Zen Circus

Benvenuti nel Circo Zen

intervista di Claudio Lancia

Martedì 27 febbraio 2018, Roma, appuntamento fissato presso la sede dell’ufficio stampa che da anni segue i Zen Circus. E’ la giornata più fredda dell’anno, dicono sia una delle più fredde di sempre da queste parti, e in nottata le temperature dovrebbero scendere diversi gradi sotto lo zero. Il giorno precedente resterà negli annali per una nevicata fra le più copiose che a memoria d’uomo si possa ricordare sulla Città Eterna, un evento eccezionale, con tanto di treni bloccati e circolazione stradale impossibile. Tutto ciò non ha certo impedito alla band pisana di raggiungere la Capitale per lo start-up del giro promozionale a supporto del nuovo album “Il cielo in una stanza”, che sarà pubblicato a fine settimana, seguito prima da un micidiale Feltrinelli tour che toccherà le principali città italiane, poi dall’ennesimo giro di concerti senza fine, che ci condurrà come al solito fino al prossimo album.
Alle 16,30 erano negli studi di Radio Rai per uno showcase acustico + intervista, alle 19,30 arrivano in Zona Eur per il nostro incontro, che si rivelerà lungo e piacevole, condito da birre, pizzette e fiumi di sigarette. Ufo è il primo ad arrivare, ci incontriamo sotto al portone, questione di pochi minuti ed ecco Andrea Appino, Karim Qqru e il Maestro Francesco Pellegrini, la new entry in line-up. Giusto il tempo di togliere gli strumenti dalla macchina, che non si sa mai, e la chiacchierata può avere inizio, con un tono che resterà costantemente allegro, nel classico stile di Appino e compagnia, toscanacci veraci, dissacranti e irriverenti.

Roma, la neve, gli Zen

Allora ragazzi, siamo sopravvissuti a questa “Terza Guerra Mondiale” (il titolo del loro album precedente, ndr)?
Ufo: Ci siamo dentro fino al collo, e speriamo che nessuno faccia l’onda! Non vorrei essere stato profeta, come in “Andate tutti affanculo”. In giro noto una mancanza di narrazione storica e sociale, vedo una disperazione grossa.

Siete consapevoli di trovarvi a Roma, in una delle giornate più fredde di sempre? La neve da queste parti è un evento eccezionale!
Appino: Lo so, lo so. Ma pensa te che una volta nevicò a Messina mentre mi trovavo là. A questo punto c’è da pensare che possa essere io la causa di tutto questo!

Beh, vista la neve, e visto che il vostro album in uscita è senza dubbio molto bello, potremmo incrociare le dita e pensare che questo potrebbe essere finalmente l’anno degli Zen Circus!
Ufo: Sai qual è la cosa bella? E’ che non sarà mai l’anno degli Zen Circus, perché in tutti questi anni, e ormai non sono pochi, non c’è mai stato un momento nel quale il gruppo è andato di moda. Ma siamo stati un fenomeno in continua costante crescita. Di tutti quelli che hanno creduto nella band sin dall’inizio non abbiamo mai perso nessuno. E’ vero che oggi abbiamo tanto pubblico, ma questo dipende dal fatto che il numero è andato costantemente crescendo, senza che nessuno ci abbia mai voltato le spalle. Tutti hanno visto non tanto la “cazzoneria”, quanto la sincerità in quello che abbiamo sempre prodotto: forse siamo stati a volte un po’ grossolani, però mai nessuno ha potuto affermare che noi potessimo fare qualcosa per scaltrezza. Questo garantisce la credibilità del nostro progetto nel tempo che, pur senza diventare qualcosa di gigantesco, si è creato un seguito importante e via via crescente.

Il fuoco in una stanza

Il nuovo disco ai primi due-tre ascolti potrebbe lasciare non dico indifferenti, ma un po’ così, fra il sorpreso e lo scettico, poi succede qualcosa, all’improvviso ci entri dentro, oppure forse è il disco che riesce a penetrare l’ascoltatore...
Appino: Sai che non sei il primo che mi fa notare questa cosa sui ripetuti ascolti? E’ un aspetto sostenuto anche da qualcun altro fra coloro che hanno potuto ascoltarlo finora.
Ufo: Gli addetti ai lavori lo stanno recependo bene, sono tutti gasati, spero che anche il pubblico possa avere le stesse reazioni.

