair" si scivola subito verso l'
easy listening atmosferico, nonostante la buona prova vocale di Kath in stile Ray Charles. Il primo tra i pochi contributi di Lamm è la
ballad romantica "Never Been In Love Before", seguita dalla più grintosa accelerazione hard-rock di Cetera, "Hideaway", impreziosita dall'assolo
bluesy di Kath. Lo stesso chitarrista firma il breve stornello folk "Till We Meet Again", mentre "Harry Truman" è effettivamente impreziosita da un arrangiamento in chiave jazz da età della Grande Depressione. Siamo ovviamente lontani anni luce dalla grandezza dei primi dischi, parzialmente invocati dalle tessiture psichedeliche di "Oh, Thank You Great Spirit", non a caso il brano più lungo dell'album con una degna coda strumentale tra chitarra spaziale e basso martellante.
Il resto del disco è però incline alla stanchezza provata dalla stessa band, dall'approccio vagamente progressive di "Long Time No See" alla vacuità pop di "Ain't It Blue?". Il disco è chiuso da Pankow con l'
uptempo rock "Old Days", che arriva al terzo posto nella classifica Easy Listening americana guidando l'ennesimo successo commerciale con oltre un milione di copie vendute. Ma il campanello d'allarme suona forte e chiaro: è il primo lavoro dei Chicago a non offrire particolari spunti degni di nota.
Alla fine del 1975 la Columbia pubblica il primo Greatest Hits della band, anche noto come
Chicago IX, ottenendo un riscontro favoloso. Primo posto nella classifica di Billboard in America e ben cinque dischi di platino. Il gruppo può così godersi il meritato riposo, non tornando in studio prima della primavera del 1976, per registrare quello che i fan chiameranno affettuosamente "The Chocolate Album".
Chicago X si rivela un disco spartiacque, segnando la definitiva svolta pop con una durata complessiva sotto i 40 minuti e nessun brano al di sopra dei 4 minuti.
Si inizia in sostenuta velocità, sul rock 'n' roll scatenato di "Once Or Twice" tra i fiati soul e l'interpretazione vocale di Kath in stile Otis Redding. Il ritmo è subito rallentato dal jazz tropicalista "You Are On My Mind", firmata da Pankow insieme alla successiva "Skin Tight", impreziosita dall'elegante sezione fiati in chiave funky con brevi intermezzi in
wah-wah forniti da Kath.
La pausa ristoratrice sembra aver fatto bene ai Chicago, che piazzano il colpo da 90 grazie alla
ballad soft-rock di Cetera "If You Leave Me Now". È Guercio in persona a insistere per far uscire il brano come singolo, inizialmente scontrandosi contro alcuni membri della band che lo vedono troppo leggero. La dolcezza del canto, abbinata allo strimpellare acustico e agli inserti orchestrali, garantisce un primo posto nelle classifiche di mezzo mondo, per la prima volta in contemporanea sia negli Usa che in Uk.
L'album prosegue con uno dei rari contributi diretti di Loughnane, con le percussioni spaziali della melliflua "Together Again". "Another Rainy Day In New York City" è l'altro successo spiazzante, con il suo arrangiamento a metà tra reggae, calypso e jazz-rock. Gli arrangiamenti orchestrali condotti da Jimmie Haskell continuano ad accompagnare il nuovo gusto pop in "Mama Mama", mentre "Scrapbook" fonde con vigore soul e funk alla maniera di
Stevie Wonder.
Ritrovata una certa verve compositiva, Lamm continua il suo trittico sul secondo lato con la
beatlesiana "Gently I'll Wake You", prima di partire per la vorticosa "You Get It Up" che racchiude in poco più di tre minuti l'assoluta eccellenza del gruppo nel formato jam.
Il finale di "Hope For Love" è un'intensa e sensuale ballata dalle vette gospel-soul, a chiudere un disco di rara eleganza melodica, certamente pop rispetto agli standard del gruppo, ma un lavoro centrato rispetto alla stanchezza generale palesata in
Chicago VIII.
Il successo clamoroso del singolo "If You Leave Me Now" sconcerta il gruppo, mai primo su entrambe le sponde dell'Atlantico. Il brano porta ben due Grammy Awards all'inizio del 1977 - Best Arrangement e Best Pop Vocal Performance - perdendo solo contro Stevie Wonder per il Best Album of the Year. La firma di Peter Cetera diventa improvvisamente una delle più richieste sul mercato, il bassista diventa così "la voce dei Chicago".
Il gruppo riparte in tour per gran parte del 1977, tornando in studio nella primavera per dare alle stampe
Chicago XI. Come nel disco precedente, l'apertura è affidata alle sapienti mani di Terry Kath, che fanno volare la chitarra funky nell'elettrica "Mississippi Delta City Blues". Nell'anno del punk, Peter Cetera è formalmente obbligato a bissare il successo di "If You Leave Me Now", firmando così il nuovo pop orchestrale "Baby, What A Big Surprise", condotto dagli arrangiamenti di Dominic Frontiere. L'ansia da ripetizione rende però il gruppo più prevedibile e per certi versi noioso, come sulla danza melodica "Till The End Of Time", scritta e cantata da Pankow. Mentre Lamm disegna tranquilli scenari soft-jazz in "Policeman", Seraphine ricorda la recente morte di un caro amico nell'ottimo esperimento fusion "Take Me Back To Chicago", con il contributo ai cori di Chaka Khan.
I Chicago provano la carta gospel-soul in "Vote For Me", con l'inserimento del coro The Voices of Inspiration, lasciando alla chitarra
hendrixiana di Kath la guida del blues-rock "Takin' It On Uptown". Sono proprio i brani di Terry a tenere in piedi il disco, così come il lavoro più
jazzy di Seraphine, che produce la soffusa "Little One". Brani come "This Time"- altro contributo di Lee Loughnane - si muovono invece verso un
sound soft-rock ammorbidito, appagando così le esigenze meno severe degli amanti dell'
easy listening. L'album segna così un passo indietro rispetto al riuscito
Chicago X, semplicemente perché il gruppo rincorre un nuovo tipo di approccio, visti i continui risultati in classifica.
Ancora vivi
Dopo la pubblicazione di
Chicago XI, la tensione tra il gruppo e Jimmy Guercio sale a livelli estremi. I Chicago assoldano l'avvocato Ken Kleinberg per svolgere un controllo approfondito sullo stato del business, finalmente arrivato alle attenzioni di tutti i membri. La divisione in termini di
royalties è ancora sproporzionata, come denunciato già anni prima da Seraphine. Il gruppo decide di non procedere per vie legali, limitandosi a obbligare Guercio a rinegoziare i termini del contratto, in un rapporto professionale ormai al capolinea. A capo del
management viene promosso Dick Duryea, mentre Guercio prenota diverse date all'interno del circuito dei festival estivi in Europa, decisione mal digerita dalla band a causa del caldo afoso e di
location poco consone. Scatta il panico tra gli uffici della Cbs, terrorizzata dalla possibile implosione del gruppo a causa dei dissidi contrattuali. La band sceglie così un nuovo manager, Jeff Wald, rifiutando la proposta della stessa Columbia che vorrebbe affidare il compito al team che guida gli
Earth, Wind and Fire.
