Paul McCartney

Paul McCartney

Man on the run

Basterebbe il solo fatto di essere stato un Beatle per rendere superflua qualsiasi monografia, ma McCartney ha saputo e voluto anche essere “altro”. Da membro, con Lennon, del dualismo più prolifico e importante del rock a straordinario compositore di classici senza tempo. L’eccezionale percorso solista tra successi, record, fallimenti e tragedie di un’icona della musica mondiale, che ha cercato costantemente di sfuggire alla sua stessa ombra

di Gabriele Gambardella

Dieci aprile 1970. Data storica. Paul McCartney lascia i Beatles. Una fine annunciata. Il più grande gruppo di tutti i tempi ufficialmente non esiste più, dilaniato da conflitti interni di natura personale, artistica, economica e legale. I padrini dell’“All You Need Is Love” ormai comunicano tra loro solo attraverso citazioni in tribunale, interviste al vetriolo e dichiarazioni imbarazzanti. Gli anni 60 sono finiti, “the dream is over” canta Lennon in “God”; la stagione dei sogni, della fantasia al potere si è esaurita ed è giunta l’ora del risveglio, della disillusione. Loro lo sanno. Tutti lo sanno. Il mondo (non solo quello giovanile) è sotto shock. Una domanda risuona in ogni angolo del globo: “E adesso?”.

La fine dei Beatles è un trauma enorme per tutti, ma soprattutto per loro, i quattro ragazzi di Liverpool. Oppressi da una fama enorme, da aspettative gigantesche; delusi, amareggiati e costretti a essere sempre e comunque i numeri uno, gli ex-baronetti devono lottare non poco per andare avanti e sconfiggere gli spettri del loro recente passato. In più ormai sono “da soli”, non hanno il sostegno morale e psicologico degli ex-compagni, il che li rende ancora più fragili e insicuri. Soprattutto Paul. Dopotutto è lui che se n’è andato. È lui che ha messo fine al capitolo più glorioso e scintillante della musica pop. È lui il traditore. Anche durante la sua permanenza nei Beatles era amato e odiato allo stesso tempo. Dato per morto (sono arcinote le teorie sul P.I.D. ovvero “Paul Is Dead”), considerato troppo melenso e belloccio per un gruppo rock, additato come despota assoluto e insopportabile “bastian contrario” dai suoi stessi colleghi (soprattutto per quel che riguarda la scelta del manager Allen Klein e i missaggi di “Let It Be” ad opera di Phil Spector), agli inizi dei 70’s McCartney deve affrontare un implacabile fuoco di fila. E risponde a suo modo. In musica ovviamente.

L’ariete solitario

Paul McCartneyIl 17 aprile del 1970, appena una settimana dopo il fatidico annuncio e circa due settimane prima della pubblicazione di “Let It Be”, ultimo album ufficiale dei Beatles, Paul McCartney sforna la sua opera prima intitolata semplicemente McCartney (celebre la copertina con la ciotola di ciliegie). È un lavoro che risente fortemente del periodo difficile che l’autore sta vivendo. Contrariamente alla grandeur di “Abbey Road” e “Sgt. Pepper’s” o al “wall of sound” spectoriano, è un album scarno, spoglio, intimo, largamente acustico. Inciso in larga parte tra le mura domestiche e, sotto il nome fittizio di Billy Martin, agli Abbey Road Studios per alcuni ritocchi, include materiale non entrato nella discografia ufficiale dei Favolosi Quattro. Paul fa tutto da solo. Suona tutti gli strumenti. Unica collaboratrice la moglie Linda Eastman (Scarsdale, 24 settembre 1941-Tucson, 17 aprile 1998) in qualche coro, ma la presenza di Linda pervade tutto l’album come un fiume sotterraneo. È lei che aiuta Paul a superare le recenti e dolorose vicissitudini artistico/ personali. Il suo spirito attraversa manifestamente (ad esempio, in “Lovely Linda”) o velatamente (in “Oo You”) tutta l’opera, che alla fine si rivela essere un unico canto d’amore e di liberazione.
La bellezza e drammaticità di alcune liriche, però stride, in alcuni casi, con l’essenzialità degli arrangiamenti, a volte talmente spogli da sembrare addirittura improvvisati. Sembra più un demo che l’attesissimo esordio di un ex-Beatle. Eppure al suo interno, accanto a pezzi strumentali quali “Valentine Day” e “Kreen-Akrore”, trovano spazio l’ottima “That Would Be Something” in cui un riff simil-blues sottolinea la passione dell’autore per la sua musa ispiratrice (“Meet you in the falling rain, momma/ Meet you in the falling rain”); la tormentata “Every Night” che scaccia i fantasmi dei Beatles con il semplice ausilio di una chitarra acustica (“Every morning brings a new day/ Every night that day is through”) e “Maybe I’m Amazed” forse una delle più belle composizioni maccartiane in assoluto. È l’unico brano del disco che presenta un arrangiamento variegato e complesso, in netta controtendenza con le altre tracce. L’uso del pianoforte e una interpretazione vocale ai limiti dell’impossibile (che ricorda “Why Don’t We Do It In The Road” contenuta nel “White Album” oppure  “Oh! Darling” presente in “Abbey Road”) accentuano la drammaticità del delicato momento che l’artista sta vivendo (“Maybe I'm a man/ Maybe I'm a lonely man/ Who's in the middle of something/ That he doesn't really understand”) e l’importanza della presenza di Linda per venirne in qualche modo fuori (“Maybe I'm a man and maybe you're the only woman/ Who could ever help me/ Baby won't you help me understand”).

I giornalisti del settore lo stroncano quasi subito. Penny Valentine, ad esempio, su Disc & Music Echo scrive: “Non so a cosa stava pensando Paul quando ha deciso di fare questo album. Probabilmente si sta prendendo gioco di noi. Sarà anche simpatico, ma è un po' crudele, quasi come un tradimento”. La critica in questo caso si dimostra esagerata, forse ancora risentita con Paul per la sua decisione di mettere fine al capitolo Fab Four.
Il disco, ovviamente, non possiede la lucentezza e lo splendore di un’incisione del quartetto di Liverpool, ma rappresenta un coraggioso tentativo di cambiare rotta, di esplorare nuove sonorità e di fare i conti con se stesso. Presenta un McCartney fragile ed emotivamente scosso, ma ancora ricco di genio e maestria strumentale, il che rende quest’opera ricca di fascino e piena di spunti interessanti. Sebbene i fan storcano il naso, è un album che ha una precisa logica. Dopo tanti anni sotto i riflettori, quest’opera rappresenta la veemente reazione al turbine vorticoso della fama e alla megalomania beatlesiana. Paul si chiude in casa. Si allontana dalla scena. Preferisce incidere in totale isolamento. Vuole mettersi un po’ a nudo. Mostrare l’altra faccia di sé. John Lennon farà lo stesso otto mesi dopo dando alla luce il magnifico e brutale “John Lennon Plastic Ono Band”, un lavoro altrettanto grezzo, scarno e intimista. Anche Lennon incide a organico ridotto (Starr alla batteria, Voorman al basso, Preston al piano) mettendosi a nudo davanti a un microfono (il famoso album del “Primal Scream”) e producendo brani in netto contrasto con la magnificenza del periodo precedente.
Il disco di Lennon sciocca ugualmente il pubblico, ma è accolto meglio dalla critica anche grazie alla indubbia miglior qualità dei brani. George Harrison per parte sua, dopo una vita passata nell’ombra, dà sfogo alla frustrazione pubblicando, nel novembre dello stesso anno, il monumentale e bellissimo “All Things Must Pass”. Ringo, fedele al suo ruolo di “quarto tra cotanto senno”, dà alle stampe, nel marzo del ’70, “Sentimental Journey”, composto interamente da cover di vecchi brani.

Come si può vedere, le reazioni allo scioglimento del gruppo sono straordinariamente simili per Lennon e McCartney, ormai stanchi della gloria e desiderosi di cambiare definitivamente prospettiva. A suo agio in esilio volontario, Paul, insieme alla moglie Linda, si concede un lungo periodo di vacanza nella sua fattoria in Scozia, lontano dalla mondanità londinese e dal clamore dei media. Qui, a contatto con la natura e rinvigorito dalla vita agreste, compone materiale inedito che confluirà in un album dal titolo adattissimo alla sua nuova condizione di contadino: Ram.
Gli spettri del passato sono stati fugati e ora il Macca fa maledettamente sul serio. Inciso a New York con musicisti di tutto rispetto come Danny Seiwell alla batteria, David Spinozza e Hugh McCracken alle chitarre, Ram è un lavoro molto poliedrico e sfaccettato, che mette in luce un ritrovato vigore compositivo, artistico e tecnico dell’autore. Si parte con la polemica “Too Many People”, in cui Paul spara a zero contro tutti coloro che gli avevano dato addosso fino a quel momento (“Too many people preaching practices/ Don't let them tell you what you wanna be/ Too many people holding back, this is/ Crazy and maybe it's not like me”), si passa al blues di “3 Legs” in cui, attraverso la metafora di un cane a tre zampe, viene di nuovo toccato l’argomento Beatles (“A dog is here/ A dog is there/ My dog, he got three legs/ But he can't run”) per arrivare alla spassosissima “Ram On”, tutta giocata sul delicato suono di un ukulele.
La splendida e criptica “Dear Boy” (non si sa se riferita a Lennon o al primo matrimonio di Linda) dà adito a numerose polemiche (“I guess you never knew, dear boy/ What you had found”), ma nel contempo apre la strada al vero gioiello dell’album, quella “Uncle Albert/Admiral Halsey” degna erede delle migliori composizioni contenute in “Sgt.Peppers”. In questo brano Paul riprende il vecchio vizio dei Beatles di cucire tra loro con grande abilità due canzoni distinte. La prima, “Uncle Albert”, è ispirata a un suo zio ed è caratterizzata da un ritmo molto languido e sognante, su cui si innestano versi semplici ma efficaci (“We're so sorry Uncle Albert/ We're so sorry if we caused you any pain/ We're so sorry Uncle Albert/ But there's no one left at home/ And I believe I'm gonna rain”), la seconda narra le vicende di un ammiraglio americano, William “Bull” Halsey, sulla base di un ritmo molto più sostenuto e cadenzato, quasi marziale (“Admiral Halsey notified me/ He had to have a berth or he couldn't get to sea/ I had another look and I had a cup of tea and butter pie”). La lunga coda strumentale, l’uso degli ottoni, i cori, gli effetti sonori, i cambi di tempo stupiscono gli stessi ex-colleghi e il pubblico, che decreta il successo del brano.
In Ram, però, c’è ancora spazio per il folk di “In The Heart Of The Country”, lo scherzo rock di “Smile Away”, le tenere ballad “Long Haired Lady” (con il finale alla “Hey Jude”) e “Back Seat Of My Car”, il boogie di “Eat At Home” e soprattutto per il nonsense di “Monkberry Moon Delight”, caratterizzato da un’interpretazione urlatissima e da giochi di parole degni del miglior Lennon. Anticipato dalla pubblicazione di un singolo dal titolo quanto mai esplicito, “Another Day”/“Oh Woman Oh Why”, non presente sulla tracklist finale, che restituisce a Paul i favori dei fan, Ram esce sul mercato il 28 maggio del 1971.

