Dieci Piccoli Italiani

N.140 - Aprile 2023

di AA.VV.

01_francescare_01FRANCESCA REMIGI - THE HUMAN WEB (Habitable, 2022)
avant-jazz

Messo a segno un primo exploit a nome Archipélagos, “Il labirinto dei topi” (2021), Francesca Remigi (Bergamo) si supera con un “The Human Web” a proprio nome, a un tempo coerente e dirompente, pure altamente personale a partire dalla multiforme dimestichezza con cui utilizza l’imponente rosa di risorse: quattro vocalist, due violiniste, cinque sassofonisti, tre chitarristi, cinque bassisti, clarinetto basso, piano (anche preparato), sintetizzatori, elettronica, più la sua batteria, peraltro più malleabile che mai. La sua competenza perciò si esprime, oltre che come compositrice e arrangiatrice, anche come interprete e direttrice. La densità è soverchiante in pezzi come “Mere Appearance & True Being”: introduzione d’avanguardia, cantilena folk, duetto swing, improvvisazione pianistica e una splendida cabaletta per solo pianoforte e gorgheggi fantasma, il tutto costantemente modificato dai live electronics. Non è da meno il pezzo eponimo (soundscape dilapidata, canto musical, vocalizzi tragici, fiati allucinati, mulinelli elettronici, agonie finali), laddove “Inside The Algorithm” si fa appena più esteriore in un’articolazione scenografica sci-fi distopica per sinistra trio-sonata pianistica e sconnessa baraonda con synth e chitarra distorta. La chitarra “quatertone” e i campioni parlati di Killick Hinds scolpiscono la post-Stravinsky “Trance”. Il violino atonale di Anais Drago, i fiati sornioni di Federico Calcagno e Andrew Saragossi, e la voce scat di Marta Giulioni intessono la dissonante “Metamorfosi”. Di nuovo Calcagno, l’acustica di Heikki Ruokangas e l’upright bass di Stefano Zambon danno vita a un trio giullaresco-dodecafonico-rumorista, “Follia”. La sola Drago chiude in gloria con il vertiginoso espressionismo di “Home Body”, uno dei massimi assoli violinistici dell’era post-jazz. Le composizioni complesse, drammatiche e, d’accordo col titolo, intricate, raccontano per filo e per segno e senza più didascalie parlate un’apocalissi sottile di sonno della ragione e perdita di coscienza, una catastrofe tutta di raziocinio, per moltiplicazioni e sovraccarichi. Ma anche, sia pur indiretto, un messaggio ottimistico di unione, di fede nel consorzio umano. Pochi precedenti nell’ambito del jazz avanzato italiano, forse nessuno, per quest’opera libera, unitaria e al contempo fatta di moltitudini, in cui tutto è storto, sghembo, ineffabilmente “twisted”. Ultima ma non ultima maestranza, Carolina “Caro” Nebbia all’artwork. Dedica alla sorella Laura. La collaborazione con Hinds prosegue in “Empowered Kind” (2022) (Michele Saran7,5/10)


02_insettin_600GLI INSETTI NELL’AMBRA - 2072 (Skank Bloc, 2023)
art-punk

Expatrié parigino, stimato accademico, il bolognese Lapo Boschi ha disseminato nevrosi ai quattro venti (I Professionisti, Le Cose Furiose, Ludwig Van Bologna) prima di scongelare Gli Insetti Nell’Ambra, in uscita con il loro terzo lavoro per la sua Skank Bloc Records. Stabilizzatisi in trio dopo gli esordi con drum machine, si presentano con un artwork che ammicca ai Talking Heads, ma la Grande Mela addentata dalla musica è piuttosto quella spolpata dei DNA (con la nuova arrivata Hijiri Shimamoto a far le veci di Ikue Mori), infilzata su un’acuminata forchetta post-funk di foggia Gang Of Four. La bolognesità latente di questo eccentrico spiantato si prende però la rivincita nei testi, debitori del ’77 demenziale per cui non ha mai celato ammirazione: declamati con un affettato rotacismo tra il blasé e il lamentoso, si districano in un tripudio di giochi di parole pazzoidi e infantili (“Non importa se comporta che passiamo per cretini/ Se la cosa li riposa, che ci chiamino bambini”, dichiara d’altronde in “Lallazione”), senza precludersi ibridi plurilinguistici (“Thè imbarcato in un trip”) quando non un casereccio grammelot (“Antifiamo travolta”). La scomposta isteria ritmica cede occasionalmente il passo a valzer nevrastenici (“Pugni”) o asciutte angolazioni alla Feelies (“Satori”), con l’angosciata vocalità di Boschi (metà Tom Verlaine metà Robert Smith) a impugnare il sipario del teatrino. Chi non ha mai digerito il voltafaccia di Green Gartside può ben consolarsi con loro (Ossydiana Speri7/10)