Ogni vostro disco sembra sempre più bello del precedente…
Appino: Quindi moriremo facendo un disco bellissimo!

Sta di fatto che le prime impressioni sono di un album meno immediato del solito, ma che con gli ascolti si infila dannatamente sotto pelle. “Infettivo” credo sia la parola più corretta per definirlo. Crea dipendenza. E’ stata una scelta ben precisa quella di realizzare un lavoro un po’ meno “facile”?
Ufo: Beh, anche “Canzoni contro la natura” non è che fosse proprio questa boccata di semplicità. I nostri dieci dischi li guardo sempre da lontano, e li vedo come un disco unico. Ci sono altri nostri lavori che sono stati capiti con calma, solo con il passare del tempo. Penso a “Scarpellini”, un disco misconosciuto, che non ha mai convinto né critica né pubblico, al quale è stato poi riconosciuto un valore quasi incendiario, un po’ teppistico, un album che in qualche modo gettava le basi degli Zen moderni, che conteneva già i primi pezzi scritti in italiano. Alcuni nostri dischi risultano più immediati, altri richiedono un maggior numero di ascolti.

Questo in particolare a quale lo assoceresti?
Ufo: Questo mi ricorda “Doctor Seduction”, perché è molto orchestrato, comprende ballad più stringate, momenti più arrangiati e pezzi più schematici, alcuni più allegri, altri più cupi. “Il fuoco in una stanza” è un disco molto variegato, anche se tutti gli strumenti che senti sono sempre chitarre. Noi siamo sempre rimasti un trio chitarra/basso/batteria, sperimentazioni con elettronica non ne facciamo: tutti i suoni che senti nel disco sono generati da strumenti analogici, come anche nel disco precedente. Lì dove sembra di sentire un synth, in realtà sono sempre e comunque chitarre, questa è la base del nostro lavoro. Questo però, così come il precedente, è un disco lavoratissimo, se ascolti con attenzione, puoi notare come la batteria suoni diversa in ogni brano, il basso anche, sembra tutto apparentemente fresco e buttato lì al volo, ma gli strumenti sono tutti lavorati.

Quindi anche i synth che sentiamo all’inizio di “Low Cost” in realtà non sono synth?
Ufo: Sono sempre chitarre manipolate, effettate, c’è pochissima altra roba aggiunta, a parte l’orchestra, che puoi trovare in diversi punti. Il nostro metodo formale di comporre è sempre basato sulle chitarre. Rimarcare questo aspetto per noi è importante.

Nella poetica di Andrea questa volta ancor più del solito si trovano riferimenti a genitori, nonni, fratelli, sorelle, ex-fidanzate, amanti. Quadretti familiari innestati in ambienti di provincia.
Ufo: “Il fuoco in una stanza” è esattamente questo. Se guardi la copertina c’è lei, che nello specchio vede tutto il suo entourage familiare, che gli sta addosso, che la soffoca.

Tutto confermato dallo scatto scelto per la copertina, anche questa volta realizzato da Ilaria Magliocchetti Lombi…
Appino: Ilaria ha realizzato forse ¾ delle nostre copertine, è una persona di famiglia. Questa volta, più del solito, desideravamo uno scatto fortemente simbolico.
Karim: Ci sono tanti piccoli particolari in quella foto, nelle mani, negli occhi, nei quadri appesi: ha molti più riferimenti ai contenuti del disco di qualsiasi altra nostra copertina del passato. Sta piacendo molto, e non era affatto scontato, visto che è comunque uno scatto particolare.

Potremmo definire “Il fuoco in una stanza” una sorta di concept?
Ufo: I nostri sono sempre concept sui generis. Anche “Canzoni contro la natura” poteva esserlo, aveva un filo conduttore. Il concetto di concept-album ormai è desueto, ma di certo noi non crediamo nelle playlist di Spotify: noi crediamo ancora nel valore dell’Lp. Mi spiego meglio: noi riconosciamo i meriti del metodo di fruizione della musica attualmente dominante, ma l’album per noi è un’opera intera, e una narrazione sottesa ci deve essere. Nel caso del nostro nuovo album l’elemento unificatore è proprio il fuoco in una stanza. Può essere un focolare domestico, può essere un incendio, può essere anche qualcosa di altamente distruttivo, che può riguardare i rapporti con le persone vicine. Situazioni che possono segnare momenti di crescita, ma anche di regressione, di conflitto, oppure di superamento di tali conflitti.