Si spera così in un nuovo inizio per la band, senza considerare un fattore che prestissimo si rivelerà drammaticamente determinante: la cocaina. L'antico splendore hippie ha infatti lasciato il passo alle ombre degli abusi, tra tutti i membri del gruppo ma soprattutto in Terry Kath. Il talentuoso chitarrista apprezzato da
Jimi Hendrix è infatti finito in un vortice scatenato dal consumo eccessivo di droga, che lo ha trasformato nel comportamento. Negli ampi spazi all'aperto del Caribou Ranch, Kath ha iniziato a sparare a qualsiasi oggetto fissato come obiettivo, ottenendo il porto d'armi per esercitarsi quasi sempre strafatto. "Siamo preoccupati, amico - gli dicono gli altri membri del gruppo - Qualcosa di brutto potrebbe accaderti presto se non controlli la droga. Oltretutto ti porti dietro queste armi dovunque vai". "Non preoccupatevi - risponde frequentemente Kath con un sorriso - tutto si sistemerà, andrà bene".
Settimane dopo, in un barlume di lucidità, Terry ammette di essere fortemente dipendente, che deve smetterla con la cocaina per evitare di restarci secco. Poi, la maledetta notte del 23 gennaio 1978, durante la festa a Canoga Park: "Non è stata colpa mia - piange Donny, il
roadie dei Chicago che ha organizzato il party, uno dei tanti a base di musica, birre e cocaina - Ho provato ad avvertirlo ma continuava a giocare con quella cazzo di pistola. Ti sto dicendo la verità". Quel tragico gioco che porta il nome di roulette russa, provare a spararsi in testa convinti che l'arma sia scarica. E la prima usata è in effetti scarica, Kath ride. Poi però ne prende un'altra delle sue, anche quella è sicuro scarica. Al contrario, sarà un proiettile rimasto in canna a stroncare la vita di uno dei chitarristi più incredibili dell'intero decennio, il cuore e l'anima dei Chicago.
La notizia del tragico decesso di Terry Kath arriva alla stampa, così come ai vertici della Cbs. Il gruppo è devastato, in lacrime al Forest Lawn Cemetery di Los Angeles durante i funerali, nemmeno sfiorando l'ipotesi di poter continuare a suonare dopo un evento così traumatico. I Chicago si ritrovano in una villa di Bel Air, spinti da Doc Severinsen, a capo della band fissa al Tonight Show, a non fermarsi. "Non è quello che Terry avrebbe voluto", si ripete, "i Chicago non possono improvvisamente buttare nel cesso quasi dieci anni di grande musica e straordinario successo". In segno di riconciliazione, Guercio garantisce al gruppo una distribuzione più equa delle
royalties, ma lo scoglio più duro è ora la scelta di un rimpiazzo alla chitarra, una missione ai limiti dell'impossibile.
I Chicago sanno in effetti che nessun musicista potrà mai colmare il vuoto, che il sound unico della band è andato ormai per sempre. Walter Yetnikoff, presidente della Cbs, consiglia di concedere un provino a James O. "Donnie" Dacus, originario di Pasadena, Texas. Nato nell'ottobre del 1951, Dacus ha iniziato quattordicenne a insegnare musica in un negozio di strumenti, militando a livello amatoriale nella band locale The Chantels. Passato alla fine degli
anni 60 nei The Yellow Payges, Donnie ha lavorato principalmente come
sessionman, prestando chitarra e voce ad artisti come
Billy Joel,
Stephen Stills e
Neil Young. Durante l'audizione, i Chicago sono sorpresi dalle grandi abilità del chitarrista, che conosce a memoria diversi brani come "25 Or 6 To 4" e "Little One". Dacus è in grado di cantare con buona scioltezza, ha un'ottima tecnica e soprattutto una grande sicurezza nei propri mezzi, con una immagine pulita che piace moltissimo alla Cbs. Alcuni membri del gruppo non sono però convinti, proprio a causa di un'attitudine da rockstar che non ha mai fatto parte dell'identità dei Chicago, ma alla fine c'è il via libera: Donnie Dacus affronterà l'arduo compito di sostituire Terry Kath.
Per ripartire in modo diverso, il gruppo opta per una serie di scelte in rottura con il passato, a partire dal nuovo produttore Phil Ramone, già al lavoro in fase di mixing con Guercio. Il nuovo album si intitolerà
Hot Streets, abbandonando il nome stesso della band e i numeri romani, così come non ci sarà il logo
Coca-Cola style in copertina. Le sessioni di registrazione nella primavera del 1978 sono prenotate tra i Criteria di Miami e i Record Plant a Los Angeles, lasciando così i Caribou Ranch strettamente legati all'ex-manager e produttore.
Pubblicato all'inizio di ottobre,
Hot Streets offre un inizio promettente, con la nuova chitarra funky di Dacus a pompare "Alive Again" - titolo non casuale - che gode di un
sound scintillante e di una cadenza dance-rock. Si vira però subito verso un soft-pop mellifluo con "The Greatest Love On Earth", sulla falsariga del
sound tipico dei
Bee Gees che partecipano come
special guests ai cori finali nella successiva "Little Miss Lovin'". Con il canto aggressivo di Cetera, il brano è uno tra i pochi rimandi all'ormai vecchia era, con la base rock a tingersi di soul e R&B. L'assolo
bluesy di Dacus è buono, anche se ovviamente lontano anni luce dalla genialità di Kath.
Il contributo di Lamm, generalmente defilato, parte con il
groove ballabile di "Hot Streets", in odore di
disco-pop, mentre la prima prova da
vocalist di Dacus è nella morbida e romantica "Take A Chance". Le percussioni di Laudir de Oliveira danno al brano un tocco tropicalista, ma al di là dei gusti personali dell'ascoltatore, si percepisce un abisso tra la voce soul calda di Kath e quella eterea e pop di Donnie.
Cetera prova a smuovere le acque in ottica classifica con "Gone Long Gone", eseguita con uno stile chitarristico molto simile a quello di
George Harrison. I Chicago alternano ritmi più taglienti, come il
riff cupo di "Ain't It Time", a melodie più soft-jazz ("Love Was New"), finendo però con l'evitare qualsiasi guizzo creativo. Non è perciò casuale che il pop vellutato di "No Tell Lover" non riesca ad andare oltre la posizione 12 negli States, decisamente un'anomalia per gli standard della band.
Hot Streets è sicuramente un disco onesto, ma contemporaneamente il primo di una nuova band che non potrà più tornare come prima.
PrecipitareDopo l'uscita di
Hot Streets, che vende oltre un milione di copie ma non sfonda in classifica, i Chicago si imbarcano in un lungo tour mondiale tra Stati Uniti, Europa e Australia. La band finisce in un articolo d'inchiesta del Wall Street Journal, coinvolgendo Seraphine in un presunto rapporto diretto con esponenti mafiosi a stelle e strisce nel giro del suo night-club chiamato "B.Ginnings". Nel frattempo, il management si presenta al cospetto del boss della Cbs per rinegoziare i termini del contratto discografico, in scadenza entro i prossimi tre anni. Con la minaccia (inventata) di una offerta della Warner Brothers, i Chicago si assicurano un nuovo accordo per cinque album alla considerevole cifra di 28 milioni di dollari. Soddisfatto dal succulento contratto, il gruppo richiama Phil Ramone per tornare a lavorare tra New York, Hollywood e Montreal nella primavera del 1979.