03_lcd_600.L.D.C. - NAPALM! NAPALM! NAPALM! (Emme, 2022)
modern creative

La sigla L.D.C. 4TET raccoglie quattro giovani esponenti della musica creativa italiana, i toscani Francesco Arrighi, pianista, membro di Fonterossa Open Orchestra e co-titolare di “Anagrammi” (2020) con Cristiano Bocci e Mara Lepore, Alessandro Abbate, chitarrista, Simone Bracci al basso, e Marco Salvador, batteria (già di Esho Funi e dell’aperto Parking Attendants). Perso per strada Bracci, i restanti tre colgono l’occasione per rendere la proposta ancora più originale, rinominandosi solo L.D.C. e incidendo un album di 5 pezzi, “Napalm! Napalm! Napalm!”. I primi due sono piccoli capolavori etichettabili come musica da camera post-industriale ma vieppiù al di fuori delle catalogazioni. “Ti ammazzo hai capito?!” (10 minuti) comincia con una sorta di estasi di fabbrica, un piano elettrico da svenevole ballad amoreggiato da pulsazioni di frese, inceppamenti di presse, cortocircuiti di rotative, per poi farsi jam placida scagliata in un baratro senza fondo di trame acido-cibernetiche. “Roots Pulling Up” (11 minuti) è un altro viaggio post-tonale tortuoso ma stavolta prolungato tra silenzi e rarefazioni, smarrimenti e spazi vuoti. Le altre tre sono composizioni già più normalizzate al formato del trio d’avanguardia, ma almeno “Tabulone” si erge a improvvisazione al limite dell’impossibile di tempi rinsecchiti e armonie magnetizzate nelle regioni alte, che in chiusa implode in una nebulosa elettronica. Lo spunto della discettazione pseudo-dotta e para-accademica (new wave al conservatorio?) è sviluppato con spirito di visione, saggio impeto senza esagerazioni. Tre strumentisti a loro agio in un’esplorazione che investe anche le particelle subatomiche dei singoli timbri. Fresca arditezza, finalmente. Disegno di Laura Martelli in copertina (Michele Saran7/10)


04_stereonoSTEREONOON - PLACES WE CAN GO HIDE (Digital Noises, 2023)
soul-funk-jazz

Brillante collettivo germogliato in un quadrilatero incastonato fra Milano, Verona, Brescia e l’Emilia-Romagna, gli Stereonoon giungono con “Places We Can Go Hide” al traguardo del primo album. Non corrisponde all’esordio assoluto, che avvenne nell’estate del 2020, in piena crisi pandemica, con la diffusione del sinolo “Steppin’ Out”, cover della celebre hit firmata Joe Jackson. In quella canzone già erano ben rappresentate le peculiarità del loro sound, che affonda le radici in un periodo idealmente a cavallo fra gli anni Ottanta, raccogliendo l’eredità della scena legata al white soul e al pop più sofisticato, e il decennio successivo, con le derive acid jazz-funk. Già nell’Ep “Yeah. And Stuf” (marzo 2021) e ancor più nelle dieci tracce che compongono “Places We Can Go Hide” la band costruisce atmosfere piacevolmente retro, di gran classe (il nu-soul di “So Well” è fra i momenti più riusciti), con qualche spunto ballabile (l’energetica “Everyone Says”) o funkeggiante (“I Don’t Mean”, “Talk Is Cheap”). La voce di Anna Polinari si appropria il centro della scena ben supportata dal resto del gruppo. Max Tozzi è la mente del collettivo: è lui ad occuparsi della scrittura di tutte le canzoni (assieme ad Anna), di produzione, mix, mastering, basso, chitarre e tastiere. Xantoné Blacq, musicista londinese spesso a fianco di Amy Winehouse è ospite al pianoforte in un paio di pezzi, Emiliano Vernizzi si occupa del sassofono, Riccardo Dolci delle chitarre elettriche, Giacomo Ganzerli della batteria, più alcune incursioni di Matteo Pontegavelli alla tromba. Se a metà anni 80 avete amato Style Council, Shakatak e i primi Level 42, gli Stereonoon costituiranno senz’altro una gradita sorpresa (Claudio Lancia6,5/10)