Che poi il tema della famiglia è sempre stato una costante nella vostra poetica…
Ufo: sì, gli amici, i vent’anni, i genitori, ci sono sempre stati nelle canzoni degli Zen.

Andrea, ma tutti questi bozzetti familiari te li sei ritrovati, oppure sin dall’inizio dei lavori hai iniziato a scrivere con un obiettivo ben preciso?
Appino: In realtà non mi succede mai di programmare sin dall’inizio, anche se stavolta a un certo punto ho capito che questo disco sarebbe stato parecchio personale dal punto di vista testuale. Ma nulla è legato a qualcosa di pre-programmato. Forse tutto è legato all’arrivo dei quarant’anni, che porta a riflettere e a fare bilanci. Quindi il filo conduttore me lo sono un po’ ritrovato, anche perché, a parte “Catene”, i testi arrivano sempre alla fine. C’è al massimo un brano ogni nostro disco nel quale il testo è arrivato subito.

Quindi scrivi i testi sempre alla fine?
Appino: Sì, tranne pochissime eccezioni. Così poche che potrei elencartele. Tipo “Figlio di puttana”, “Catene”, “Vent’anni”. Quasi mai musiche e parole nascono contestualmente, il testo iniziale è tutto italiano finto, messo lì per fissare una linea melodica, che poi sostituisco con parole di senso compiuto. Ho anche da parte tutte le versioni originali, dove c’è quest’italiano inesistente. Se vuoi, te le faccio sentire!

Un po’ come fanno i Verdena con l’inglese!
Appino: Sì, loro lo fanno con l’inglese finto, e io con l’italiano finto. Poi scatta l’obbligatorietà testuale, e quella è una cosa che sento io, e quando scatta scompaio dalla vita sociale, mi ubriaco a casa da solo, e quello che viene fuori, a questo giro, è quello che si può ascoltare dentro “Il cielo in una stanza”.

Questa non è una canzone

“Questa non è una canzone”, al momento, è il mio pezzo preferito, la traccia più strutturata del disco, forse il brano-chiave. Nella parte centrale c’è quel crescendo epico che richiama certi aromi anni 60 che trovo sublime.
Appino: A me piace tanto, è la mia preferita, assieme a “Caro Luca”: armonicamente è un grande pezzo, senza dubbio.

Perché una cosa tanto bella l’avete quasi nascosta, a metà di una canzone di oltre otto minuti posta a fine tracklist? Sembra quasi che vogliate in qualche modo proteggerla…
Ufo: Sai che ce lo siamo chiesto anche noi? Ci eravamo già prefigurati che il brano sarebbe piaciuto molto. Immagino che chi mastica molta musica si gaserà con quella canzone lì, che magari non spaccherà in radio, o non piacerà alla totalità dei fan, ma farà impazzire gli ascoltatori un pochino più smaliziati.

Un po’ lo stesso ruolo che assunse “Andrà tutto bene” nell’album precedente…
Ufo: Sì, “Questa non è una canzone” è figlia di “Andrà tutto bene”: un brano più dilatato, chi è cultore di un certo tipo di musica ne coglie le implicazioni, infatti la parte centrale è stata, come dici tu, protetta lì in mezzo. Come a dire: ti metto una bombetta pop, ma te la nascondo in fondo, da una parte, con quel ritornello ad libitum, nel bel mezzo di una canzone con l’andamento per noi inusuale. “Andrà tutto bene” ha sgomentato chi è più dentro certe conoscenze musicali, con richiami wave, quasi kraut nel finale. A noi piace seminare anche cose fuori pista.

Nei vostri album non è raro trovare grosse sorprese anche in fondo alla tracklist…
Ufo: Questo accade anzi tutto perché noi lavoriamo la tracklist come se stessimo producendo un vinile, con un lato A e un lato B. Anche se oggi il formato è nel cuore soltanto degli pseudo amanti del vintage, in realtà noi consideriamo ogni scaletta come se dovessimo realizzare un 33 giri, quindi è normale che ci siano pezzi bomba anche nella seconda parte.

