Festival di Sanremo

L'ultima serata all'Ariston

Per quello che possiamo definire il Mondiale di Amadeus quale può essere l’intro migliore se non l'Inno di Mameli suonato dalla banda dei carabinieri? Per il patriota Rai è la scelta perfetta, per il pubblico un piccolo indizio: la serata che si prospetta sarà un vero e proprio campo di battaglia fino all'ultimo respiro. In vista di una scaletta densa come l'ultimo appello della sessione estiva dell'esame più difficile del semestre, arrivano sul palco i meno favoriti uniti con gli altri da un dettaglio: non si sa cosa ci fosse nel buffet dietro le quinte, ma tutti hanno mostrato un'energia nuova, in alcuni casi strabordante.
Michele Zarrillo, il perenne aspirante cantautore della musica italiana, cerca inutilmente di portare a casa un brano così anonimo da far rimpiangere il refrain della rosa blu. Poi Enrico Nigiotti, talmente noioso da rendersene conto anche lui in questa serata finale: ogni canzone che intona sembra la stessa. E ancora un'immolata quota rosa Irene Grandi che nonostante il forte sforzo interpretativo non convince e Alberto Urso, così anacronistico da essere invecchiato almeno dieci anni in questa settimana.

A questo punto, arriva (finalmente) Diodato, superfavorito e l'unico forse con il mix canzone giusta/talento/cuore: il suo "rumore" riecheggia nell'Ariston fin da inizio serata. Una piccola boccata di ossigeno per poi tornare nel claustrofobico mondo della mediocrità: Marco Masini che sforza la giugulare fino all'inverosimile e il ritorno del remake del Re Leone con il vincitore di Sanremo giovani Leo Gasmann. Il tutto condito da un'intramontabile e a tratti kitsch Sabrina Salerno e un sovraesposto Tiziano Ferro che non si risparmia e oltre i medley, gli inediti, i baci, le cover (e mille spot su documentario Amazon etc.) si cimenta anche in un monologo socialmente impegnato. Tutto questo per la gioia degli anemici all'ascolto a cui bastavano due battute di "Rosso relativo".
Si rientra in gara con l'esplosione definitiva di Piero Pelù che, come destandosi da un letargo durato una settimana, riporta sul palco la sua personalità e grinta, arrivando addirittura a convincere con un brano claudicante come "Gigante". Molto catchy il finto scippo della sciura tra il pubblico, ottimo il contorno schitarrato che infonde quel minimo di adrenalina per affrontare la maratona.

Ecco poi i due artisti davvero più stilosi e glam di questa edizione, Levante e Achille Lauro: se la prima arriva luminosa e più decisa rispetto le altre sere, Lauro è davvero intenzionato a lasciare il segno in questo 70esimo festival. Elisabetta I Tudor è l'ultimo personaggio che sceglie di incarnare e lo fa con eleganza e sfrontatezza, lasciando intravedere erotismo e libertà dagli schemi in ogni fraseggio, in ogni movenza: se il bel canto di sicuro non gli appartiene, sicuramente gli va riconosciuto il merito di creare un minimo di suspense e attesa in questo show a tratti democristiano. È il momento poi del grande fuoco fatuo di questo festival, Junior Cally: saranno state pressioni o un tam tam mediatico falso ma lo scandalo che ci si aspettava sia nel personaggio che nel brano non c'è stato. Un rapper come un altro. Si scivola dunque verso la fase "altro livello" con Raphael Gualazzi e Tosca, gli unici forse a rimanere loro stessi sapendo che l'importante è partecipare e farlo bene: il giorno in cui il pubblico mainstream riuscirà a sintonizzarsi con questi artisti forse non avremo più Sanremo.