05_lamieLAMIEE. - CRUJ (Carton, 2023)
noise

LAMIEE., il progetto principale dello sperimentatore e improvvisatore Nicholas Remondino, batterista e percussionista originario di Alba prestatosi anche a Sonoria, AnanasnnA, Vorti Trio, Iosonouncane e Vieri Cervelli Montel, ondeggia tra ricerca solipsistica e coordinazione di gruppo, spesso a due (Limina Ensemble, Dròlo Ensemble, ŌTONN, Byenow, OORT., Tweeedo), fin dal suo primo componimento, “Limina” (2020). Acuto giovanile è però una “Fisica” (2021) di 19 minuti, un acquazzone tamburellante di strati elettroacustici percussivi infine diradato dal corno polifonico di Martin Mayes. Passato qualche lavoro minore, “Cruj” adotta il modello della sinfonia elettronica. Il primo movimento (17 minuti) è un getto di rumore statico di sfarfallii elettrici, che a suon di tuoni di distorsione da asettico muta in apocalittico e poi in sinfonico, troncato di netto per 4 finali minuti di catarsi new age. Il secondo, il momento “pop”, non sfigurerebbe nei primi album dei Animal Collective (o in un Ep di remix). Highlight è il terzo di 8 minuti, orbo ultracore scagliato oltre la barriera del suono, adornato di lamenti canori post-psichedelici e funestato da lampi e frustate dissonanti, un Dntel spappolato in una turbina spaziotemporale. Il quarto fa solo da breve chiusa iper-jungle e iper-cromatica. “Cruj” come “guasto” in dialetto piemontese, danneggiato, come il materiale di partenza (sintetizzatori scassati e “damaged samples”) preso dalla sorgente e schiaffato senza complimenti in loop atomici di rara potenza, fibrillante se non rincoglionente, aggressivo se non barbarico, appena scolpito, poco sondato. Un’esperienza più per l’intelletto che per il cuore (e meno male, si rischierebbe l’infarto), una bozza d’ipotetico idioma non-armonico a venire. Artwork di Nicola “Lay Llamas” Giunta (Michele Saran6,5/10)


06_pitchtoPITCHTORCH - I CAN SEE THE LIGHT FROM HERE (autoprod., 2023)
roots-rock

Tra Firenze e Milano. Mario Evangelista (Gutbuckets), l’ideatore, e la sezione ritmica di Danilo Gallo (Guano Padano) e Marco Biagiotti (Vickers) formano il super-trio folk-rock dei Pitchtorch per un primo album omonimo (2019) in cui vince, al momento, solo l’assetto spoglio (lo stornello acustico di “Between You And Me”) e strumentale (“Seashore” e specialmente la meditazione alt-country “Actually Is Fading”). Il secondo “I Can See The Light From Here” invece dà giusto peso e giusto soffio alle componenti, anzitutto non facendosi remore ad assorbire la coeva moda del re-revival post-punk. Così, a parte il singolo “Jack Of All Trades”, una “Sometimes” diventa incrocio genetico tra Psychedelic Furs e Grant Lee Buffalo, una “Time” tra Joy Division e Wilco, una “That’s Our Blues” tra Morphine, Lee Scratch Perry e Los Lobos. Anche l’elemento acustico-rurale aumenta la posta stilistica, negli shuffle di “Fying Ants”, con un fervore religioso acceso dai legni da camera, e di “Ask The Dust” e la confessionale “Mother”, con le percussioni oceaniche a sottolinearne l’ipnosi. Il disco non rivaleggia coi maestri che velatamente richiama, ma ha l’intelligenza di non cascarci. Esclusi i testi un po’ rimasticati, conta per la passione e per l’anima, per una piacevolezza radiofonica non triviale, e per qualche dettaglio d’interesse per palati fini, come, ad esempio, scampoli e modi di fare da jam-band (rappresi in “Downtown Livorno”). “That’s Our Blues” è in realtà un ripescaggio dei Gutbuckets. Bravi gli ospiti ai fiati: Francesco Bigoni (clarinetto) e Beppe Scardino (sax baritono) (Michele Saran6,5/10)