Quindi il concetto-chiave mi pare possa essere: seminare sperimentazione nel solco di un’evidente continuità stilistica?
Ufo: Come dicevo prima, ci piacciono i fuori pista, ci piace andare un po’ sullo sterrato e poi rientrare. La canzone dev’essere una canzone, i nostri brani devono poter essere suonati anche sulla spiaggia, con l’ausilio di strumenti di fortuna. Ho visto su YouTube dei ragazzi in cameretta con una chitarra, una bottiglia e le nacchere a suonare i nostri pezzi, e si riconoscono che sono nostri. Lo considero un aspetto fondamentale degli Zen Circus, come le canzoni dei Credence Clearwater Revival, che fanno brani un po’ più psichedelici, più lunghi, ma sempre con l’intento di scrivere fondamentalmente delle “canzoni”, senza dover per forza sforare verso i Grateful Dead o i King Crimson. Con umiltà intendiamo rinnovare quel tipo di atteggiamento.

Il pezzo di chitarra che chiude “Questa è una canzone” è opera del Maestro?
Maestro: intendi il pezzo fatto con l’acustica? No, quello è di Andrea. Lo ha aggiunto a lavori praticamente ultimati, gli è venuto così, all’improvviso, credo ci stia molto bene a chiusura di quella traccia.

Questo è il primo album nel quale sei ufficialmente in line-up. Che contributo hai dato in sede di scrittura?
Maestro: Il suono degli Zen è stato sempre molto chitarristico: nei dischi c’erano strati di chitarre che poi dal vivo dovevano essere semplificate, perché poi sul palco c’era soltanto la chitarra di Andrea. Ora con due chitarre tante soluzioni sono trasferibili anche nella dimensione live. Per quanto riguarda il disco nuovo, ho portato tre o quattro spunti, che poi abbiamo concretizzato assieme.

Roma, Emily, Luca

“Quello che funziona” è una specie di dedica a Roma, da dove nasce il desiderio di ambientare una canzone nella Città Eterna?
Ufo: Almeno dal punto di vista artistico, Roma sta vivendo delle annate grandiose. “Quello che funziona” è stato un divertissement venuto in mente ad Andrea. Quando ce lo ha sottoposto ci è piaciuto molto, lo abbiamo fatto ascoltare anche agli amici di Radio Sonica e si sono sbellicati dalle risate. Sai, il tema della Capitale è sempre interessante per noi provinciali. E’ ganzo che una band di stra-paese, come siamo noi, una band che vive del paese che sembra una scarpa, nei cessi più reconditi, dopo “Pisa merda” decida di buttarsi sulla Capitale per disegnare l’affresco di questa ragazza che vive da sola, spaesata, nella metropoli caotica, che funziona ma non funziona, il posto dove bisognerebbe essere, perché a Roma bisogna esserci in questo momento, musicalmente oggi devi stare a Roma. Però poi a Roma ci trovi anche tutto il resto, tutto il resto che non funziona, oppure che funziona soltanto a Roma, quindi è un modo simpatico di scherzarci su. Il paese è complicato, serve girarlo tutto per capirlo bene, ma il rapporto con la capitale è sempre interessante, ci voleva questo pezzo qua.

Oggi Emily, due anni fa Ilenia, le figure femminili abitano con sempre maggior frequenza i vostri testi.
Ufo: Immedesimarsi nel punto di vista femminile non è semplicissimo, dicono che riusciamo a farlo in maniera convincente.
Appino: Io ci riesco in maniera naturale.
Karim: Sono stato molto in contatto con l’universo femminile. Sicuramente negli ultimi anni i temi femminili abbiamo iniziato a trattarli in maniera maggiore. Non è comunque stata una scelta forzata. Le figure femminili prima erano assenti e oggi per noi diventano un valore aggiunto.

Potreste quindi diventare la cantante donna che oggi manca in Italia?
Appino: Mi stanno un po’ sulle palle i soliti cliché sulla donna. Quando scrivo cerco di evitarli. Ad esempio c’è il fatto che un cantante uomo potrebbe anche non esser bravo a cantare, ma una cantante donna deve avere per forza una grande voce. E allora Kim Gordon? Negli Stati Uniti hanno avuto Kim Gordon! Forme di maschilismo. Per sentirmi liberato da questa situazione devo aspettare sempre Nada. Una Peaches in Italia non uscirebbe mai. Una Chelsea Wolfe tanto meno. Le Warpaint o Kim Deal in Italia non sarebbero mai potute nascere.