Eccoci dunque in area Festivalbar con Francesco Gabbani che tronfio della sua sicurezza ammicca alla telecamera già gustando un premio che vedrà di sguincio e Rita Pavone, grande interrogativo di questa edizione: perché rovinarsi una carriera per una foto su Sorrisi e canzoni? Bah. Fanno venir voglia di regalargli un gps le Vibrazioni che, strumentalizzando un po' la Lis (lingua dei segni) e puntando su una canzone abbastanza scialba rispetto ai loro standard, non riescono nell'impresa di arrivare sul podio. In questa escalation si insinua il superospite Biagio Antonacci, che tenta di emulare il successo della partecipazione a firma di Gianna Nannini ma riesce a catalizzare l'attenzione su di sé soltanto per un 1%. Il pensiero comune è: "Si vada avanti con la gara per pietà". A risvegliare tutti ci pensa Anastasio con la sua rabbia purtroppo troppo rossa per l'Ariston, ma la sua è sicuramente una hit che piacerà al (suo) pubblico. Livello interpretativo, tra l'altro, davvero alto.
Verso il finale di serata (o almeno quello che si sperava tale) arriva il nulla, i non pervenuti Elettra Lamborghini e tale Riki danno sfoggio della loro inadeguatezza: perché sono a Sanremo? Questa la domanda che si leggeva nei loro occhi e nelle nostre orecchie. Rispetto inoltre per Jannacci e quello che rappresenta, ma non è stato proprio in grado di reggere la kermesse: un circo che l'ha visto fuori luogo. A chiudere la gara Rancore, meritatamente vincitore del premio per il miglior testo e sempre coerente con la sua musica.

Qui si apre la fase più drammatica della serata: sono circa le due e Amadeus comincia a sfornare ogni tipo di esibizione e scheletri nell'armadio. Dal salto negli anni 80 con la Salerno alla cover dedicata a Fred Bongusto di Fiorello (perché farla a quest'ora?) a quello che potrebbe essere uno dei punti più bassi della storia del festival: la cover di Diletta Leotta che si è cimentata nel remix di "Ciuri, ciuri" in chiave Eminem. Tra lo stordimento e il disgusto, non si distinguono più le emozioni. E di lì una serie di ospiti e marchette che lo spettatore non riesce più a mettere a fuoco: la proclamazione del vincitore viene rimandata come una sorta di salasso. Fine pena mai.
Alla fine del tunnel poi una luce, arriva il verdetto (spoilerato da un narcotizzato redattore di SkyTg24): vince Diodato, secondo Gabbani, terzi i Pinguini Tattici Nucleari. Il karma ha ripagato anche quest'anno il calvario masochista di una settimana senza senso: perché? Perché Sanremo è Sanremo.


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LA QUARTA SERATA

Sforare di qualche ora la diretta del Festival di Sanremo può capitare, ma farlo per tutte le serate diventa qualcosa di diabolico e masochista: così è stato anche per il quarto appuntamento con l'Ariston dove si è finito a notte inoltrata, di nuovo. D'altronde, l
e premesse c'erano tutte: una scaletta infinita con l'esibizione di tutti i big, l'esibizione e proclamazione del vincitore tra le "nuove proposte", gli ospiti e le utilissime gag. Amadeus inaugura la puntata con lo scontro Tecla vs Marco Sentieri: la rivelazione napoletana non riesce a battere il viso monacale della giovanissima cantautrice che però arriva solo seconda. In modo scontato e sicuramente casuale trionfa Leo Gassman, lasciando indietro un bravissimo Fasma, l'unico a meritare la vittoria in quel contesto. Fortunatamente, la buona notizia c'è, ed è il premio Mia Martini "Nuove proposte" agli Eugenio in Via Di Gioia

 

Nell'illusione che la gara dei big inizi ecco il ritorno dei siparietti con Fiorello, simpatici ma davvero un harakiri vista la mole di scaletta che attende. A mettere il carico da novanta l'ennesima esibizione di Tiziano Ferro, che arrivato alla quarta serata perde decisamente di freschezza ed entusiasmo, il medley storico che fa cantare il pubblico da casa e in sala ma in definitiva non aggiunge nulla a tutto il festival. E nulla cambia anche con l'arrivo di Antonella Clerici, a cui viene incautamente affidata la verve comica della presentazione dell'ormai celebre donna del "passo indietro", in quanto fidanzata di Valentino Rossi, Francesca Sofia Novello. Sul palco poi viene sganciata la bomba Dua Lipa, la vera star internazionale che porta a casa minuti di gloria e osannazione per un'esibizione in pieno stile Super Bowl. Finalmente qualcuno dietro le quinte si deve essere svegliato e dà cenno di iniziare la gara dei big: il primo è Rancore, sempre carico e convincente, con un brano che ne rappresenta a pieno la personalità. A seguire Giordana Angi, che per quanto sforzi una voce rauca e un'interpretazione alla Mimì, potrebbe aver sprecato questa occasione all'Ariston salvo stravolgimenti del voto finale. 