Paul McCartney - John LennonLa critica si mostra di nuovo ostile, definendo il disco sfacciatamente commerciale, sovraprodotto e, ancora una volta, non all’altezza. La stampa di settore prende, però, un colossale abbaglio, perché quest’opera rappresenta il trionfale ingresso di Paul negli anni 70, dimostrandone tutta l’ispirazione, la padronanza di linguaggi musicali differenti e l’eccezionale abilità tecnico/strumentale. Sebbene perfino gli ex-compagni si mostrino delusi da questo lavoro, il pubblico ne decreta il successo, portandolo al vertice delle classifiche inglesi e americane.
Già, perché Ram è puro McCartney. È la sua opera più rappresentativa sia dal punto di vista musicale che poetico. C’è tutto il suo genio, la sua abilità, il suo stile: gli archi sontuosi, gli ottoni incandescenti, il piano magico e armoniosi arpeggi di chitarra. Su tutto, il timbro inconfondibile del suo basso Rickenbacker, che disegna linee e fraseggi assolutamente splendidi. Nel caso di Ram i parallelismi con la carriera di Lennon diventano addirittura leggendari. Quattro mesi dopo, infatti, nel settembre del 1971, il suo alter ego pubblica “Imagine”, forse il suo album più celebrato, che contiene espliciti riferimenti, ma anche evidenti dissonanze con il disco di Paul. Lennon produce un album marcatamente “spectoriano”, mentre McCartney un album “martiniano”, ossia più fedele al tipico Abbey Road’s Sound, quasi a sottolineare le ormai inconciliabili differenze artistiche tra i due. Inoltre, Lennon prende particolarmente di mira Ram arrivando perfino a scimmiottarne la copertina (all’interno della confezione di “Imagine” è presente una foto in cui John fa il verso a Paul tenendo per le orecchie un maiale), dal momento che, a suo dire, questo disco contiene numerose allusioni a lui e alla sua compagna Yoko Ono, ritenute altamente offensive. Motivo del contendere, i brani “Too Many People”, “3 Legs” e “Dear Boy”, in cui Paul avrebbe inserito numerose frecciate rivolte al suo ex-amico (“You took your lucky break and broke it in two") e il retro di copertina, in cui sono ritratti due scarafaggi che copulano. John, punto nel vivo, risponde con la corrosiva “How Do You Sleep?”, vera e propria tirata anti-McCartney, tutta veleno e livore (“The only thing you done was yesterday/ And since you're gone you're just another day/ Ah, how do you sleep?”).
A dispetto delle polemiche, Ram, come Imagine, contiene grandi brani, magistralmente prodotti. Col tempo viene ampiamente rivalutato e capito fino a diventare un million seller. Per Paul il tempo delle sedute in studio è, però, finito. È ora di tornare on the road , di ritrovare quel contatto col pubblico bruscamente interrotto nel 1966 e per farlo sceglie il modo, artisticamente parlando, più rischioso: fondare un nuovo gruppo.

Paul mette le ali

All’indomani della pubblicazione di Ram, nell’estate del 1971, Paul torna al lavoro. Ormai deciso a formare una nuova band, trova un valido alleato in Denny Laine (Birmingham - 29 ottobre 1944), già membro dei Moody Blues e polistrumentista con significative esperienze nei Ginger Baker’s Air Force e nell’Electring String Band. I due, dopo aver reclutato Danny Seiwell alla batteria, mettono a punto un primo repertorio nel “Rude Studio” (una piccola sala prove allestita nel giardino della fattoria scozzese di McCartney), per poi dirigersi ad Abbey Road a incidere il disco d’esordio.
Dopo un party promozionale tenutosi all’Empire Ballroom di Londra l’8 novembre 1971, esce, in dicembre, Wild Life, prima opera dei neonati Wings. Registrato in appena due settimane, senza alcun artifizio tecnico, l’album rappresenta il tentativo di riprodurre quanto più fedelmente possibile il suono e la spontaneità del gruppo. Cinque brani su otto sono catturati in presa diretta, il che rende il sound volutamente grezzo, sporco e minimale. La tracklist è studiata per essere riprodotta fedelmente dal vivo, gli arrangiamenti sono semplici, le melodie immediate, tanto da far pensare quasi a un bootleg piuttosto che a un’opera compiuta. È un disco anti-post-Beatles, un po’ “ibrido”, non riuscito, il cui unico scopo era mettere in piedi un repertorio decente da proporre dal vivo. I brani di Ram erano impossibili da riprodurre on stage, data la loro complessità, mentre quelli del primo album troppo semplici e intimisti per essere interpretati da un gruppo rock. Che fare allora? Incidere al volo un album d’esordio col quale partire in tournée. Il lavoro però risente della fretta e dell’approssimazione col quale è stato concepito, composto ed inciso, risultando disomogeneo, raffazzonato e a tratti banale.
Quasi nessun brano presente in scaletta contiene la forza e la bellezza necessarie a stupire i fan, e anche le sessioni in studio mostrano i limiti di una band ancora alla ricerca dell’amalgama. Nonostante le vendite confortanti, i critici questa volta non sbagliano nel disprezzare l’album, che viene definito incompleto, abbozzato e privo di brani degni di nota. Unica eccezione “Dear Friend” proveniente dalle prolifiche session di Ram. Il “caro amico” è, ancora una volta, John Lennon al quale Paul rivolge accorate parole di riappacificazione (“Dear friend, throw the wine/ I'm in love with a friend of mine/ Really truly, young and newly wed/ Are you a fool or is it true?”) sottolineate dall’essenzialità del binomio piano/voce, cui si aggiunge un delicato tappeto di archi. Il resto del disco è abbastanza trascurabile; pezzi come “Mumbo”, “Bip Bop”, “Love Is Strange”, “Tomorrow” verranno man mano dimenticati perfino dai fan più affezionati e mai più riproposti dal vivo.

Questo clamoroso buco nell’acqua scuote il gruppo, che per riprendersi arruola il chitarrista Henry McCullough (Portstewart - 21 luglio 1943), ex-membro della Grease Band di Joe Cocker e parte, come da programma, per un mini-tour nei campus universitari inglesi, seguito da una serie di concerti in tutta Europa. I Wings, in quest’occasione, suonano esclusivamente brani del loro fallimentare primo disco, evitando accuratamente di riproporre pezzi dei Beatles. Alcune date sono annullate per mancanza di spettatori.
Il fallimento del tour spinge la band a cercare di riconquistare, in ogni modo, i favori del mondo musicale: lo farà attraverso la pubblicazione, il 25 febbraio 1972, del singolo “Give Ireland Back To The Irish”, chiaramente ispirata ai sanguinosi fatti di Derry, passati alla storia come “Bloody Sunday”. L’impegno politico (è forse l’unico brano di critica sociale scritto da Paul) e la censura del pezzo da parte della Bbc non portano tuttavia i risultati sperati. Il singolo, anche a causa dell’ostracismo inglese, vende poco; i critici lo snobbano in quanto eccessivamente provocatorio e artefatto. Paul, a differenza di Lennon, scopre a sue spese che la canzone di protesta non fa per lui. Per tutta risposta, rispolvera e riarrangia un classico per bambini “Mary Had A Little Lamb” che, pubblicato come singolo il 12 maggio 1972, raggiunge inaspettatamente la Top 10 inglese. All’indomani della pubblicazione si scatena una ridda di polemiche tra gli addetti ai lavori, in quanto un prodotto del genere è considerato una vera e propria presa in giro da parte di un musicista del calibro di McCartney. I dj statunitensi preferiscono addirittura passare per radio il lato B: “Little Woman Love”.

Vista la mancanza di risultati e riconoscimenti, Paul vira decisamente verso un pop di facile presa con un occhio attento ai dettami della moda musicale del momento. Scrive e incide “Hi Hi Hi”, caratterizzata da una base musicale vicina al glam-rock di Slade e T-Rex, in cui s’inserisce un testo volutamente pepato e allusivo (“I'm gonna do it to you, gonna do it/ Sweet banana, you'll never give up/ We're gettin' Hi Hi Hi in the midday sun”). Pubblicato come singolo nel dicembre 1972, questo brano vale a Paul una seconda censura da parte della Bbc per presunte allusioni al sesso e alla droga. Sul lato B viene inserita “C’Moon”, brano leggero e sognante di chiara matrice reggae. Le vendite sono notevoli. Entrambi i brani si piazzano nei primi dieci posti in classifica sia in Inghilterra che negli Stati Uniti. A questo punto l’ex-Beatle prende una decisione importante:cambiare nome al gruppo. Evidentemente il marchio Wings ha poca presa sul pubblico, sceglie perciò di trasformarlo nel più altisonante “Paul McCartney And Wings” incrementandone, da un lato, le potenzialità commerciali ma riducendone, dall’altro, l’indipendenza. La svolta comunque non tarda ad arrivare. Paul e i Wings partono alla volta di Los Angeles per lavorare su del materiale che sarebbe confluito in un nuovo album di inediti.

Paul McCartneyOriginariamente pensato come doppio album, Red Rose Speedway vede al suo interno brani composti durante la lavorazione di Ram e un lungo medley finale di chiaro stampo beatlesiano. Brano di punta del disco è la splendida ballata “My Love” che, come dice il nome, è un’altra dedica alla moglie Linda (“Don't ever ask me why/ I never say goodbye to my love/ It's understood/ It's everywhere with my love/ And my love does it good”). La semplicità delle parole passa in secondo piano di fronte alla potenza della melodia e alla bellezza dell’arrangiamento a base di pianoforte e archi. Altro pezzo interessantissimo è “Big Barn Bed” che, a fronte di liriche ripetitive e improntate al nonsense (“Who's that coming round that corner, will it be my friend/ Keep on sleeping in a big barn bed/ Keep on sleeping in a big barn bed”), presenta un arrangiamento rock di notevole impatto e armonie vocali splendidamente eseguite. La gradevolissima “Only One More Kiss”, caratterizzata da un testo di facile presa (“Only one more kiss/ I didn't mean to hurt you little girl/ Let's make it one to remember/ only one more kiss”) e un ritmo velatamente country fa da contraltare a brani vagamente onirici e delicati, quali “Little Lamb Dragonfly”, “Single Pidgeon” e “When The Night”. La zampata finale McCartney la fornisce nel medley di chiusura, composto da ben quattro brani “Hold Me Tight”, “Lazy Dynamite”, “Hands Of Love” e “Power Cut”, che rappresenta un vero gioiello pop, grazie alla sua complessa e caleidoscopica tessitura musicale.
Completato agli Olympic Studios di Londra, Red Rose Speedway è il disco della consacrazione. Pubblicato il 4 maggio 1973, raggiunge il primo posto negli Usa e il quinto nel Regno Unito. L’unanime successo di pubblico è dovuto alla presenza di materiale veramente valido e non solo all’effetto-traino di un singolo spacca-classifiche. La produzione accurata e il sapiente tocco di un ingegnere del suono quale Alan Parsons fanno il resto. Le recensioni forniscono ancora una volta pareri contraddittori. Bufala o capolavoro? Evidentemente c’è una difficoltà intrinseca da parte dei critici ad accettare il nuovo corso dell’ex-Fab Four. È indubbiamente un lavoro ambizioso, a differenza di Wild Life, ma è anche una grande prova d’autore. Le lacune presenti nel primo lavoro dei Wings sono spazzate via da un’accuratezza nella produzione e da un’attenzione costante ai minimi dettagli. Paul si riprende alla grande dal precedente passo falso con un’opera ricca di atmosfera e meno beatlesiana delle precedenti. Red Rose Speedway è un ottimo esempio di pop music, gradevole da ascoltare, ideale per le radio e perfetto per i live. Il livello di quest’album non è eccelso ma rappresenta certamente una delle migliori pagine del McCarteny solista.

Il momento di grazia è confermato da uno special televisivo prodotto dalla Atv nel marzo 1973 e intitolato soltanto “James Paul McCartney”, durante il quale vengono riproposti, per la prima volta dopo tanti anni, alcuni brani dei Beatles unitamente a successi più recenti. Trasmesso negli Usa il 16 aprile e in Gran Bretagna un mese dopo, questo programma dà la possibilità a Paul e soci di presentare al mondo la loro ultima fatica: “Live And Let Die”, composizione di grande impatto scelta come tema portante dell’omonimo film di James Bond (“Agente 007 - Vivi e lascia morire”). Inciso agli Air Studios di Londra durante le sedute per Red Rose Speedway, il brano è frutto di una rinnovata collaborazione tra Paul e il suo vecchio amico George Martin, incaricato dalla produzione del film di dirigere i lavori per la colonna sonora. Il risultato della reunion è, ancora una volta, di altissimo livello. Un testo incentrato sul cambiamento (“When you were young and your heart was an open book/ You used to say live and let live/ But if this ever-changing world in which we’re living/ Makes you give in and cry/ Say live and let die”), i continui cambi di tempo, le maestose esplosioni di ottoni, le percussioni torrenziali danno il ritmo tanto alla canzone quanto alla pellicola.
Pubblicato nel giugno successivo come singolo, “Live And Let Die” porta i Wings direttamente al numero 2 in classifica negli Stati Uniti e al numero 9 in Inghilterra, diventando, contemporaneamente, il tema di maggior successo della saga (più di “Goldfinger”) e una delle canzoni più ammirate e riprodotte del McCartney post-Beatles.