Nel titolo dell’album entra anche un omaggio all’evergreen di Gino Paoli “Il cielo in una stanza”?
Ufo: ovvio! C’è un gioco di parole esattamente su quello. La protagonista a un certo punto dice: non più il cielo, ma il fuoco in una stanza. Il sentimento di beatitudine espresso dal pezzo di Gino Paoli è da noi sostituito dal senso di pericolo, l’interruzione dei rapporti interpersonali con il mondo. I protagonisti hanno chiuso il mondo fuori, si sono estromessi dalla collettività. Come per il protagonista di “Viva”, che non trovava una soluzione al problema, la medesima situazione riappare qui. Zen Circus non scrivono canzoni d’amore che parlano esclusivamente della dinamica di coppia, cercano sempre una dimensione sociale. Abbiamo una vocazione sociale, cerchiamo una vocazione sociale, ed esprimendoci in italiano diventa più facile. Se parlo di me e te, siamo sì io e te, ma poi c’è da capire come relazionarsi con tutto quello che abbiamo intorno. “Il fuoco in una stanza” è proprio questo: può essere un focolare oppure un incendio che distruggerà tutto. La risposta resta in sospeso.

“Caro Luca”, voce e pianoforte, toccante traccia finale: è dedicata a un personaggio reale?
Ufo: Sì. Un personaggio reale che conosco bene anche io. Un ragazzo che condivideva il nostro giro di amici, una persona che sosteneva, accompagnava e faceva parte delle giornate degli Zen, quando eravamo i molestatori seriali delle piazzette di Pisa. Luca era l’amico genio che poi a un certo punto scompare. A Pisa ci sono molti ragazzi talentuosi che si dileguano nel nulla e a un certo punto si chiudono in casa. Credo che la canzone possa rivestire un valore universale: nei paesoni di provincia non è una cosa infrequente, l’amico delle prime sigarette che però è da un’altra parte con la testa, una persona particolare. Ce l’abbiamo avuto tutti quell’amico lì, e poi ti chiedi che fine abbia fatto, e nessuno ha la risposta.

Quindi un Luca lo avrai avuto anche tu!
Ufo: Io sono nato a Marina di Pisa, un paesino piccolo sul mare, e avevo anch'io un Luca: rubavamo i fiaschi di vino dalla cantina di nonno, e andavamo a bere in pineta, cose da ragazzi. Il mio Luca si chiamava Alessandro, con i nostri pomeriggi fatti di nulla, trascorsi a fare cazzate, serate sceme. Un bel giorno Alessandro andò in depressione perché si lasciò con una ragazza, e sparì. Ognuno di noi ha il suo Luca. Quello di cui parla Andrea era un suo amico sodale, che io ricordo molto bene.

Soprattutto nella prima parte della vostra carriera vi hanno spesso catalogati come “combat-folk”. Ora, disco dopo disco, stilisticamente state virando sempre più verso una forma “alt-rock”: ti ritrovi in questa trasmutazione?
Ufo: Ci catalogavano anche come “folk-punk”, che lo preferivo rispetto a “combat-folk”. Comunque si, mi ritrovo nella trasmutazione di cui parli. Sai, sono fasi storiche, oggi gli strumenti acustici nelle nostre canzoni sono passati un po’ in secondo piano. I pezzi più acustici non ci vengono. Recentemente ho portato in studio un basso acustico, Karim portò le spazzole e tutto l’armamentario, le carabattole sifilitiche che fanno parte del nostro repertorio da musicisti di strada. Però poi non le abbiamo usate. Sono periodi. O forse siamo come quelle persone di mezza età che si comprano il macchinone, che non possono più sopportare di andare in giro con il vespino perché ormai sono grandi. Sono momenti, ma a me piacerebbe se ritornasse una parte acustica. Comunque la nostra è da sempre una vocazione propriamente rock.

Molti sentimenti in questo disco, che non è una cosa nuova per voi, ma qualcuno potrebbe accusarvi di ammorbidimento…
Appino: Sicuramente invecchiamo, questo è poco ma sicuro, la necessità di parlare dei sentimenti deriva dalla ricerca di un’idea collettiva, forse dipende dal fatto che attualmente non li sto vivendo: è il periodo più anti-sentimentale della mia vita. Mi spiego: se vivo un periodo in cui mangio tantissimi gatti, di sicuro scriverò un disco sulla carne dei cani. Così in questo album si è verificato che ci sono tanti sentimenti quanti non ne esprimo nella mia vita. Non è una scelta per esorcizzare il problema, è che ho chiuso i cancelli di tutto, quindi l’unico luogo resta la scrittura. Anche “Andate tutti affanculo” alla fine non era un’imprecazione contro il mondo, ma soltanto un urlo contro me stesso, un urlo liberatorio figlio di dieci anni di lavori di merda e di un paese di stronzi nel quale non mi ritrovavo. Dicevo “Andate tutti affanculo”, ma nella realtà dei fatti la frase era contro di me. La stessa modalità puoi traslarla in un disco molto sentimentale, che diviene il risultato di quanto ti dicevo prima. Ormai i musicisti sono i più grandi cantori dell’amore, e poi in amore magari sono sempre i peggiori.