Poi arriva nel suo completo simil acetato lui, sì, proprio lui che si sente già il vincitore del 70esimo festival di Sanremo: Francesco Gabbani. Nonostante il brano non abbia la potenza di "Occidentali's karma", piace. Sa come prendere il pubblico italiano e quando spingere sull'acceleratore durante l'esibizione. Assente nello sguardo e in piena collisione con lo stile carioca che canta, è invece Raphael Gualazzi: bravura indiscutibile ma un'esibizione scollata dall'attitudine; così come sono scontati i Pinguini Tattici Nucleari, fascinatori di molti ma con chiari rimandi anacronistici allo Stato Sociale sia nei testi che nella perfomance.

Molto convincente risulta al contrario Anastasio: la canzone è perfetta e lui riesce a renderla fruibile nel miglior modo possibile. In un mondo giusto potrebbe aspirare al podio. Sempre non pervenuto Riki, mentre Elodie stretta nei suoi outfit da urlo concede all'Ariston una performance più decisa e convincente: la poca linearità del brano aveva bisogno di uno sforzo interpretativo in più, lo stesso messo nel tenere il corpetto ben saldo al petto. Nel frangente della gara, intanto, si susseguono anche gli ospiti: da un ridicolo Tony Renis che guida l'orchestra di spalle facendo finta di accompagnare Fiorello a un super Ghali che, finta caduta compresa, si conferma un genio del marketing discografico attuale. Tronfia e piena di cuore la performance di Gianna Nannini che, se un po' confusionaria nel duetto con Coez, nel medley dà il meglio confermandosi la grande rockstar che è.

Nel proseguire la gara interminabile altre performance degne di nota sono sicuramente quella di Diodato, super favorito e forte di tutti i punti a favore: bravura, pezzo azzeccato, belle esibizioni. Poi l'istrione di questo Festival, Achille Lauro, che ancora una volta incanta con i suoi look rendendo omaggio alla marchesa Luisa Casati Stampa, amante di Gabriele D'Annunzio. La sua "Me ne frego" viene vista più che ascoltata. Colpo geniale. No sense e davvero triste il sipario Morgan vs. Bugo con l'aggravante di un Amadeus finto stupefatto: se Morgan appare palesemente alterato nei sensi, Bugo lascia il palco senza apparenti motivi scatenando la polemica.

E ancora un Piero Pelù rientrato in sé o meglio uscito dall'impaccio sanremese, esplode sul palco dell'Ariston portando l'energia a cui siamo abituati: lo stesso vale per Levante che finalmente canta a voce limpida la sua "TikiBomBom", arrivando forte e chiara al mittente. Sempre al di fuori dei giochi Tosca che mette a segno l'ennesima esibizione impeccabile, di grande stile e che ci ricorda cosa vuol dire interpretare una canzone, sapendo cantare. Di questi tempi non è mai scontato. Con litri di caffeina in endovena, si vola dritti verso la super finale. 


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LA TERZA SERATA


Rai 1, ventiquattro esibizioni e tre superospiti: la terza serata del Festival di Sanremo si preannunciava come un bagno di sangue. Con buona grazia degli autori e del conduttore lo è stato, ma poteva andare peggio. Grazie a un ritmo più spedito e quasi dopato rispetto alle prime due serate, l'appuntamento con i duetti/cover è risultato più incalzante, nonostante alcuni momenti tranquillamente evitabili, come il siparietto con la valletta per una sera, Giorgina (moglie di Cristiano Ronaldo) o l'ennesima canzone di Tiziano Ferro che, diciamolo, sta portando all'overdose.

