Gary Brooker e Keith Reid sono le uniche persone con cui potremmo avere un reale confronto. ‘A Whiter Shade Of Pale’ e ‘Homburg’ sono entrambe come un dipinto di Dalì o un’opera di Jean Cocteau!
(Elton John & Bernie Taupin)
‘Shine On Brightly’ ha avuto su di me davvero una grande influenza, mentre scrivevo Tommy”
(Pete Townshend)
‘A Salty Dog’ è il loro capolavoro”
(Jimmy Page)
Intro - Incuranti del frivolo fandango
Tra i primi addestramenti dell’equipaggio nella missione Apollo 1 e l’ottavo album nella discografia dei Beatles, l’estate dell’amore nell’anno 1967 è un concentrato di nuove percezioni, vestiti sgargianti e sonorità rivoluzionarie. A parte il quartetto di Liverpool e la banda dei cuori solitari del Sergente Pepper, sulle due sponde dell’Atlantico sono in tanti a produrre musica di altissimo livello. Otis, Aretha, Bob Dylan, Who e Kinks, Doors e Cream. Tutto quello che succede nella breve ma intensa estate dell’amore è destinato a diventare leggenda popolare, come la chitarra in fiamme di Jimi Hendrix al Finsbury Park o gli esperimenti con la quadrifonia dei Pink Floyd. Il Regno Unito non crede ai propri occhi quando assiste alla vittoria del contest Eurovision grazie a Sandie Shaw. Un’estate magica, in cui accade qualcosa di altrettanto fenomenale, quando l’8 giugno scala le classifiche inglesi un brano dal titolo strano, pubblicato come singolo da una band semi-sconosciuta. Chi sono i Procol Harum? Che significa “A Whiter Shade Of Pale”, con questo groove così sensuale che ricorda Percy Sledge? Al primo posto per ben sei settimane, con oltre dieci milioni di copie vendute, “A Whiter Shade Of Pale” è la canzone che sconvolge gli adolescenti d’Albione, frutto casuale del tentativo della Decca Records di unire musica classica e rock, affidando all’organo suonato da Matthew Fisher il compito di rielaborare l’“Aria sulla quarta corda” con “BWV 140 Wachet auf, ruft uns die Stimme”, due opere di Johann Sebastian Bach. La voce calda e intensa del cantante, Gary Brooker, affascina milioni di ascoltatori con quel “frivolo fandango” che viene dalla testa del paroliere del gruppo, Keith Reid. Una band con un paroliere a metà tra Lewis Carroll e Geoffrey Chaucer, con un organo Hammond che cita Bach e un cantante dalla potenza di un soulsinger americano? Come detto, il 1967 è un anno magico. E i Procol Harum si prendono la scena proprio come per magia.
Capitolo Uno - The Paramounts
I Procol Harum racconteranno il mare, nati come The Paramounts proprio sulla costa inglese, nella vivace località di Southend-On-Sea che è una destinazione molto in voga tra gli east-londoner fin dall’epoca vittoriana. A meno di un’ora di treno dalla capitale, Southend-On-Sea attira migliaia di visitatori durante il periodo estivo, con la sua vasta area portuale che ospita decine di locali dove si balla il rock’n’roll. Come una Atlantic City che incontra Memphis, tanto che viene soprannominata negli anni “The Essex Delta”. Alla metà degli anni 50, tra montagne russe e cibo di strada, la musica di Elvis e Little Richard invade l’area, fino agli inizi dei Sixties con un boom di locali notturni - Panda, Zanzibar, Panorama - che attirano teenager da mezza Inghilterra, in cerca di bevute, divertimento e rhythm’n’blues.
Sono tantissimi i giovani che si uniscono per formare il proprio gruppo e cavalcare l’onda beat, ma i più forti sulla scena sono The Paramounts, in un’insolita formazione a quattro e un altrettanto atipico cantante che suona il pianoforte. Nato a Hackney, East London, il 29 maggio 1945, Gary Brooker cresce al ritmo della chitarra suonata dal padre, Harry, negli Hawaiian Serenaders di Felix Mendelssohn. Si avvicina all’età di cinque anni al pianoforte, debuttando su un palcoscenico appena due anni dopo. La famiglia si trasferisce a Southend-On-Sea nel 1954, dove continuano le sue lezioni con Ronald Meachen, che ha dei metodi di insegnamento poco ortodossi, incoraggiandolo a sperimentare con ritmi e scale boogie woogie. Iscritto alla rigida Westcliff High School, il giovane Brooker entra in contatto con Chris Copping, noto tra gli studenti per la sua abilità nel suonare il repertorio di Gene Vincent. Copping impartisce lezioni di chitarra a Robin Trot Trower, nato il 9 marzo 1945 a Catford, a sud-est di Londra. Grandissimo fan di Elvis Presley, Trower sta coltivando la sua innata abilità strumentale, mentre lavora con l’impresa del padre Len che è riuscita a ottenere una concessione esclusiva per il lavaggio delle vetrine di quasi tutti i negozi sulla High Street di Southend-On-Sea.
Nel 1957 Gary Brooker entra nel suo primo gruppo skiffle, The Electrics, con gli amici Graham “Diz” Derrick e Dave Lewis, al servizio di organizzatori di feste e matrimoni per la modica somma di 1 sterlina a serata. Passato stabilmente al pianoforte, Brooker forma successivamente The Coasters, devoti al rock’n’roll di stampo americano. L’obiettivo è vincere il contest locale “Best band in town”, annualmente organizzato al Palace Hotel per far scontrare dal vivo il meglio della scena costiera inglese. I principali rivali dei Coasters sono The Raiders, nei quali suona Robin Trower con il suo insegnante, Chris Copping. Entrambe le band saranno alla fine battute da Micky Law & The Outlaws, accusati poi di brogli nel già rudimentale sistema di votazione a matita. La buona notizia è che ad assistere alla serata c’è l’imprenditore locale Peter Martin, che vuole mettere in piedi un supergruppo con il meglio delle diverse band partecipanti al contest. Il nome è già pronto, sarà The Paramounts, con Trower e Copping dai Raiders, Mick Brownlee dagli Outlaws e Bob Scott alla voce. Trower - secondo diverse voci il vero fautore dei Paramounts - vuole ingaggiare Brooker al piano e lo invita alle prove ogni domenica. Gary lascia così i Coasters per entrare nei Paramounts, pronti all’esordio dal vivo il 5 novembre 1960 al Palace Dance Studio. Non presentandosi in diverse serate, Bob Scott viene sostituito alla voce dallo stesso Gary, che ha un talento decisamente più intrigante nell’interpretazione dei grandi del rock’n’roll, da Chuck Berry a Fats Domino.
Ormai sedicenne, Brooker si iscrive al college per studiare botanica e zoologia, mentre il padre di Trower acquista il locale Penguin Cafe (poi The Shades) che permette al gruppo di esibirsi come resident band ogni domenica sera. Al The Shades cresce la fama dei Paramounts, che attirano un numero sempre più ampio di spettatori, compreso il pubblico dei mod che arrivano in scooter italiani per ascoltare la vasta selezione di numeri R&B arrivati direttamente dagli Stati Uniti grazie al collezionista Tony Wilkinson.
Nel 1962 i Paramounts escono dalla natia Southend-On-Sea per un primo tour nell’area est del Regno Unito, prima dell’addio a fine anno di Chris Copping, che vuole iscriversi all’università per studiare chimica. È lo stesso Chris a suggerire al gruppo di assoldare il già conosciuto Graham “Diz” Derrick, che possiede un bel basso nuovo di zecca e soprattutto ha i soldi per comprare un van su cui verrà dipinta la scritta Paramounts R’n’B. Arrivata l’estate del 1963, Gary Brooker vuole fare il grande salto e portare il gruppo tra i professionisti, scontrandosi con Brownlee che vuole sposarsi e avere una famiglia. La band ha così bisogno di un nuovo batterista e piazza un annuncio sulla rivista Melody Maker. Trower seleziona così Barrie James BJ Wilson, nato a Edmonton il 18 marzo 1947, fuggito dalle grinfie dei genitori che lo vorrebbero sposato e con un buon lavoro.
Con Derrick e BJ, i Paramounts cambiano repertorio e sposano un sound R&B in stile Ray Charles, aprendo un concerto dei Rolling Stones allo Strand Palais Theatre di Walmer, nel Kent. Gli Stones hanno da poco pubblicato il singolo “Come On”, cover di Chuck Berry, in viaggio verso la Top 30 dei singoli inglesi e già protagonista di diverse ospitate in tv. La serata nel Kent si rivela un disastro a causa di violenti scontri tra alcuni spettatori e diversi marine presenti, ma Jagger e Richards notano l’abilità dal vivo del gruppo e un repertorio fantastico, vero R&B americano. Nel corso di una intervista al Melody Maker, Keith Richards menziona i Paramounts tra gli “unici due gruppi che attualmente meritano attenzione”.
Un altro incontro fondamentale per i Paramounts è con l’influente disc-jockey del Crawdaddy, Guy Stevens. Nativo di Londra, Stevens è un esperto assoluto di R&B, consigliere per la Sue Records e selezionatore di novità e tendenze dal mercato a stelle e strisce. Grazie ai suoi passaggi, il gruppo riesce a suonare fino a cinque serate a settimana, guadagnando circa 30 sterline a spettacolo. C’è però da trovare un vero contratto discografico, così Peter Martin organizza una seduta di registrazione agli Ibc Studios di Londra con l’ingegnere del suono Glyn Johns. È il 18 ottobre 1963 e i Paramounts si lanciano nel soul-beat di “Poison Ivy” (Leiber-Stoller) e nel blues elettrico di “Further On Up The Road” (Bobby Blue). Martin porta i nastri all’attenzione di Ron Richards (Parlophone), che organizza una nuova sessione agli studi Emi di Abbey Road il 1° novembre, per registrare nuovamente “Poison Ivy” con una nuova B-side, la cover dei Drifters “I Feel Good All Over” nel classico stile doo-wop. La Emi Parlophone pubblica il singolo il 6 dicembre 1963, tra i nuovi elogi di Keith Richards e ben cinque stelle su cinque assegnate dal noto dj del Cavern di Liverpool, Bob Wooler.
Il 3 gennaio 1964 i Paramounts sono ospiti del “Five O’ Clock Club” alla Itv, poi al “Ready, Steady Go!” che fa schizzare “Poison Ivy” al numero 35 della classifica inglese. A fine mese esce la loro versione scatenata di “Little Bitty Pretty One” (Thurston Harris), flop commerciale perché non supportata da alcuna apparizione televisiva. Il terzo singolo è una cover di Curtis Mayfield, “I’m The One Who Loves You”, che presenta un sound decisamente più soul, mentre la B-side “It’ Won’t Be Long” è la prima canzone originale scritta dal gruppo sulle orme dell’idolo Ray Charles.
Se i risultati in classifica stentano a decollare, la fama live del gruppo cresce a dismisura grazie a nuove esibizioni in supporto agli Stones. Il gruppo perde però BJ Wilson dopo l’uscita a ottobre del beat “Bad Blood” (Leiber-Stoller), bandito dalla Bbc a causa di presunti riferimenti a malattie veneree. Wilson è frustrato dalle evidenti difficoltà del gruppo nello scalare le classifiche, accettando l’offerta di Jimmy Powell & The Dimensions e (come leggenda narra) dandosi subito dopo al gioco d’azzardo sulla riviera francese. I Paramounts si mettono alla ricerca di nuovo batterista, nelle sale del 2I’s Coffee Bar di Soho, prima valutando Mitch Mitchell e poi scegliendo Phil Wainman, che esordisce il 12 novembre 1964 al programma Bbc “The Beat Room”. Il quinto singolo della band esce nel gennaio 1965, una versione pop-soul della “Blue Ribbons” incisa due anni prima da Jackie DeShannon, con l’inclusione della ballata bluesy “Cuttin’ In” (Johnny Guitar Watson). Segue in primavera un breve tour inglese con la stella dell’Eurovision, Sandie Shaw, mentre in autunno c’è il ritorno di BJ Wilson con Wainman intento a proseguire la sua carriera da produttore discografico.
A settembre esce il sesto e ultimo singolo della band, altra cover dal repertorio di P.F. Sloan - la ballata dylaniana in stile francese “You Never Had It So Good” - accompagnata dalla prima esperienza compositiva della coppia Brooker - Trower, il pop-beat “Don’t Ya Like My Love”. In particolare l’ultimo brano viene notato e apprezzato dal management dei Beatles, che inseriscono il gruppo nel cartellone degli ultimi due show dei quattro di Liverpool all’Astoria Finsbury Park e al Capitol Theatre di Cardiff, alla fine del 1965.