Il trionfo è definitivamente certificato da una scintillante tournée nel Regno Unito con spettacoli alla Leeds University e all’Hammersmith Odeon di Londra. Non è, però tutto rose e fiori. Alla fine del tour Denny Seiwell e Henry McCullough se ne vanno riducendo la band, di fatto, a un trio. Nonostante i problemi di organico, Paul sceglie comunque di proseguire col lavoro e, stanco di Londra, si mette alla ricerca di una nuova location. Dopo aver scoperto che la Emi aveva uno studio di registrazione a Lagos, in Nigeria, e incoraggiato dal fatto che Ginger Baker (Lewisham - 19 agosto 1939) vive ormai lì da diversi anni, decide di trasferirvisi con gli unici due Wings superstiti. Le condizioni che trova in Africa non sono certo delle migliori. Lagos è una bidonville mastodontica e pericolosa; gli studi sono fatiscenti e le apparecchiature inadeguate; Paul, inoltre, dopo aver subito una rapina per le strade della città, si trova coinvolto in una sorta di “incidente diplomatico” col santone della musica nera Fela Kuti (Abeokuta 15 ottobre 1938 - Lagos 2 agosto 1997) che lo accusa pubblicamente di essere venuto a saccheggiare la musica africana. Soltanto dopo un confronto non proprio amichevole (pare che Kuti fosse armato) e soltanto dopo l’ascolto delle tracce incise, il re dell’Afrobeat ammette di essersi sbagliato.

Paul McCartney - WingsPer evitare ulteriori interferenze, Baker invita il gruppo a continuare il lavoro negli studi di sua proprietà: gli Arc Studios a Ikeja. I Wings, tuttavia, declinano l’invito limitandosi a una visita di cortesia durante la quale registrano “Picasso’s Last Word (Drink To Me)”. Nonostante le difficoltà, la maggior parte del nuovo materiale viene inciso a Lagos tra l’agosto e il settembre 1973 e rifinito agli Air Studios di Londra in ottobre. Preceduto dal buon singolo “Helen Wheels”/“Country Dreamer”, che riesce a entrare nella Top 10, Band On The Run viene pubblicato il dicembre seguente.
È un album dalla matrice essenzialmente rock, che il genio di Paul McCartney ha saputo validamente contaminare col pop e con i sentori dell’Africa. Quasi tutti i brani sprigionano un’energia primordiale e devastante, che trascina l’ascoltatore in un vortice di suoni e sensazioni incredibili. Il delicato arpeggio che apre la title track richiama la quiete prima dei violenti acquazzoni equatoriali che in musica esplodono grazie al corposo suono di una dodici corde ed a parole cariche di significato (“Well, the rain exploded with a mighty crash/ As we fell into the sun/ And the first one said to the second one there/ I hope you're having fun”). Ancora una volta i cambi di tempo conferiscono una forza notevole al brano, mentre il ritornello accattivante marchia a fuoco la canzone e l’intero album. Una tonante sezione fiati apre l’incendiaria “Jet”, forse il pezzo più vigoroso del disco. Il basso battente, la batteria torrenziale, le chitarre distorte forniscono un ritmo indiavolato su cui si inseriscono versi privi di grande significato poetico ma senza dubbio ricchi di grande effetto musicale (“Jet was your father as bold as the sergeant major/ How come he told you that you were hardly old enough yet/ And jet I thought the major was a lady suffragette”). Le torride notti africane tornano nella traslucida “Bluebird”, soffice ballad a base di chitarra acustica, percussioni e cori a tre voci. Qui le parole assumono un significato più profondo richiamando il volo di un uccello quale simbolo di libertà assoluta (“Fly away through the midnight air/ As we head across the sea/ And at last we will be free”). Un riff martellante di basso domina “Mr.s Vandeblit”, caratterizzata da un ritmo cadenzato e un coro contagioso, mentre toni più acidi denotano “Let Me Roll It” il cui testo rivela accesi messaggi d’amore (“I can't tell you how I feel/ My heart is like a wheel/ Let me roll it/ Let me roll it to you”). Il profumo dell’Africa pervade la dolcissima “Mamunia”, in cui il delicato arpeggio di chitarra acustica, accompagnato da semplici linee di basso e da percussioni discrete, mette in luce versi dedicati alla pioggia e alla sua forza purificatrice (“So the next time you see rain it ain't bad/ Don't complain it rains for you/The next time you see L.A. rainclouds/ Don't complain it rains for you and me”).
La splendida “No Words”, accreditata anche a Danny Laine, spiana la strada a “Picasso’s Last Words (Drink To Me)”, altra punta di diamante dell’album, ispirata alle ultime parole che il grande pittore, da poco scomparso, ha detto in punto di morte (“Drink to me, drink to my health/ You know i can't drink any more”). Dal punto di vista musicale questo brano è un’ulteriore prova di grande maestria e talento compositivo, al suo interno si trovano infatti un interludio francese e una ripresa di “Jet” e “Mrs. Vandebilt” senza però alterarne significativamente la melodia e il ritmo originario. Un vero colpo di genio. Conclude l’album il rock di “Nineteen Hundred And Eighty-Five”, nella cui coda strumentale viene ripresa la title track che chiude, così, il cerchio ideale tracciato in questo lavoro.
Inutile dire che si tratta di un grandissimo album, un capolavoro, probabilmente il migliore dell’intera carriera solista di McCartney e uno dei migliori dischi mai incisi da un ex-Beatle. La tracklist mostra dei pezzi sostanzialmente in equilibrio tra loro, in un perfetto alternarsi di rock, ballad e gemme pop, senza mai scadere nel commerciale, nello scontato o nel convenzionale. Non è un disco fatto per mestiere o per compiacere pubblico e critica, ma è il frutto di un lungo travaglio personale e artistico che ha portato l’autore a metabolizzare e superare il suo recente passato. Band On The Run rappresenta il definitivo affrancamento di Paul McCartney dall’aura dei Beatles. La copertina, che vede la band in procinto di evadere da un carcere contornata da comparse di lusso (Christopher Lee e James Coburn su tutti), diventa addirittura leggendaria.

Accolto positivamente da pubblico e critica, Band On The Run non ottiene vendite folgoranti, ma scala le classifiche gradualmente, trainato dall’indubbia bellezza dei suoi brani, che a poco a poco fanno presa sul pubblico. I dischi di platino non tardano ad arrivare, mentre si moltiplicano le settimane di permanenza in cima alla classifica di Billboard. Paul ha di nuovo fatto centro.

Rockshow

Il fervido momento creativo non si è ancora esaurito. Reclutati il chitarrista Jimmy McCulloch (Dumbarton 4 giugno 1953 - Maida Vale 27 settembre 1979) e il batterista Geoff Britton (Lewisham - 1 agosto 1943), durante delle session a Nashville, la band incide un nuovo singolo, “Junior’s Farm”/“Sally G.”, che, pubblicato nell’ottobre 1974, staziona stabilmente ai primi posti in classifica confermando il felice momento artistico/commerciale del gruppo (specie negli Stati Uniti). È arrivato il momento, però, di fare il definitivo salto di qualità. I Wings, con in mano un buon numero di provini, partono alla volta di New Orleans, per registrare l’attesissimo seguito di Band On The Run. Durante le sedute di incisione, Britton lascia il gruppo per dissapori con McCulloch; viene immediatamente sostituito da Joe English (Rochester - 7 febbraio 1949) che incide la quasi totalità dei brani del nuovo album.

Paul McCartneyPreceduto dal singolo “Listen To What The Man Said”/“Love In Song”, che si rivela l’ennesimo bestseller, nel maggio del ’75 esce Venus And Mars. Il risultato è molto al di sotto delle aspettative, specie se paragonato al predecessore. Manca di mordente e qualità musicale anche se c’è qualche spunto notevole. Particolarmente interessante è l’intro “Venus And Mars” a cui viene agganciata l’energica “Rockshow” ricca di autocitazioni (“If there's a rock show at the Concertgebow/ They've got long hair at the Madison Square/ You've got Rock and Roll at the Hollywood Bowl”). L’accoppiata risulta vincente grazie al ritmo blando della prima, a cui segue la fragorosa esplosione della seconda. Qui il gruppo gira veramente a mille, come pure nel pezzo-traino dell’album, “Listen To What The Man Said”, efficace brano sull’amore dai toni pop soul (“Oh yes, indeed we know/ That people will find a way to go/ No matter what the man said”). Particolarmente riuscito l’arrangiamento a base di tastiera su cui si innesta un notevole assolo di sax soprano. Un classico pezzo “alla McCartney”, in grado di scalare qualsiasi classifica.
Altro momento notevole è rappresentato dal torrido rock di “Letting Go” in cui su una linea melodica molto rude a base di chitarra elettrica si inseriscono ottimi fraseggi di ottoni e archi. Il testo stavolta racconta in maniera più esplicita della passione per una donna (“Ah, she tastes like wine/ Such a human being so divine/ Oh she feels like sun/ Mother nature look at what you're done”). Il resto del materiale è deludente soprattutto per quanto riguarda le prove d’autore di Danny Laine (“Spirit Of Ancient Egypt”) e di McCulloch (“Medicine Jar”).
Il disco non decolla anche se nelle ambizioni avrebbe dovuto rappresentare il trampolino di lancio internazionale per i Wings. La critica e il pubblico, però, sembrano apprezzarlo più del dovuto, evidentemente grazie all’entusiasmo suscitato dal lavoro precedente.

La band pubblica altri due singoli, “Letting Go”/“You Gave Me The Answer” e “Venus And Mars-Rock Show”/“Magneto And Titanum Man” (entrambi di scarso successo) e programma una colossale tournée. Il Wings Over The World Tour tocca tre continenti e 48 città  per un totale di 66 date. Dopo quasi dieci anni di assenza, Paul torna a suonare dal vivo nel Nuovo Continente, di fronte a un totale stimato di 600.000 spettatori. Le migliori performance negli States sono immortalate nel monumentale triplo album Wings Over America, pubblicato a ridosso del Natale 1976.

Proprio durante la pausa natalizia del tour la band torna agli Abbey Road Studios per incidere Wings At The Speed Of Sound, sorta di ambiziosissimo progetto destinato a ripetere e a superare il successo dei precedenti. Il disco fa, se possibile, anche peggio. Concepito come sorta di concept-album avente per tematica un giornata tipica dei Wings, ormai una delle più celebrate rock band del pianeta, si rivela essere una semplice accozzaglia di materiale disomogeneo e privo di qualsiasi ispirazione. Uno di pochi momenti felici è rappresentato dal brano “Let’Em In” dai richiami soul e r’n’b. Il testo è tocca ancora una volta il tema dell’amore con richiami a personaggi illustri, tra i quali John Lennon, Martin Luther King e gli Everly Brothers (“Sister Suzie, brother John,/ Martin Luther, Phil and Don/ brother Michael, auntie Gin/ Open the door and let 'em in”). Il ritmo brioso e cadenzato forniscono estrema godibilità alla canzone, alla quale contribuiscono discreti effetti sonori e dei buoni innesti della sezione fiati.
Altro pezzo decente è la graziosa “Silly Love Song”, scritta da McCartney in risposta a tutti coloro che lo accusavano di scrivere solo “stupide canzoni d’amore”. Il testo è semplicissimo, ai limiti del banale (“You'd think that people would have had enough of silly love songs/ I look around me and i see it isn't so/ Some people want to fill the world with silly love songs/ And what's wrong with that?”) ma dal punto di vista musicale rappresenta un’interessante escursione nei territori della disco music con tanto di basso battente, archi, cori e fiati.
Il resto del materiale contenuto nell’album è assolutamente trascurabile. I principi di uguaglianza e democrazia introdotti da Paul all’interno del gruppo non danno i frutti sperati. I brani degli altri componenti (“Wino Junko” di Jimmy McCulloch, “Time To Hide” di Danny Laine, “Must Do Something About It”, cantata da Joe English, o l’abominevole “Cook Of The House” di Linda Eastman) non si rivelano all’altezza della situazione, contribuendo a infiacchire un lavoro già di per sé poco felice.

Pubblicato nel marzo del 1976, Wings At The Speed Of Sound ottiene, nonostante ciò, un notevole successo di pubblico, ma la critica non è altrettanto benigna. Considerato troppo melenso e commerciale, viene generalmente additato come uno dei punti più bassi dell’intera produzione di McCartney. Pubblicato l’album, i Wings tornano on the road, portando a termine il tour mondiale che si conclude a fine ’76 con tre serate a Londra.