La maratona parte con Michele Zarrillo e Fausto Leali che porta la sua "Deborah": esibizione onesta ma non eccezionale con un Leali che lascia spazio all'amico in gara evitando i tradizionali acuti. Poi una serie di duetti anonimi: da Masini e Arisa con "Vacanze romane" (comprese stecche varie) a Junior Cally e Viito, forzati in "Vado al massimo" e in cerca di un'emulazione impossibile di Vasco Rossi. Poi Riki (?) e Ana Mena (?) con "L'edera" di Nilla Pizzi: karaoke impeccabile.
Finalmente, segue un po' di classe e talento, entrambi riassunti nella cover di Raphael Gualazzi e Simona Molinari, "E se domani": eleganti, coesi e di un altro livello, a loro agio in una dimensione jazz così spontanea da arrivare a tutti. A seguire l'energia di Anastasio e PFM con "Spalle al muro": nulla da dire se non sulla mancanza di collante tra i due artisti, ognuno focalizzato nel proprio, non hanno convinto.

Turno quote rosa con Levante, Francesca Michielin e Maria Antonietta che con la storica "Si può dare di più" rimangono nell'ombra: trattenute e poco calate nella parte, potevano dare davvero di più. Momento parodia per Alberto Urso e Ornella Vanoni: soliti problemi con il gobbo, chissà, ci si aspettava da un momento all'altro un'imprecazione dell'Ornella nazionale. Purtroppo, non c'è stata, e avrebbe sicuramente portato verve. Poi il turno della favorita Elodie con il pianista Aheham Ahmad: una versione di "Adesso tu" senza personalità che avrebbe potuto dare slancio alla partecipazione della cantante. Occasione persa.
Un mix esplosivo è invece il trio Rancore, Dardust e La Rappresentante di lista: la "Luce" viene raccolta nella voce di Veronica Lucchesi che come sempre si conferma una grande performer. Prima di continuare con la gara, arriva il momento ospiti internazionali: il primo è il cantautore britannico Lewis Capaldi, alquanto impreciso e con zero presenza scenica; il secondo è l'ormai celebre Mika che ha portato umilmente una cover di Fabrizio De André che ha emozionato e convinto.
Meno inserito e un po' caduto dal cielo l'intervento di Roberto Benigni, che ha portato sul palco dell'Ariston la Bibbia: il Cantico dei Cantici come esempio di canzone suprema. Apprezzabile sempre chi porta cultura in tv, ma una scelta al di sotto dei 40 minuti sarebbe stata osannata.

In tutto questo scorrere di tempo, si inserisce l'altra co-conduttrice di Amadeus, Alketa Vejsu, volto noto della tv albanese. Con la sua parlantina e la sua adrenalina ha saputo tenere botta alla lunga serata. Degno di nota il duetto con Bobby Solo: "Una lacrima sul viso" di nostalgia per i Sanremo di ieri. E si continua, dritti verso la meta. Giordana Angi con il Solis String Quartet rispolvera da "Amici" la sua cover de "La nevicata del '56": buona interpretazione e scelta sicura. Il super-medley "70 volte Sanremo" dei Pinguini Tattici Nucleari ci porta direttamente nell'atmosfera karaoke di "Domenica In": esagitati e ottimi intrattenitori assieme a Mara Venier. Da valutare.
Risale il livello con il duetto Enrico Nigiotti e Simone Cristicchi: "Ti regalerò una rosa" è una canzone emozionalmente perfetta. Ma stranamente Nigiotti non viene inglobato da Cristicchi. Ancora applausi per la performance di Achille Lauro, finalmente tramutato in Bowie (per i più superficiali) e Annalisa: il mix tra i due è perfetto. Lauro porta in scena un personaggio in bilico, messo in crisi dal suo essere e la società: Annalisa lo accompagna con la sua voce senza errori e senza strafare. Promossi. E ancora standing ovation per Tosca, vincitrice della serata, che con Silvia Perez Cruz porta sul palco una versione gitana di "Piazza Grande": la gioia del bel canto. Se ne aveva bisogno.