All’inizio del 1966 i Paramounts partono per un tour inglese come “gruppo spalla di Sandie Shaw”, in mancanza di un contratto discografico dopo il flop con la Emi Parlophone degli ultimi singoli pubblicati. Il gruppo è in un circolo vizioso, perché in mancanza di hit single non ci sono passaggi in tv, e senza passaggi in tv non ci sono hit single e così via. In mancanza di prospettive e soprattutto introiti, Robin Trower medita l’addio, mentre si torna agli studi Abbey Road per registrare una versione recitata in chiave jazz di “Freedom” (Charles Mingus). È un cambio di direzione interessante, ma non certo buono per fare il salto sperato, così Trower annuncia al gruppo che vuole darsi al blues dei suoi idoli Otis Rush e Albert King formando un trio chiamato The Jam. Alla chitarra viene preso in sostituzione Martin Shaw, con l’aggiunta di un sassofonista, Jimmy Jewell, per completare un mini-tour in Germania organizzato per questioni meramente economiche. Il gruppo è in chiara difficoltà quando esce anche il bassista Diz Derrick, mentre Brooker ragiona seriamente su un definitivo scioglimento dei Paramounts, ormai ridotti ai minimi termini. L’avventura della band di Southend-On-Sea arriva al suo triste capolinea nell’estate del 1966, quando Gary incontra a casa di Guy Stevens il paroliere Keith Reid, trovando l’intesa decisiva per iniziare una nuova storia, quella dei Procol Harum.
Capitolo Due - Conquistador
Keith Stuart Brian Reid nasce il 19 ottobre 1946 a Welwyn Garden City, Hertfordshire, figlio di un dottore in legge trasferitosi in terra inglese da Vienna per cambiare vita e diventare sarto. Di origini ebree, Keith è un avido lettore ma non funziona a scuola, deludendo la famiglia dopo aver fallito gli esami scolastici all’età di 11 anni. Reid si rifugia così in un mondo fatto principalmente di libri, presi in prestito a tonnellate dalla biblioteca locale, accompagnati da diversi dischi di musica blues e rock’n’roll. Abbandonata definitivamente la scuola a 15 anni, si appassiona ai primi lavori di Bob Dylan, bighellonando in giro con l’amico Mark Feld, successivamente noto con il nome di Marc Bolan. La naturale fusione tra due grandi passioni porta Keith a voler diventare un songwriter, iniziando a scrivere le sue prime canzoni e portandole in giro tra diverse etichette discografiche per proporsi come autore per conto di terzi. Si imbatte così in Chris Blackwell, presto boss della Island Records, che lo mette in contatto con Guy Stevens. Stevens apprezza il lavoro di Reid e lo mette in contatto con Steve Winwood - che è in procinto di formare i Traffic - ma l’ostruzionismo di Jim Capaldi fa naufragare ogni possibile tentativo di collaborazione. Prima con Pete Townshend, poi con i Cream, diversi altri approcci organizzati da Stevens si rivelano un buco nell’acqua, fino all’incontro fatidico con Gary Brooker. Reid invia all’ex-Paramounts i suoi nuovi lavori, tra cui “Something Following Me” e “Conquistador”, in attesa di incontrarsi a una festa organizzata a casa di Stevens per parlarne. Alla fine della serata, Guy si gira verso sua moglie facendole notare un certo pallore improvviso, consigliandole di andare a dormire. “You’ve turned a whiter shade of pale” è la curiosa espressione proferita da Stevens, che resta come un tarlo nella mente di Reid nel giugno 1966.
Con una forma embrionale del testo, “A Whiter Shade Of Pale” viene provata ai Marquee Studios di Londra a novembre, con Tony Ollard al basso, Gary Brooker al piano e BJ Wilson alla batteria. Brooker e Reid vogliono formare un gruppo, avendo già trovato un nome interessante dal gatto di un amico di Guy Stevens chiamato Procol Harum. È un misspelling dell’espressione arabo-latina Procul Harun, traducibile come “il portatore di luce che viene da lontano”, particolarmente sensuale nell’imminente ondata psichedelica. Il secondo step è relativo alla direzione sonica da intraprendere, che sarà radicalmente diversa da quella dei Paramounts. Il gruppo dovrà avere una solida base blues, attingendo dal gospel con la presenza di un organo Hammond e seguendo le orme del cantautorato impegnato di Bob Dylan per sfruttare le parole visionarie di Reid.
La primissima formazione dei Procol Harum vede Gary Brooker al piano, Alan Morris all’organo, BJ Wilson alla batteria e Dave Knights al basso, stipati nel basement messo a disposizione da Guy Stevens per le prove generali. Dopo aver registrato nuovamente ai Marquee, Stevens porta i nastri di “Conquistador” e “A Whiter Shade Of Pale” all’amico Chris Blackwell, che rifiuta di produrli e pubblicarli per la sua Island Records. Il 28 gennaio 1967 Brooker e Reid, nel frattempo rimasti soli alla guida del gruppo, piazzano un annuncio sulle pagine del Melody Maker: “Cercasi chitarrista, organista e bassista per registrare materiale originale con un sound tipo Young Rascals/Dylan”. A convincere sono il bassista David Knights (Londra, 1945) e il chitarrista Ray Royer (Essex, 1945), introdotti nel gruppo mentre Reid si reca negli uffici del music publisher David Platz, a capo della casa editrice Essex Music. In realtà, Keith ha già in essere un contratto con Platz, avendo ricevuto un anticipo di circa 100 sterline, ora in contatto tramite la Essex Music con il produttore Denny Cordell, già al lavoro con Moody Blues e The Move.
A differenza di Blackwell, Cordell è perfettamente consapevole che “A Whiter Shade Of Pale” potrà diventare una hit ed è disposto a produrre il gruppo, a cui però manca ancora un organista. Alla fine di febbraio viene letto un altro annuncio sul Melody Maker, inserito da un tastierista di Croydon, Surrey, di nome Matthew Fisher. Nato il 7 marzo 1946, Fisher ha mollato gli studi scolastici per darsi alla musica, prendendo le sue prime lezioni di pianoforte all’età di sei anni. Folgorato da The Shadows, ha iniziato a studiare organo alla London Guildhall School of Music, debuttando da professionista nel 1964 con The Tornadoes. Passato ai Jaywalkers, ha incrociato dal vivo Ian McLagan (Small Faces), chiedendogli di poter provare il suo Hammond M102. “Perché non te ne compri uno tuo?”, gli ha risposto McLagan, convincendolo a mettere da parte i soldi necessari e di conseguenza inserire l’annuncio per trovare un gruppo di professionisti. Quando si presenta a casa di Brooker, Fisher riceve una versione demo di “Salad Days” con la promessa che “i Procol Harum saranno grandi quanto i Beatles”. Ma il mentore e primo sostenitore Guy Stevens si è appena accordato con Chris Blackwell per lavorare alla Island, prima di essere arrestato per possesso di hashish e sbattuto in cella per sei mesi nell’estate 1967. Liberatisi di Stevens, Platz e Cordell formano la New Breed Productions - poi Straight Ahead Productions - insieme all’imprenditore Jonathan Weston che viene nominato manager dei Procol Harum.
A marzo, Brooker e Reid si occupano di inserire un nuovo annuncio per trovare un batterista, provvisoriamente individuato in Bill Eyden dai Blue Flames di Georgie Fame. Eyden è un uomo fidato di Cordell, domiciliato nei pressi degli Olympic Studios nell’area di Barnes, prenotati per le imminenti sessioni di registrazione. Il singolo “A Whiter Shade Of Pale” uscirà su etichetta Deram, licenziata dalla Decca Records per sfogare le sperimentazioni più ardite e soprattutto tentare di fondere musica classica e rock. Fondata nell’autunno 1966 da Tony Hall, la Deram è ansiosa di testare il potenziale sul mercato del singolo, che mixa il lirismo onirico di Bob Dylan con le melodie di Bach all’organo Hammond e la sensualità del cantato di Percy Sledge affidato alla voce calda di Brooker. Finite le registrazioni agli studi Olympic, Tony Hall contatta i pirati di Radio London per proporre un’offerta interessante: ottenere la trasmissione esclusiva del brano in cambio di un orario specifico - 13 minuti e 20 secondi prima delle 4 del pomeriggio - nel corso del celebre programma “The Roman Empire”, condotto da Mark Roman dalla sua postazione su una nave in mezzo al mare. Il 17 aprile 1967, Roman annuncia ai suoi ascoltatori di avere “questo nuovo disco, che credo suonerà davvero bene”, prenotabile telefonando o scrivendo al numero 17 di Curzon Street dove Radio London ha la sua sede terrestre sopra al mercato di Mayfair. La mossa di Hall paga, perché arrivano in pochissimo migliaia di contatti, portando la Decca a stampare altrettante copie prima dell’uscita programmata per il 12 maggio. Lo stesso giorno in cui i Procol Harum debuttano dal vivo al celebre club psichedelico Ufo in Tottenham Court Road, prima di passare all’esclusivo Speakeasy Club, dove vengono raggiunti sul palco da un entusiasta Jimi Hendrix.
Mentre “A Whiter Shade Of Pale” sale vertiginosamente nella classifica inglese, tutti i negozi di dischi ne ordinano almeno una copia, mentre piovono complimenti da parte di colleghi come Paul McCartney, Keith Moon ed Eric Burdon. I Procol sono improvvisamente il gruppo del momento, arrivando al primo posto in Francia senza nemmeno averci messo mai piede. Il gruppo si esibisce nel suo primo grande concerto al Saville Theatre, in supporto alla Jimi Hendrix Experience il 4 giugno, incensato dalla stampa di settore, mentre il singolo arriva al primo posto anche in Uk, dove resterà solido per sei settimane. Arriva così il momento di capitalizzare il successo clamoroso con diverse apparizioni televisive, da “Top of The Pops” al “Billy Cotton’s Music Hall” tra primavera ed estate. Negli Stati Uniti i Procol sono dei perfetti sconosciuti, eppure “A Whiter Shade Of Pale” è al quinto posto nella Billboard Hot 100, qualcosa di impensabile senza lo straccio di una comparsata nella tv americana. Il singolo riesce addirittura a battere “All You Need Is Love” dei Beatles nel sondaggio di Nme per il “Best Single of 1967”.
Nonostante il gigantesco successo di un solo brano, i Procol sono un gruppo allo sbando, forzato da Weston a suonare senza sosta in qualsiasi tipologia di locale sull’intero territorio inglese. Tra continue interviste e apparizioni televisive, la band non riesce a fermarsi un momento per pensare alle prossime mosse, inghiottita da “A Whiter Shade Of Pale” che rischia di diventare una maledizione dorata. Cordell è furioso con la gestione Weston, che piazza il gruppo in locali piccolissimi con compensi irrisori per una hit mondiale, ordinando ai Procol di fermarsi immediatamente e ragionare sulla registrazione di un album di debutto.
Prima di lavorare al disco d’esordio, Cordell vuole far fuori sia Royer che Harrison - che ha sostituito Eyden alla batteria - giudicati “non in sintonia” con la direzione futura del gruppo. Ai due viene annunciato che non faranno più parte dei Procol, pur avendo contribuito alla realizzazione di una hit mondiale, scatenando una successiva diatriba legale avviata dai due musicisti che, oltre al pagamento dei danni, vorrebbero bloccare l’utilizzo del nome Procol Harum. I tagli ordinati da Cordell coinvolgono anche l’avido manager Jonathan Weston, sostituito da Tony Secunda, già al lavoro con i Moody Blues. Brooker contatta così l’ex-Paramounts Robin Trower, programmando il ritorno di BJ Wilson per completare la line-up con Fisher e Knights.
Arriva così il tanto sospirato via libera per registrare il primo album agli Olympic Studios nella primavera del 1967, prima di esibirsi in Francia allo Châtelet Music Festival davanti a 20mila persone e poi in Belgio al Bilzen Jazz alla fine di agosto. Subito dopo, Tony Secunda pubblicamente che il secondo singolo, intitolato “Homburg”, sarà ancora più grande di “A Whiter Shade Of Pale”. Pubblicato in autunno dalla rivitalizzata Regal Zonophone, con distribuzione Emi, “Homburg” presenta una struttura molto simile, con il piano solenne di Brooker a sostituire l’organo classico di Fisher. Dal testo beckettiano a toni psichedelici come in un dipinto di Dalì, “Homburg” affascina la critica ma non bissa minimamente il successo, fermandosi al numero 6 in Uk e al 34 in Usa.
Con due singoli alle spalle, i Procol Harum partono per la prima volta in direzione Stati Uniti, per esibirsi prima al Village Theatre di New York e poi al Whisky A Go-Go di Los Angeles. La band si sposta al Fillmore di San Francisco per supportare i Pink Floyd e poi i Doors, poco prima dell’uscita anticipata negli States su etichetta Deram dell’omonimo album di debutto. Pubblicato in Uk a dicembre dalla Regal Zonophone, Procol Harum è un disco che - come recita il disclaimer sul retro della copertina - “va ascoltato nello stesso spirito con cui è stato realizzato”, ovvero con un senso di urgenza e di immediatezza catturato in sole due estenuanti sedute di 12 ore ciascuna, dalle 7 di sera alle 7 della mattina successiva. Il gruppo vuole infatti registrare nuovamente diverse parti incise in precedenza con Harrison e Royer, sfruttando appieno il talento smisurato di Trower alla chitarra elettrica e BJ Wilson alla batteria. Ad aprire l’album è la martellante “Conquistador”, ispirata dal sound dei Beach Boys e dal “Don Chisciotte” di Miguel de Cervantes, che fonde perfettamente il pianoforte di Brooker con l’organo schizoide di Fisher. La successiva “She Wandered Through The Garden Fence” emula la marcetta psichedelica beatlesiana, con il gusto barocco dell’organo sull’incalzare della batteria.