Il 1977 è un anno di transizione. McCartney e soci sono alle prese con nuovi problemi di organico dovuti all’improvviso abbandono di Jimmy McCulloch e Joe English. Ridotti di nuovo a un trio, i Wings non rimangono totalmente inattivi e pubblicano il singolo “Mull Of Kintyre” eccellente brano di stampo folk che diventa, nel giro di poche settimane, il singolo più venduto di tutti i tempi nel Regno Unito. Cosa estremamente curiosa visto che siamo in piena era punk e la musica contenuta in questo singolo – con tanto di cornamuse a cura della banda locale di Kintyre - è quanto di più lontano dalle mode musicali del periodo.
Proseguendo dritti per la loro strada e incoraggiati dall’inossidabile successo, i Wings fanno uscire, nel marzo 1978, London Town, caratterizzato da sonorità ancor più commerciali e in controtendenza con le mode del momento. Decisamente un passo avanti rispetto a Wings At The Speed Of Sound, ma manca la grinta necessaria a farne un gran disco. I suoni si ammorbidiscono allontanandosi dal rock per accostarsi a un pop molto sofisticato e di grande effetto. Il malinconico acquerello rappresentato dalla title track in cui si descrive una Londra onirica e piovosa (“Crawling down the pavement on a Sunday afternoon/ I was arrested by a rozzer wearing a pink balloon/ About his foot - toot toot toot toot/ Silver rain was falling down/ Upon the dirty ground of London Town”) il cui grigiore è accentuato da un arrangiamento a base di piano elettrico su cui si innesta un cantato soffice e delicato. La zuccherosa “Girlfriend” e l’invettiva di “I’ve Had Enough” in cui l’autore se la prende con i suoi detrattori (“I earn the money and you take it away/ When I don't know where you from/I should be worried but they say/ It will pay for a farm/ I've had enough, I can't put up with any more”), spianano la strada ai sintetizzatori di “With A Little Luck”, pezzo di punta dell’album. I cori in pieno stile Bee Gees, l’atmosfera rilassata, le liriche immediate e ottimistiche (“And a little luck, we can clear it up/ We can bring it in for a landing/ With a little luck, we can turn it on/ There can be no misunderstanding”)ne fanno un successo folgorante.
Altri spunti decisamente gradevoli si possono rinvenire in “Backwards Traveller”, nella solitaria “I’m Carrying”, nel rockabilly di “Name And Address” e nei toni progressive di “Morse Moose and The Grey Goose”. Inciso tra Londra e le Isole Vergini (su uno yacht chiamato “Fair Carol”) con gli ormai ex-membri Jimmy McCulloch e Joe English, quest’album risente in maniera eccessiva dell’atmosfera rilassata fornita dall’esotica location e, pur essendo inciso e prodotto in maniera ineccepibile, non aggiunge nulla di nuovo alla discografia di McCartney e alla scena musicale del momento.

A causa dell’ondata distruttiva del punk e di una scarsa promozione, le vendite sono meno felici di quanto ci si potesse aspettare. Anche la critica si dimostra molto meno accondiscendente del previsto. Negli anni, tuttavia, quest’opera sarà ampiamente rivalutata, fino a essere considerata il miglior prodotto del gruppo dai tempi di Band On The Run.
Deluso per la scarsa pubblicità e maldestra distribuzione sul mercato americano sia del singolo “Mull Of Kintyre” che dell’album London Town, McCartney scioglie il contratto con la Capitol Records e firma per la Columbia. Dopo aver scritturato due nuovi elementi, il batterista Steve Holley (Londra - 1954) e il chitarrista Laurence Jubert (Londra - 12 novembre 1952), Paul si mette al lavoro su del nuovo materiale cercando di dare una svolta allo stile musicale eccessivamente soft dei Wings.

Paul McCartney - Linda EastmanScelto un sound molto più grezzo e un posto decisamente più rustico per incidere (la campagna scozzese), la band produce quello che avrebbe dovuto essere il disco della rinascita: Back To The Egg. Pubblicato nel giugno del 1979 e trainato dal discreto riscontro del singolo simil-disco “Goodnight Tonight”/“Daytime Nightime Suffering” (Lennon si dichiara non entusiasta di “Goodnight Tonight”, anche se ammette che ha un gran giro di basso), l’album delude le aspettative nonostante le ottime intenzioni e un cast di prima grandezza. Il cambiamento di rotta appare subito evidente in “Reception”, sorta di intro strumentale che sfocia in “Getting Closer” brano di stampo rock caratterizzato da un ottimo fraseggio di basso. Le liriche stavolta si fanno meno smielate ben adattandosi alla godibilità della musica (“Hitting the chisel and making a joint/ Gluing my fingers together/ Radio play me a song with a point/ Sailor beware of weather”). “Spit It On” è un’altra rabbiosa cavalcata di stampo punk con riferimenti espliciti al sesso (“Spin it on, don't stop/ Take it back to the top/ 'Cause I've got another lot of love for you/ That's why I spin it on wanna/ Spin it on”) mentre “Old Siam Sir” è un brano dal sound molto grezzo con espliciti riferimenti politici (“In a village in Old Siam, sir, there's a lady who's lost her way/ In an effort to find a man, sir, she found herself in the old UK”). Deludente l’utopico esperimento di una all-star band che, sebbene annoveri tra le sua fila elementi di spicco del panorama musicale internazionale quali David Gilmour, John Paul Jones, John Bonham, Hank Marvin e Pete Townshend, non riesce ad esprimere le sue enormi potenzialità.
Il brano “Rockestra Theme” risulta confusionario e poco ispirato tanto da sembrare addirittura una jam session. Deboli sono anche “To You”, “After The Ball/Million Miles”, “Winter Rose/Love Awake” e “The Broadcast”, che virano verso un pop di maniera, molto efficace ma anche abbastanza banale. Va decisamente meglio nel finale, dove ricompaiono sonorità più al passo coi tempi in “So Glad To See You Here” e “Baby’ Request” in cui sono evidenti le sfumature jazzate.
Nonostante gli sforzi di McCartney di mantenere i Wings saldamente ancorati alla loro epoca, i risultati non arrivano. L’album sembra “forzato”, poco spontaneo e, soprattutto, poco omogeneo. Perfino il tentativo di una band “sovrumana”, denominato Rockestra, fallisce miseramente non dando luogo a nessun seguito. Il plauso del pubblico immancabilmente arriva, ma la critica si dimostra più delusa che mai giungendo a considerare l’album pretenzioso e senza senso. Il giornalista di Rolling Stone, Timothy White definisce Back To The Egg “just about the sorriest grab bag of dreck in recent memory” ("La merda più desolante di recente memoria" - Rolling Stone, 23 agosto 1979).
Il cambio delle mode e un’indiscutibile mancanza di ispirazione hanno reso i Wings improvvisamente anacronistici, antiquati, tanto da spingere il loro fondatore a battere una nuova via.

Alone again

Come già successo per i Beatles, McCartney decreta sostanzialmente la fine dei Wings in musica. Rifugiatosi nuovamente nella sua fattoria scozzese, Paul inizia a comporre e incidere in totale solitudine dei nuovi brani che confluiranno nel suo nuovo lavoro “solista”. Nel maggio 1980 esce a sorpresa McCartney II, opera insolita e per certi versi sorprendente. Contrariamente alle recenti pubblicazioni dei Wings e allo stile tipico del Macca, è un album assolutamente sperimentale, senza alcun riguardo per le vendite o le melodie di facile presa. Chitarre e batterie sono momentaneamente accantonate per far spazio a sintetizzatori e sonorità elettroniche.
La vitalità musicale e lirica di “Coming Up” (“You want a love to last forever, One that will never fade away / I want to help you with your problem, Stick around, I say, It's coming up! It's coming up! It's coming up like a flower!”) è sottolineata dall’uso massiccio del sintetizzatore, del vari-speed (per la traccia vocale) e di un riff di basso elementare ma efficace. Ne viene fuori una miscela di funk, disco e pop curiosa e affascinante. In “Temporary Secretary” il grigiore della borghesia inglese è espresso da suoni che sembrano usciti da un calcolatore elettronico e da una voce robotica.
Anche le parole si fanno più pungenti, ispirandosi alla crisi occupazionale britannica di fine anni 70 (“Ah, but Mister Marks I won't need her long/ All I need is help for a little while/ We can take dictation and learn to smile/ And a temporary secretary is what I need for to do the job”). “On The Way” è l’unico brano in cui scompaiono i synth e torna la strumentazione classica, mentre la liquida “Waterfall” traghetta lo stile beatlesiano di Paul direttamente negli anni 80. Il piano elettrico e le tastiere si fondono a meraviglia con la chitarra acustica e una voce stavolta priva di effetti. La parole assumono tonalità oniriche mentre disegnano un bisogno d’amore tenero e delicato (“And I need love, yeah, I need love/ Like a second needs an hour/ Like a raindrop needs a shower/ Yeah, i need love every minute of the day/ And it wouldn't be the same if you ever should decide to go away”). Il rock elementare, sia per la qualità dell’incisione che per il significato dei versi, di “Nobody Knows” va a cozzare con la ricchezza di effetti, francamente eccessiva, di “Front Parlour”, pezzo prettamente strumentale.
L’ottima “Summer’s Day Song” dal lungo intermezzo musicale e dal ritmo lentissimo aprono la strada a “Frozen Jap”, sfogo musicale martellante e ipnotico. La voce effettatissima del Macca domina “Bogey Music” che, come dice il titolo, rappresenta un divertissement a base di boogie, mentre “Darkroom” esplora i pruriti sessuali (“Got a place/ We can go/ Lights are low/ Let me show you to my darkroom”) attraverso un testo esplicito innestato su una base monocorde. In chiusura, arriva il gioiello “One Of This Days”. Niente effetti strani, solo Paul, la sua chitarra e delle liriche straordinariamente poetiche (“One of these days/ When my feet are on the ground/ I'm gonna look around and see/ See what's right, see what's there/ And breathe fresh air, ever after”).
Si tratta certamente di un album insolito, coraggioso, non compreso, ma anche molto approssimativo, forse a causa della poca dimestichezza di McCartney con suoni e strumenti nuovi. Alterna momenti assolutamente incomprensibili ad altri di grande musica, anticipando quelle che saranno le sonorità del decennio a venire. La stampa, ancora una volta, dimostra di non gradire questa nuova uscita e distrugge il disco bollandone l’eccessiva amatorialità e l’innaturalezza. I fan, però, premiano tanta buona volontà, trascinando l’album fino alla vetta delle classifiche inglesi.

Il 1980, tuttavia, è un anno abbastanza travagliato per Sir Paul. Il 16 gennaio, all’inizio della tournée in Giappone, viene arrestato a Tokyo per possesso di marijuana e sconta nove giorni di carcere. Il 5 dicembre John Lennon muore assassinato da Mark David Chapman, un dolore enorme per Paul McCartney che comincia, comprensibilmente, a sviluppare una sorta di paranoia nei confronti del contatto col pubblico. È proprio questo momentaneo rifiuto a esibirsi dal vivo che provoca una frattura insanabile con Danny Laine, che nel’aprile del 1981 abbandona il gruppo, chiudendo definitivamente il capitolo Wings.

Paul McCartney - Stevie WonderPaul non si perde d’animo e si rifugia nell’amicizia e nella collaborazione dei vecchi compari Ringo Starr e George Martin, ritrovando anche una discreta ispirazione. Il risultato è un album di grande successo, Tug Of War, che vanta camei di lusso come quelli di Carl Perkins e Stevie Wonder. Uscito nell’aprile del 1982, Tug Of War vola direttamente in vetta alle classifiche di mezzo mondo grazie al travolgente successo di “Ebony And Ivory”, pezzo pop incentrato sulle idee di integrazione razziale e tolleranza (“Ebony and ivory/ Live together in perfect harmony/ Side by side on my piano keyboard/ Oh Lord, why don't we?”) composto e cantato in coppia con l’artista afroamericano. “Take It Away” , invece, parte con un ritmo reggae per poi esplodere in un rock spumeggiante; il testo rievoca, con una vena di nostalgia, i momenti belli ma difficili di inizio carriera (“In the audience, watching the show/ With a paper in his hand/ (In his hand, in his hand)/ Some important impresario/ Has a message for the band”) mentre le batterie di Steve Gadd e Ringo Starr forniscono un ritmo travolgente.
“Here Today” è il commovente addio di McCartney al suo amico e compagno John Lennon, da poco scomparso. La drammaticità delle parole (“But as for me/ I still remember how it was before/ And I am holding back these tears no more”) è sottolineata da un arrangiamento a base di chitarra acustica e archi che ricorda molto il capolavoro dei Beatles “Eleanor Rigby”. La maestosa “Wanderlust”, il cui nome è ripreso dalla residenza caraibica di Paul e Linda ai tempi di London Town, è un inno alla libertà (“Light out wanderlust/ Help us to be free/ Light out wanderlust/ Do it just for me, wanderlust”) sottolineato da un arrangiamento orchestrale imponente e maestoso. Carl Perkins impreziosisce con la sua presenza la scherzosa “Get It”, mentre “Dress Me Up As A Robber”, col suo ritmo frenetico, rappresenta un'altra ottima scorribanda in territori prettamente disco.
La presenza di brani eccellenti e l’affiatamento con gli ospiti rende Tug Of War un disco pienamente riuscito, senza dubbio tra i migliori nella vasta discografia del McCartney solista. L’alternarsi di vari stili musicali, questa volta, è sintomo di uno stato di forma che ripaga i fan dello shock subito all’uscita di McCartney II. Perfino la stampa di settore, di solito avara di complimenti, si mostra immediatamente entusiasta, arrivando a definire quest’opera un capolavoro.