Hanno fatto bene i compiti Le Vibrazioni e i Canova che con "Un'emozione da poco" hanno convinto ma senza strafare, tuttavia con troppe schitarrate. Calzante l'adattamento di Diodato e Nina Zilli con "24mila baci": divertenti, con un'esibizione che ha esaltato le capacità di entrambi. Dopo la prova hardcore dell'inedito, Rita Pavone torna a sua volta distesa al piano con Amedeo Minghi per una "1950" piacevolmente da copione. Chapeaux
Bugo e Morgan in "Canzone per te" raggiungono, purtroppo, solo la sufficienza: il primo mostra le sue doti da conservatorio, il secondo cerca di interpretare a suo modo. Il risultato? Nulla di stravolgente. Particolarmente riuscita invece la cover di Irene Grandi e il grande (e poco valutato) Bobo Rondelli: la loro "La musica è finita" è davvero emozionante.
Chitarre (troppe) e saette per il "Cuore matto" di Piero Pelù: un duetto con Little Tony avrebbe fatto scintille. L'anonimato dell'esibizione Paolo Jannacci feat. Francesco Mandelli con "Se me lo dicevi prima" viene controbilanciato dall'assenza artistica di Elettra Lamborghini che, nonostante il personaggio Myss Keta, fa sperare davvero a tutti che "Non succederà più" di vederla a Sanremo.
"L'italiano" degli italiani Francesco Gabbani porta la cover di Toto Cotugno vestito da astronauta e pensando già all'Eurovision Song Contest. Qualcuno lo riporti sulla Terra. Per i sopravvissuti: stasera ci sarà la proclamazione del vincitore tra i giovani: good luck!


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LA SECONDA SERATA

E venne la seconda serata del Festival di Sanremo 2020. Con uno share altissimo come quello del debutto a chi ci si poteva appellare per un'apertura beneaugurante? Niente paura, ci ha pensato Fiorello. Dopo aver scomodato gli alti piani celestiali della tv con Don Matteo, è salito ancora più su, chiamando in causa Maria, la De Filippi nazionale. Con un'imitazione abbastanza azzeccata e un'incursione telefonica della stessa, l'incipit della seconda serata maschera molto bene il bagno di sangue che avrebbe aspettato il pubblico italiano da lì, a ore!
Troppo show e troppo poco spazio alla musica che finalmente si avvia con la gara dei giovani, rivelatisi quest'anno, come molto spesso accade, i veri big con qualcosa di interessante da portare sul palco dell'Ariston. Il duo Gabriella Martinelli - Lula non sfonda l'autotune azzeccato di Fasma: non è stata (purtroppo e stranamente) convincente la perfomance delle due che si è scontrata con un prodotto già impostato e pronto per il lancio come quello del rapper romano. La seconda sfida vede protagonisti Marco Sentieri e Matteo Faustini: il primo forte di un brano azzeccato sul bullismo stravince su Faustini, ancora acerbo e decisamente prevedibile. 
Concluso con le nuove proposte, Amadeus dedica un momento di commemorazione in onore di Fabrizio Frizzi di cui ricorreva ieri il compleanno. Con lui sul palco la moglie del conduttore deceduto, Carlotta Mantovan, e grande commozione dei presenti in sala che hanno ricordato Frizzi con un lungo applauso e forse il rimpianto di non aver dato abbastanza a un personaggio così pacato e professionale.

È passata un'ora ma il festival di Sanremo non è ancora iniziato: quando sembrano finiti i preamboli, torna Fiorello con i suoi sketch e battute non troppo velate sulle accuse mosse ad Amadeus nei giorni scorsi: su tutte quelle delle donne o "nazi-femministe" come sono state definite. Le spalle sono coperte, lo share lo permette, via a ruota libera. Ma va bene così, l'importante è che si siano ribaditi determinati concetti. E quando le speranze cominciavano a svanire ecco che inizia finalmente la gara. Il "gigante" Piero Pelù apre i giochi con un brano che delude decisamente: inutile premere l'acceleratore sul personaggio, la canzone non c'è. Niente dinamica, zero testo. È davvero Pelù? In memoria dei Litfiba: RIP.

Tempo di una canzone ed ecco l'ingresso delle due nuove presentatrici, le giornaliste del Tg1 Laura Chimenti ed Emma D’Aquino. Posate, eleganti e professionali, insomma dei bravi soldatini aziendali. A risollevare tanta morigeratezza arriva un'emozionatissima e quasi impacciata Elettra Lamborghini: la concezione di canto e canzone diventano alquanto soggettivi già dalle prime note spagnoleggianti e vagamente nonsense. La voce? Non pervenuta. Non va di certo meglio con Enrico Nigiotti: il cantante livornese che vanta tra le numerose collaborazioni quelle con la Nannini sembra non aver imparato nulla, su tutto come avere personalità.
Nemmeno il tempo di arrivare al terzo concorrente che il sacro momento pop/revival piomba sull'Ariston con la statuaria ed evergreen Sabrina Salerno: ringalluzzito il pubblico in sala e incuriosito quello a casa, ma inutilmente: non c'è valore aggiunto se non una terza valletta a declamare l'ingresso dei cantanti.

