L'oasi nella foresta
A guardarlo bene, nel suo ergersi fiero a ridosso dell'area boscosa di Spazio211, il palco del TOdays Festival è un'oasi inaspettata.
Arrivi da via Cigna, spesso attraversando a piedi isolati di decadenza periferica, e ti appare all'improvviso, quasi mostruoso nel sovrastare fisicamente il piccolo ma inaffondabile locale che gli ha dato i natali. Arrivi, e ti ricordi che per quattro giorni quel luogo sarà di nuovo il cuore pulsante della Torino musicale, il bunker colorato tra mille sfumature di grigio di un quartiere che spesso ha vissuto di battaglie.
Da un anno e mezzo a questa parte, alle battaglie locali si è aggiunta la gestione della pandemia, ostacolo ovviamente insormontabile per molti direttori artistici già abbondantemente messi alla prova dalla farraginosa legislazione che regola gli eventi a carattere musicale sul territorio nazionale.
Come conciliare l'offerta di qualità, la logistica, la raccolta di sponsorizzazioni e la disponibilità degli artisti, con il complesso sistema di norme di emergenza globali che punta al contenimento del contagio?
Ancora una volta, Gianluca Gozzi, storico ideatore del festival, ha messo in campo tutte le capacità manageriali che servono a concretizzare una visione, ottenere la fiducia delle istituzioni, e arginare le defezioni degli artisti (in questo caso quelli colpiti dal Covid, per i quali era prevista una quarantena stringente), rintracciando sostituti in tempi record a cartellone ormai chiuso.
Per quattro giorni del 2021, il parco Sempione che ospita il TOdays non ha rappresentato quindi soltanto un'oasi in senso naturale e culturale, ma anche una zona franca dove, grazie a poche ma semplici regole ben comprese da tutti (il green pass, il normale distanziamento imposto dalle sedie), l'ansia da pandemia è rimasta fuori dalla porta e il pubblico ha potuto godersi una delle più belle line-up di sempre nella storia del festival.
Non era come lo immaginavo
Gozzi lo ha sempre detto: "A me piace dire che riesco a vincere se uno torna a casa non dicendo 'wow, è stato come me lo aspettavo', ma al contrario 'wow, è stato come NON me lo aspettavo'. Non mi interessa che la gente sia adulatrice di un qualcosa che già conosce". Compilare il programma di un festival a partire da questo assioma è una sfida rognosa, soprattutto in tempi di Covid, e soprattutto sapendo che una buona fetta di pubblico compra il biglietto soltanto per gli artisti che conosce, con un effetto sorpresa fisiologicamente annullato. Ma per chi si trova nella condizione di seguire tutte le serate, la probabilità di assistere almeno una volta a qualcosa di memorabile, decisamente più nel bene che nel male, è molto concreta. Questo report, lungi dal voler essere una carrellata esaustiva di tutti quelli che sono saliti sul palco, si limiterà a fornire spunti sulle realtà che hanno ipotecato maggiormente l'attenzione del pubblico.
Italiani sì, italiani no
Chi ha partecipato all'edizione 2019, l'ultima in ordine di tempo, si ricorderà della totale assenza di artisti italiani, motivo per il quale la stessa direzione artistica era stata oggetto di accuse di scarso attaccamento alla maglia tricolore. Quest'anno, invece, era chiaro fin da subito che la posta in gioco sarebbe stata altissima, con due esponenti di indiscussa levatura quali Andrea Laszlo De Simone e IOSONOUNCANE (non me ne voglia il pur bravo Motta, nel cui set i pezzi dell'esordio targato 2016 continuano a brillare più del resto). E la scelta ha pagato.
Il primo si è presentato al TOdays a pochi giorni da un fraintesissimo post su Facebook che alludeva alla necessità di fermarsi a tempo indeterminato (interpretato da quasi tutti i media come la fine di un ciclo), dubbio poi fugato dallo stesso artista sul palco in chiusura di serata: "Sappiate che, nonostante quello che dicono i giornali, questo è solo un arrivederci". Caro Andrea, noi ti vogliamo bene a prescindere, sei un artista con una sincerità e un'intensità invidiabili, ma se posti una cosa del genere è difficile poi dire che i media hanno capito male. In ogni caso, l'annuncio ha inevitabilmente determinato un aumento della catarsi durante l'esibizione, già ammantata di bellezza e malinconia ad opera di una raggiante Immensità Orchestra.