Paul McCartney - Michael JacksonVisto che le collaborazioni incontrano il favore del pubblico, arriva il momento di una nuova partnership: è il turno di Michael Jackson. L’ex-Beatle e il “re del pop” si scambiano favori duettando in tre brani: la stucchevole “The Girl Is Mine”, che finisce su “Thriller”, e “Say Say Say” e “The Man”, che trovano posto su Pipes Of Peace del 1983. Sebbene rappresenti un passo indietro rispetto a Tug Of War, quest’ultimo album conferma il buon momento di forma di McCartney, che ritrova il favore di pubblico e critica grazie a un pop di gran classe, raffinato e radiofonico, in grado di scalare agilmente le classifiche di mezzo mondo.
La title track diventa subito un classico grazie a una melodia molto accattivante e a un testo inneggiante al pacifismo universale (“I light a candle to our love/ In love our problems disappear/ But all in all we soon discover/ That one and one is all we long to hear”). “Say say say” vede il perfetto intreccio tra Paul e Jacko, che pur cantando lo stesso tema riescono a mantenere intatto il proprio stile. La ritmica martellante, in stile disco, fornisce il giusto tappeto alle due voci che interagiscono magistralmente, rivelandosi un’accoppiata vincente. Le liriche non sono di grande profondità, limitandosi a descrivere le sofferenze di un amore non corrisposto (“All alone/ I sit home by the phone/ Waiting for you, baby/ Through the years/ How can you stand to hear/ My pleading for ya dear/ You know I'm cryin”). Di tutt’altro spessore la malinconica ballata “So Bad”, caratterizzata dal magnifico falsetto di McCartney. Un’ottima prova d’autore con richiami agli anni ’70 nell’uso dei cori e delle tastiere. Protagonista, ancora una volta, l’amore, questa volta non contrastato ma passionale (“And if you leave, my pain will go/ But that's no good to me/ Girl, I love you, yes, I love you so bad”).
L’altro duetto con Jackson, “The Man” possiede decisamente meno appeal di “Say Say Say”, anche se la godibilità del brano è fuori discussione, mentre “Tug Of Peace” contiene un’autocitazione dall’album precedente, creando una sorta di ideale continuum tra i due lavori. La notevole caratura di questi pezzi fa si che Pipes Of Peace risulti, nel complesso, un buon disco, ben prodotto e ben suonato, anche se forse con un’eccessiva attenzione alle hit parade. Mancano picchi di creatività o folgoranti innovazioni; meglio una tranquilla “routine” musicale in grado di garantire visibilità e successo.

Paul McCartney a Live Aid con Bono e Midge UreDopo un periodo di meritato riposo, interrotto solamente dalla partecipazione al Live Aid del 1985 con “Let It Be” e la composizione di un brano, “Spy Like Us”, per la colonna sonora del film “Spie Come Noi” con Dan Aykroyd e Chavy Chase, McCartney spiazza di nuovo pubblico e critica tuffandosi in un progetto strampalato e francamente al di sopra delle sue possibilità. Costantemente alla ricerca di nuovi territori, Paul questa volta si dà al cinema, imbarcandosi in un’avventura che nelle intenzioni avrebbe dovuto produrre un film e una colonna sonora, ma che nella realtà si rivela uno dei più grandi fallimenti della sua intera carriera. Give My Regards To Broad Street, uscito nell’ottobre 1984, non riceve consensi al botteghino a causa della trama inesistente, mentre la soundtrack, mescolando furbescamente brani di Tug Of War e Pipes Of Peace ad alcuni classici del canone beatlesiano (“Here, There And Everywhere”, “Yesterday”, “Eleanor Rigby”, “For No One”, “The Long And Winding Road”), ottiene un discreto successo. Unica novità l’ottima “No More Lonely Nights”, impreziosita dall’assolo di David Gilmour e da liriche particolarmente ispirate (“May I never miss the thrill/ Of being near you?/ And if it takes a couple of years to turn your tears to laughter”).
Dopo due notevoli uscite discografiche ecco che il Macca smarrisce improvvisamente la via, nel tentativo di ottenere il massimo risultato col minimo sforzo. Sono evidenti un calo d’ispirazione e una notevole difficoltà nel mantenersi al passo coi tempi. La critica, ovviamente, distrugge sia album che film, definendoli entrambi inutili e insensati.

Incerto sulle gambe dopo la stroncatura di Give My Regards To Broad Street, il Macca cerca un nuovo modo per svecchiare la sua musica e adattarla ai mutati gusti del pubblico giovanile. Per far ciò si avvale della collaborazione del produttore Hugh Padham, già con Police, Genesis, Peter Gabriel, Xtc e del chitarrista dei 10cc, Eric Stewart. Il risultato è l’ambiguo Press To Play, uscito nel settembre 1986. Interrogativo, superficialmente sperimentale, non riuscito, quest’album viene considerato generalmente il peggior lavoro di Paul McCartney a causa della pessima commistione tra suoni moderni e melodie antiche. Gli ospiti illustri non mancano (Pete Townshend, Phil Collins, Ray Cooper) ma il materiale a disposizione è francamente deludente. “Stranglehold” tenta di mescolare rock’n’roll classico con sonorità anni 80, dando luogo a un ibrido senza capo né coda. Anche “Only Love Remains” sortisce lo stesso effetto, seppellendo una morbida ballata sotto tonnellate di effetti. Anche i versi perdono la loro efficacia risultando banali e poco ispirati (“If you should ever feel that something's wrong/ I'm going to want to put it right/ To bring a happy ending to our song/ I'll carry on believing in a love”). L’inquietante “Press” presenta un Paul McCartney versione Culture Club, intento a snocciolare rime prive di significato (“Oklahoma was never like this, never like this/ It was never like this/ Ever like this, hey, was it ever like this?/ Oklahoma was never like this, it was never like this”) mentre “Pretty Little Head” è un goffo tentativo di scimmiottare il sound di Duran Duran e A-Ha, dando luogo a un pezzo insulso e privo di fascino.
Per i fan della prima ora è un autentico pugno nello stomaco. Incomprensibile, indegno, inconcepibile per un artista di quel calibro, lontano anni luce dalle sonorità cui il Macca era solito spadroneggiare. Il disco non convince nemmeno i più giovani a causa della poca spontaneità, dell’eccessiva sovrapproduzione e dello scarso appeal dei brani: non andrà oltre l’ottavo posto in classifica per poi cadere nel dimenticatoio.

Nonostante tutto, dalle session per Press To Play esce fuori un gran pezzo “Once Upon A Long Ago”, inserito come inedito nella raccolta All The Best del 1987, pubblicata per attutire il contraccolpo del recente flop commerciale. Allo scopo di continuare a mantenere il nome sulla cresta dell’onda viene anche data alle stampe una raccolta di vecchi standard rock’n’roll pubblicata col nome di CHOBA B CCCP. Destinata inizialmente al solo mercato sovietico, ancora intrappolato nella morsa del regime comunista, questa compilation viene poi diffusa nel mondo intero ottenendo notevoli consensi grazie alla brillante interpretazione di brani immortali quali “The Midnight Special”, “Kansas City”, “Ain’t That A Shame”, “Bring It On Home To Me” e “Lucille”.

Paul McCartney - Elvis CostelloNiente di nuovo, dunque, ma la svolta è dietro l’angolo. Per il successivo Flowers In The Dirt, datato 1989, McCartney sceglie di avvalersi dell’aiuto di un musicista di provata esperienza: Elvis Costello (favore ricambiato in quanto i due comporranno e suoneranno insieme nell’album “Spike” dell’artista irlandese). Questa nuova collaborazione sembra infondere nuova vitalità alla musica di Sir Paul, che arriva a comporre un album molto più rock e lontano dalle sterili sperimentazioni di inizio anni 80. L’urlo in apertura di “My Brave Face” è una dichiarazione di intenti, un riprendersi prepotentemente la scena dopo i passi falsi del recente passato. La melodia vigorosa, che ricorda vagamente Sting e i Police, accantona i sintetizzatori riproponendo sonorità di stampo classico più immediatamente fruibili. Il testo propone una rivendicazione delle origini rock dell’autore, diluite dal successo planetario (“I've been living in style/ Unaccustomed as I am to the luxury life/ I've been hitting the town and it didn't hit back”). Il duetto con il partner Costello, “You Want Her Too”, è, come si evince dal titolo, un confronto tra due uomini innamorati della stessa donna (“She makes me do things I don't want to do/ I don't know why I should be telling you/ I know that you want her too”). Anche qui l’energia la fa da padrona per quanto riguarda sia le parti vocali che quelle strumentali. In netto contrasto si pone la delicatezza unplugged di “Put It There”, tutta incentrata sul rapporto padre/figlio (“Put it there if it weighs a ton/ That's what the father said to his younger son/ I don't care if it weighs a ton/ As long as you and I are here, put it there”). Di struggente bellezza l’alchimia tra musica e parole; una vera perla di cui solo McCartney può essere capace.
Tanta leggerezza è subito rimpiazzata dalla ritmatissima “Figure Of Eight” ma soprattutto dall’elegantissimo pop di “This One” pieno di ottimismo e vitalità (“The swan is gliding above the ocean/ A God is riding upon his back/ How calm the water and bright the rainbow/ Fade this one to black”). Altri ottimi momenti sono rappresentati da “Don’t Be Careless Love”, dal reggae di “How Many People” e dal brano di chiusura “Motor Of Love”, in cui ritornano i sintetizzatori.
Evidentemente il contraccolpo provocato dal fallimento di Press To Play sortisce l’effetto sperato. Flowers In The Dirt è un gran bel disco che riporta in auge il nome del Macca raschiandone via la patina opaca dovuta alle ultime deludenti prestazioni. Va sottolineato che la qualità dei musicisti scelti (tra cui Robbie McHintosh, Hamish Stuart, Nicky Hopkins e Chris Whitten) contribuisce in maniera decisiva alla ottima riuscita dell’album.

Non bisogna dimenticare che gran parte del successo di Flowers In The Dirt è dovuto all’inserimento di molti suoi pezzi nella scaletta del colossale The Paul McCartney World Tour, il primo da Wings Uk Tour 1979, durato oltre un anno e portato nelle maggiori città del mondo. Una sapiente miscela di brani dei Beatles, Wings e successi solisti ha fatto sì che il tour mondiale registrasse ovunque il tutto esaurito e il doppio album ricavato, Tripping The Live Fantastic, volasse in cima alle classifiche di tutto il mondo. Un nuovo colpo di coda da parte di un artista abituato a stupire e rinnovarsi e che sembra entrare nell’ultimo decennio del secolo con ritrovato spirito e rinnovata energia.

Martin, Starr, Harrison e... the Lovely Linda

Lo stato di grazia viene confermato dalla strabiliante performance all’Mtv Unplugged del il 15 gennaio 1991, il primo di una serie di concerti sponsorizzati dalla nota emittente televisiva durante i quali numerosi artisti di fama internazionale si cimentano con i brani più famosi del loro repertorio rivisitati in chiave acustica (da segnalare i fantastici live di Eric Clapton, Neil Young e Nirvana). Il set di Paul McCartney vede la star britannica imbracciare una Martin D 28 e proporre intimistiche versioni di classici beatlesiani (“I’ve Just Seen A Face”, “Blackbird”, “We Can Work It Out”), vecchi standard (“Be Bop A Lula”, “Blue Moon Of Kentucky”, “Good Rockin Tonight”, “San Francisco Bay Blues”) e brani tratti dal suo primo lavoro solista (“That Would Be Something”, “Every Night”, “Junk”). Ne viene tratto un ottimo album Unplugged-The Official Bootleg che stupisce per la qualità del suono e la bellezza delle interpretazioni.