Il clima quota rosa viene protratto con l'arrivo della neo-big Levante, bellissima e glam come sempre, ma con la voce appannata troppo dall'emozione: non si riescono a distinguere bene le parole di un brano che si presenta come denuncia sociale. Peccato, sarà buona la seconda. Il talento c'è. A seguire invece un grande punto interrogativo: i Pinguini Tattici Nucleari tra i big, quando? Cosa hanno in più degli Eugenio in Via di Gioia? Nulla, se non una canzone più adolescenziale e anonima. Tanto rumore per nulla.
La serata avanza, con lentezza cosmica, quando arriva il duetto più atteso della storia della musica italiana (a detta dei presentatori): Tiziano Ferro (ancora?) e l'intramontabile Massimo Ranieri che in una sola nota mangia letteralmente il suo "erede", scatenando una standing ovation dell'Ariston. Ma il punto artistico/musicale più alto viene raggiunto con Tosca: una classe e una voce al di sopra di tutti i suoi colleghi. Il brano le sembra cucito addosso visto che le permette di spaziare sia a livello interpretativo che come estensione. Bravissima.
L'emozione continua con una partecipazione forse discutibile ma di sicuro impatto emotivo, quello dell'esibizione di Paolo Palumbo, ragazzo colpito da Sla che ha deciso di portare sul palco più famoso d'Italia la sua storia e quella di una malattia feroce. Lacrime trattenute con fatica e una grande lezione di umanità e attaccamento alla vita.

Proseguono i big senza parentesi eccezionali fino al momento che gli italiani (Chi? Quando?) aspettavano da 40 anni: la reunion dei Ricchi e Poveri: imbarazzante. Non ci sono molte parole per descrivere un'esibizione forzata e addirittura in playback: uno schiaffo all'intelligenza di chi paga il canone. I più divertiti sembrano Amadeus e Fiorello, mentre c'è addirittura da rimpiangere il siparietto della sera prima con Al Bano e Romina che almeno hanno avuto la decenza di rispettare il cachet erogato da mamma Rai.
In una serata lenta come poche, fatta di momenti inutili tali da far rimpiangere il karaoke pro-Siae di Claudio Baglioni, arriva come fulmine a ciel sereno Zucchero: un ultimo sforzo energetico prima di spingere il tasto off del telecomando. Alleluja. In terza serata we trust.

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LA PRIMA SERATA

Prima mesi, poi settimane, poi giorni: il tam tam mediatico che precede negli ultimi anni il Festival di Sanremo si è fatto così pressante che in quella settimana quasi anestetizzati dirottiamo il telecomando sul primo canale senza se e senza ma. Quest'anno, tra polemiche e accuse di revisionismo, lo scettro o zavorra (dipende dal punto di vista) è spettato allo yes man Amadeus, volto "ignoto" e ormai traghettatore di anime della notte di Capodanno. Sul palco con lui, a mo' di zabaione umano, l'amico fraterno Fiorello che è riuscito a nobilitare di nuovo l'amico presentatore appellandosi al Santo Graal di Rai1, "l'unico Matteo di successo in Italia", Don Matteo. Vestito infatti di abito talare e solita energia straripante, lo showman siciliano ha accompagnato Amadeus sul palco dell'Ariston restituendo tranquillità allo spettatore medio e ai dirigenti Rai. Un'operazione semi-miracolosa che però non è riuscita nell'impresa più grande: vestire Amadeus di giacche umanamente tollerabili all'occhio umano. Ma i prodigi non sono di questa terra e allora torniamo alla "gara".

Subito è il momento dei "giovani" che paradossalmente hanno a volte numeri già "big" come gli Eugenio in Via Di Gioia, incredibilmente eliminati a primo colpo nonostante un’ottima performance e un brano vincente già dal primo ascolto. La banalità del pop trito e ritrito di Tecla ha purtroppo convinto la giuria demoscopica: nulla di nuovo. Poi è il turno del duello Fadi vs. Leo Gassman: ancora una volta l'originalità perde a favore di un brano alquanto sciatto e dalla dubbia personalità del celebre figlio d'arte. Fine del primo tempo per le nuove proposte e presentate le prime due bellissime e convincenti (una più dell'altra) presentatrici del Festival, Diletta Leotta e Rula Jebreal, si parte con i big, che resteranno tali solo di nome perché le canzoni sono totalmente anonime.