La band è perfettamente consapevole dei notevoli cambiamenti sulla scena musicale americana, dopo l'esplosione di punk, new wave e disco music. Ecco perché
Chicago 13 - che torna alla nomenclatura classica dopo
Hot Streets - mette i fiati al servizio dei ritmi da
dancefloor negli oltre nove minuti di "Street Player", scritta da Seraphine con Hawk Wolinski. Il canto di Cetera sconvolge i fan di vecchia data con uno stile più simile a quello dei Village People, prima dell'assolo di tromba e l'intermezzo in
hand-clapping su percussioni caraibiche.
Gli ammiccamenti al
groove ballabile trovano ulteriore sfogo nel funky urbano "Paradise Alley", mentre Dacus cerca di trovare spazio come
songwriter nel più classico formato Aor di "Must Have Been Crazy". I Chicago tentano così di fondere un rock più arioso e melodico ("Mama Take") con arrangiamenti più strettamente R&B ("Window Dreamin'"), ottenendo però un disco scialbo e particolarmente noioso. Il ragtime blues di "Aloha Mama" prova a recuperare parte dello scintillante passato, ma "Reruns" insiste sul concentrato di soft-pop senza convinzione. Decisamente migliore l'atmosfera jazz di "Life Is What It Is", arricchita dalle ariose percussioni di De Oliveira all'unisono con il canto libero di Cetera e sicuramente la migliore conduzione fiati dell'intero album.
Ma non basta, perché "Loser With A Broken Heart" è ai limiti dell'irritante, così come il finale su "Run Away" vivacchia sul ritmo
uptempo senza infamia e senza lode.
Evento del tutto insolito,
Chicago 13 si rivela un flop sia a livello di classifica - 21° posto nella Billboard 200 - sia a livello commerciale, ottenendo semplicemente un disco d'oro con mezzo milione di copie vendute. L'album viene però massacrato anche dalla critica, che ovviamente punta il dito verso la nuova svolta dance nel singolo "Street Player". Tradendo l'iniziale entusiasmo di Seraphine, il disco è tra quelli portati all'evento "Disco Sucks" al Comiskey Park di Chicago, bruciato vivo dalle oltre 50mila persone presenti a quel triste rogo. La colpa del recente fiasco discografico ricade su Donnie Dacus, ritenuto non adatto a far evolvere il
sound dei Chicago. Il chitarrista viene allontanato in particolare da Cetera per alcune dispute compositive, attirando le ire del resto del gruppo dopo aver piazzato un suo personale
merchandising stand durante l'ultimo tour.
La situazione è critica anche dal punto di vista della Cbs, dopo aver proposto un accordo
monstre e aver ricevuto in cambio un album flop. Walter Yetnikoff è furente per la decisione interna al gruppo di licenziare Dacus, pronto a impugnare una
leaving member clause per stracciare il contratto appena rinnovato. Accompagnati dal proprio legale, alcuni membri del gruppo si presentano negli uffici della Columbia, uscendo con la coda tra le gambe e consapevoli di aver creato un discreto casino con la mossa di licenziare Dacus.
Per registrare l'album successivo,
Chicago XIV, viene assoldato Chris Pinnick, già al lavoro con Herb Alpert sul singolo di successo "Rise". Pinnick non viene ufficialmente introdotto come membro della band, ritenuto però dagli altri un chitarrista estremamente dotato e particolarmente simile a Terry Kath. Registrato nella primavera del 1980,
Chicago XIV dovrà per forza segnare la rinascita, puntando sulla produzione del celebre Tom Dowd, che ha già lavorato con firme prestigiose come
Eric Clapton,
Allman Brothers e
Rod Stewart. La direzione sembra chiara: abbandonare la
dance music e gli orpelli orchestrali per tornare diretti e taglienti.
Il risultato, però, è ancora una volta deludente. Nonostante un inizio promettente - il rock aggressivo "Manipulation" a tratti è un vero ritorno alle origini, con un buon lavoro di basso, chitarra e fiati -
Chicago XIV si perde tra i solchi, dal pop scioglievole di "Upon Arrival" al
blue-eyed soul di "Song for You" con un Cetera sempre più orientato verso un
sound accessibile e inevitabilmente piatto. "Where Did The Lovin' Go" tenta così di bissare ancora una volta il successo della hit "If You Leave Me Now", risultando così stucchevole con i suoi inserti orchestrali. Tocca a Seraphine tentare di risollevare le sorti del disco con la marcia romantica "Birthday Boy", ma soprattutto con il jazz in stile
Steely Dan "Thunder And Lightning", scritto subito dopo il duro confronto con i vertici della Columbia e un viaggio di ritorno in aereo particolarmente turbolento.
L'album prova a essere più aggressivo con il ritmo serrato di "Hold On", prima di virare verso mete esotiche con il
groove caraibico di "Overnight Cafe". Dell'originale approccio fusion è rimasta "I'd Rather Be Rich", con il finale di "The American Dream" a lasciare ancora spazio alla voce soul di Cetera, mai così predominante in un disco dei Chicago. Il disco non viene apprezzato dal pubblico, fermandosi addirittura in 71esima posizione e non riuscendo a vendere nemmeno mezzo milione di copie.
All'alba del nuovo decennio, la band non scalda più i cuori dei fan, faticando tremendamente a ottenerne di nuovi. Già furiosa per la decisione di licenziare Dacus, la Columbia riflette sui flop delle ultime due prove in studio, che portano inevitabilmente a una drastica diminuzione dei biglietti venduti per il tour promozionale. Il contratto da quasi 30 milioni strappato dal management si rivela così un boomerang: i vertici della Cbs pagano la cifra di 2 milioni di dollari per liberarsi per sempre del gruppo.
Per onorare un'ultima pubblicazione, l'etichetta rilascia
Greatest Hits, Volume II - anche noto come "Chicago XV" - con materiale preso principalmente dagli ultimi anni.
Con il piccolo aiuto dei miei amici
All'alba degli
Eighties, i Chicago hanno un disperato bisogno di cambiamento. Uscito in maniera traumatica dalla Columbia, il gruppo cambia manager, assoldando la vecchia conoscenza Howard Kaufman. Insieme al partner Irving Azoff, Kaufman procura un nuovo contratto con l'etichetta Full Moon Records, controllata dalla major Warner Brothers. Ma c'è un'altra ombra nera all'orizzonte, bisogna controllare lo stato di alcuni membri del gruppo, come ad esempio Robert Lamm, in preda a deliri causati dall'abuso di cocaina. O Peter Cetera, che si dimostra sempre più insoddisfatto, alle prese con un suo primo album da solista e aperto a ogni tipo di nuova opportunità professionale.