Cinque mesi dopo è la volta di un progetto ambizioso quanto affascinante: il primo disco di “musica colta” da parte di un ex-Beatle. Il tema portante è la vita di Paul McCartney, dalla nascita fino agli anni più recenti, passando per i Beatles, i Wings, Linda e quant’altro. Con l’aiuto del direttore d’orchestra Carl Davis (New York - 28 ottobre 1936) e della Royal Philarmonic Orchestra, prende vita, nell’ottobre 1991, un album insolito e intrigante intitolato Paul McCartney’s Liverpool Oratorio. Articolato in otto movimenti (“War”, “School”, “Crypt”, “Father”, “Wedding”, “Work”, “Crises”, “Peace”) è un lavoro largamente autoreferenziale e vagamente megalomane. Lo spiazzamento nei fan è totale, ma le vendite sono piuttosto buone, e l’album finisce persino in vetta alle classifiche di settore.

Paul McCartneyDopo questo breve excursus nella musica classica si ritorna alla normalità con un disco ben più standardizzato. Off The Ground del 1993 non presenta picchi particolarmente rilevanti rimanendo un disco assolutamente anonimo, nonostante la nuova partecipazione di Costello (anche se non accreditata). Il mutato punto di vista di McCartney nei confronti del mondo e una rinnovata attenzione verso tematiche sociali influenzano profondamente le tracce. “Hope Of Deliverance”, forse il brano più famoso presente in scaletta, ammanta di soffice pop un testo profondamente incentrato sulla speranza di un mondo migliore (“I will always be hoping, hoping/ You will always be holding/ Holding my heart in your hand/ I will understand”). Il rock della title track nasconde riferimenti ecologisti (“Though it takes a lot of power/ To make a big tree grow/ It doesn't need a pot of knowledge/ For a seed knows what a seed must know”) mentre “Looking For A Change” è una tirata antivisezionista sostenuta da una ritmica potente a sottolineare la rabbia nelle parole (“Saw a rabbit with its eyes full of tears/ The lab that owned her had been doing it for years/ Why don't we make them pay for every last eye?/ That couldn't cry its own tears, do you know what I mean”). “Mistress And Maid” e “The Lovers That Never Were” sono gli unici due pezzi scritti con Costello e gli unici che si distanziano dall’atmosfera socio-ecologica che permea l’intero lavoro. due ballad incentrate su amore, innamoramento e passione, che però non lasciano il segno.
“Biker Like An Icon” racconta dell’amore non corrisposto di una ragazza per un ciclista (“There was a girl who loved a biker/ She used to follow him across America/ But the biker didn't like her/ She didn't care, she still persisted”) su una base mediocremente pop, mentre “C’mon People” dovrebbe essere un inno all’ottimismo ma la melodia esageratamente barocca ne soffoca la gioia e la brillantezza trasformandola in una canzone anonima e melensa (“So c'mon people let the world begin/ We've got a future and it's charging in/ We'll make the best of all we have and more/ We'll do what never has been done before”).
L’attesissimo seguito di Flowers In The Dirt si rivela, così, un fiasco colossale sia dal punto di vista musicale che compositivo. Troppo ecumenico e buonista, a tratti persino irritante per la banalità delle liriche e l’insipidità delle melodie. Nonostante l’alta professionalità dei session-men (gli stessi utilizzati per l’album precedente e per l’unplugged) l’album risulta troppo semplicistico, svogliato e sostanzialmente privo di mordente. Per la prima volta dal 1971, non ne vengono estratti singoli di successo, il che ne aumenta lo scarso successo commerciale.

Un impatto leggermente più rilevante lo ottiene il successivo tour mondiale, documentato nel successivo Paul Is Live! che poco aggiunge alla discografia dell’artista, se non il fatto di alimentare ancor di più le immancabili voci sulla sua presunta morte nel 1966 a causa di una copertina piena di richiami alla teoria del P.I.D..
Le vendite di entrambi gli album sono scoraggianti, vuoi per la scarsa ispirazione del primo, vuoi per la sostanziale inutilità del secondo (sarà il disco dal vivo meno venduto della sua carriera), vuoi, forse, per la distrazione dovuta a una iniziativa senza precedenti destinata a scuotere dalle fondamenta l’intero panorama del rock.
Al rientro dal tour del 1993 Paul McCartney si impegna con gli ex-soci, George Harrison e Ringo Starr, a recuperare e ampliare l’immenso patrimonio musicale dei Beatles. Il progetto, denominato “Anthology”, prevede un documentario di dieci ore infarcito di interviste e filmati rarissimi che ripercorre l’epopea dei Fab Four dai giorni di Amburgo al Rooftop Concert. Sono previste, inoltre, la pubblicazione di tre doppi album ricchi di outtake, brani non inclusi nella discografia ufficiale e soprattutto, evento senza precedenti, due nuove canzoni dei Beatles. In realtà si tratta di due provini di Lennon, “Free As A Bird” e “Real Love”, ai quali attraverso sovraincisioni sono stati aggiunte le voci e gli strumenti degli altri tre componenti. Un’operazione sfacciatamente commerciale, ma il fascino è immenso. Il successo anche.

Paul McCartneyQuesto viaggio a ritroso nelle sue radici ha portato una nuova luce nella fantasia compositiva di McCartney che, rinfrancato dalle atmosfere di Abbey Road, scrive e produce quello che forse è il suo miglior album dai tempi di Band On The Run. Flaming Pie, del 1997, il cui titolo enigmatico richiama il sogno fatto da Lennon in cui gli viene suggerito il nome della band, è un lavoro ricco di atmosfere beatlesiane venate di malinconia e ricche di suggestione. Con l’aiuto di musicisti quali Jeff Lynne, Ringo Starr, Steve Miller, Geoff Emerick e la produzione del fido George Martin, Paul dà vita a un disco esaltante grazie alla notevole qualità dei brani nonché all’accurato lavoro di registrazione e post-produzione.
“The Song We Were Singing” è una sorta di acustica riflessione sui temi principali della vita e sul tempo che passa, un brano di innegabile suggestione, grazie ai perfetti cori di Jeff Lynne e all’azzeccatissimo uso dell’armonium (“Take a sip, see the world through a glass/ And speculate about the cosmic solution/ To the sound, blue guitars/ Caught up in a philosophical discussion”). Gli accesi rock di “The World Tonight” e “If You Wanna” introducono la liquida “Somedays” la cui bellezza sta nel delicato intreccio tra voce e chitarra prima dello splendido ritornello centrale. Liverpool e i ricordi di gioventù, tornano prepotenti nelle parole che si venano di commozione e nostalgia (“Sometimes I laugh/ I laugh to think how young we were/ Sometimes it's hard/ It's hard to know which way to turn”) per poi trasformarsi in un urlo di gioia e di speranza nel gioiello pop di nome “Young Boy” (“He's just a young boy looking for a way to find love/It isn't easy, nothing you can say will help him, Find love/ He's got to do it for himself and it can take so long/ He just a young boy looking for a way to find love”).
L’amore immenso per Linda ispira “Calico Skies”, tenero pezzo acustico a base di chitarra e voce, mentre i Fab Four tornano a solcare il disco nel blues di “Flaming Pie” in cui Paul dichiara di essere “l’uomo sulla torta in fiamme” (“Stick my tongue out and lick my nose/ Tuck my shirt in and zip my fly/ Go ahead, have a vision/ I'm the man on the flaming pie”) dal famoso sogno di Lennon che avrebbe ispirato il nome del gruppo. La jazzata “Heaven On A Sunday” e la sincopata “Used To Be Bad” (cantata in duetto con Steve Miller) introducono la meravigliosa “Souvenir”, power ballad caratterizzata da un acidissimo riff di chitarra sul ritornello principale. Il testo è incentrato sul valore dell’amicizia nei momenti di difficoltà con liriche cariche di suggestione (“If you want me tell me now/ If I can be of any help, tell me how/ Let me love you like a friend/ Everything is gonna come right in the end”) calde come il fruscìo del vinile messo in chiusura di brano.
“Little Willow” è ancora un’ottima prova per voce e chitarra mentre “Beautiful Night” sembra uscita direttamente da “Sgt. Pepper’s". È la miglior canzone del disco, la più bella, la più complessa, la più articolata, la più ricca e anche la più evocativa. Il cantato è sostenuto dal pianoforte per poi essere esaltato da un grande arrangiamento orchestrale ad opera di George Martin. Notevole la lunga coda finale, in cui si mettono in luce lo strepitoso cambio di ritmo, il lancinante assolo di chitarra e i cori in cui spicca la voce nasale di Ringo Starr. I versi sono quantomai poetici, delicati e onirici, velati di una sottile malinconia e commovente sentimento (“Someone's gone out fishing/ Someone's high and dry/ Someone's on a mission to the lonely Lorelei/ Some folk's got a vision of a castle in the sky/ And I'm left stranded, wondering why”).
Siamo decisamente di fronte a un grandissimo album, uno dei migliori di McCartney se non il migliore in assoluto. È un lavoro eccellente, ricco di pathos, poesia e grande musica che rimanda, senza nominarli esplicitamente, direttamente ai Beatles. Si respira l’aria di Liverpool e di Abbey Road. La qualità tecnica è elevatissima grazie a turnisti di lusso, alla supervisione di Martin ed all’essenziale contributo di Lynne, che introduce le complesse sonorità degli Electric Light Orchestra nel tempio del Mersey Sound. Un lavoro stellare la cui cifra artistica può essere paragonata alle migliori composizioni del primo McCartney fresco di separazione dai Fab Four. Critica e pubblico incensano di comune accordo quest’opera, portandola ai vertici delle classifiche, tanto da farle sfiorare il Grammy Award come album dell’anno.

Questo rinnovato fervore artistico è destinato a essere bruscamente interrotto pochi mesi dopo. Il 17 aprile 1998 Linda Eastman muore per l’aggravarsi di un tumore che le era stato diagnosticato tre anni prima. È una mazzata tremenda per l’ex-Beatle, costretto a interrompere qualsiasi attività musicale. La fine del millennio vede un McCartney provato dagli avvenimenti della vita, che tenta di andare avanti rifugiandosi ancora una volta nella sua inesauribile vena artistica.

Sono entrambi del 1999 l’album di standard rock Run Devil Run e la seconda escursione nella musica classica, Working Classical. Il primo è una raccolta di vecchi rock’n’ roll interpretati con magistrale perizia da un supergruppo formato, oltre dallo stesso McCartney, da David Gilmour, Ian Paice, Mick Green, Pete Wingfield e Geraint Watkins. Si spazia da “I Got Stung” e “All Shook Up”, due classici di Elvis Presley, a “Brown Eyed Handsome Man” di Chuck Berry e “Blue Jean Bop” di Gene Vincent. Unici inediti “Run Devil Run” e “Try Not To Cry”, scritti in puro stile anni 50.
Il secondo album è un curioso rifacimento in chiave classica di alcuni brani del repertorio solista mccartneyano (“Junk”, “Lovely Linda”, “Warm And Beautiful”, “My Love”, “Calico Skyes”). Arrangiato da Richard Rodney Bennet e Jonathan Turnick ed eseguito dalla London Philarmonic Orchestra e dal Loma Mar Qaurtet, presenta spunti interessanti soprattutto in chiave strumentale e sonora.
Le vendite di entrambi i dischi non sono particolarmente elevate, anche se comunque dignitose, a dimostrazione dell’immutato affetto del pubblico anche nei momenti più difficili.

Highlander

Paul McCartneyIl nuovo millennio per Paul McCartney si apre all’insegna della sperimentazione. Nell’agosto del 2000, infatti,  esce Liverpool Sound Collage, nuova tappa nella musica elettronica, edita sotto lo pseudonimo di The Fireman. Commissionato all’ex-Beatle dall’autore della copertina di “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, Peter Blake, il disco nasce come una particolare “colonna sonora” da abbinare a una mostra dello stesso Blake alla Tate Gallery di Liverpool.
I brani in esso contenuti sono molto simili alla “Revolution 9” presente nel “White Album”, in cui si odono stralci di discorsi, suoni di strada mescolati a effetti elettronici di matrice dub e dance.
A differenza dei precedenti lavori elettronici del Macca, quest’opera riesce anche a ottenere buone recensioni, arrivando anche ad aggiudicarsi un Grammy Award come miglior album di musica sperimentale.