A Irene Grandi non basta Vasco Rossi: per tutta la durata del brano si pensa già a Emma Marrone. È il tempo delle nuove generazioni, e per chi non si rinnova la scalata è dura. Marco Masini canta una canzone di Marco Masini, alla maniera di Marco Masini non risparmiandoci qualche acuto di troppo (andato male). Poi c'è lui, che da sempre oscilla tra il bene il male, Achille Lauro, che anche stavolta è riuscito a far parlare di sé e scatenare il pubblico dell'Ariston e dei social. (S)vestito come un moderno San Francesco, ha cantato la sua "Me ne frego" spogliandosi (letteralmente) delle proprie vesti e regalando le solite movenze a favore di camera. Entusiasmante, non stravolgente ma comunque con il pregio di aver fatto ricordare almeno il titolo della canzone, al netto del rimando fin troppo evidente con la sua "Rolls Royce".

Poi Diodato, al momento tra i favoriti per voce, brano e presenza scenica: un "bravo ragazzo" con un brano che però non morde ma che piace all'Ariston. E poi Le Vibrazioni, ormai evergreen di Sanremo in attesa di sfangare il podio, con un brano fin troppo sanremese nel ritornello e che riporta dritto ai Modà.
Mentre ci si chiedeva quando sarebbe arrivato il fatidico momento trash, eccolo servito su un piatto d'argento: il ritorno dopo secoli di Al Bano e Romina con un mix letale di grandi successi unito dalla presentazione di un inedito a firma Cristiano Malgioglio. Si tratta qui di un momento epico, anche solo fosse per l'inquadratura sul volto compiaciuto del compositore in giacca fucsia scintillante. Un excursus stile sagra di paese che ha portato il festival a livello popolare, e anche un po' troppo.

Altri momenti degni di nota sono stati la perfomance in gara di Anastasio, anche se la sua "rabbia" è stata subito soffocata dal superospite, l'onnipresente Tiziano Ferro con i suoi tributi alle grandi voci del passato a dire il vero complessivamente un po' deludente. La caduta finale sul brano di Mia Martini, giustificata con l'emozione, è stata la ciliegina che ha coronato, almeno per il momento, cover giuste ma sostanzialmente mediocri.
L'ultima esibizione big a rimanere certamente impressa è quella di Elodie con un brano creato dal vincitore 2019 Mahmood assieme a quel genio di Dardust: un'operazione non di successo, base elettronica in salsa r'n'b, con tanto di stop&go funzionale, per una performance tuttavia confusionaria e senza stile. Outsiders in tutti i sensi Morgan e Bugo: tanta tenerezza e un grande "perché?".

Chiusa la gara, tralasciando il momento spot pubblicitario dedicato al nuovo film di Gabriele Muccino o l'ospitata di Emma Marrone, due sono stati i picchi della serata: uno in basso, l'altro in alto. Il premio "momento imbarazzo totale" è vinto dal monologo affidato alla giornalista sportiva Diletta Leotta, che per un'infinità di minuti ha ammorbato il pubblico e il volto composto della nonna in prima fila su quanto sia "difficile" essere belle in questa società dura e difficile. Risultato? Share tramortito. La luce extra-musicale in fondo al tunnel, con momenti di vera commozione e partecipazione, l'ha invece regalata l'intervento di Rula Jebreal contro la violenza sulle donne. La giornalista palestinese ha raccontato del suicidio di sua madre, vittima di violenze, e da lì della sua lotta per tutta la vita a favore delle donne, della loro libertà e dignità. Occhi lucidi ma voce forte, così come il messaggio che ha saputo irradiare dall'Ariston, lasciando tutti emozionati e con un motivo in più di riflessione.
Tra alti e bassi, una prima serata che non conquista né delude: pochi spunti musicali davvero incisivi e tanto show per cercare di mantenere il ritmo e l'orario. Parola al secondo round.