Procol Harum è prima di tutto un disco dylaniano, ad esempio in “Something Following Me” - prima canzone scritta da Reid insieme a Brooker - che sembra sì uscita da “Highway 61 Revisited”, ma suonando fresca grazie all’interpretazione vocale struggente e alle prime lacrime elettriche che cadono dalla chitarra di Trower. Se in “Mabel” affiora un certo gusto per il divertissement tra Beatles e Lovin’ Spoonful, in “Cerdes (Outside The Gates Of)” il gruppo inizia a fare sul serio. Introdotto dal basso mellifluo, il brano apre al pianoforte e soprattutto alla chitarra blues, che parte sorniona prima di aprirsi a orizzonti infiniti sullo strepitoso assolo centrale di Trower. La rivisitazione dylaniana continua in “A Christmas Camel”, non troppo vagamente ispirata a “Ballad Of A Thin Man”, che sfodera la potenza dell’ugola di Brooker e ancora una volta la sublime tecnica di Trower nell’intensa parte centrale che fa volare tutto il brano verso un livello mistico superiore.
“Kaleidoscope” è un uptempo furioso suonato come per essere la colonna sonora di un viaggio siderale, mentre “Salad Days (Are Here Again)” ritrova lo stile Dylan in un formato ballata cinematografica in salsa baroque-pop. “Good Captain Clack” sembra uscita dalla Bonzo Dog Doo-Dah Band con il suo carosello impazzito, divertente anticipazione del funereo finale strumentale, “Repent Walpurgis”. In puro stile Procol, il brano attinge ancora dalle composizioni di Bach, elevato dal tour de force di Trower, che alza gli amplificatori e mitraglia blues sul docile organo classicheggiante. Sfruttata a lungo per chiudere le esibizioni dal vivo, “Repent Walpurgis” è l’originalissima conclusione di un disco forse troppo derivativo, ma con momenti musicali di eccelsa caratura.
Capitolo Tre - Un lupo di mare
Registrato in mono per volere di Cordell, Procol Harum non scalda le classifiche inglesi, ovviamente penalizzato dalla scelta (giusta) di non includere “A Whiter Shade Of Pale” nella tracklist. Il 16 gennaio 1968 i Procol suonano al Saville Theatre con il supporto dei Fairport Convention, poi con i Moody Blues al Midem Festival di Cannes. I concerti si susseguono fino a marzo, quando partono per la Germania per un mini-tour con i Bee Gees, spostandosi poi negli Stati Uniti in primavera per iniziare subito a lavorare al secondo Lp.
Grazie a un accordo strappato da Secunda alla statunitense A&M per un totale di cinque dischi, il budget a disposizione del gruppo è aumentato, in previsione di diverse apparizioni sulle tv a stelle e strisce mai formalizzati per le richieste eccessive dello stesso manager. Brooker e Reid non la prendono affatto bene e decidono di silurarlo con l’approssimarsi dell’estate, affidandosi all’ex-associato di Frank Zappa Bennett Glotzer, in accordo con il promoter americano Ronnie Lyons. Si intensifica così l’attività live negli States, in particolare al Grande Ballroom di Detroit e al Fillmore West di San Francisco. I Procol seguono il tour estivo di Santana da costa a costa, partecipando in autunno al Pop Festival con Deep Purple, Canned Heat e Creedence Clearwater Revival. Le date si susseguono senza sosta, fino al Miami Pop Festival in Florida davanti a oltre 100mila persone con Chuck Berry e Fleetwood Mac. L’anno si chiude con una pausa nel periodo natalizio, quando la Regal Zonophone pubblica in patria il secondo disco della band, Shine On Brightly.
Shine On Brightly alza le ambizioni della band, ancora sotto la guida di Denny Cordell, che nel frattempo sta rivolgendo tutte le sue attenzioni alla rivelazione Joe Cocker. Per lavorare al secondo disco dei Procol, Cordell assolda l’ingegnere del suono Glyn Johns - che ha già lavorato a “Beggar’s Banquet” dei Rolling Stones - in coppia con il suo assistente, Tony Visconti. Considerato dalla critica uno dei primi esempi di progressive rock, Shine On Brightly effettivamente abbandona il sound derivativo di stampo dylaniano dell’album di debutto, affinando il talento compositivo dei Procol, che dimostrano di non essere affatto una one-hit band. L’introduzione liturgica di “Quiet Rightly So” accende i motori del disco tra svisate barocche all’organo e sfuriate chitarristiche, condotte quasi per mano dal canto melodrammatico di Brooker in un numero più marcatamente rock. L’apertura allucinata della title track - viaggio lirico nei vortici della follia - è bilanciata da un gusto quasi vaudeville, perfetto esempio di psichedelia registrata in stereo grazie all’intervento di Glyn Johns. Lo stile beatlesiano continua nella saltellante e inquietante gommosità di “Skip Softly (My Moonbeams)”, chiusa dalla coda distorta di Trower su cascate di organo e batteria prima del carosello da circo equestre. I Procol tornano all’amore verso il gospel e il blues sull’handclapping di “Wish Me Well”, che libera la chitarra sugli standard in twelve-bar alla maniera di Eric Clapton. Dalla nenia malinconica “Rambling On”, ricamata dal singhiozzare elettrico sul piano viennese, il disco vira verso una marcetta in stile Salvation Army, “Magdalene (My Regal Zonophone)”.
Shine On Brightly è però incastonato nell’ambiziosa suite di oltre 17 minuti “In Held 'Twas in I”, introdotta dal recitato di Brooker che racconta la storia della visita di un pellegrino al cospetto dei Dalai Lama per scoprire il significato della vita. “Glimpses Of Nirvana” introduce ritmi raga sul pianoforte metafisico, accompagnati da cori inquietanti che si trasformano nelle campane di “'Twas Teatime At The Circus”, nuova giravolta circense. L’organo inconfondibile di “A Whiter Shade Of Pale” torna nella beatlesiana “In The Autumn Of My Madness”, probabilmente uno dei pezzi che stanno influenzando maggiormente Pete Townshend alla prese in quel periodo con la scrittura di “Tommy”. Mentre torna la chitarra in una versione quasi horror, nella “Look To Your Soul” che conduce il main theme cinematografico, il “Grand Finale” riprende Haydn e si affida a un intero coro di voci bianche per lanciarsi verso la grandezza dell’assolo di Trower. La suite è un trionfo di immaginazione e sperimentazione sonica, che furoreggia nella comunità psichedelica e proto-progressive, specie in California dove il disco venderà molte più copie che altrove.
Fermatosi in 24esima posizione nella classifica di Billboard, il secondo disco dei Procol Harum non sfonda in patria, pubblicato a fine anno con qualche mese di ritardo rispetto agli States. Tra le cause del flop, una stampa di settore ancora legata al gossip musicale, mentre negli Stati Uniti fioriscono testate come Rolling Stone e Crawdaddy che sono tra le voci della controcultura a stelle e strisce. Capiti e apprezzati maggiormente sul suolo americano, i Procol decidono di registrare il successivo album agli studi Wally Heider’s di Los Angeles, verso l’autunno del 1968. Fisher ha un nuovo brano, “Stoke Poges”, uno strumentale che dovrebbe rappresentare il seguito ideale di “Repent Walpurgis”, ma la sua definizione è abortita perché ritenuta troppo basica. Brooker viene contattato da Ron Richards, ex-produttore dei Paramounts, che gli offre la possibilità di lavorare ai leggendari Abbey Road della Emi, potendo così sfruttare un’innovativa tecnologia per registrare in otto tracce.
Il gruppo è entusiasta all’idea di incidere negli stessi studi dei Beatles, soprattutto Matthew Fisher che è stufo della vita in tour e vuole concentrarsi solo ed esclusivamente sul lavoro di registrazione. Per convincerlo a restare nel gruppo, Brooker gli propone di produrre in prima persona il prossimo album, A Salty Dog. Con la collaborazione dell’ingegnere del suono Ken Scott - già al lavoro proprio con i Beatles sul “White Album” - i Procol si mettono al lavoro su un brano orchestrale composto da Brooker, memore dell’esperienza in tour con i Bee Gees. Al primo ascolto, Trower resta estasiato dalla semplice bellezza della partitura, su cui Reid ha pronto un testo struggente su un capitano abbandonato dalla sua ciurma, in uno stile lirico che aggiorna “The Ryhme Of The Ancient Mariner” di Coleridge. Il garrito dei gabbiani accompagna un pianoforte a lutto che inizia a volteggiare sulla strepitosa interpretazione vocale di Brooker, di intensità e drammaticità fuori scala. Da alcuni definito “il Citizen’s Kane dei Procol Harum”, il brano è il caposaldo dell’intero disco, che cambia subito marcia sull’irresistibile honky-tonk stonato “The Milk Of Human Kindness”, sgasando sulla chitarra proto-glam nello stile tipico della Band di Robbie Robertson. “Too Much Between Us” è un delicato intermezzo acustico ancora sul tema del mare che può dividere le persone, dettaglio lirico che porta molti osservatori del tempo a pensare che A Salty Dog sia in realtà un concept-album sull’acqua.
Scritta negli States tra un concerto e l’altro, “The Devil Came From Kansas” è ispirata nel testo a una canzone di Randy Newman su un senatore corrotto, con un imponente ritmo marziale dettato dalla batteria su cui si appoggia la chitarra hendrixiana di Trower. Attratti dal vasto assortimento di strumenti non convenzionali negli studi Abbey Road, i Procol giocano con marimba, tamburelli e flauto nella caraibica “Boredom”. La prima composizione firmata dal solo Robin Trower è “Juicy John Pink”, antico standard in twelve-bar che sembra uscito direttamente dal repertorio di Muddy Waters. La successiva “Wreck Of The Hesperus” è invece opera di Matthew Fisher, seconda composizione orchestrale che mette insieme il wall of sound spectoriano con la Sesta Sinfonia di Tchaikovsky.
L’alchimia collettiva ottenuta dal gruppo raggiunge vette di lirismo sul piano regale in perfetta sintonia con la chitarra blues, come nella drammatica “All This And More”, chiusa dalla coda a fiati. I Procol sono letteralmente in stato di grazia, quando Trower imita il cantato tipico del soul-blues americano, quasi alla maniera di Otis Redding, per sviluppare la straordinaria intensità elettrica di “Crucifiction Lane”.
A Salty Dog viene chiuso dall’inno liturgico “Pilgrim's Progress”, ispirato dal lavoro dei Bee Gees e confezionato con delicatezza dall’organo di Fisher fino alla coda corale tra handclapping, cori e campane. Pubblicato in Uk nel luglio 1969, A Salty Dog è un capolavoro d’intenti in una band che funziona come un orologio svizzero, esaltata dalla critica che sottolinea la sua capacità di mescolare con estrema naturalezza rock classico, blues e sperimentazioni progressive. Ken Scott viene premiato come “miglior ingegnere del suono del 1969”, ma l’album non riesce ad andare oltre la 32esima posizione nella Billboard Hot 100. Destinato alla storia della musica, il singolo “A Salty Dog” non attira il palato dei giovani appassionati di musica, pur contenendo come B-side lo scatenato rock-blues “Long Gone Geek” nel più esplosivo stile degli Small Faces.
Capitolo Quattro - Ritorno a casa
Il debutto dal vivo di A Salty Dog è al Palm Springs Festival, in California, nell’aprile 1969. La band torna dopo un anno di assenza nel Regno Unito, al Camden Fringe Free Festival, con Yes e Soft Machine, poi vola in Canada per esibirsi al Toronto Festival con The Band e Steppenwolf davanti a 50mila persone. La presentazione mondiale del nuovo disco continua al Fillmore East di New York insieme agli idoli Muddy Waters e John Lee Hooker, prima di un’offerta insolita arrivata dagli organizzatori canadesi dello Stratford Festival: una serata dal vivo con il supporto di un’intera orchestra. Data l’estrema adattabilità di brani come “A Salty Dog” e “Wreck Of The Hesperus”, i Procol accettano con entusiasmo la proposta, iniziando a lavorare su un arrangiamento ad hoc della suite “In Held ‘Twas in I”. La Stratford Festival Orchestra rappresenta il meglio dei musicisti classici canadesi, comprendendo un coro normalmente alle prese con versioni musicate dei drammi shakespeariani. Brooker è al settimo cielo, meno Trower che è abituato a suonare a volumi alti e non gradisce affatto di avere dei limiti espressivi sul palco.
I Procol sono sulle agende dei booking agent di mezzo mondo e si esibiscono prima all’Atlantic City Pop Festival con Janis Joplin e B.B. King, poi al Singer Bowl Music Festival con Moody Blues e Steppenwolf. Il gruppo è invitato a suonare al Woodstock Festival in programma dal 15 al 17 agosto, ma la moglie di Trower sta per avere un bambino e li costringe a declinare l’offerta, ovviamente un rimpianto enorme per il successo planetario ottenuto dall’evento. Terminati provvisoriamente gli impegni dal vivo, la band deve affrontare il malcontento di Fisher, che è ormai stufo della vita on the road e vuole dedicarsi esclusivamente al lavoro in studio. Se l’organista resterà come produttore, il bassista Dave Knights lascia il gruppo per unirsi a Mickey Jupp e fondare i Legend. Trower suggerisce di sostituirlo con la vecchia conoscenza Chris Copping, già nei Paramounts, che è attualmente disponibile dopo aver terminato gli studi in chimica. L’idea è di tornare in formazione a quattro per abbracciare nuovamente un sound più americano, fortemente orientato all’amato R&B, con lo stesso Copping a occuparsi delle parti all’organo sullo stile di Ray Manzarek dei Doors.