Intanto l’attività live continua incessante. Nel 2001 McCartney è tra i promotori del “Concert For New York City”, in memoria delle vittime dell’11 settembre. In quell’occasione canta il brano “Freedom”, che sarà poi pubblicato nel nuovo album di inediti Driving Rain. È un disco che risente sia del clima di tensione che si respira nel mondo dopo gli attacchi alle Torri Gemelle sia di una ritrovata stabilità, dovuta alla relazione con l’ex-modella Heather Mills che Paul sposerà pochi mesi dopo. Guardando la scaletta del brano, si può dire che esso rappresenti la cronaca fedele del tortuoso cammino affrontato da Paul nel giro di quattro anni, partendo dalla morte di Linda, passando per Ground Zero fino ad arrivare all’incontro con la sua nuova musa. Il rock è ancora presente come in “Lonely Road” in cui è evidente il dolore per la morte della compagna di una vita (“I tried to get over you/ I tried to find something new/ But all I could ever do/ Was fill my time/ With thoughts of you”), cantato con rabbia e passione. La sofferenza dovuta al grave lutto è ancora più evidente nella commovente “From A Lover To A Friend”, accompagnata dal suono del piano e incisa in maniera più semplice possibile, quasi a sottolineare la drammaticità delle parole (“From a lover to a friend/ Take your own advice/ Let me love again/ Now that you turned out to be/ Someone I can trust/ Someone I believe”). Il ritrovato amore ispira la title track, influenzandone sia il tempo vivace che la melodia molto orecchiabile (“Something's open, it's my heart/ If something's missing, it's when we're apart/ If something's good, it's when we're back together again”).
La presenza della Mills si fa sempre più manifesta man mano che scorre l’album. Brani come “About You”, “Heather”, “Back In The Sunshine Again” e “Your Loving Flame” sono corredati da versi chiaramente rivolti alla nuova compagna di Paul e da melodie molto godibili, che ben descrivono la rinnovata passione amorosa. Ma è, senza dubbio, la già citata “Freedom” il pezzo che merita una menzione speciale grazie alla sua grande carica evocativa. È un inno di speranza che trasuda cordoglio e liberazione dopo i sanguinosi fatti dell’11 settembre. Le liriche sono semplici, dirette, cantabili, quasi a voler esorcizzare la paura (“Talkin' about freedom/ I'm talkin' 'bout freedom/ I will fight/For the right/ To live in freedom”), mentre la musica (impreziosita dalla chitarra di Eric Clapton) assume toni epici e maestosi.
Driving Rain tutto sommato è un buon album ricco di spunti interessanti e ottimi pezzi, anche se certamente non possiede il fascino e la bellezza del precedente. È un disco di transizione. Il periodo nero è passato e McCartney è pronto ad affrontare il nuovo millennio con rinnovato ottimismo. Il lutto, la paura, l’incertezza sono stati affrontati e metabolizzati attraverso questi sedici brani e adesso è giunto il momento di guardare il mondo con ritrovata speranza.

Pubblicato a fine 2001, questo lavoro, tuttavia, ottiene vendite sorprendentemente basse, specie se paragonate a quelle dell’ultimo album di inediti Flaming Pie. Probabilmente lo scarso successo commerciale è dovuto alla mancanza di un singolo trainante. Nonostante ciò, Paul McCartney si imbarca in un lungo tour mondiale, denominato Back In The World Tour, durante il quale arriva a tenere due storici concerti a Roma: uno gratuito a via dei Fori Imperiali davanti a 500.000 spettatori adoranti, l’altro nientemeno che all’interno del Colosseo per sole 300 persone.

Paul McCartneyAlla fine di questa interminabile serie di concerti Paul torna in studio per incidere nuovi brani. Arruolato lo storico produttore dei Radiohead, Nigel Godrich (Londra- 28 febbraio 1971) per rinnovare il suo sound, pubblica, nel settembre 2005, Chaos And Creation In The Backyard caratterizzato da un pop-rock dalle sonorità prettamente acustiche. Il risultato è un ottimo album premiato da pubblico e critica. Il piano battente domina la ritmatissima “Fine Line” incentrata sul sottile equilibrio tra bene e male, coraggio e paura, “caos e creazione” (“There is a fine line, between recklessness and courage/ It's about time, you understood which road to take/ It's a fine line, your decision makes a difference/ Get it wrong, you'll be making a big mistake”). La chitarra acustica e lo strano suono del duduk disegnano eterei fraseggi mentre McCartney canta della solitudine e della tristezza degli uomini in “Jenny Wren”, definita la “Eleanor Rigby del 2000 (“She saw poverty, breaking all the home/ Wounded warriors, took her song away”).
Le atmosfere barocche di “English Tea”, sottolineate da archi e ocarine, danno un tocco elegante al disco mentre “Too Much Rain” è un'altra morbida ballad sull’importanza dell’ottimismo (“It's too much for anyone, Too hard for anyone/ Who wants a happy and peaceful life/ You've gotta learn to laugh”). L’ottima “Follow me” è ancora una dedica alla Mills (“You give me direction, you show me the way/ You give me a reason, to face every day/ I can depend on you, to send me to, any destination/ You hold up a sign that reads, follow me, follow me”) mentre la tenerezza contenuta in brani quali “Promised To You Girl”, “This Never Happened Before” e “Anyway” mette in evidenza un momento di grande serenità dell’autore, che sfocia nella composizione di canzoni particolarmente ispirate ed efficaci.
Tutto l’album risente di questo momento magico risultando, nel complesso, un lavoro omogeneo, affascinante ed elegante. Anche l’idea di tornare a incidere in acustico e in quasi totale solitudine si rivela vincente dal momento che offre al Macca l’occasione per mettersi nuovamente a nudo davanti a un microfono. Pubblico e critica apprezzano tanta sincerità e semplicità, facendo registrare recensioni positive e discreti risultati di vendita.

Le cose della vita sono però in agguato dietro l’angolo. Nel maggio del 2006 arriva il tormentato (e miliardario) divorzio da Heather Mills dalla quale, nel frattempo, l’ex-Beatle ha avuto una figlia (Beatrice). È un altro brutto colpo per Sir Paul che si vede costretto a passare gran parte del tempo tra tribunali e avvocati, nonché a vedere il suo buon nome sulle maggiori testate scandalistiche mondiali.

Visto che siamo in vena di separazioni, nel 2007 giunge anche il distacco dalla casa discografica Emi dopo ben 45 anni di sodalizio. Tutto ciò non può non avere conseguenze sulla musica. Dopo la terza escursione nella musica classica con Ecce Cor Meum (ultimo album per la Emi), interamente dedicato alla scomparsa moglie Linda, ecco giungere, nel giugno 2007, Memory Almost Full, che rappresenta un drastico cambio di rotta rispetto al precedente. Via le sonorità acustiche e ovattate per far spazio a un rock più genuino e sanguigno di chiara matrice Wings. Particolarmente interessante è “Gratitude” che oltre a essere un’ottima ballata in cui McCartney esorcizza il dolore per il recente e traumatico divorzio da Heather Mills (“Well, I was lonely/ I was living with a memory/ But my cold and lonely nights ended/ When you sheltered me”) è anche un brano che stuzzica la curiosità degli incrollabili sostenitori della teoria del “Paul Is Dead”. Pare, infatti, che ascoltando il ritornello al contrario si possano udire delle parole che rivelano la vera identità del presunto sosia di Paul (“Who is this now? Who is this now?/ I was... Willie Campbell!”).
La spassosa “Dance Tonight” caratterizzata dallo squillante suono di mandolino, è un pezzo dal sapore folk-rock con un testo semplice e immediato (“Everybody gonna dance tonight/ Everybody gonna feel alright/ Everybody gonna dance around tonight”). Morbidi archi introducono “Only Mama Knows”, rock graffiante dominato da chitarre elettriche affilatissime e da una batteria torrenziale. Il testo è una dolente riflessione sulla malinconia indotta dalle interminabili tournée (“Well, I was found in the transit lounge/ Of a dirty airport town/ What was I doing on the road to ruin/ Well my mama laid me down/ My mama laid me down”). La malinconica “You Tell Me” rispolvera i ricordi di un’estate ormai lontana (“When was that summer when the skies were blue/ The bright red cardinal flew down from its tree?/ You tell me/ When was that summer when it never rained/ The air was buzzin' with the sweet old honeybee?/ Let's see, you tell me”) sul morbido suono di una chitarra acustica. Anche la voce si fa languida e malinconica, aumentando a dismisura il pathos suscitato dalla musica.
C’è ancora spazio per le sonorità acide di “Nod Your Head”, per le atmosfere barocche di “Mr. Bellamy” e per le ottime prove d’autore di “Vintage Clothes”, “That Was Me” e “The End Of The End”, che completano dignitosamente la scaletta di quest’ottimo album. Paul McCartney ormai non ha più bisogno di stupire, di sperimentare, bastano la sua voce e il suo tocco per rendere godibile qualsiasi disco. L’ispirazione, la fantasia sono ancora fervide e sono ammantate di una classe che solo un artista di tale spessore può possedere. Ormai la sua carriera da “leggenda vivente” prosegue tra celebrazioni, premi e sporadici tour mondiali. Eppure qualcosa bolle ancora e la voglia di rinnovarsi non accenna a diminuire.

Nel 2008, vestiti di nuovo i panni di The Fireman, pubblica un altro album di musica elettronica (Electric Arguments), mentre nel 2010 viene insignito del Gershwin Award dalla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti (con tanto di memorabile esibizione alla Casa Bianca davanti al presidente Barack Obama).

Tra un evento benefico e un concerto McCartney trova ancora il tempo di comporre e produrre nuovi album. Nel 2011 è la volta del suo nuovo album di musica classica Ocean’s Kingdom, mentre nel febbraio 2012 esce Kisses On The Bottom, album di cover impreziosito dalla presenza di artisti del calibro di Stevie Wonder, Eric Clapton, Vinnie Colaiuta, Diana Krall. Il rock viene momentaneamente messo da parte in favore di sonorità più soffuse e jazzate, contraddistinte da un largo uso del pianoforte, del contrabbasso e degli archi. Anche il cantato di Paul si fa più dolce, soffuso e delicato mentre affronta, da consumato coroner, materiale di indubbia qualità come “Bye Bye Blackbird”, “Home (When Shadows Fall)”, “I'm Gonna Sit Right Down And Write Myself  A Letter” e “Always”. Tra gli inediti la favolosa “My Valentine”, dedicata alla sua nuova fiamma Nancy (“And I will love her for life/ And I will never let a day go by/ Without remembering the reasons why/ She makes me certain/ That I can fly”) e disegnata dalla splendida chitarra di Clapton e “Only Our Hearts” ulteriore testimonianza del ritrovato amore impreziosita dall’inconfondibile armonica di Wonder. Siamo di fronte a un lavoro “maturo”, solido, ben strutturato e prodotto, che mette in luce un lato di McCartney per molti versi sconosciuto. Il bassista dei Beatles e il rocker indiavolato dei Wings si sono, nel tempo, trasformati in un “cantante confidenziale”, raffinato, suadente e convincente. Gli stadi e le arene fanno largo ad atmosfere più intime e raccolte, da teatro o night-club, più adatte a un pubblico colto e maturo. L’album  scala le classifiche convincendo sia i fan che gli addetti ai lavori.

New Paul

McCartney si divide tra concerti celebrativi a Buckingham Palace, cerimonie di chiusura di Giochi Olimpici e tour mondiali da tutto esaurito come il recentissimo Out There! Tour. Ma da instancabile e prolifico musicista qual è, nell’ottobre 2013 pubblica un nuovo album, il riuscito NEW, che ottiene entusiastici consensi da tutto il mondo musicale grazie al suo sound inaspettatamente fresco. Merito della capacità di McCartney di circondarsi di musicisti e produttori giovani quali Mark Ronson, Ethan Jones e Paul Epwort, in grado di innovare costantemente il suo stile. Un riconoscimento speciale va comunque tributato alla sua incredibile vena creativa, capace di sfornare, a settant’anni suonati, un gioiello quale “Save Us”, scatenato brano inneggiante all’amore con la sua Nancy Shevell (“Keep on sending your love/ In the heat of battle/ You've got something that'll save us/ Save us now”). Oltre alla strumentazione classic,a c’è un ottimo uso dell’elettronica, in grado di proiettare il classico Liverpool Sound nel nuovo millennio. Stesso discorso vale per “On My Way To Work”, notevole per la sua commistione tra chitarra acustica e suoni nuovi, “Early Days”, commovente ricordo dei primi anni con i Beatles (“Dressed in black from head to toe/ Two guitars across our backs/ We would walk the city roads/ Seeking someone who would listen to the music/ That we were writing down at home”) e “New”, fantastico brano di chiara matrice beatlesiana, incentrato sul recente matrimonio dell’autore (“You came along/ And made my life a song/ One lucky day/ You came along”).
Una notevole varietà sonora domina “Appreciate”, il pezzo più “sperimentale” del disco, in netta contrapposizione con la delicatezza di “Hosanna”, caratterizzata da un testo delicatamente poetico (“Hide in the darkness 'til it's getting light/ Do everything until we've got it done/ Then sing Hosanna to the morning sun”). Tutti questi brani fanno sì che l’album dimostri una imprevedibile freschezza, unitamente a una vena creativa ancora eccellente, a dispetto degli oltre cinquant’anni di carriera. Un ennesimo colpo di coda di un genio indiscusso della musica mondiale, capace di scrivere un nuovo capitolo ad ogni sua nuova uscita.