Seraphine incontra un talentuoso cantante di nome Bill Champlin, che ha tonalità vocali più basse di quelle di Cetera e potrebbe armonizzarsi alla perfezione dopo la perdita di Kath. Il batterista è consapevole della necessità di riorganizzare la band, che lascia così andare Laudir De Oliveira per abbandonare il
sound più morbido e pop. Dopo il flop con Dowd, i Chicago pensano a David Foster come produttore del prossimo album, data la sua esperienza con
John Lennon,
Rod Stewart e
Diana Ross. Nella testa del gruppo, Foster è la persona giusta per ridare linfa, essendo oltretutto un grande fan dei primi lavori. Bisogna assolutamente conquistare i vecchi fan dei Chicago, ma c'è un problema: il marketing della Warner Brothers sostiene che nessuna radio manderà in alta rotazione brani con i fiati, ormai retaggio di un vetusto passato. Fortunatamente, la scelta di assoldare Foster si rivela vincente, perché David è un ottimo musicista - oltre che produttore - e conosce bene le nuove logiche, aiutando il gruppo ad adattarsi con un piccolo aiuto esterno.
Alle sessioni di registrazione di
Chicago 16 vengono infatti invitati David Paich (tastiere), Steve Porcaro (sintetizzatore) e Steve Lukather (chitarre), meglio noti al grande pubblico come membri dei
Toto. Foster non vuole stravolgere del tutto il
sound della band, ma spinge per utilizzare strumenti e tecnologie di registrazione più moderne, abbassando i decibel dei fiati per renderli armonizzati nel contesto generale e di fatto trovando una via di mezzo tra le esigenze del marketing radiofonico e l'identità dei Chicago. Lo stesso produttore trova una buona intesa compositiva con Cetera, lasciando in disparte Lamm, che dopo anni gloriosi non ne azzecca più una a causa di problemi sempre più pesanti con la cocaina.
Chicago 16 è così il disco della rinascita, pubblicato nel giugno 1982 dopo un lavoro in studio più accurato. Sin dalle prime battute dell'
uptempo sintetizzato "What You're Missing", la nuova linea appare chiarissima: sfruttare maggiormente contributi esterni - la coppia di compositori Jay Gruska e Joseph Williams - e soprattutto mettere la sezione fiati al servizio di un pop decisamente più moderno. In "Waiting For You To Decide" si cambia tutto, con Foster al lavoro insieme ai Toto, mentre Cetera divide le parti vocali con il nuovo innesto Bill Champlin. Viene così stravolta la classica linea di basso, ora inserita in un'architettura di tastiere e sintetizzatori.
Il lavoro di Foster abbatte le vecchie attitudini dance per rimodulare il
sound in brani come "Bad Advice", lucidati con una crema a base di funky e pop stellato. In "Chains" (Ian Thomas) un rivitalizzato formato
power ballad, che trova la sua massima estensione con gli inserti orchestrali e l'assolo di chitarra distorta in "Hard To Say I'm Sorry", che permette al gruppo di tornare al primo posto in classifica negli States.
La coda martellante di "Get Away" è il ponte verso il secondo lato, aperto dalla voce più calda e baritonale di Champlin nell'
Aor robusto di "Follow Me", esempio perfetto di come la sezione fiati possa restare integra in un
sound più
mainstream. La chitarra di Pinnick sembra decisamente più funzionale di quella di Dacus, mentre Champlin è perfettamente a suo agio al microfono sul soft-pop "Sonny Think Twice". Il disco è riuscito anche per una questione di equilibri ritrovati, ad esempio negli arrangiamenti bilanciati di "What Can I Say" o sul mix di sintetizzatori e chitarra hard in "Rescue You". L'altra hit è la conclusiva "Love Me Tomorrow", un torreggiante pop melodrammatico che entra nella Top 10 dei singoli nella sezione
Adult contemporary.
Il successo di "Hard To Say I'm Sorry" permette ai Chicago di tornare in pista dopo aver sfiorato la morte professionale, riuscendo ad attirare nuove schiere di fan con un suono nuovo di zecca. Il tour promozionale di
Chicago 16 è un grande successo, riempiendo stadi e arene civiche con la partecipazione di un pubblico più giovane in fissa totale per Peter Cetera. Non c'è ovviamente altro tempo da perdere per la band, che - non senza qualche difficoltà - convince Foster a tornare a lavorare in diversi studi californiani tra la metà del 1983 e gli inizi del 1984. Il produttore canadese rilancia le sue ambizioni, continuando con Jeff Porcaro e assoldando altri
sessionmen, come Carlos Vega, Paulinho da Costa e Paul Jackson Jr.
L'obiettivo è chiaro: portare Cetera ancora di più al centro del gruppo e allo stesso tempo lasciare indietro la celebre sezione fiati. Il nuovo singolo "Stay The Night" è così emblematico, perché alza i decibel della voce del cantante su un
beat hard-rock accompagnato da arrangiamenti techno-synth. Sparisce così la classica sezione ritmica dei Chicago, soppiantata dal basso sintetico e da un uso massiccio della
drum machine. Il giro funky di "We Can Stop The Hurtin'" è armonizzato dai gorgheggi melodici e segna il gradito ritorno di Robert Lamm, in miglioramento dopo gli ultimi anni di abusi.
Il disco si appoggia sulla
hit-ballad "Hard Habit To Break", scritta dalla coppia Steve Kipner e John Lewis Parker, al terzo posto nella classifica americana con il suo romanticismo soft-pop. Stesso discorso per l'inno "You're The Inspiration", inizialmente scritto da Cetera con Foster per Kenny Rogers, poi registrato nelle sessioni di
Chicago 17 per ottenere un altro singolo spacca-
chart. Il produttore nordamericano punta alla
power ballad da stadio "Remember The Feeling", costruita per fare in modo che un pubblico intergenerazionale possa emozionarsi e cantare senza distinzioni. "Along Comes A Woman" spunta la casella del funk-pop ballabile, in
heavy rotation all'inizio del 1985 data la vasta popolarità raggiunta da Foster sul
panorama Aor a stelle e strisce.
È ovvio che i fan di vecchia data del gruppo non possano essere contenti, ma si tratta qui di una band completamente diversa. In "Please Hold On" viene coinvolto Lionel Richie in fase compositiva, mentre il finale è affidato a James Pankow, che firma la danza ritmata per tastiere e fiati "Once In A Lifetime", suggellata dalla chitarra rock e dalle percussioni latine. Il nuovo lavoro con Foster porta in dote un successo mai visto prima: quarto posto negli States e ben sei dischi di platino, ma soprattutto uno stile musicale che ridisegna i confini dell'
Adult-contemporay, fungendo da paradigma per diversi anni a venire.
In maniera completamente diversa dalla fine degli anni 60, i Chicago tornano ancora una volta a essere un gruppo influente sul panorama americano.
