Nell'avviare la "Minimal Wave", label interamente dedicata alla ristampa di perdute meteore synth-pop di venti e passa anni fa, la promoter newyorkese Veronika Vasicka ha intrapreso un lavoro che non è affatto mera archeologia musicale riservata solo a una stretta cerchia di cultori e nostalgici dei synth analogici. Al contrario, è un'operazione di strettissima attualità. Quella stessa elettronica vintage anni 80 di seconda e terza mano, dalla struttura grezza e prodotta per forza di cose in bassa fedeltà, è stata infatti negli ultimi anni sempre più riscoperta e rispolverata da legioni di musicisti più o meno indie, ultimi e più alla moda dei quali gli outsider di quel variegato universo che gli addetti ai lavori ammucchiano nel brand del pop "ipnagogico".
Moda che come molta musica degli anni 2000 ha il suo lato positivo soprattutto nella trasversale capacità di unire culture sonore in altri tempi divise da barriere insormontabili. Non stupisce dunque che nel compilare una raccolta che fotografi lo stato dell'arte della sua Minimal Wave, la titolare Veronika Vasicka si sia ritrovata a collaborare con Peanut Butter Wolf, al secolo Chris Manak, boss della Stones Throw - attualmente tra le più rispettate etichette hip-hop e derivati.
Una passione onnivora, priva di preconcetti e divisioni ideologiche è all'origine di questa raccolta fatta di quattordici perle di artisti recuperati dall'oblio di gruppi tutti molto lontani tra loro per contesto e periodo di attività, eppure a stupire è proprio la coerenza interna della selezione operata da Manak e Vasicka, tanto che si fa presto a dimenticare di stare ascoltando una compilation.
Sfilano le melodie cristalline dei Linear Movement (e quanto è attuale, moderno, "ipnagogico" l'attacco della loro "Way Out Of Living"), sfilano i balletti meccanici sul bordo della cortina di ferro dei Crash Course In Science, dei Das Kabinette, degli Esplendor Geometrico, brilla il synth-pop morboso dei Das Ding (attualissimi antenati dei Cold Cave).
È il suono algido e magnetico dei locali di Brighton nei primissimi e meravigliosi anni Ottanta. È un'orgia di pullulazioni e captazioni sintetiche avvolte e servite con classe. Ci si alza dalle poltrone e si scende direttamente in pista. Citare gli Oppenheimer Analysis al di là della Manica è un po' come ricordare i primi Righeira ai nostalgici della Riviera. Canzoni come "Radiance" sono fiori che spuntano dall'asfalto, o meglio il prodotto indiretto e in qualche maniera dovuto dell'era atomica, come suggerito in quel periodo dagli stessi Andy Oppenheimer e Martin Lloyd.
In controluce, l'incedere frastagliato in base Commodore di Tara Cross riduce il synth-pop d'annata a mera guerriglia voltaica. Così come le palpitazioni noir impresse in "Thing I Was Due Forget" da Somnambulist e la french new wave dei Martin Dupont stendono qualsiasi pretesa aggiuntiva.
Siano santificati all'istante Veronika Vasicka e quel folle di Chris Manak.
02/03/2010