Diventati quartetto, i Procol Harum annullano ogni impegno live per concentrarsi sul disco successivo, chiudendosi in un cottage nella campagna inglese tra l’autunno del 1969 e l’inverno 1970. Il primo live con il nuovo assetto è al Lyceum Ballroom di Londra in supporto degli Stones nel “Midnight Court show”, che segna il ritorno in patria di Jagger e soci dopo il tour americano che ha incluso la nefasta serata di Altamont. Passato ai Trident Studios per registrare il prossimo disco, Home, il gruppo si affida ancora a Matthew Fisher con Ken Scott, ma l’unione magica ottenuta in A Salty Dog fatica a emergere. Lo stesso Fisher è costretto a trasportare continuamente il suo prezioso organo Hammond, perso fatalmente da uno dei roadie nel corso di uno spostamento dal cottage verso i Trident. Su tutte le furie, Fisher abbandona i Procol a lavoro già iniziato, seguito a ruota da Ken Scott che si unirà a George Harrison per il suo “All Things Must Pass”.
La band deve ricominciare daccapo, tornando a provare nell’Essex con il morale sotto i tacchi. Nel frattempo, Brooker e Reid firmano un contratto con il management della Chrysalis, assoldando il nuovo manager Doug D’Arcy e mettendo in piedi una società di gestione dei diritti chiamata Blue Beard Music, dividendosi equamente le royalties sulle loro composizioni in coppia. Per ovviare all’abbandono improvviso di Fisher, i due seguono il consiglio di Ron Richards, che vorrebbe introdurre in cabina di regia Chris Thomas, già al lavoro con George Martin agli studi Abbey Road. Il gruppo torna così negli studi beatlesiani nella primavera del 1970, per registrare innanzitutto una nuova composizione di Trower, “Whisky Train”. Strutturato su un irresistibile riff sabbathiano, il brano è quasi un nuovo manifesto d’intenti dopo l’eleganza lirica di A Salty Dog, con il ritmo killer della batteria di Wilson che sgasa tra campanacci, piatti e charleston alla maniera del suo amico di scorribande Keith Moon.
In “The Dead Man's Dream” si torna al formato elegiaco basato su piano e organo in un testo degno di Edgar Allan Poe, mentre in “Still There'll Be More” si sperimentano nuovi uptempo a ritmo honky-tonk. “Nothing That I Didn't Know” è la delicata ballad scritta da Brooker e Reid, caratterizzata dall’uso evocativo della fisarmonica, mentre “About To Die” lascia il campo alla chitarra abrasiva di Trower per un robusto soul-blues.
Aperta dal minimalismo funebre “Barnyard Story”, la seconda facciata di Home sperimenta con il cut-up lennoniano “Piggy Pig Pig”, ma soprattutto è dominata dai circa sette minuti dell’epica wagneriana “Whaling Stories”, un crescendo gotico tra gli assoli blues di Trower e l’organo maestoso prima della malinconica quiete sulla voce liberatoria di Brooker e il levarsi del coro watersiano. È il brano che “salva” un disco sicuramente meno perfetto di A Salty Dog, frutto maturo a metà, principalmente a causa di crescenti frizioni interne alla band.
Pubblicato nel febbraio 1970, Home è per i Procol Harum un metaforico ritorno alle origini, mentre la stampa di settore esalta il contributo più marcato di Robin Trower e la tecnica in fase di produzione di Chris Thomas. Il disco si piazza in 34esima posizione negli States ed al 49° posto nel Regno Unito, portato in tour tra date trionfali - come davanti a 200mila persone all’Atlanta Pop Festival il 4 luglio - e locali assurdi nel sud degli Stati Uniti, dove il gruppo si ritrova a fronteggiare un pubblico poco istruito e molto ubriaco. Il lavoro dei manager Glotzer e Lyons non sta dando i frutti sperati, dal momento che i Procol continuano a essere pieni di debiti nonostante i continui concerti. Prima di una data a New York, i federali irrompono per sequestrare tutto il ricavato dal box-office, lasciando la band distrutta dopo tutto il lavoro in giro da costa a costa.
Arriva così il momento di decidere: licenziare il vecchio management e affidarsi alle cure della Chrysalis, nella figura di Derek Sutton per gli interessi americani e Doug D’Arcy per quelli europei. Il primo risultato del nuovo corso è l’esibizione del 28 agosto all’Isle of Wight Pop Festival davanti a mezzo milione di persone, seguita da quella al raduno Love & Peace sull’isola di Fehmarn, che viene però annullata per disordini tra polizia e gang locali di motociclisti. La band resta in Germania per suonare insieme a Jimi Hendrix, evento importantissimo a livello emotivo per Trower, ignaro che sarà la sua ultima volta prima della tragica morte del chitarrista di Seattle il 18 settembre 1970.
Tornati alle origini con la produzione di Home, i Procol Harum si sono divertiti a suonare vecchi standard rock’n’roll, giusto per scaldarsi prima dei nuovi brani del disco. Essendo tutti ex-Paramounts - anche se mai contemporaneamente - i quattro decidono che sarebbe divertente registrarli su un vero album, prenotando nuovamente gli studi Abbey Road per una chiusa di 12 ore. Il produttore è ancora Chris Thomas, mentre Blodwyn Pig’s Jack Lancaster, amico di BJ Wilson, viene ingaggiato per suonare il sax. A rendere il tutto più bizzarro, il disco non sarà pubblicato con il nome Procol Harum, ma con quello di Liquorice John Death & The All Stars. Alla fine dell’unica sessione, il gruppo si riunisce per ascoltare il tutto, decidendo di mettere il progetto in ghiaccio fino a data da decidersi. Si torna così in tour con i Jethro Tull tra Uk e Francia, mentre Keith Reid lavora all’interruzione prematura del contratto con la Regal Zonophone. Il problema è che la band deve all’etichetta un ultimo disco, fortunatamente risolto con un accordo che vede i Procol destinare una parte dei profitti dai prossimi due dischi ai dirigenti della controllante Straight Ahead Productions. Entro la fine dell’anno il gruppo passa sotto l’ala discografica della Chrysalis, distribuita nel Regno Unito dalla Island di Chris Blackwell.
Capitolo Cinque - Procol Symphony
Mentre serpeggia a mezzo stampa la voce sulla possibile fuoriuscita di BJ Wilson, i Procol Harum tornano rapidamente in studio dopo un nuovo tour statunitense nel febbraio 1971. Con un nuovo sistema di registrazione a 16 tracce, Broken Barricades è il frutto di oltre trenta sessioni agli Air Studios in Oxford Circus, con l’apporto ormai fondamentale del produttore Chris Thomas che da tutti è considerato alla stregua di un membro della band. In uno scenario musicale dominato da band dure come Deep Purple e Led Zeppelin, il disco vede un nuovo cambio di passo, dalla predominanza delle tastiere a quella della chitarra elettrica. Ed è proprio il riff sornione di Trower a introdurre “Simple Sister”, che aggiorna i canoni tradizionali del rock'n'roll su un potente e inquietante arrangiamento condotto da piano e sublimi inserti orchestrali. Non a caso il brano sarà notato da Bob Ezrin, che chiederà a Copping e BJ Wilson di suonare in “How Do You Think It Feels” sul seminale “Berlin” di Lou Reed. Il brano è il nuovo capolavoro del gruppo e di Chris Thomas, che spinge per introdurre un sintetizzatore moog per modernizzare la nenia danzante “Broken Barricades”.
Trower torna protagonista sull’honky-tonk in salsa hard-rock “Memorial Drive”, sulla falsariga del repertorio tipico dei Deep Purple, mentre il canto fragile di Brooker impreziosisce il valzer viennese “Luskus Delph”, ispirato nuovamente dal repertorio di Bach. La seconda facciata del disco è aperta dal tour de force alla batteria di Wilson, che detta il ritmo sghembo di “Power Failure”, lasciando alla psichedelia orientale il compito di introdurre “Song For A Dreamer”, omaggio di Trower al compianto idolo Jimi Hendrix. È ancora la chitarra a scandire il tempo della teatrale “Playmate Of The Mouth”, con l’inserimento di fraseggi a fiato in stile New Orleans, prima di prendersi nuovamente la scena con l’irresistibile riff hard-blues di “Poor Mohammed”.
Apprezzato in particolare dalla stampa musicale statunitense, Broken Barricades è il disco che lancia Trower in una nuova fase creativa ed esecutiva, pur restando ben amalgamato con il resto del gruppo, in particolare con la batteria di Wilson. Il disco dimostra che il gruppo, a dispetto delle voci, è solido e compatto, ma non riesce comunque a salire oltre le posizioni 42 e 32 in Uk e Usa. Poi, di botto, la notizia che sconvolge tutto: Robin Trower lascerà i Procol Harum per avviare una carriera da solista.
Da sempre votato al blues elettrico, Robin Trower sente che è arrivato ormai il momento di provare una nuova avventura. Il chitarrista ha sempre visto i Procol come una fantastica palestra, suonando su disco e dal vivo, prima di dedicarsi totalmente a un sound diverso. Resta legato al manager Doug D’Arcy e alla Chrysalis Records, fondando i Jude con Frankie Miller, Jimmy Dewar e Clive Bunker, ex-Jethro Tull. Il quartetto ha vita brevissima e si sfalda in pochi mesi, lasciando Trower e Dewar da soli con il nuovo batterista Reggie Isadore. La notizia dell’addio di Robin scuote gli uffici americani della A&M, preoccupatissima per il futuro della band senza il suo talento. Nel settembre 1971 Brooker avvia le audizioni per trovare il sostituto, individuato nel ventunenne Dave Ball, originario di West Midlands e grande amante di B.B. King, già al lavoro con Cozy Powell. Le novità di formazione non finiscono qui, perché Copping passa all’organo, mentre al basso entra Alan Cartwright, nativo di Edmonton e vecchio compagno di scuola di Wilson.
I Procol Harum tornano così alla classica formazione a cinque, pronti ad accettare una interessante offerta dalla Edmonton Symphony Orchestra (Eso) per registrare dal vivo un album tra rock e musica classica. Brooker convince la A&M a sborsare i fondi, dal momento che la stessa Eso ha già avuto un incontro live con la rock-band canadese Lighthouse. Il gruppo incontra così il management del collettivo orchestrale e fissa la data per il 18 novembre 1971, avviando una serie di prove che non si riveleranno particolarmente facili, soprattutto per la difficoltà nel rendere fluida la chimica con la sezione ritmica. A complicare ulteriormente le prove sono un rapporto non sempre idilliaco tra il gruppo e Lawrence Leonard, direttore dell’orchestra, oltre che la decisione di registrare per la prima volta dal vivo con il nuovo sistema a 16 tracce.
Davanti a circa tremila persone in attesa di oltre 50 musicisti e 24 coristi, i Procol Harum si esibiscono al Northern Alberta Jubilee Auditorium di Edmonton, Alberta. La serata è aperta da Chris Copping che all’organo esegue l’Adagio di Albinoni, prima del sarcastico ready? di Brooker che lancia “Conquistador” nella sua nuova veste sinfonica con trombe mariachi.
Procol Harum Live: In Concert With The Edmonton Symphony Orchestra è il disco che consacra il gruppo tra cultori del rock e appassionati di musica classica, riuscendo a trovare una non semplice ma magica alchimia sul palco canadese. È infatti straordinaria la fusione trovata sulla successiva “Whaling Stories”, condotta dalla voce intensa di Brooker su atmosfere pinkfloydiane fino al drammatico ed esplosivo finale tra l’orchestra apocalittica e l’assolo blues di Ball, prima della coda struggente al piano e la nuova esplosione sul coro operistico. Il set prosegue sul volo dei gabbiani nella struggente “A Salty Dog”, naturalmente inclusa dal vivo per la sua estrema adattabilità, in una versione ancora più ariosa e cinematografica. Mentre la chitarra di Bell dialoga perfettamente con la Eso sul finale di “All This And More”, il climax dell’intero set viene raggiunto nei quasi venti minuti della suite “In Held 'Twas In I”. Le ambizioni della band sono al massimo, sui dolci archi di “Glimpses Of Nirvana” che si trasformano in sarabanda circense (“'Twas Teatime At The Circus”) prima della marcia inquietante “Look To Your Soul” e del trionfo sinfonico “Grand Finale”.
L’album ottiene un grandissimo successo in classifica, arrivando al numero 7 in Canada e al numero 5 nella Billboard Top 200 negli Stati Uniti, ottenendo il disco d’oro con oltre 500mila copie vendute. La versione live di “Conquistador” spopola tra le radio specializzate in pop e progressive, arrivando alla ventesima posizione nella Billboard Hot 100. L’esperimento è così riuscito non solo a livello artistico, ma sorprendentemente anche a livello commerciale, dopo anni di magra per la band.