Andrea ha una personalità piuttosto schiva, che si apre al mondo nelle condizioni giuste (gli amici giusti, la musica giusta, il "modo" giusto), e fortunatamente il palco del TOdays è una di queste. Il look total white (in netta contrapposizione col nero degli orchestrali), la giacca aperta sul petto nudo e villoso, la somiglianza con Frank Zappa, l'immaginario sonoro che gioca di sponda con Battisti, Morricone, Gaetano, la sigaretta sempre accesa. Sembra abitare gli anni Settanta, Andrea, ma racconta il (suo) mondo di oggi. Al TOdays, non ha portato le sue canzoni, ma sé stesso e il suo percorso, che poi forse sono la stessa cosa. Una perfetta coesistenza di forma e contenuto, di forza e delicatezza (di uomo e donna, per parafrasare il suo esordio). Uno spettacolo preparato nei minimi dettagli eppure spontaneo, vitale, gioioso, toccante (non a caso, tra i fotografi in prima fila era presente - e per TUTTA la durata dello spettacolo - nientepopodimeno che sua maestà Guido Harari). Non voglio neanche immaginare che questa roba si fermi proprio adesso.
Completamente all'opposto il set di Jacopo Incani, in arte IOSONOUNCANE, atteso al varco per comprendere se la complessità del suo "IRA" potesse essere trasposta adeguatamente dal vivo. Premesso che, con buona probabilità, si tratta del mio disco dell'anno, il timore che qualcosa potesse scalfire cotanta bellezza mi rendeva nervoso. Poi, il suo autore ha acceso le macchine e la paura è svanita, e con essa (per un attimo) anche il brutto pensiero che quest'anno il Club To Club sarà di nuovo in forma ridotta. D'altronde, il setup live di Incani prevede tanta di quella elettronica da richiedere l'ausilio di due collaboratori, ed è più che normale proiettarlo mentalmente, vivendone l'esperienza in forma surrogata, anche sul palco dell'altro festival che ha reso famosa Torino in Europa. La scaletta ha insistito, come ovvio, su un buon numero di estratti da "IRA", resi con gli stessi brividi dell'ascolto domestico, uniti a classici del passato ("Tanca", "Buio"), zippati a fatica nell'unica ora a disposizione del programma, ma sufficienti per capire una cosa fondamentale: calato nella fumosa atmosfera di un impianto luci a tratti demoniaco, il plurilinguismo elettronico di IOSONOUNCANE equivale a un viaggio che rapisce, emoziona, stordisce, ed è pronto per i palchi di tutto il mondo. In questo momento, un vera e propria esperienza, da non perdere per nessun motivo.
Repetita iuvant
Se si escludono i Dry Cleaning, che nella prima serata hanno dispensato il loro ficcante ibrido di post-punk e spoken word (una formula sicuramente azzeccata dal punto di vista del contrasto - la figura eterea quasi in stile Jacqui McShee della cantante Florence Shaw contrapposta al muscolare impianto ritmico dei compari alle sue spalle - ma forse alla lunga un po' affaticante), la line-up era composta da un buon numero di artisti che avevo già visto, e che attendevo per ragionare sulle conferme.
I Hate My Village: il supergruppo italiano era qui per presentare il nuovo Ep "Gibbone". A distanza di due anni dal tour che accompagnava l'esordio discografico, i quattro hanno dimostrato che l'Africa non era una semplice infatuazione (anche se la nuova verve sperimentale dell'Ep non è emersa affatto), dispensando pattern ipnotici su un tessuto psych perfetto per le loro capacità tecniche e di improvvisazione. Senza contare che, se volete vedere l'ospite di lusso Alberto Ferrari veramente sereno e divertito su un palco, questa è la situazione giusta (probabilmente perché sgravato dalle sue abituali responsabilità di frontman).
Black Midi: i più divisivi in assoluto. Il classico gruppo che può farti incazzare o mandarti in estasi, a seconda dei tuoi parametri di riferimento applicati all'esperienza live. Rispetto al Club To Club 2019, la band londinese ha dovuto mostrare di sapersela cavare con un elemento in meno (il secondo chitarrista, alle prese con una probabile sindrome da burnout), cosa non da poco quando sei dedito a un prog-math-hardcore-jazz-noise-post rock inafferrabile e ipertecnico. Invisi ad almeno metà del pubblico (e ad altrettanti addetti ai lavori), i Black Midi hanno sciorinato il loro difficile repertorio di sincopi in gran parte estratte dal recente "Cavalcade" (nonostante l'infezione alla gola del chitarrista/cantante Geordie Grepp, che poi li ha costretti ad annullare le tre date successive) con il consueto mix di scazzo e isteria. Per rendersi ancora più fastidiosi, hanno buttato lì un bluesaccio che aveva tutta l'aria del riempitivo. Troppo, per chi si aspetta un minimo di rispetto verso il pubblico. Tanto, se invece apprezzate le personalità sui generis di tre ventenni che suonano cose che oggi non fa nessun altro.