Cambiamenti

Nella primavera del 1984 i Chicago sono tornati in cima al mondo, con diversi singoli a spopolare in radio e il
best-selling album della loro carriera. La band pianifica un massiccio tour mondiale, ma Peter Cetera è contrario, ammettendo agli altri membri di essere entrato in una fase di
burnout. In realtà, le cose stanno diversamente: prima del tour vuole registrare il suo secondo album da solista, mentre ha già contattato il
management per rinegoziare alcuni dettagli sulla divisione delle
royalties. In sostanza, Peter Cetera si sente ormai il capo assoluto dei Chicago, vuole un maggiore riconoscimento economico per le recenti hit che hanno rilanciato la band in patria. Poi, all'improvviso, il bassista e cantante tiene una conferenza stampa dove annuncia al mondo che lascerà il gruppo per concentrarsi sulla sua carriera da solista.
Dopo aver perso l'anima con Terry Kath, i Chicago perdono "la voce", un nuovo colpo durissimo per il futuro. È ancora una volta un boss discografico, Lenny Waronker, a suggerire al gruppo di assoldare un bassista di appena 23 anni, Jason Scheff, ritenuto figura perfetta per sostituire Peter. Originario di San Diego, California, Scheff non convince inizialmente David Foster, che ha in mente altri cantanti per il prossimo album. I membri del gruppo sono però convinti dalle audizioni ascoltate, seguendo il boss della Warner nella sua intuizione, dal momento che la sua voce è particolarmente simile a quella originale. La nuova sfida è però difficilissima, bissare ancora con Foster il successo strepitoso di
Chicago 17, con l'introduzione del nuovo chitarrista Dawayne Bailey. Il gruppo deve posticipare l'entrata in studio, semplicemente per dare precedenza a Cetera che è sotto contratto con la stessa Warner Bros.
Chicago 18 esce così in ritardo nell'autunno 1986, anticipato dal secondo disco di Peter, "Solitude/Solitaire", che sfonda le classifiche americane con il singolo "Glory Of Love" nella colonna sonora del film "The Karate Kid Part II". Un problema significativo per i Chicago, che di fatto vengono surclassati proprio da Cetera, anche a causa di un disco debole, incapace di superare il 35° posto. A partire dal primo singolo "Niagara Falls", le arti magiche di Foster non riescono questa volta a trovare l'alchimia, sottoponendo il pop lucido a un trattamento intensivo di sintetizzatori, campionamenti e
drum machine.
In brani come "Forever" appare evidente la mancanza di una voce melodica come quella di Peter, che ovviamente rappresenta una grave perdita in fase compositiva. Pur apprezzabile, il lavoro vocale di Scheff con Champlin nella romantica "If She Would Have Been Faithful..." porta in dote una minore carica di emotività, mentre non appare chiaro il motivo del
remake techno-synth di "25 Or 6 To 4".
È così l'ennesima
ballad, "Will You Still Love Me?", a salvare capra e cavoli, garantendo al gruppo un altro terzo posto e salvando tutto il disco da un clamoroso fiasco. Tornato in pista, Robert Lamm firma con Steve Lukather la più rockeggiante "Over And Over", mentre la coppia Foster - Champlin produce l'uptempo synth "It's Alright". C'è spazio anche per il nuovo membro Jason Scheff che confeziona il soft-pop "Nothin's Gonna Stop Us Now", prima della conclusiva "One More Day", scritta da Pankow per ridare vita a una sezione fiati ormai ridotta a semplice elemento atmosferico.
Il flop artistico di
Chicago 18 porta la band a ragionare sulla figura di David Foster, intenzionata ad accelerare la produzione di un nuovo disco per battere sul tempo Peter Cetera. Viene assoldato uno dei
songwriter del momento, Diane Warren, insieme a un nuovo produttore, Ron Nevison, già al lavoro con gli Heart delle sorelle Wilson. Le sessioni di registrazione di
Chicago 19 non sono però serene, dal momento che la sezione fiati sarà ancora una volta estromessa dal
sound per motivi commerciali. La band tenta nuovamente l'
all-in commerciale, dall'arena-rock "Heart In Pieces" al nuovo singolo, l'imponente
pop ballad "I Don't Wanna Live Without Your Love", che arriva al terzo posto nella classifica di Billboard. Mentre Lamm sembra ormai incapace di scrivere un pezzo da solo - la funkeggiante "I Stand Up" è composta con Gerard McMahon - Scheff sembra sempre più a suo agio nel ruolo di Cetera, guidando l'altra hit
mainstream "We Can Last Forever".
Di vagamente rock è rimasto poco, forse l'aggressiva "Come In From The Night" di Champlin, perché la direzione da intraprendere è fin troppo chiara: sfornare un altro
blockbuster dell'
Adult-contemporary rock. Memori dell'esperienza con Foster, i Chicago sfornano l'ennesima
power ballad, "Look Away", che si rivela il singolo di maggior successo trascinando l'intero disco verso il milione di copie vendute. È però uno stilema che si ripete come in una fabbrica da singoli strappalacrime, come "What Kind Of Man Would I Be?", accantonando definitivamente qualsiasi velleità da musicisti di alta scuola.
Trovato un nuovo manager nella figura di Pete Schivarelli, grande amico di Seraphine, i Chicago si preparano in vista di un nuovo tour, con l'intenzione di tornare subito dopo in studio per pianificare la prossima mossa discografica. Dopo l'estate del 1989, Danny Seraphine riceve una strana telefonata in cui gli viene sostanzialmente comunicato che il resto della band vorrebbe provare alcuni brani senza l'utilizzo di una batteria. Il batterista è spiazzato, si ritrova con il gruppo ma nota una generale indifferenza. Suonando dal vivo, Seraphine si accorge che la band non lo segue più, lasciandolo sostanzialmente da solo nella gestione dei tempi. Corrono voci su un presunto esaurimento tecnico, fino alla informale decisione di utilizzare un
sessionman nel prossimo album.
Danny è ovviamente furente, nonostante la promessa del
management sul mantenimento delle
royalties e del suo nome nei
credits. Prende un volo per Los Angeles dove trova il gruppo mentre prova in studio con un nuovo batterista, John Keane. Pankow lo accusa di essersi troppo impelagato nel business, avendo ormai perso il focus sulla musica. Seraphine viene più volte rassicurato: nessuno ha intenzione di licenziarlo, si tratta solo di una pausa che gli permetterebbe di ritrovarsi a livello professionale. Danny decide così di tornare a studiare, concentrandosi come non mai per tornare dal vivo in una data al Phoenician Hotel di Phoenix. Ma gli altri membri del gruppo non sembrano convinti più di tanto e decidono di estrometterlo definitivamente nel maggio 1990.
Tenere duro
Accantonato Seraphine, i Chicago assoldano il nuovo batterista Gregory Tristan "Tris" Imboden, già al lavoro nella band di Kenny Loggins e con lo stesso Peter Cetera per il disco "One More Story". La band completa così la registrazione di
Twenty 1, ancora con Ron Nevison in coppia con Humberto Gatica. Robert Lamm annuncia pubblicamente il ritorno della sezione fiati dopo gli ultimi album negli
anni 80, mentre Nevison denuncerà successivamente un lavoro in studio frammentato. I Chicago si affidano ancora alla penna di Diane Warren nella nuova
power ballad "Explain It To My Heart", rimettendo al centro la sezione fiati nel pop-rock sintetico "If It Were You". Scheff spinge sulla melodia in "You Come To My Senses", mentre Champlin prova un più solido numero rock in "Somebody, Somewhere".