Il successo di In Concert non risolve però i problemi debitori della band, che si sono nel frattempo aggravati proprio a causa degli elevati costi di produzione dello spettacolo. Il futuro dei Procol è più che mai incerto, soprattutto agli inizi del 1972 quando il panorama rock è pieno zeppo di band di successo, dagli Stones ai Led Zeppelin. Ecco perché è necessario tornare subito in tour ai quattro angoli del pianeta, per cavalcare la nuova ondata di popolarità dopo il disco dal vivo e la nuova versione di “Conquistador”. Velocemente risolta la questione debitoria, i Procol prenotano gli Air Studios per tornare a lavorare con Chris Thomas nella primavera del 1972.
Legatissimo alla band, il produttore è nel frattempo impegnato con i Pink Floyd sul capolavoro “The Dark Side Of The Moon”, mentre Brooker annuncia alla stampa che Grand Hotel sarà un disco “molto europeo nello stile”. Le sessioni di registrazione non scorrono però serene, minate da un rapporto sempre più teso tra Wilson e Ball, che vengono addirittura alle mani a causa di una imitazione di Ray Charles fatta da Brooker al pianoforte. Lo stesso cantante prende da parte Ball e gli confida che non è possibile continuare a lavorare così, di fatto escludendolo dal gruppo. A mezzo stampa viene così annunciato che il chitarrista “vuole tornare a suonare blues”: viene così sostituito prontamente da Mick Grabham (Sunderland, 1948) che ha già lavorato nei Plastic Penny, poi nei Cochise e infine da solista con l’album “Mick The Lad”. Il suo debutto live con i Procol è al Rainbow Theatre di Londra con la Royal Philarmonic Orchestra, prima di imbarcarsi per la Germania in un mini-tour con altre orchestre locali.
Le esibizioni sono un test per provare dal vivo alcuni nuovi brani, in previsione dell’uscita del nuovo disco nell’autunno 1972, poi posticipata alla primavera del 1973 per avere più tempo e reincidere tutte le parti di chitarra già suonate da Ball. Un vero tour de force per i Procol, a partire dalla magnificenza della title track, che parte da un arrangiamento in stile Van Dyke Parks per sviluppare una sorta di foxtrot su una base rock, raccontando la raffinatezza delle corti europee con il testo di Reid che danza tra profiteroles, vino d’annata e carni pregiate. La grand life rivive in un tripudio sinfonico tra atmosfere franco-viennesi, sfiorando la megalomania con ben 22 mandolini suonati da BJ Wilson. Riscritta per introdurre la nuova chitarra di Grabham, “Toujours L'amour” spinge su un honky-tonk vibrante, arricchito da diversi strati di chitarra a sovrapporsi sul cantato in stile Ian Anderson di Gary Brooker. Mentre “A Rum Tale” gioca su un valzer con l’innesto dell’organo di Copping, la successiva “T.V. Ceasar” è forse tra le sperimentazioni più ardite del nuovo corso sinfonico della band, un drammatico crescendo di progressive operistico fino all’assolo in wah-wah e il coro di voci bianche.
La seconda facciata è aperta dal divertissement acustico “A Souvenir Of London”, ispirato dai busker per le strade di Londra e suonato con banjo, fisarmonica e piccoli cucchiai. Nata come critica al fenomeno dell’obesità negli Stati Uniti, “Bringing Home The Bacon” è un’altra gemma del disco, scandita dal ritmo quasi funky di chitarra e tastiere, improvvisamente squarciata da accelerazioni da film dell’orrore. In “For Liquorice John” un piano scordato detta i tempi di una melodia funerea, seguita dalle atmosfere da cinema noir transalpino in “Fires (Which Burnt Brightly)”, con il contributo vocale di Christiane Legrand, cantante del gruppo parigino Swingle Singers. Chiude “Robert's Box”, ispirata nel testo dalla “Doctor Robert” dei Beatles e trascinata dal ritornello stordito in doo-wop di Brooker prima di un finale simile a quello della suite “In Held ‘Twas In I”.
Capitolo Sei - Uccelli esotici e frutta
Il giornalismo musicale apprezza il gusto fin-de-siecle di Grand Hotel, le sue tracce ricolme di nostalgia, desolazione e amori perduti. Pubblicato nel marzo 1973, il sesto disco in studio dei Procol Harum non ha troppa fortuna da un punto di vista commerciale, surclassato da “The Dark Side Of The Moon” e “Houses Of The Holy”. Per ovviare agli scarsi introiti dalla vendita dell’album, il gruppo torna in tour intorno al mondo, dall’Edinburgh Rock Festival al primo giro in Australia e Nuova Zelanda. Sulla scia del successo ottenuto con la Eso, Brooker e soci accettano una nuova offerta presentata dalla Los Angeles Philarmonic, per suonare all’Hollywood Bowl davanti a quasi 20mila persone. Il programma radiofonico “The King Biscuit Flower Hour” si offre per trasmettere in diretta il concerto, dure ore trionfali culminate nella standing ovation mentre il gruppo si inchina vestito come sulla copertina dell’ultimo album, in frac e cappello a cilindro.
Tornati in patria alla fine del lungo tour, i cinque si riuniscono per meditare sui prossimi passi, accettando il suggerimento di Brooker che vuole tornare al rock'n'roll dopo gli ultimi esperimenti sinfonici. È la genesi di Exotic Birds And Fruit, i cui lavori di produzione iniziano tra mille difficoltà a causa della crisi economica scoppiata nel Regno Unito nell’inverno del 1973/74, con i minatori del carbone in sciopero e una situazione energetica allo stremo. Con migliaia di famiglie al buio, i Procol Harum ipotizzano un trasferimento negli Stati Uniti, annullato per l’intervento di Chris Thomas che garantisce al gruppo un generatore per terminare le sessioni agli Air Studios in tempo per la primavera del 1974.
A segnare il nuovo corso dei Procol è l’uptempo rock “Butterfly Boys”, composto a partire da un feroce testo scritto da Reid per criticare la recente gestione contrattuale del management della Chrysalis Records. Il singolo scelto per lanciare il nuovo lavoro è il martellante “Nothing But The Truth”, un ritorno alle radici R&B dei Paramounts che viene inserito dal noto dj John Peel nella sua rubrica “Single of the Week” sulla rivista Sounds. Pur ancora presenti, gli inserimenti orchestrali sono ora al servizio di un suono più diretto, così come la recente grandeur europea è più asciutta sul valzer “Beyond The Pale”, a metà tra la drinking song e certe canzoni popolari nordiche. La ripresa delle origini soniche della band si traduce nella dylaniana “As Strong As Samson”, potenzialmente uscita dalle sessioni di “Blood On The Tracks”.
Dall’intensa ballad corale “The Idol” alle diverse parti di chitarra sovraincise nell’oscura “The Thin End Of The Wedge”, il nuovo disco è forse tra i più “duri” mai incisi dalla band. “Monsieur R. Monde” vira infatti verso un rock'n'roll a ritmo honky-tonk, mentre il beat caraibico “Fresh Fruit” torna a quegli intermezzi spensierati come “Mabel”. Il finale è affidato al soul-pop beatlesiano “New Lamps For Old”, altra prova da capogiro per la voce calda di Brooker, sulle sottili linee di organo tra atmosfere gospel d’altri tempi.
Pubblicato nell’aprile 1974, Exotic Birds And Fruit riceve recensioni contrastanti, tra chi esalta nuovamente la produzione di Chris Thomas e chi invece la giudica ormai eccessiva, quasi elefantiaca. Con la sua insolita copertina a rappresentare letteralmente uccelli esotici e frutta - un dipinto dell’artista ungherese Jakob Bogdani - il disco è un flop commerciale, fermo al numero 86 nella classifica statunitense. I rapporti con la Chrysalis si fanno tesissimi, dopo l’attacco frontale di Reid in “Butterfly Boys” e quello verso Thomas che non sarebbe riuscito a rendere attrattivo il disco. Lo stesso produttore ammetterà successivamente di aver sofferto di un vuoto creativo, mentre Brooker e soci sperimentano nuove difficoltà nello stare insieme come gruppo.
Ma non c’è tempo per riflettere, perché inizia un nuovo tour negli Stati Uniti, deviato verso l’Europa in autunno per sfruttare la popolarità del gruppo in paesi come Germania, Danimarca e Svezia. Mentre piovono elogi per la straordinaria abilità dei Procol dal vivo, la Chrysalis medita in accordo con Brooker un ancora più drastico ritorno alle origini, accantonando Chris Thomas per assoldare due leggende della musica popolare, Jerry Leiber e Mike Stoller. I due hanno iniziato alla metà degli anni 50 scrivendo per Elvis canzoni fondamentali come “Hound Dog” e “Jailhouse Rock”, poi passati per Fats Domino, Drifters e Coasters, trascinando in classifica decine di singoli, da “Charlie Brown” a “Poison Ivy”. La coppia ha recentemente portato al successo il singolo degli Stealers Wheel “Stuck In The Middle With You”, spingendo la Chrysalis a puntare su di loro per rivitalizzare la carriera dei Procol Harum dopo il disastro commerciale di Exotic Birds And Fruit.
Vengono così prenotati i Ramport Studios, gestiti dagli Who, per iniziare le sedute di registrazione di Procol’s Ninth, con una serie di brani composti dagli stessi produttori. Brooker è però contrario all’idea di usare scarti conservati dal duo dal disco “Mirrors” di Peggy Lee, preferendo concentrarsi sul remix di “Pandora's Box”, accantonato nel 1967 dalle sessioni del disco di debutto. Leiber e Stoller optano per un arrangiamento latineggiante, grazie all’introduzione della marimba su un ritmo da film noir. L’esperimento funziona e i due produttori fanno di nuovo la magia, perché il singolo scala posizioni in classifica, fino alla Top 20 in Uk. Il secondo brano cardine del disco è “I Keep Forgetting”, numero funky-soul scritto dalla coppia per Chuck Jackson. Perfettamente in linea con le vecchie esibizioni dei Paramounts, il brano dovrebbe uscire come secondo singolo, ma la Chrysalis sceglie la molle “The Final Thrust”, marcetta pop di poco conto che ovviamente naufraga nelle chart.
È un campanello d’allarme per la creatività del gruppo, che torna ancora al sound R&B nella poco appariscente “Fool’s Gold” e ancora più indietro negli anni 20 con l’arrangiamento jazzy di “Taking The Time”. Più interessante la funkeggiante “The Unquiet Zone”, così come “Without A Doubt”, che mostra però il fianco a un suono molto vicino a quello di gruppi come i Little Feat.
Il principale dubbio sulla direzione scelta da Leiber e Stoller sta in un generale appiattimento del sound dei Procol, in particolare una soppressione delle trame di organo e chitarra. “The Piper's Tune” vira sul folk di matrice scozzese con l’utilizzo di cornamuse, mentre lascia piuttosto perplessi l’idea di inserire sul finale la cover di “Eight Days A Week”, registrata per diletto durante le sessioni.
Dopo l’uscita di Procol’s Ninth, la critica pende verso giudizi negativi, sottolineando la pochezza creativa e l’inserimento di canzoni scialbe come “The Final Thrust” che lo stesso Brooker rinnegherà qualche anno dopo. La collaborazione con Leiber e Stoller, al di là del successo di “Pandora’s Box”, non ha dato i frutti sperati, lasciando la band in un vero e proprio limbo. Meglio procede l’irrefrenabile attività dal vivo, quando il governo messicano invita il gruppo a suonare a Guadalajara e Mexico City alla fine di agosto. Trasmessa in diretta tv, l’esibizione dei Procol è funestata da pesanti problemi di sicurezza, con l’intervento della polizia locale che inizia a sparare sulla folla con dei cannoni ad acqua.
Capitolo Sette - Qualcosa di terribile
Si apre così l’anno 1976, con l’avanzata inesorabile dei movimenti punk e new wave, che manderanno in soffitta i dinosauri del rock a cavallo tra Sixties e Seventies. Fiutato il pericolo, Reid e Brooker trovano un nuovo socio, Nick Blackburn, nella loro Strongman Productions, con il primo compito di organizzare un insolito tour nei paesi dell’est europeo. Si parte da Vienna per poi proseguire tra Polonia e Jugoslavia, prima di un tour di 12 date sold-out in Francia, dove viene eseguita dal vivo una nuova versione dell’Adagio del compositore veneziano Tomaso Albinoni, uscita sul mercato francese insieme a “The Blue Danube” dal repertorio di Johann Strauss II.