07_deiaDEIAN - FIGURE (Innabilis et al., 2023)
songwriter

Deian Martinelli, Torino, si riaffaccia con l’esperimento-pastiche di “Caro alfabeto” (2019), un “disco-intervista” coordinato da Giacomo Laser in cui anticipa alcune delle canzoni del suo ritorno vero e proprio, “Figure”. La danzante “Figure strane”, che profuma di GaetanoDonovan e Eels, è l’ultimo ritrovato degli inni loser confessionali e perentori. Nella sua parte migliore la raccolta balla proprio tra la componente innodica e la sottile ironia d’avanspettacolo: “Mostro” si fregia di una tappezzeria di cori doo-wop elettronici, la pianistica “Robot” ostenta fervore concertistico e un minuto di coda strumentale teneramente malinconica, il vaudeville di “Adamo” sprinta in una variazione merengue, la “magrittiana” “Questa non è una canzone” si dà a un refrain in smarrimento allucinogeno e una babele di aggettivi, tra collasso nervoso ed estasi, e “Zagor” si rifà alla serenata ma va in orbita per qualche secondo. In mezzo percolano frizzi e lazzi, canzoni pericolosamente attratte dall’it-pop come pure tentativi sperimentali (il cicaleccio cosmico in crescendo di “Risvegli”), che poco vi dialogano. Senza la denominazione Lorsoglabro che lo aveva condotto all’apice “Prezzo speciale” (2014), ma che comunque ritrova nel fratello Tristan alla produzione e nella comparsata di Alberto Moretti al basso, ha una struttura ondivaga, liquefacente e ripetitiva con compiacimenti formalistici, ma è anche un disco sincero e sentito d’intelligenti rime baciate, scaltri giochi semantici di lemmi e sintassi, senza facili concessioni al didascalismo. Co-produzione a quattro: Innabilis, Gigiabooking, Tega, Sounzone  (Michele Saran6/10)


08_animauxf_600ANIMAUX FORMIDABLES - WE ARE ALL ANIMALS (autoprod., 2023)
garage-rock

Messi in incognito da neri latex a sagoma felina, i due Animaux Formidables (cantante e chitarrista lui, batterista lei) si formano nel 2022 e subito debuttano con un instant record, “We Are All Animals”, a un soffio dal “ascoltata una ascoltate tutte”, un ritorno di fiamma della scia White StripesKillsBlack Keys e i nostrani Bud Spencer Blues ExplosionTitle track nonché proclama di album e band, “We Are All Animals” spezzetta un classico power-blues anni 2000 nel classico stentoreo tempo in 2/2. Piccole variazioni comprendono lo stomp sardonico di “Follow Me”, la marciante e rombante “Just A Monday” e, soprattutto, la rarefatta “Shake It” e la circense con cambio di tempo “Fortress Of Solitude”. Sul fronte del citazionismo spizzichi di Kinks filtrano in “Unfair”, mentre “Dance Into The Void” punterebbe a importare qualcosa dell’ossessività ribattuta dei Teenage Jesus. Le ultime due canzoni, che il duo intende come vere “canzoni” e non solo come brevi assalti, invece deludono perché fuori della loro portata. Chitarra fuzz-blues con coloriture glam, qualche riff birichinamente contagioso, melodie così cosà, una voce wave-pop alla Sting e Bono più che da shouter garage, cadenze dalla botta scheletricamente elementare. La cosa migliore è lo stilismo d’antan, la stereofonia vintage con cui Marco Fasolo alla produzione insapora il già sentito (Michele Saran5,5/10)