Incapace di invecchiare, McCartney si diverte ancora, sul palco dei Grammy Awards, l'8 febbraio 2015, a Los Angeles, presentando per la prima volta dal vivo la sua nuova collaborazione: il brano "FourFiveSeconds", realizzato insieme a Kanye West e Rihanna, destinato a essere incluso nel nuovo album della cantante di Barbados.

Sebbene ormai la voce non sia più limpida come una volta, il repertorio più jazzato e tranquillo, le rughe del volto più marcate, il fascino e la magia tornano intatte ogni volta che Sir Paul McCartney torna a imbracciare il suo Hofner.

Nuovo cambio al banco di produzione per Egypt Station, tocca all'esperto Greg Kurstin (The Bird And The Bee, Beck, Lily Allen, Adele, etc...) rimettere in sesto ancora una volta l'abilità di Paul McCartney di restare in bilico tra profondità e leggerezza.
Music for fun, quindi, con la piacevole sorpresa di avere tra le mani una buona manciata di canzoni da poter inserire in un’immaginaria raccolta di successi della carriera da solista di Paul. Il tocco leggermente moderno di alcune soluzioni d’arrangiamento potrà far storcere il naso a qualche purista, come nel caso dell’eccessiva e ridondante stupidità lirica e armonica di “Fuh You”, in converso
il toccante romanticismo di “I Don't Know”, l’introspettiva “Happy With You”, il geniale up-tempo electro-blues alla Electric Light Orchestra di “Come On To Me”, e l’imprevedibile refrain di “Dominoes”, non solo possiedono melodie dal fascino istantaneo e solido, ma sono caratterizzati anche da arrangiamenti avventurosi.
E’ un McCartney, indisciplinato il protagonista di questo nuovo album, a volte perfino avventato e caciarone, al punto da compiere qualche pasticcio, come la bossa nova-longue di “Back In Brasil”, che nonostante tutto strappa un sorriso di compiacimento, o l’improbabile rock-soul di “Caesar Rock”.
Le sedici canzoni sono in verità tante tappe di un immaginario viaggio, tante stazioni d’arrivo e di partenza dove per Paul si accavallano ricordi e suggestioni. Ed ecco di conseguenza un ipotetico doppio omaggio alle diverse anime di John Lennon, quella più poetica e intima (“Confidante”) e quella politicamente e socialmente impegnata (“People Want Peace”). C'è spazio anche per i vecchi Wings, evocati con classe nella più rockeggiante “ Who Cares” e nella mini suite alla Band On The Run di “Despite Repeated Warnings”.
E poi c’è ovviamente il McCartney sentimentale: quello capace di trasformare le poche note di “Hand In Hand “in qualcosa di più di una semplice love song, o di elevare la delicata e intensa ballata barocca “Do It Now” in un piccolo gioiellino da consegnare ai posteri. Messa a verbale un’altra mini suite ,” Hunt You Down/ Naked/ C-Link”, dove vengono accennate tutte le attitudini stilistiche rimaste fuori dai giochi, si può sen’altro salutare questo nuovo album dell’ex Beatles come un gradito ritorno alla forma.

Nel 2020, arriva invece, inaspettato, il terzo capitolo della saga omonima.
Se McCartney I nacque oppresso dagli ultimi dolorosi momenti della storia dei Beatles (era il 1970 e McCartney, sotto lo pseudonimo Billy Martin, preparava la pubblicazione dell'esordio solista, minimale e acustico), dieci anni dopo, il sintetico McCartney II veniva rilasciato successivamente al nuovo lavoro dei Wings, Back To The Egg. A cinquant'anni esatti, tutt'altri drammi segnano McCartney III (2020), terzo capitolo della trilogia (nonché diciottesimo album nella carriera del bassista di Liverpool), segnato dal lockdown e dalla pandemia Covid-19.
Macca torna a suonare ogni strumento che sentite e non fatevi ingannare dal “peso” di numeri e anniversari: McCartney III è l'ispirata jam casalinga di un ragazzo con ancora molto da dire, e suonare. Un lavoro più vicino al primo capitolo, senza dimenticare Chaos And Creation In The Backyard del 2005, prodotto da Nigel Godrich.
Al sicuro nell'abitazione del Sussex, McCartney quotidianamente imbraccia uno strumento e poi inizia il processo di composizione e sovraincisione, come si può ammirare nei video che hanno anticipato l'opera. L'inizio è avvolgente, merito della quasi strumentale "Long Tailed Winter Bird" e la successiva "Find My Way", dove il saggio Paul dispensa consigli e tranquillizza, per quanto possibile, chi lo ascolta: 
"You never used to be afraid of days like these/ But now you're overwhelmed by your anxieties/ Let me help you out, let me be your guide/ I can help you reach the love you feel inside”. Il suono della chitarra nella prima traccia, inaugurerà la composizione conclusiva, chiudendo con coerenza i quarantaquattro minuti di musica.
Nel mezzo, il pianoforte di "Women And Wives", le rockeggianti "Lavatory Lil" e "Seize The Day", la heavy "Slidin’". Non tutto è perfetto: la ripetitiva "Deep Down" e gli otto minuti non proprio a fuoco di "Deep Deep Feeling". Molto meglio brevi e incisi momenti di calda e pregevole fattura pop: "The Kiss Of Venus", il cui titolo proviene dal libro di John Martineau, e "Pretty Boys", dove i primi passaggi potrebbero evocare i tanti scatti fatti al Nostro dall'amata moglie Linda scomparsa nel 1998, ma che in realtà tratta dell'ossessione dei paparazzi per le nuove star da immortalare.
Chiuso da "Winter Bird/When Winter Comes", McCartney III è arrivato direttamente primo nelle classifiche: a fargli compagnia, sul versante dei singoli, Ringo Starr con la nuova canzone "Here's To The Nights" dove tra le tante prestigiose guest canta anche lo stesso McCartney.

Sulla scia del successo del terzo capitolo della serie dei McCartneySir Paul ne approfitta per rilasciare nuove versioni raccolte in McCartney III Imagined. L'ex Fab Four – eterno fanciullo – non si circonda di altri rinomati coetanei, ma opta per colleghi più giovani e “moderni”. McCartney III Imagined offre in primis, soprattutto per chi se la fosse persa, la possibilità di riascoltare le produzioni originali, e magari fare la conoscenza di nomi non ancora celebri in Italia (Dominic Fike, Khruangbin), ammirando poi come se la sono cavata con la musica dell'autore alcuni pesi massimi provenienti da generi e scene diverse. La tracklist viene reimpostata per miscelare al meglio le rivisitazioni, i remix e i featuring con gli ospiti, che tolgono ai brani quella genuina aura casalinga e “tuttofare” tipica dei McCartney, portandoli in dimensioni diverse. Nella versione fisica del disco è presente anche un nome extra-musicale, ovvero l'attore Idris Elba, l'Ispettore Luther dell'omonima serie e Stringer Bell di The Wire, da anni citato come uno dei papabili nuovi James Bond, il quale negli anni non ha disdegnato qualche uscita nel mondo della musica come deejay. McCartney III Imagined parte con l'approccio strumentale di Beck in “Find My Way”, per procedere verso i passaggi più riusciti, ovvero quelli dove più si sente la firma dell'ospite. Phoebe Bridgers fa sua come meglio non si potrebbe “Seize The Day” mentre Josh Homme porta “Lavatory Lil” tra gli scorci sonori più avvolgenti della sua recente produzione. Riguardo i remix, spiccano i cori femminili e il bell'assolo di St. Vincent in “Women And Wives” e l'EOB remix (ovvero di Ed O'Brien dei Radiohead) di una “Slidin’” ancora più heavy. Con un piccolo aiuto di amici e colleghi, McCartney III Imagined è l'ennesimo ascolto coinvolgente e di qualità sfornato da Macca, chiuso come meglio non si potrebbe con l'ipnotico viaggio di dieci minuti organizzato da 3D per “Deep Deep Feeling”.


Contributi di Gianfranco Marmoro ("Egypt Station") e Alessio Belli ("McCartney III", “McCartney III Imagined”)

Paul McCartney

Discografia

PAUL MCCARTNEY
McCartney (Apple Records, 1970)

7,5

Ram (con Linda McCartney, Apple Records,1971)

8

McCartney II (Parlophone,1980)

6

Tug Of War (Parlophone,1982)

7,5

Pipes Of Peace (Parlophone,1983)

7

Give My Regards To Broad Street (Parlophone,1984)

6

Press To Play (Parlophone,1986) 4
All The Best (antologia, Parlophone,1987)6,5
CHOBA B CCCP (Melodiya,1988)

6

Flowers In The Dirt (Parlophone,1989)

7

Tripping The Live Fantastic (live, Parlophone, 1990)

6

Unplugged: The Official Bootleg (live, Parlophone, 1991)

8

Paul McCartney's Liverpool Oratorio (Emi, 1991)

5

Off The Ground (Parlophone,1993)

5

Paul Is Live! (live, Parlophone, 1993)4
Strawberries Oceans Ships Forest (Fireman, con Youth) (Parlophone,1993)

5

Flaming Pie (Parlophone,1997)

8,5

Standing Stone (Emi, 1997)

5

Rushes (Fireman con Youth) (Emi, 1998)

5

Run Devil Run (Emi, 1999)

5,5

Working Classical (Emi, 1999)

5

Liverpool Sound Collage (Emi, 2000)

5

A Garland For Linda (Emi, 2001)

5,5

Driving Rain (Emi,2001)

6

Twin Freaks (Emi, 2005)

5,5

Chaos And Creation In The Backyard (Emi, 2005)

7,5

Ecce Cor Meum (Emi, 2006)

6

Memory Almost Full (Mpl,2007)

6,5

Electric Arguments (Fireman, con Youth) (Mpl,2008)

5

Ocean's Kingdom (Decca Records,2011)

5,5

Kisses On The Bottom (Hear Music,2012)

7

New (Hear Music,2013)7,5
Egypt Station(Capitol Records,2018)7,5
McCartney III(Capitol Records,2020)7
McCartney III Imagined(Capitol Records, 2021)6,5
WINGS
Wild Life (Apple Records, 1971)5,5
Red Rose Speedway (Apple Records, 1973)7,5
Band On The Run (Apple Records,1973) 8,5
Venus And Mars (Apple Records,1975)7
Wings At The Speed Of Sound (Apple Records,1976)5
Wings Over America (live, Parlophone, 1976)7
Thrillington (Regal Zonophone, 1977)5
London Town (Parlophone,1978)
6
Wings Greatest (antologia, Parlophone,1978)6
Back To The Egg (Parlophone,1979) 5
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Rockshow - L'intero concerto
(dal tour con i Wings del 1976, 1980)

Maybe I'm Amazed
(live, con i Wings dal film-concerto Rockshow, da McCartney, 1970)

Dear Boy
(videoclip, da Ram, 1971)

Live And Let Die
(live, 1973)

My Love
(live, da Red Rose Speedway, 1973)

 

Band On The Run
(live, con i Wings dal film-concerto Rockshow, da Band On The Run, 1973)

Bluebird
(live a Seattle, 1975-'76, da Band On The Run, 1973)

Silly Love Songs
(videoclip, da Wings At The Speed Of Sound, 1976)

Mull Of Kintyre
(videoclip, 1977)

Whith A Little Luck
(videoclip, da London Town, 1978)

Goodnight Tonight
(videoclip, da Back To The Egg, 1979)

Coming Up
(videoclip, da McCartney II, 1980)

Here Today
(live dal Back in the U.S 2002, da Tug Of War, 1982)

Say Say Say
(con Michael Jackson, videoclip, da Pipes Of Piece, 1983)

So Bad
(videoclip, da Pipes Of Piece, 1983)

 

No More Lonely Nights
(videoclip, da Give My Regards To Broad Street, 1984)

My Brave Face
(con Elvis Costello, videolip, da Flowers In The Dirt, 1989)

Beautiful Night
(videoclip, da Flaming Pie, 1997)

Lonely Road
(videoclip, da Driving Rain, 2001)

Fine Line
(videoclip, da Chaos And Creation In The Backyard, 2005)

Queenie Eye
(videoclip, da NEW, 2013)

FourFiveSeconds
(con Rihanna e Kanye West, videoclip, 2015)

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