I concerti si susseguono frenetici per gran parte dell’anno, portando Cartwright e Grabham a frizioni personali e artistiche sempre peggiori. Uno dei due deve uscire dal gruppo e a luglio la Chrysalis annuncia a mezzo stampa che sarà il primo, rimpiazzato internamente da Copping, con la conseguente introduzione di un nuovo tastierista, il londinese Pete Solley. Attivo in diversi gruppi fin dalla metà degli anni 60 e reclutato per modernizzare il sound dei Procol, Solley è abile con l’organo Farfisa in stile Sly Stone e possiede un sintetizzatore Multiman. L’idea del gruppo è di accantonare l’organo, vero marchio di fabbrica, e di risolvere anticipatamente la collaborazione con Leiber e Stoller, che dovrebbero lavorare da contratto a un altro album. Il manager Nick Blackburn riesce a liberarsi dei due produttori senza traumi legali, lasciando a Brooker e soci la possibilità di prodursi da soli negli Stati Uniti con il contributo degli ingegneri del suono Ron e Howie Albert. La band vola a Miami per lavorare nei Criteria Studios, dove hanno già inciso Bee Gees, Eric Clapton ed Eagles, ma i brani pronti sono pochi, perché la vita in tour ha esaurito la verve creativa dei cinque componenti. Brooker e Reid si chiudono così in un vero tour de force compositivo, finendo una quindicina di tracce che vengono sottoposte all’ascolto dei fratelli Albert. Il parere dei due è impietoso: “Sapete, potete anche nascondere della merda di cane all’interno di un pezzo di cioccolata, ma quando poi la vai a mordere, cosa scopri? Che è merda di cane!”.
Restando umile, il gruppo accantona diversi brani, concentrandosi su una vecchia storia di fate scritta da Reid per un eventuale seguito della suite “In Held ‘Twas In I”. È però un grandissimo azzardo, pubblicare un brano di quasi 20 minuti in uno scenario musicale completamente cambiato, dove il punk sta riscrivendo totalmente le regole del formato canzone. Fin dalla sua metafisica copertina, Something Magic appare come un album del tutto anacronistico, canto del cigno di una band che non ha più un posto nelle prime file del rock dalla metà degli anni 70. Pubblicato nel marzo 1977, a pochi mesi da “Never Mind The Bollocks”, il disco viene stroncato dalla critica, successivamente anche dallo stesso Brooker per il suo sound non in linea con le nuove tendenze musicali alle due sponde dell’Atlantico. Dalle atmosfere da B-movie hollywoodiano della title track alla riproposizione di arrangiamenti cameristici in “Skating On Thin Ice”, il nuovo album si dimostra assolutamente dimenticabile. Se l’uptempo rock “Wizard Man” prova a scuotere l’ascoltatore come fatto in “Pandora’s Box”, il soul-blues etereo “Strangers In Space” riesce soltanto a rendere bene una sensazione di sospensione nel vuoto.
Il numero migliore del disco è senza dubbio “The Mark Of The Claw”, colpo di coda progressive composto da Grabham tra le svisate di sintetizzatore che mettono subito in mostra il talento di Solley. Infine, la chilometrica suite “The Worm & The Tree”, che si snoda in tre parti tra derive orchestrali, parti recitate e tastiere barocche. Praticamente una versione minore di “In Held ‘Twas In I” senza un potente main theme.
Something Magic viene stroncato dalla critica, che parla di un album “orribile” e di un sound da “zen a poco prezzo”. Brooker e Reid sono scoraggiati, pentiti di aver pubblicato la suite “The Worm & The Tree” in mancanza di idee migliori dopo il confronto ai Criteria Studios. La colpa del flop ricade tra l’altro anche sugli stessi Albert, che non si sarebbero minimamente sforzati per cercare di migliorare il materiale dei Procol, stroncato persino dal sostenitore John Peel che riscrive “Something Magic” in “Something Awful”.
Non resta che tornare in tour e suonare i brani più vecchi, ma Chris Copping non regge più, collassando durante un’esibizione a causa di diverse birre di troppo. Il bassista deve fermarsi e riposare, prima di unirsi a Frankie Miller per un tour americano, sostituito temporaneamente da Dee Murray, già nella band di Elton John dal 1970. La leg americana del tour di Something Magic vede in sei date il gruppo relegato alle spalle dei Supertramp, da poco trasferitisi in maniera permanente negli States per registrare “Even In The Quietest Moments...”. Il nuovo giro a stelle e strisce si conclude a metà maggio al Palladium di New York, dove il gruppo resta ancora molto seguito. Di fatto, è l’ultimo concerto negli Stati Uniti, prima della pubblicazione di un comunicato su Nme a metà giugno, che annuncia l’uscita dal gruppo di Mick Grabham, ansioso di proseguire la sua carriera con altri musicisti. La notizia passa inosservata - ci sono altri generi che attirano l’attenzione del pubblico - ma è solo la miccia, perché Brooker è ormai esausto, ha portato avanti il gruppo per dieci lunghi anni e ora si sente completamente svuotato.
L’ultima esibizione dei Procol Harum è datata 18 ottobre 1977, al Wembley Conference Centre di Londra, per festeggiare la nomina di “A Whiter Shade Of Pale” - insieme a “Bohemian Rhapsody” - come Best British Pop Single degli ultimi 25 anni. Quello che diventerà successivamente il Brit Award è l’ultimo riconoscimento del più famoso brano di un gruppo che è riuscito a dimostrare di non essere affatto una hit-wonder.
Capitolo Otto - Solisti
Robin Trower
Dopo aver lasciato i Procol Harum, Robin Trower si unisce agli scozzesi Frankie Miller (voce) e James Dewar (basso), entrambi provenienti dal gruppo rock-blues Stone The Crows. L’idea è di formare un quartetto di nome Jude con il batterista ex-Jethro Tull Clive Bunker, ma il progetto naufraga dopo poche prove. L’intesa personale e professionale tra Trower e Dewar porta però alla ricerca di un nuovo batterista, il nativo di Aruba Reg Isidore, per continuare come trio nella Robin Trower Band. Il chitarrista inglese è rimasto nella scuderia Chrysalis, affidandosi all’ex-compagno Matthew Fisher per la produzione del disco d’esordio Twice Removed From Yesterday, pubblicato nel marzo 1973. Lasciati i Procol per concedersi al sacro fuoco del blues, Trower imbraccia la sua Fender Stratocaster per mostrare al mondo che l’energia mistica di Jimi Hendrix può essere reinterpretata. Dalla solennità di “I Can't Wait Much Longer” alla melodia di “Daydream”, Trower aggiorna i feedback e le distorsioni hendrixiane con una maggiore pulizia tecnica. Sfruttando la voce calda e potente di Dewar, il disco d’esordio si rivela un prezioso scrigno di assoli lenti e controllati, con strutture meno fiammeggianti rispetto a Hendrix, ma precise, intense e creative. Che la Robin Trower Band possa realmente avere un futuro al di là della semplice imitazione di Hendrix è evidente nella title track, gemma psychedelic-blues che in poco meno di quattro minuti racchiude tutte le potenzialità del nuovo trio.
Registrato tra gli Olympic e gli AIR Studios di Londra, il successivo Bridge Of Sighs lancia la Robin Trower Band verso un clamoroso successo commerciale. Con il nuovo contributo di Fisher con lo storico ingegnere del suono dei Beatles, Geoff Emerick, il disco arriva fino al settimo posto nella classifica statunitense di Billboard, nello stesso anno in cui i Procol Harum faticano con Exotic Birds And Fruit. Il riff hard-blues di “Day Of The Eagle” apre a una maggiore sperimentazione del classico sound hendrixiano, trovando un perfetto amalgama tra l’intenso wah-wah chitarristico e la voce soul imbevuta di whisky in brani come “In This Place”. In forma smagliante, il trio vira verso scatenati ritmi funk (“Too Rolling Stoned”), snocciolando superbe litanie di blues riverberato (“Bridge Of Sighs”) e ovviamente sfruttando gli immensi assoli della Stratocaster (“Little Bit Of Sympathy”).
La formula magica trovata confeziona il successivo For Earth Below, che non a caso si apre con le stesse linee in wah-wah (“Shame the Devil”), riprendendo lo stile hendrixiano nella viscosa “Gonna Be More Suspicious”. Sostituito Isidore con l’americano Bill Lordan, “A Tale Untold” è un’altra dimostrazione lampante dell’originale stile di Trower, mai eccessivo e sempre cadenzato alla perfezione in un album comunque meno esplosivo in termini creativi. Il successo commerciale porta il trio in giro per il mondo, davanti a folle sempre più vaste. La data del 3 febbraio 1975 viene registrata - all’insaputa dei due compagni di band - per il magnifico Robin Trower Live, che raccoglie il meglio dei primi due dischi alla Concert Hall di Stoccolma, raggiungendo la decima posizione nella US Billboard 200.
Acceso il pilota automatico, la Robin Trower Band macina dischi. Long Misty Days alterna blues sporchi (“Same Rain Falls”) a ballate più eteree (“I Can't Live Without You”), includendo una cover dal repertorio del duo scozzese The Sutherland Brothers, il soul mellifluo “Sailing”. In City Dreams vede invece un cambio di direzione sonica, con l’introduzione del basso funky di Rustee Allen per lasciare a Dewar il compito di concentrarsi unicamente sulla voce.
Il gruppo cerca una maggiore accessibilità nei brani del disco, dalla ballabile “Somebody Calling” - perfetta per le nuove tendenze della disco music negli ultimi anni 70 - ai più conosciuti standard in 12-bar come “Farther On Up the Road”. Ci sono però numeri troppo deboli, ad esempio “Bluebird” che ricorda “Little Wing” con una dose troppo alta di zucchero.
Il nuovo corso funky ha successo, perché il disco ottiene il disco d’oro dalla Riaa nel novembre 1977, seguito da Caravan To Midnight che contiene persino delle tracce di Aor da stadio nell’iniziale “My Love (Burning Love)”. L’ultimo album della Robin Trower Band nella sua formazione classica è Victims Of The Fury, in cui Trower torna a lavorare con Keith Reid nella scrittura di diversi brani. Si parte dalla storia di fate sul riff granitico di “Jack And Jill” per proseguire sulla solita via hendrixiana in “Roads To Freedom”.
I due brani che riscuotono maggiore successo tra le frequenze Fm americane sono “The Shout” e “Mad House”, che mantengono una durata sotto i tre minuti sprigionando tutta la loro potenza hard-blues sullo stile dei Cream.
Proprio dal leggendario trio dell’hard-blues emerge una collaborazione tra Trower e il bassista Jack Bruce, con la presenza di Lordan e Isidore su due album consecutivi agli inizi del nuovo decennio. Con il primo viene registrato B.L.T., dove i compiti vocali vengono affidati a Bruce, mentre continua la collaborazione con Keith Reid per la stesura dei testi. L’amalgama tra diversi talenti funziona su nuovi brani melodici come “Won't Let You Down”, così come le architetture hard-blues trovano insoliti sfoghi progressive in “Into Money”, “What It Is” e “No Island Lost”, che riprende il riff di “Voodoo Chile”. Al di là dell’orrenda copertina che raffigura un hamburger, l’esperimento funziona, proponendo un sound compatto e mai eccessivo, in brani intensi come “Carmen” e “Life On Earth”.
La collaborazione con Bruce continua con Truce, questa volta con Isidore alla batteria. Il mix di hard-rock, progressive e anche funky-soul funziona ancora, su tutte in “Thin Ice” e “Last Train To The Stars”. Trower registra un altro disco spiccatamente hard-rock con Dewar, Back It Up, prima di chiudere i conti con la Chrysalis Records, accusata di non aver fatto abbastanza per promuovere gli ultimi dischi. Robin riparte così con Dave Bronze (basso e voce) e Martin Clapson (batteria), incidendo per la nuova Passport Records il disco Beyond The Mist, che contiene cinque registrazioni dal vivo e solo due nuovi brani tra cui il banale ritmo stantuffante di “The Last Time”.
Il successivo Passion cerca invano di stare al passo coi tempi dopo l’esplosione di Mtv, mescolando hard-blues con il pop tipico degli Eighties, grazie all’introduzione di tastiere e sintetizzatori.
La Robin Trower Band vede l’introduzione del nuovo vocalist Davey Pattison in Take What You Need, aperto dall’uptempo “Tear It Up”. Nonostante il tentativo di modernizzare il sound, brani come “Over You” sono lontani parenti della Bridge of Sighs che ha lanciato Trower tra i chitarristi più famosi alla metà degli anni 70.
Passato su etichetta Atlantic Records, Trower pubblica un altro disco modesto, In The Line Of Fire,con John Regan al basso. Nel 1991 partecipa al tour europeo del format “Night of the Guitars”, organizzato da Sting con il manager dei Police, Miles Copeland, per portare dal vivo il meglio delle sei corde.
Nel 1994 è la volta di 20th Century Blues, che abbandona ogni velleità commerciale per tornare a un sound robusto e diretto, tra fuzz e wah-wah in brani come “Prisoner Of Love”, “Whisper Up A Storm” e la sinuosa “Precious Gift”.
Trower presta la sua chitarra negli album solisti di Bryan Ferry “Taxi” e “Mamouna”, prima di tornare a lavorare con Pattison e Bronze in Living Out Of Time. Il disco è un ampliamento degli orizzonti sonici abituali, dal soul di “Please Tell Me” alla power ballad “Another Time, Another Place”.
Nel gruppo torna lo storico Reg Isidore con il nuovo organista Nicky Brown, al lavoro su Another Days Blues per registrare nuovi brani prettamente blues, sfruttando un momento di forma estremo per Trower. Dal Chicago-sound di “Sweet Little Angel” alle venature psichedeliche di “This Blue Love”, il disco è perfettamente riuscito, il migliore dai tempi della collaborazione con Jack Bruce.