È istintivamente chiaro che si tratta di un album senza picchi, perso tra innumerevoli autori e un gruppo ormai sfilacciato, senza più anima. "What Does It Take" sfiora la noia irritante, solo parzialmente riabilitata dalla successiva "One From The Heart", che per un attimo rivitalizza un marchio distintivo tra i fiati e la cara voce di Lamm. La hit è il soft-soul "Chasin' The Wind", che non arriva però sopra il 13° posto nella Us Adult Contemporary, facendo colare a picco tutto il disco. Nel momento storico del grunge, le radio americane non hanno improvvisamente più spazio per una band ancorata al
sound tipico del decennio precedente, nonostante il buon
groove funky di "God Save The Queen".
Il
riffone arena-rock di "Man To Woman" apre infatti una
ballad buona per il periodo con David Foster, così come il docile piano in "Only Time Can Heal The Wounded" sembra quasi decretare la fine di un'era. La band pare ora la caricatura di se stessa, persa tra il
beat martellante di "Who Do You Love" e le peggiori intuizioni
soft in "Holdin' On". Un disco completamente anacronistico, lontano galassie dalle abrasioni delle nuove generazioni di rocker.
Dopo aver ottenuto una stella sulla celebre Walk of Fame di Hollywood - brutto segnale dopo un disco disastroso come
Twenty 1 - i Chicago si riuniscono in studio per registrare
Stone Of Sisyphus, che nelle intenzioni di Lamm e soci dovrà segnare la pace con i vecchi fan, tornando a un
sound più simile a quello originale. "Fare musica per i motivi giusti", dirà Scheff, quasi a volersi pentire di certi eccessi commerciali dagli anni 80 in poi. In cabina di regia viene chiamato il vecchio amico Peter Wolf, che ammonisce il gruppo intero: "Non provate a scrivere hit, dovete lavorare con il cuore e verrà fuori un grande album". Le sessioni di registrazione vengono così tenute in gran segreto, tenendo all'oscuro la Warner Bros. per ritrovare concentrazione e soprattutto controllo creativo. La data di pubblicazione è già fissata, 22 marzo 1994, ma nell'autunno del 1993 una versione più o meno finale del disco finisce negli uffici della Warner. Inizialmente è Michael Ostin, a capo della divisione A&R, ad ascoltarlo, saltando dalla sedia per l'emozione. Vengono addirittura ordinati prodotti del merchandising con la dicitura "Chicago XXII", un ritorno alla numerazione romana dopo oltre dieci anni. Poi, una clamorosa marcia indietro da parte dei vertici della stessa
major, che chiedono al gruppo di tornare in studio per lavorare a qualcosa di "meno avventuroso". "Scusateci, ma questo è quanto", spiegano i manager della Warner, con la stessa casa discografica in un momento delicato a causa di un imminente cambiamento nel
top management.
Wolf non la prende bene, accusando l'etichetta di pensare solo ai soldi, mentre il nuovo chitarrista Dawayne Bailey parla di un colpo durissimo per tutta la band. È una questione di libertà artistica praticamente ammazzata, che porta a un vero e proprio scisma interno ai Chicago. Lo stesso Bailey, che ha lavorato a diversi brani del disco, decide di uscire dal gruppo, sostituito da Keith Howland. I rapporti con la Warner Bros. sono così compromessi, portando la band a scegliere prima la Rhino Records e poi la strada dell'indipendenza.
Con un album sospeso nel vuoto, i Chicago ripartono in tour durante il 1994, prima di tornare in studio per lavorare con il produttore canadese Bruce Fairbairn (Bon Jovi,
Aerosmith) a un album tematico, pubblicato nella primavera del 1995 su etichetta Giant Records.
Night & Day: Big Band è così un disco di sole cover dal repertorio di grandi artisti dell'epoca d'oro del jazz e dello swing, da Duke Ellington a Cole Porter. Si parte con le tipiche atmosfere della Tin Pan Alley in "Chicago" (Fred Fisher), prima di reinventare la "Caravan" di Ellington con un approccio
latin che ricorda i vecchi arrangiamenti degli
anni 70.
L'intelligenza del gruppo sta nell'evitare la riproduzione fedele, magari scontentando i puristi del genere, ma garantendo un ascolto gradevole ai fan di antico corso. I fiati tornano ovviamente protagonisti, guidati da James Pankow in brani come "Moonlight Serenade" (Glenn Miller), mentre lo scintillante pianoforte di Lamm accompagna il classico "Dream A Little Dream Of Me" con la zuccherosa voce di Scheff insieme al gruppo femminile Jade.
Dalla versione funky-swing di "Goody Goody" ai ritmi da savana in "Night And Day" (Cole Porter), l'album è assolutamente godibile, pur rappresentando un semplice
divertissement nella discografia del gruppo. Spazio anche a grandi ospiti come Joe Perry alla chitarra nell'assolo principale di "Blues In The Night" e i Gipsy Kings sul caldo ritmo tribale di "Sing, Sing, Sing", completamente stravolto nel testo. Questo è però l'approccio fondamentale per evitare l'effetto nostalgia, come in "In The Mood" che mantiene il classico ritmo dei fiati ma presenta allo stesso tempo nuovi tempi ritmici grazie alla nuova chitarra di Bruce Gaitsch. Alla fine, "Don't Get Around Much Anymore" e "Take The 'A' Train" sembrano quasi vecchie canzoni dei Chicago, quelli ormai perduti dopo la mazzata inferta dalla Warner Bros.
Nuova era
Dopo l'uscita di
Night & Day: Big Band, i Chicago acquistano i diritti del vecchio materiale sotto etichetta Columbia, lavorando alla costituzione di una omonima etichetta discografica, ovviamente indipendente. In mancanza di nuovi album in studio, vengono pubblicate due raccolte:
The Heart Of Chicago 1967-1997 e
The Heart Of Chicago 1967-1998 Volume II. Alla metà del 1998 la band decide di dedicarsi a un altro progetto speciale, un album natalizio con la produzione di Roy Bittan, tastierista storico della E-Street Band di Bruce Springsteen. Come in
Night & Day, il
Chicago-style viene intelligentemente applicato agli standard del periodo natalizio, dal ritmo gospel-jazz di "Little Drummer Boy" al soft-funky di "God Rest Ye Merry, Gentlemen". La band fortunatamente non cade nel semplice citazionismo festivo, dando un tocco soul-pop a brani tradizionali come "Have Yourself A Merry Little Christmas". In "The Christmas Song" c'è il tipico arrangiamento per piano e fiati, mentre "Feliz Navidad" è aperta dalla chitarra acustica per poi virare verso un rilassante mix di percussioni, flauto e fisarmonica.
L'unico brano originale è una nuova composizione di Loughnane, "Child's Prayer", una marcetta di folk medievale affidata al coro giovanile condotto da Ryan Kelly. Intrigante la versione funk di "Santa Claus Is Coming To Town", meno quella di "Let It Snow! Let It Snow! Let It Snow!", fin troppo fedele all'originale.