09_fernweFERNWEH - TRÍPTIKO (autoprod., 2023)
new age

I tre spezzini Fernweh (Emilio Bagnato, Lorenzo Cosci, Daniel Palumbo) debuttano con un Ep omonimo (2018) improntato al post-rock, ma si fanno poi ispirare dal capolavoro di H. Bosch, il “Trittico del Giardino delle delizie”, per una suite elettronica in stile Vangelis e Kitaro di mezz’ora, “Tríptiko”. Il problema è che, anziché mantenerla compatta in un componimento unico, i tre si prodigano a suddividerla, anzi sbriciolarla, in brani brevi o brevissimi che non vanno oltre il tassello: lo spunto d’inno organistico di “Adam And Eve”, il carillon in tempo ternario di “The Garden Of Earthly Delights”, il bozzetto downtempo di “Animal Symmetries”. Spunti di musica pre-barocca guizzano qua e là, ma a testimoniarla è soprattutto la resa sintetica alla Wendy Carlos del “Kyrie” di Josquin Desprez (“The Garden Of Eden”). La sezione dell’“Inferno” si limita ad aggiungere stilemi di tendenza, come in “Seven Deadly Sins” che dovrebbe rappresentare il momento di dramma ma si limita a una progressione ripetitiva con un 808 in stile trap, e come “In Ecstatic Circularity”, un “fugato” di arpeggiatori in una citofonata calligrafia synthwave. Commissionato dalla fondazione Princess Of Asturian, presentato nel 2019 come spettacolo multimediale in collaborazione con Rino Tagliaferro e lo studio Karmachina a Oviedo, tradotto come installazione a Palazzo Reale. Composto (a distanza), infine, e inciso col master di David Campanini. Apprezzabile, se la si prende come pagina a sé stante, per il certosino mestiere di stratificazione di suoni, anche di natura. Come trasposizione dell’arte boschiana manca il bersaglio: niente grandiosità, poco surrealismo, ancor meno caos; l’avanguardia svapora, trionfa il modernariato d’archeologia (Michele Saran5/10)


10_rudyma_600RUDY MARRA - MORFINA (Viceversa, 2023)
blues-rock

Che “Morfina” venga pubblicizzato da Rudy Marra come ispirato dall’omonimo racconto di Bulgakov appare come una dantesca “tresca de le misere mani”. In realtà fin da subito, fin dal titolo, appare come un prodotto da tribute-band al complesso di Mark Sandman, con tanto di featuring di uno scongelato Dana Colley in persona. Le canzoni passano dall’imitazione dei Morphine (“Sto perdendo tempo”, “Voglio il lavoro”), alla dichiarata cover italianizzata dei Morphine (“Su e giù” è “Let’s Take A Trip Together”, “Corde” è “Thursday”), fino al plagio dei Morphine (“Oggi sto guasto” ruba a “A Head With Wings”, “Di mercoledì” massacra “Cure For Pain”, e “Fino a quando?” ricopia paro paro “Candy” non dichiarandolo), passando per una dedica sentimentale al leader (“Mark e Sabine”). Progetto sbandatamente nostalgico per il navigato rocker di Galatina dopo quindici anni di pausa. Buono per chi non ha mai sentito nominare il complesso originale? Nemmeno. Marra alla voce non è Sandman, il basso non ha l’oscura scintilla del suo mitico due corde, Colley si limita a clonare Colley. Altre non migliorano: “Diesel” è una canzone di Finardi rimaneggiata, “Obscured By Clouds” è un’altra dimenticabile cover (Pink Floyd). Evitano il disastro le braccia familiari del folk ionico di chiusa, pur fuori contesto (“Filare de tabbaccu”, “Nonostante me”), e l’unico momento di vera vitalità creativa, il noir-jazz delirante di “Sei un artista tu?” (anche se potrebbe ancora una volta richiamare i Morphine: riascoltare “My Brain”) (Michele Saran4/10)

Discografia

FRANCESCA REMIGI - THE HUMAN WEB(Habitable, 2022)
GLI INSETTI NELL’AMBRA - 2072(Skank Bloc, 2023)
L.D.C. - NAPALM! NAPALM! NAPALM!(Emme, 2022)
STEREONOON - PLACES WE CAN GO HIDE(Digital Noises, 2023)
LAMIEE. - CRUJ(Carton, 2023)
PITCHTORCH - I CAN SEE THE LIGHT FROM HERE(autoprod., 2023)
DEIAN - FIGURE(Innabilis et al., 2023)
ANIMAUX FORMIDABLES - WE ARE ALL ANIMALS(autoprod., 2023)
FERNWEH - TRÍPTIKO(autoprod., 2023)
RUDY MARRA - MORFINA(Viceversa, 2023)
Pietra miliare
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