Dopo un tour tra Stati Uniti ed Europa nell’autunno 2006, Robin torna a lavorare proprio con l’ex-bassista dei Cream, realizzando il solido Seven Moons. Dal riff heavy di “Lives Of Clay” a numeri più melodici (“Just Another Day”), la coppia abbandona il purismo blues per confezionare un lavoro ben eseguito e capace di mixare il talento e le vocazioni personali. Trower continua il suo percorso nel 2009 con il bassista e produttore Livingston Brown, lavorando su What Lies Beneath, che punta su un suono più levigato, dal soft-blues orchestrale “Wish You Were Mine” alla composizione in due parti “As You Watch Each City Fall”, che rivisita ancora Hendrix ma con un approccio più docile e composto. Trower si imbarca con Jack Bruce in un lungo tour mondiale tra il 2008 e il 2009, registrando dal vivo il disco Seven Moons Live che contiene una scialba cover di “White Room”.
Le uscite discografiche si susseguono senza pause all’inizio del nuovo decennio, da The Playful Heart al divertente disco di cover Roots And Branches,che appunto recupera le radici della musica del diavolo partendo da “Hound Dog” e proseguendo tra “The Thrill Is Gone” e la seminale “Born Under A Bad Sign”. Tra il 2014 e il 2016 vengono pubblicati Something's About To Change e Where You Are Going To,tra nuovi ritmi funky-reggae (“Dreams That Shone Like Diamonds”) ed ennesimi ritorni allo stile hendrixiano (“Jigsaw”).
Trower continua ad avere più successo dal vivo, dopo un ottimo tour negli Stati Uniti a cavallo tra il 2016 ed il 2017. Durante una serata in Maryland avverte un malore che lo costringe ad annullare le successive date per un ricovero improvviso in ospedale. Intanto passa all’etichetta Mascot Label Group, su cui incide Coming Closer To The Day, anticipato dal singolo “Diving Bell” e fondato su sonorità più morbide tra pop e blues (“Truth Or Lies” e “Ghosts”).
In piena pandemia da Covid-19 esce l’insolito United State Of Mind, con il contributo del cantante reggae Maxi Priest. Il disco strizza l’occhio al funky-soul (la title track), alla dub (“Are We Just People”) e ovviamente alle radici giamaicane (“Sunrise Revolution”). Tra il 2022 e il 2023 vengono pubblicati altri due dischi, No More Worlds To Conquer e Joyful Sky con la cantante blues americana Sari Schorr.
Gary Brooker
Dissolti i Procol Harum, Gary Brooker inizia a lavorare con diversi artisti tra il 1977 e il 1978. Prima produce Mickey Jupp, sotto contratto alla Strongman Productions e passato alla Stiff Records che sta reclutando vecchie glorie del rock in grado di reggere botta dopo l’esplosione di punk e new wave. Suona il piano nell’album “Fullhouse” di Frankie Miller, poi presta “Harlequin” ai The Hollies e accetta la proposta di Paul McCartney per formare la “Rockestra” - con membri di Pink Floyd, Led Zeppelin e The Who - in vista di un evento benefico all’Hammersmith Odeon di Londra. Verso la fine del 1978 riceve da Mick Jagger la proposta di diventare il nuovo pianista nel prossimo tour dei Rolling Stones, rifiutata per concentrarsi su altri progetti e sull’amata pesca.
Brooker sta scrivendo nuovi brani con Tim Renwick dei Sutherland Brothers, il solito Keith Reid e Pete Sinfield, paroliere per King Crimson ed Emerson Lake and Palmer.
“Give Me Something To Remember You By” è la composizione cardine, ballata soft-rock su cui si poggia l’album No More Fear Of Flying, uscito su etichetta Chrysalis nel 1979. Prodotto da George Martin, il disco contiene due brani scritti da Mickey Jupp, la romantica “Pilot” e l’honky-tonk scanzonato “Switchboard Susan”. Brooker strizza l’occhio al funky ballabile (“Let Me In”) e al ritmo esotico (“Angelina”), tornando sui sentieri sinfonici dei Procol Harum in brani come “Old Manhattan Melodies”. Viene formata così la Gary Brooker Band, con Tim Renwick alla chitarra, Bruce Lynch al basso e Dave Mattacks (ex-Fairport Convention) alla batteria. Il disco è un flop commerciale, mentre Brooker si avvicina artisticamente a Eric Clapton che lo invita ad andare in tour dopo l’uscita del suo ultimo album, “Backless”. Si accomoda all’organo nel gruppo che registra “Another Ticket” (1981), scrivendo insieme a Slowhand “Catch Me If You Can” prima di essere licenziato dallo stesso Clapton insieme agli altri membri del gruppo.
Nel 1982 esce il secondo album solista, Lead Me To The Water, anticipato dal singolo pop “The Angler”, che vede per la prima volta Brooker firmare tutti i brani senza contributi esterni. Reclutati grandi ospiti, da Eric Clapton a George Harrison, il disco parte con l’honky-tonk sintetico “Mineral Man”, deviando verso un soul plasticoso (“Another Way”). Nonostante gli sforzi, l’album è piatto e riesce a centrare il bersaglio solo su “Home Loving”, scritta nel periodo di collaborazione con Eric Clapton.
Due anni dopo iniziano le sessioni di registrazione di Echoes In The Night, attesissimo dai fan dei Procol Harum perché a mezzo stampa serpeggia l’indiscrezione su una possibile reunion con Fisher, Reid e BJ Wilson. A produrre il disco sarà lo stesso Fisher, contattato da Brooker dopo aver lavorato anche ad alcuni dischi solisti di Robin Trower. Il brano su cui si sente maggiormente il lavoro del gruppo è la title track, che include la chitarra claptoniana a impreziosire un soul-pop d’autore. Il tipico sound ambizioso dei Procol rivive effettivamente nel gusto progressive di “Ghost Train”, mentre “Mr. Blue Day” torna all’art-rock con l’inserimento di parti orchestrali.
Pur essendo il suo miglior disco solista - e il primo a far rivivere effettivamente lo spirito della vecchia band - Echoes In The Night viene ignorato da pubblico e critica, snobbato completamente dalla casa di produzione che sostanzialmente evita di promuoverlo. Brooker si ritrova così senza un contratto discografico, costretto a sciogliere la Strongman Productions con il socio Keith Reid che se ne torna a vivere a New York. Ritiratosi nel suo cottage nel Surrey, Brooker si dedica alla pesca da competizione, spinto successivamente dalla moglie a tornare alla musica. Decide di vendere il suo pub e il negozio di articoli da pesca, formando i No Stiletto Shoes, con il chitarrista Andy Fairweather-Low, il batterista Henry Spinetti e il bassista Boz Burrell. Non c’è alcuna intenzione di registrare dischi, solo di suonare dal vivo a eventi benefici in giro per il Regno Unito.
Capitolo Nove - Il ritorno dei prodighi stranieri
Entrato nella band di Joe Cocker nel 1978, BJ Wilson è diventato incontrollabile a causa di seri problemi con l’alcol, costringendo lo stesso cantante di Sheffield a estrometterlo cinque anni più tardi. Il batterista viene invitato da Brooker a suonare sul suo nuovo disco solista, “Echoes In The Night”, provando a rialzarsi tra le voci su una possibile reunion dei Procol Harum. Wilson viene così incalzato dagli amici più stretti, che provano a farlo uscire dal tunnel degli alcolici e della depressione incalzante che lo ha allontanato dalla moglie. BJ tenta il suicidio nel 1987, con una più che abbondante dose di droga che lo manda in coma. Brooker si precipita in ospedale, tentando di rianimarlo suonando al piano vecchie canzoni dei Procol, senza successo. “Starai bene e riformeremo i Procol”, gli dice invano. Lo stato vegetativo è lunghissimo, perdura fino all’ottobre 1990 quando esala il suo ultimo respiro dopo aver contratto una grave forma di polmonite.
Scosso dalla tragedia, Gary Brooker si interroga sul futuro dei Procol, ha davvero senso riformare la band nonostante la promessa fatta a Wilson in punto di morte? Il dubbio è anche di natura artistica: se da una parte band come Genesis e Jethro Tull continuano a soddisfare i propri fan, l’emergere del cosiddetto Aor ha portato al successo nuovi artisti come Bon Jovi, mentre da Seattle si sta levando l’urlo grunge con i Nirvana. Eppure sono diversi i musicisti che continuano a citare i Procol Harum tra le proprie influenze più grandi, e questo porta Brooker a propendere per una insperata reunion.
La scintilla scatta durante alcune registrazioni live in diretta radiofonica dal locale di Bill Wyman, Sticky Fingers. Gary si accorge che le stazioni americane conservano sempre un buon ricordo di brani come “Conquistador”, e non solo del classico “A Whiter Shade Of Pale”. Il primo passo è telefonare a Keith Reid che vive ora a New York, proponendogli di scrivere nuovi testi per un possibile ritorno su disco dei Procol. Reid invita Brooker nella Grande Mela per sedersi insieme in uno studio di registrazione; li raggiunge Matthew Fisher per finalizzare un piccolo insieme di nuove canzoni, fatte ascoltare successivamente a Robin Trower per sondare un suo possibile coinvolgimento. Entusiasta del sound, Trower accetta di lavorare nuovamente con gli ex-compagni, che nel frattempo sono riusciti ad assicurarsi un contratto discografico con la Zoo Records fondata da Lou Maglia, già alto dirigente alla Island.
Preceduto da un trionfale comunicato stampa sul ritorno della magia della Summer of Love, The Prodigal Stranger esce nell’estate del 1991, prodotto con l’ingegnere del suono newyorkese Matt Noble e interamente dedicato alla memoria di BJ Wilson. Con l’innesto di Dave Bronze al basso e Mark Brzezicki alla batteria, il nuovo disco è ovviamente attesissimo dai fan, aperto dalla power-ballad “The Truth Won't Fade Away” che mette subito in mostra la buona forma vocale di Brooker in un nuovo contesto sonico molto orientato all’Aor da classifica. Evidente fin dal primo ascolto la mancanza di un batterista elettrico e geniale come Wilson, mentre le tastiere sono decisamente più commerciali e lontane da quelle sinuose e psichedeliche del primo periodo. La successiva “Holding On”, romantica ed esotica, tradisce uno stile lirico molto più convenzionale per Reid, mentre “Man With A Mission” gioca con un ritmo marziale artificiale tipico degli anni 80. Tracce di ritrovate sinfonie liturgiche in “(You Can't) Turn Back the Page”, così come sulle tastiere di “One More Time”.
Brani come “A Dream In Ev'ry Home” risultano eccessivamente lavorati in fase di produzione, più vicini all’attività da solista di Phil Collins. Funzionerebbe anche il pop arioso di “The Hand That Rocks The Cradle”, smorzato dalla severa intensità di “The King Of Hearts”, inspiegabilmente non impreziosita dalla sublime chitarra di Trower che generalmente trova troppo poco spazio all’interno dell’album. L’eccessivo uso di sintetizzatori porta così a un sound privo di picchi creativi, come sulla scialba “Perpetual Motion” o in una “Learn To Fly” che sembra scritta più per riempire uno stadio che per far rivivere la sofisticata ed eccentrica alchimia di quelli che furono i Procol Harum.
Criticato dalla stampa di settore per il suo approccio mainstream, The Prodigal Stranger non entra nemmeno nella Top 100 di Billboard. Robin Trower spiega al gruppo che non intende andare in tour dopo l’uscita del disco, sostituito da Tim Renwick (già al lavoro con Brooker) per diverse date tra Stati Uniti ed Europa. Il gruppo viene ospitato al celebre Late Night With David Letterman, poi al Tonight Show Starring Johnny Carson, prima di ripartire in tour all’inizio del 1992 con Don Snow al posto di Fisher che nel frattempo si è iscritto a un corso in ingegneria informatica. A fine maggio il gruppo torna al Jubilee Auditorium di Edmonton per una reunion con la Eso, trasmessa in diretta tv con la riproposizione della scaletta di vent’anni prima. Del tutto ignorati in patria, i Procol accettano un invito del presidente portoghese per suonare a Oporto nel maggio 1993, poi a Tallinn (Estonia) al Rock Summer Festival, che garantisce una copertura globale grazie alla diretta su Mtv. Non più gruppo di punta, Brooker e soci tornano negli Stati Uniti insieme agli headliner Jethro Tull, facendosi raggiungere sul palco da Ian Anderson durante “Pandora’s Box”. Alla line-up si aggiunge Matt Pegg, figlio di Dave Pegg dei Fairport Convention, prima di un breve stop per le attività soliste di Brooker, che gira in tour con Bill Wyman nella prima parte del 1994.
Grazie al successo ottenuto dalla cover di “A Whiter Shade Of Pale” sul disco di Annie Lennox, “Diva”, i Procol Harum tornano in pista nell’estate 1995 con il 22° tour negli Stati Uniti. Alla batteria c’è Graham Broad (ex-Bandit), che ha l’onore di partecipare al primo vero tour inglese della band dal lontano 1977, culminato nella data al Barbican con la London Symphony Orchestra. Alla fine del 1996 viene organizzato un concerto speciale per il 30° anniversario della band al Redhill Theatre, nel Surrey. Per l’occasione vengono reclutati Fisher, Grabham e Cartwright, insieme sul palco per il gran finale “In Held ‘Twas In I” con la voce narrante dello scrittore Douglas Adams, grande fan della band.