Il lavoro si rivela in definitiva uno dei più eclettici nel panorama dei
Christmas album, accontentando sia gli amanti delle strenne musicali che gli appassionati della band.
L'ultima pubblicazione negli anni 90 è
Chicago XXVI: Live In Concert, primo disco dal vivo con la nuova
line-up registrato durante il tour del 1999. Il set è aperto all'insegna della nostalgia, con una convincente versione della suite "Ballet For A Girl In Buchannon", nonostante la netta differenza tra la voce roca di Kath e quella melodica di Jason Scheff. Il gruppo sembra in buona forma, sul martellante ritmo latino di "Mongonucleosis" e la potente versione in chiave hard-blues di "Feelin' Stronger Every Day".
La scelta sulla
tracklist propende verso il recupero del glorioso passato, dall'eleganza di "Beginnings", con una buona prova vocale di Lamm, alla cavalcata "25 Or 6 To 4" che restituisce linfa vitale ai fiati dopo i maltrattamenti degli ultimi anni. Non è però chiaro perché il gruppo decida di inserire nel disco tre nuovi brani registrati in studio, probabilmente una mossa puramente commerciale per spingerlo in classifica. "Back To You" è un numero di soft-pop colante melassa; "If I Should Ever Lose You" rivisita Burt Bacharach con il medesimo approccio, mentre l'R&B "(Your Love Keeps Lifting Me) Higher And Higher" è una cover di Jackie Wilson, con la voce di Michael McDonald. Brani decisamente deboli che in parte rovinano un disco dal vivo altrimenti soddisfacente per i vecchi fan.
Tradendo le aspettative, l'album live non entra in classifica, portando la band a dismettere l'omonima etichetta per cedere tutti i diritti di pubblicazione alla Rhino Records all'inizio del nuovo millennio.
La prima mossa della casa discografica è pubblicare la raccolta in due album
The Very Best Of Chicago: Only The Beginning, che celebra il meglio del gruppo arrivando a un sorprendente doppio disco di platino. Diverso il destino del mastodontico
The Box, nel 2003, che include ben cinque dischi ma non riesce a piazzarsi nelle
chart anglofone. La Rhino sembra perciò in piena operazione nostalgia, rimasterizzando tutto il catalogo della Columbia e pubblicando nuovamente
Chicago XXV: The Christmas Album con l'aggiunta di una nuova sezione di sei brani,
What's It Gonna Be, Santa?.
Dopo un tour con
Earth, Wind & Fire,
Love Songs è un'altra operazione di marketing per celebrare la festa di San Valentino nel 2005. I Chicago tornano in studio nella successiva estate, per dare alle stampe il primo vero album di inediti dal 1991.
Chicago XXX viene registrato a Nashville, con il produttore Jay DeMarcus (Rascal Flatts), amico di Jason Scheff e grande fan della band. L'album sembra inizialmente segnare una nuova direzione sonica con il ritmo trip-hop del singolo "Feel", seguito però dalla ballata "King Of Might Have Been" che di fatto torna agli stilemi
anni 80 del successo "Hard To Say I'm Sorry".
La band alza il volume delle chitarre sulle atmosfere country di "Caroline", affidando alla voce di Shelly Fairchild il pop zuccheroso di "Why Can't We". La successiva "Love Will Come Back" riprova a conquistare il pubblico Aor con la partecipazione degli stessi Rascal Flatts, mentre "90 Degrees And Freezing" tenta un timido ritorno al funky-pop di un tempo. "Where Were You" spinge verso un hard-pop più aggressivo, mentre "Already Gone" lavora su un ritmo ballabile con buone trame chitarristiche del nuovo Keith Howland. Robert Lamm cerca la via del soul-pop sui campionamenti che fanno viaggiare levigata "Come to Me, Do", seguita dalle armonie vocali di "Lovin' Chains".
Il disco non accontenta certamente i fan della prima era, piuttosto cerca di ammodernare il
sound tipico degli anni 80 - ad esempio, sull'
easy listening di "Better" - con un risultato a metà tra la classica pacca d'incoraggiamento e il vero fastidio.
Finale

Il nuovo album
Chicago XXX, dopo tanti anni d'attesa, non viene premiato in classifica, fermo al palo di un modestissimo 41° posto negli States. Nel 2006 la band si esibisce per diverse settimane consecutive al Mgm Grand Las Vegas, poi nel corso di alcune date estive con Huey Lewis and the News. La Rhino continua con le compilation, pubblicando nel 2007
The Best Of Chicago: 40th Anniversary Edition, che non bissa il successo della
collection di cinque anni prima. Quando i Chicago sembrano ormai pronti per la soffitta del rock, nel giugno 2008 esce il tormentato
Chicago XXXII: Stone Of Sisyphus, celebre
lost-album prodotto da Peter Wolf. Registrato nel 1993 e cassato brutalmente dalla Warner, il disco è nel frattempo entrato nella leggenda tra i vecchi fan, ansiosi di ascoltare quello che avrebbe rappresentato il grande ritorno dei Chicago alle sonorità più sperimentali.
L'album si dimostra effettivamente avventuroso, partendo con l'arrangiamento tra funky, pop e hard-rock in "Stone Of Sisyphus". Nella successiva "Bigger Than Elvis" si torna però sui sentieri già battuti della melodia pop, con l'arioso contributo vocale dei Jordanaires. Poi c'è la nuova linea funky di "All The Years", dove i Chicago tornano a parlare di temi politici con la penna di Lamm a denunciare i mancati cambiamenti dai
Sixties ad oggi. Il gruppo torna concretamente a sperimentare con la fusion in "Mah-Jong", a dimostrazione di tutta la volontà del mondo, forse addirittura esagerando nel confuso miscuglio di rap e hard-rock in "Sleeping In The Middle Of The Bed", probabilmente uno dei
casus belli negli uffici della Warner quasi 15 anni prima. "Let's Take A Lifetime" torna però al soft-rock più banale, mentre "The Pull" sembra uscita da una brutta giornata di
Stevie Nicks.
La band prova il formato jam sulle percussioni tribali di "Plaid", rallentando su atmosfere new age in "Cry For The Lost" e chiudendo un disco complessivamente ambiguo con la pop-
wave "The Show Must Go On". Probabilmente l'album avrebbe segnato un cambiamento di direzione concreto nel 1993, ma suona del tutto anacronistico nel 2008.
All'inizio del 2009 i Chicago accolgono il nuovo batterista Drew Hester (ex-
Foo Fighters) per sostituire temporaneamente Imboden, licenziando soprattutto Bill Champlin che viene sostituito da Lou Pardini (Santana, Stevie Wonder). Il gruppo parte in tour nel 2010 con The Doobie Brothers, esibendosi in una data speciale alla fine di luglio 2011 al Red Rocks Amphitheatre con la Colorado Symphony Orchestra.