The Comet Is Coming: l'uomo dai sette polmoni, ovvero Shabaka Hutchings, è tornato a Torino (anche lui dopo la parentesi 2019 del C2C) per fiaccare la resistenza di quelli che lo ritenevano un semplice jazzista. Non ho mai visto la resa live degli altri suoi progetti (Sons Of Kemet, Shabaka And The Ancestors) ma so che i TCIC sono un pugno sferrato dritto in volto. La formazione sax/batteria/synth è vincente non c'è che dire, e la quantita di suono che ne esce è talvolta stordente, ma quello che colpisce di più di questo vulgar display of power e l'atemporalità della situazione. Il trio pesca a piene mani nel nu jazz Uk, indugiando però in singoli momenti di improvvisazione che hanno il sapore del rock anni Settanta, quando l'infinito intermezzo solista di Moby Dick degli Zeppelin era una cosa normale. Un po' tamarri, sì, ma fenomenali.
Shame: l'irruenza working class di questi cinque inglesi cresciuti nello squat dei Fat White Family ha letteralmente fatto saltare in piedi il parterre del TOdays. Avendoli visti nel 2018 al Covo di Bologna, sapevo cosa aspettarmi, ma da allora sono passati tre anni e circa 150 date live che hanno accresciuto l'impatto e il talento istrionico di Charlie Steen, che questa volta non ha potuto prodursi nel suo consueto e ripetuto crowdsurfing. Chi invece ha ripetuto il girovagare delirante (e anche un po' clownesco) sul palco è il bassista Josh Finerty, uno a cui sembra abbiano messo un taser nei pantaloni, sempre attento però a cadere senza farsi male e, soprattutto, senza smettere di suonare. Gli Shame sono la dimostrazione che i giovani di sinistra inglesi possono ancora tenere in pugno la folla come ai tempi dei Clash (con i dovuti distinguo del caso) e, nello stesso tempo, essere rispettosi e riconoscenti per l'opportunità avuta (era il loro primo concerto post-pandemia fuori dall'Uk). Elettrizzanti, determinati, sguaiati. Non si può volere altro dal rock'n'roll.
La sorpresa
Erlend Øye & la Comitiva. Un nerd norvegese con vent'anni di carriera (nei Kings Of Convenience), vestito come un impiegato con l'ukulele, che parla italiano, suona insieme a tre multistrumentisti siciliani un misto di indie-folk-bossanova, canta in altre due lingue, balla come un boy-scout a un festa in spiaggia. Chiamato a sostituire una delle rivelazioni del 2021, Arlo Parks, ha fatto divertire un po' tutti (almeno per la prima mezz'ora) con la sua innata simpatia. Beccato un'ora più tardi a tapparsi le orecchie durante il set degli Shame.
Il momento magico
"A man falling" - Teho Teardo suona "La Jetèe". L'indiscussa capacità di affiancare suoni alle immagini del musicista pordenonese, alle prese con la sonorizzazione di un classico della cinematografia mondiale. Operazione delicata e rispettosissima, in grado di aggiungere un nuovo approccio alla visione della pellicola, grazie anche al contributo di una piccola sezione d'archi composta da una violoncellista e una violista. In apertura, un cortometraggio co-realizzato dallo stesso Teardo in esclusiva per il TOdays e strettamente legato al film di Chris Marker. Al di là del valore intrinseco della proiezione, si è trattato di una scelta brillante, coadiuvata dall'obbligatorietà del posto seduto, che aveva comunque già trasformato il festival in un grosso cinema (o teatro, se preferite).
Alla fine
Il TOdays resta un momento speciale. Un boutique festival da mettere tra le cose più care, dove è possibile non perdere nemmeno un'esibizione, e tutto si vede/si sente bene. Dove è facile incontrare gli stessi artisti nell'area food prima o dopo il live, ed è anche facile rimediare un selfie con loro. Dove è possibile incontrare vecchi amici e farne di nuovi. TOdays è una fonte a cui abbeverarsi, soprattutto in un quartiere come Barriera di Milano, soprattutto in un post-pandemia. Vedremo se le prossime amministrazioni comunali sapranno continuare a credere nell'importanza di questa oasi.
(Foto di Paolo Ciro)
Shame
Alphabet
6/1
Concrete
Nigel Hitter
Tasteless
Born In Luton
March Day
The Lick
Dust On Trial
Harsh Degrees
Water In The Well
Snow Day
One Rizla
Station Wagon
Angie
Black Midi
953
Near DT, MI
Welcome To Hell
Still
Flamenco
Sugar/Tzu
John L
Blues Interlude
Circus
Slow
Dry Cleaning
Sit Down Meal
Unsmart Lady
Strong Feelings
Her Hippo
New Long Leg
Viking Hair
Leafy
More Big Birds
Magic Of Meghan
Conversation
Scratchcard Lanyard
I Hate My Village
Gibbone
Yellowblack
Presentiment
Tramp
Acquaragia
Fare un fuoco
Fame
Chennedi
I Ate My Village
Tony Hawk Of Ghana
ElvisPrison
Ojos
Buio
Jabal
Tanca
Hajar