Di fatto è l’ultimo atto prima di un nuovo e provvisorio scioglimento, con Brooker che si unisce alla all-star band di Ringo Starr e nuovamente a Bill Wyman dei Rolling Stones.
Capitolo Dieci - Un antico sogno inglese
Anno 2000. Per celebrare l’avvento del nuovo millennio Gary Brooker riunisce i Procol Harum al Web Festival di Stoke Park, Guildford, con la partecipazione della New London Sinfonia. Nel 2001 parte un nuovo tour di 14 date in Europa, con il ritorno in Polonia e la prima esibizione in Russia. Alla metà del 2002 iniziano i lavori in studio con il nuovo produttore Rafe McKenna, in vista dell’uscita del dodicesimo album della band su etichetta Eagle.
Registrato tra ottobre e novembre ai Cosford Mill Studios di proprietà del batterista dei Queen, Roger Taylor, The Well’s On Fire è aperto dalla ballata “An Old English Dream”, condotta da una robusta linea melodica e ricamata dalla nuova chitarra di Geoff Whitehorn. Il disco abbandona il pop sintetizzato di The Prodigal Stranger, virando verso un sound più diretto, come nell’uptempo ballabile “Shadow Boxed” o sul puro rock di “The VIP Room”. La band sembra aver ritrovato il tocco magico, in brani come l’umoristico R&B “Every Dog Will Have His Day”. In “A Robe Of Silk” il canto di Brooker sembra uscito dalle sessioni di Shine On Brightly, mentre “The Blink Of An Eye”, scritta dopo gli eventi dell’11 Settembre 2001, mette in mostra un R&B ad alto tasso di contemporaneità. I Procol tornano al blues con il riff di “The Wall Street Blues”, mentre “So Far Behind” riesce a coniugare le nuove tendenze pop con lo stile più classico degli anni 70. In gran forma Fisher, che conduce l’organo nel seguito ideale di “Repent Walpurgis”, "Weisselklenzenacht (The Signature)". Persino Keith Reid, in evidente difficoltà compositiva sull’album precedente, ritrova quel senso di emozione tragica nella ballata per pianoforte “The Emperor's New Clothes”. Pur dimostrando una rinnovata forza d’intenti, The Well’s On Fire viene clamorosamente ignorato dalla Eagle Records, che decide di non promuoverlo nei grandi store facendolo fallire nelle chart.
Per sopperire al mancato successo commerciale, i Procol Harum avviano un lungo tour mondiale per gran parte del 2003, da cui viene estratto un disco dal vivo, Live At The Union Chapel. Pubblicate dalla Eagle nel 2004, le ventuno canzoni fanno parte della scaletta alla Union Chapel di Islington, Londra, nella data del 12 dicembre 2003. Da “Shine On Brightly” all’immortale “A Whiter Shade Of Pale”, il gruppo vive a cavallo tra presente e passato, dimostrando di aver ritrovato un buon stato di forma con l’introduzione della chitarra più rock di Whitehorn.
L’euforia generale viene smorzata drasticamente da Matthew Fisher alla metà del 2005, in seguito all’avvio di una causa legale contro il management della band sui diritti di “A Whiter Shade Of Pale”. Sempre più lontano dal resto del gruppo - l’organista non si sente trattato come un membro fondatore - Fisher vuole una dichiarazione che lo nomini co-autore del brano, oltre a una quota del 25% a livello di royalties. Brooker e Reid restano di sale, dal momento che in quasi 40 anni non è mai stata avanzata alcuna richiesta del genere a livello legale. Il caso è lungo e spinoso, si analizzano demo e acetati, e viene alla fine vinto incredibilmente proprio da Fisher, che ottiene il 20% dei guadagni in royalties dalle vendite del singolo prima dell’avvio della causa. Mentre l’organista dichiara a mezzo stampa che lo ha fatto per ottenere un riconoscimento, non per soldi, Brooker parla di “un giorno oscuro per l’industria musicale”. Costretto a pagare 500mila sterline in spese legali, il cantante chiude per sempre i rapporti con Fisher, stupendosi di un simile risentimento maturato in così tanti anni.
La causa legale con Fisher non ferma l’attività dal vivo dei Procol Harum, con l’inserimento di Josh Phillips all’organo per avviare un nuovo tour di 16 date in Europa. Il 2005 vede anche un evento straordinario, la reunion dei Paramounts il 17 dicembre, per un solo concerto al Westcliff’s Club Riga, all’interno dello stesso pub dove tutto ha avuto inizio nel 1960. Per una notte, Gary Brooker, Robin Trower, Mick Brownlee e Chris Copping fanno rivivere la magia di un gruppo rimasto nei ricordi di tantissimi fan provenienti da mezza Europa.
Nell’anno successivo i Procol organizzano un nuovo tour di 14 date, includendo due grandi festival: Isle of Wight dopo 36 anni e Ledreborg Castle in agosto, dove si esibiscono con la Danish National Concert Orchestra and Choir. La serata viene registrata in presa diretta per la pubblicazione di un successivo disco dal vivo, Procol Harum – In Concert With The Danish National Concert Orchestra And Choir, uscito su etichetta Eagle nel 2009. Aperto dalla maestosità sinfonica di “Grand Hotel”, il concerto è una delizia per appassionati e non, passando tra l’invettiva “Butterfly Boys” e una versione infernale di “Simple Sister”. La forma vocale di Brooker regge l’urto di una nuova prova sinfonica, mentre la chitarra di Whitehorn è davvero una delle più pregevoli nelle diverse incarnazioni della band. L’album offre anche la possibilità di ascoltare l’inedita ballad “Symphathy For The Hard Of Hearing”, includendo una gran versione live della gemma “Whaling Stories”.
Nel 2007 parte un nuovo tour limitato a 16 date in sei paesi europei, celebrando il 40esimo anniversario della band in due concerti speciali a Westminster con la presenza di un nuovo batterista, Geoff Dunn. I concerti si susseguono tra il 2008 e il 2010, quando parte un tour americano in 20 date che prevedono diverse orchestre sul palco, compresa l’ormai inseparabile Eeso al Jubilee Auditorium.
Il 28 maggio 2012, dopo essere stato invitato a un party esclusivo a Buckingham Palace per le celebrazioni del Queen’s Jubilee, Gary Brooker è su un volo che lo porterà insieme alla band a Cape Town. Due le date organizzate insieme a vecchie glorie del rock progressivo, Moody Blues e King Crimson, in occasione (tra l’altro) del suo 67° compleanno. Ma le due serate devono essere annullate, perché viene diramato un preoccupante bollettino: il cantante dei Procol Harum è in terapia intensiva in un ospedale sudafricano, dopo una frattura al cranio non meglio specificata. Brooker è sedato, mentre arriva la moglie dall’Inghilterra e si parla a mezzo stampa di un’indagine della polizia locale su una presunta colluttazione in cui c’è di mezzo un drink e un tentativo di rapina. Si ristabilisce alla metà di giugno, quando torna a Londra e, pur debilitato, sembra pronto a tornare sulle scene in un grande tour americano tra luglio e agosto, insieme agli Yes. I Procol si riscaldano al Kløften Festival il 25 giugno, prima di volare negli States per ben 27 date, positivamente accolte da pubblico e critica.
Fallita per mancanza di voti l’entrata nella Rock and Roll Hall of Fame, nella primavera del 2013 è il turno di cinque concerti in Danimarca con orchestre locali. Le varie esibizioni negli ultimi due anni vengono raccolte nel disco dal vivo Some Long Road, che include anche un brano solista di Brooker, "Missing Person”.
Alla fine del 2016 iniziano le sessioni di registrazione di un nuovo disco, Novum, con il produttore Dennis Weinreich. Pubblicato nella primavera 2017, l’album è il primo senza Keith Reid, sostituito da Pete Brown (ex-Cream) e in parte dall’intera band. A parte la ballata barocca “Sunday Morning”, Novum suona come un nuovo ritorno alle sonorità più classiche del rock, ritrovando il gusto progressive nell’iniziale “I Told On You”, che sembra effettivamente uscita dalle sessioni di Home o Grand Hotel. Nella successiva “Last Chance Motel” rivive l’eco melodica di certi lavori di Elton John, mentre “Businessman” solca terreni blues e “Soldier” quelli del baroque-pop. Il gruppo sperimenta con la fisarmonica dell’ariosa “Neighbour”, continuando sul formato ballata in “Don’t Get Caught” e lanciandosi nel riff hard-rock di “Can't Say That”, forse eccessivamente debitore della “Roadhouse Blues” dei Doors.
Complessivamente, è un disco che rende giustizia alla memoria dei Procol Harum, tenendo una linea in equilibrio tra ironia e sofisticatezza.
Dopo la pubblicazione di Novum, il gruppo inglese torna dal vivo per quasi 40 date tra Europa e Stati Uniti. In programma a marzo un concerto speciale alla Royal Festival Hall di Londra, purtroppo funestato da una brutta caduta di Brooker mentre lascia il palco tra un set e l’altro. Il cantante dei Procol Harum non molla, tornando per completare il concerto con la testa fasciata. I tour si susseguono tra il 2018 e il 2019, prima dello stop forzato a causa della pandemia da Covid-19.
Gary Brooker muore il 19 febbraio 2022, sfiancato da un cancro, lasciando il mondo della musica in lutto. In memoria del cantante, il singolo “A Whiter Shade Of Pale”, inevitabilmente rimasto nell’immaginario collettivo, torna ad alzarsi nella classifica inglese. Ultimo grande omaggio a un cantante dalla grandissima forza vocale, la cui morte porta ovviamente alla parola fine sull’ultimo capitolo dei Procol Harum.
PROCOL HARUM | ||
Procol Harum (Regal Zonophone, 1967) | 7 | |
Shine On Brightly (Regal Zonophone, 1968) | 8 | |
A Salty Dog (Regal Zonophone, 1969) | 9 | |
Home (Regal Zonophone, 1970) | 7 | |
Broken Barricades (Chrysalis, 1971) | 7 | |
In Concert With The Edmonton Symphony Orchestra (Chrysalis, 1972) | 7,5 | |
Grand Hotel (Chrysalis, 1973) | 7 | |
Exotic Birds And Fruit (Chrysalis, 1974) | 6,5 | |
Procol’s Ninth (Chrysalis, 1975) | 5,5 | |
Something Magic (Chrysalis, 1977) | 5 | |
The Prodigal Stranger (Zoo Entertainment, 1991) | 5 | |
The Well’s On Fire (Eagle, 2003) | 7 | |
Live At The Union Chapel (Eagle, 2004) | 6,5 | |
Procol Harum – In Concert With The Danish National Concert Orchestra And Choir (Eagle, 2009) | 7 | |
Some Long Road (Union Square Records, 2014) | 6 | |
Novum (Eagle, 2017) | 6,5 | |
ROBIN TROWER | ||
Twice Removed From Yesterday (Chrysalis, 1973) | 6,5 | |
Bridge Of Sighs (Chrysalis, 1974) | 7,5 | |
For Earth Below (Chrysalis, 1975) | 6,5 | |
Robin Trower Live (Chrysalis, 1976) | 7,5 | |
Long Misty Days (Chrysalis, 1976) | 6 | |
In City Dreams (Chrysalis, 1977) | 6 | |
Caravan To Midnight (Chrysalis, 1978) | 5,5 | |
Victims Of The Fury (Chrysalis, 1980) | 6,5 | |
B.L.T. (Chrysalis, 1981) | 7 | |
Truce (Chrysalis, 1982) | 6,5 | |
Back It Up (Chrysalis, 1983) | 5,5 | |
Beyond The Mist (Passport Records, 1985) | 5 | |
Passion (GNP, 1987) | 4,5 | |
Take What You Need (Atlantic, 1988) | 5 | |
In The Line Of Fire (Atlantic, 1990) | 4,5 | |
20th Century Blues (V-12, 1994) | 6,5 | |
Someday Blues (V-12, 1997) | ||
Go My Way (Orpheus, 2000) | ||
Living Out Of Time (V-12, 2003) | 6 | |
Another Days Blues (V-12, 2005) | 7 | |
Seven Moons (Evangeline Records, 2008) | 6,5 | |
What Lies Beneath (V-12, 2009) | 6 | |
Seven Moons Live (Evangeline Records, 2009) | 5,5 | |
The Playful Heart (V-12, 2010) | 5,5 | |
Roots And Branches (V-12, 2013) | 6,5 | |
Something's About To Change (V-12, 2014) | 6 | |
Where You Are Going To (V-12, 2016) | 5,5 | |
Time And Emotion (V-12, 2017) | ||
Coming Closer To The Day (Mascot Label, 2019) | 6 | |
United State Of Mind (Manhaton, 2021) | 5 | |
No More Worlds To Conquer (Mascot Label, 2022) | 5 | |
Joyful Sky (Mascot Label, 2023) | 6 | |
GARY BROOKER | ||
No More Fear Of Flying (Chrysalis, 1979) | 6 | |
Lead Me To The Water (Mercury, 1982) | 5 | |
Echoes In The Night (Mercury, 1985) | 6,5 |
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