A ottobre si torna in studio con Phil Ramone per dare alle stampe un secondo disco natalizio,
Chicago XXXIII: O Christmas Three, aperto dalla versione rallentata di "Wonderful Christmas Time" (
Paul McCartney) con la
special guest Dolly Parton alla voce. Dall'allegro rock'n'roll di "Rockin' Around The Christmas Tree" (Johnny Marks) al folk tradizionale "I Saw Three Ships", insieme agli America, il disco prosegue idealmente la direzione sonica dell'episodio precedente. "Merry Christmas, Happy Holidays" rilegge gli NSYNC con l'esordio alla voce di Lou Pardini, mentre "It's The Most Wonderful Time Of The Year" assume connotati calypso.
Da notare l'inedito a firma Loughnane, "Rockin' And Rollin' On Christmas Day", con un arrangiamento soul-R&B grazie al contributo alla chitarra di Steve Cropper.
Nel maggio 2011 i vecchi fan dei Chicago salutano il doppio disco dal vivo
Chicago XXXIV: Live In '75, registrato alla fine di giugno nel 1975 al Capital Center di Largo, nel Maryland. Ironia della sorte, quando Lamm annuncia "Beginnings" parla al pubblico di nostalgia, alla metà degli
anni 70. Tutto da capire quindi l'effetto nell'ascoltatore al 2011, probabilmente una sensazione agrodolce da era giurassica. Ma
Chicago XXXIV è un disco vero, che fa volare le vecchie generazioni con lo smisurato talento della band originale, dalle gemme jazz-rock ("Does Anybody Really Know What Time It Is?") alle furiose cavalcate "25 Or 6 To 4" e "I'm A Man". Chicca dell'album, la versione della
beatlesiana "Got To Get You Into My Life", aperta dai fiati e condotta dal ritmo marziale di Seraphine.
Nel 2012 viene organizzato un nuovo tour con i Doobie Brothers, con l'introduzione del nuovo percussionista Daniel de los Reyes, poi sostituito dal fratello (ex-
Santana) Walfredo Reyes Jr. Nel 2013 viene pubblicato
Chicago XXXV: The Nashville Sessions, registrato diversi anni prima agli studi The Sound Kitchen tra una tappa e l'altra del tour. L'operazione è quantomeno curiosa, una nuova registrazione dei classici del passato, un modo per rileggere i brani storici senza però stravolgerli come potrebbe suggerire il titolo.
La band torna a lavorare a un nuovo disco tra il 2013 e il 2014, con il nuovo produttore Hank Linderman che si occupa di mixare tramite uno speciale portale web diverse tracce audio registrate in maniera isolata dai vari membri della band. I Chicago scelgono di pubblicare progressivamente alcuni singoli a partire dal settembre 2013, prima di far uscire
Chicago XXXVI: Now quasi un anno dopo, nell'estate 2014. Il disco è aperto dal
soft-pop ballabile "Now", seguito dal sapore
eighties di "More Will Be Revealed". La patriottica "America" spazza via le vecchie critiche socio-politiche, mentre "Crazy Happy" include uno scialbo campionamento in salsa trip-pop. In "Free At Last" si torna alle atmosfere funky, con Scheff a sfoderare l'ennesima
ballad Aor in "Love Lives On". Se "Watching All The Colors" mostra uno stanco volto esotico, l'attacco di chitarra di "Naked In The Garden Of Allah" apre un convincente ritmo synth mediorientale.
Alla fine di gennaio nel 2014 i Chicago si esibiscono in due concerti con la Chicago Symphony Orchestra. Il relativo doppio disco dal vivo,
Chicago At Symphony Hall esce nel febbraio 2015, rivisitando in chiave orchestrale i grandi classici. Il disco è piacevole, con un intermezzo acustico ("Will You Still Love Me?", "Wake Up Sunshine" e "Look Away"), la riproposizione della suite "Ballet For A Girl In Buchannon" e un ottimo assolo di batteria su "I'm A Man".
Dopo l'ingresso della
line-up originale nella Rock and Roll Hall of Fame, il gruppo torna in tour con
Earth, Wind & Fire, prima dell'addio di Jason Scheff nell'ottobre 2016. Il bassista e cantante viene sostituito dal collega Jeff Coffey (ex-Don Felder), mentre il sassofonista Ray Herrmann prende il posto di Parazider, che si ritira solo dalle scene live. Sono anni di assestamento verso una nuova
line-up, visto che all'inizio del 2018 lascia anche Tris Imboden per dedicarsi alla famiglia. A sorpresa abbandona anche Coffey, sfiancato dai continui concerti e rimpiazzato da Neil Donell, già
vocalist del gruppo
cover Brass Transit. Al basso si sistema così Brett Simons, mentre il percussionista Walfredo Reyes Jr. viene promosso alla batteria.
Nell'aprile 2018 esce
Chicago: VI Decades Live (This Is What We Do), raccolta di esibizioni live del gruppo, compresa quella all'Isle of Wight Festival nel 1970. Dopo aver assoldato un nuovo percussionista, "Ray" Ramon Yslas, la band pubblica ancora un album dal vivo,
Chicago II: Live On Soundstage, messa in scena dell'intero secondo album. Nello stesso anno Parazaider viene ufficialmente escluso dalla line-up, mentre esce
Chicago: Greatest Hits Live.
Dopo la sbornia di dischi dal vivo, nel 2019 tocca al terzo album a tema natalizio,
Chicago XXXVII: Chicago Christmas, questa volta contenente brani originali scritti dalla band. È un ritorno al successo per i Chicago, anche se limitato alla Billboard Holiday Albums Sales Chart. Alla fine del 2021 viene preso un nuovo chitarrista, Tony Obrohta, in sostituzione di Howland dopo un brutto incidente stradale. Lascia anche Lou Pardini, dopo aver partecipato in parte alle sessioni di registrazione del nuovo disco
Chicago XXXVIII: Born For This Moment, uscito nel luglio 2022 su etichetta Bmg con la produzione di Joe Thomas. L'album esce così a otto anni di distanza dall'ultima fatica
Now, aperto dalla
title track che si snoda tra atmosfere
jazzy e il solito soft-pop. L'arpeggio delicato di "If This Is Goodbye" è arricchito da armonie vocali in odore di
boy-band, mentre "Firecracker" è almeno rivitalizzata da un tono funky.
Decisamente lungo - quasi 60 minuti di musica - il disco presenta momenti imbarazzanti ("Someone Needed Me The Most"), così come sprazzi di pura nostalgia, ad esempio l'
intro acustica di "Our New York Time", che ricorda "Beginnings". In "Safer Harbours" prova a farsi strada una certa delicatezza orchestrale, seguita dal nuovo funky-jazz "Crazy Idea". "Make A Man Outta Me" è l'ultimo lascito di Howland prima dell'addio, con "She's Right" a includere un buon lavoro alle percussioni del nuovo membro Yslas.
La verità è che del gruppo è rimasto ormai poco: i Chicago sono diventati a tutti gli effetti un
brand che sopravvive ai suoi stessi componenti in continua rotazione. "The Mermaid (Sereia Do Mar)" sperimenta con la bossa nova, con "You've Got To Believe" che torna alle sonorità anni 80 senza apparente motivo. Il finale moderno "House On The Hill" prova a proiettare il
sound dei Chicago verso una nuova era, ma quello che resta, nel 2022, è una profonda nostalgia per uno dei gruppi più pirotecnici degli
anni 70.