E i legami affettivi degli altri Zen come vanno?
Karim: A parte la mia compagna e mio figlio, questo è un tasto un po’ dolente, direi per tutti noi. Ad esempio, la persona con la quale ho avuto il rapporto formativo più profondo purtroppo non c’è più. Diverse persone alle quali eravamo legati non ci sono più. Io personalmente oggi, a parte la famiglia, ho la band.
Maestro: io sto rispondendo al telefono alla mia co-inquilina che dice che si è bloccata la pompa dell’acqua…

Baustellismi e prolificità

Ora vi faccio una domanda, dopo vi spiegherò perché ve la faccio: vi piacciono i Baustelle?
Ufo: Con i Baustelle abbiamo un rapporto di amicizia che va avanti da tantissimo tempo: l’uomo che ci ha portati in tour per tanti anni, facendoci da tour manager, Enrico Amendolia, suonava il basso con i Baustelle nella loro prima incarnazione. Quindi li conosciamo. Il loro stile musicale lo trovo molto distante dal nostro. Ne riconosco i meriti come band, nonché l’indubbia capacità di comunicare e di creare un prodotto di qualità, ma abbiamo un linguaggio estremamente diverso.

Ora vi spiego il motivo della domanda: in alcuni tratti del nuovo disco ho trovato delle forti similitudini con la loro attitudine pop anni 80 rilanciata dal recente “L’amore e la violenza”. In particolare in “Rosso o nero”, ma anche in alcuni tratti di “Sono umano” e “Panico”.
Appino: Ci hai preso in pieno! Ma qui c’è un aneddoto che ti faccio raccontare da Ufo.
Ufo: Un disco oscenamente pop: così Bianconi definì “L’amore e la violenza”, lo ricordo bene. Eh, qui mi vien davvero da ridere! Pensa che quando ci venne sottoposta da Andrea la bozza di “Rosso o nero”, che era ancora un provino senza testo, lo ascoltammo e pensammo: 'accipicchia, qui sarebbe da chiamar come ospiti i Baustelle'. Cioè, a me sembrò subito qualcosa di “baustellizzato”. Andrea sosteneva di no, diceva: aspetta che ci metto il testo. Io gli risposi che secondo me anche con il testo, quel pezzo lì mi sapeva di “baustellata”. Allora mi resi fautore di una proposta. L’unica maniera per non farci accusare di appropriazione indebita, secondo me, era intitolare il brano “Baustelle”, oppure chiamare direttamente i Baustelle come ospiti del brano, tanto per tagliare la testa al toro. Allora ci siamo attivati per coinvolgerli, purtroppo però loro avevano degli impegni e non hanno potuto raggiungerci. La nostra idea era di far cantare il ritornello a Bianconi: sarebbe stato perfetto.

Anche se i Baustelle formulano la propria sintesi in maniera più intellettualoide e sofisticata, mentre voi ci arrivate in maniera più diretta e irriverente...
Ufo: Vedo una grossa distanza fra noi e i Baustelle come band, per diversi aspetti, pur riconoscendo loro un indubbio valore. Ci conosciamo da anni, ci sentiamo vicini, e non solo geograficamente perché entrambi toscani: il nostro tour manager era uno di loro. Dal punto di vita stilistico siamo distanti, però senza dubbio in alcune tracce ci si avvicina. In alcuni punti del disco a noi è uscito fuori una sorta di power-pop, di quello che si faceva fra il 1979 e i primi degli anni 80. Come estetica di riferimento, in maniera del tutto casuale, certe scelte possono dare adito a delle somiglianze con il lavoro svolto dai Baustelle. Molte tracce le abbiamo pensate come se fossero parte di un disco uscito nel 1979-1980. Anche i Baustelle hanno fatto questo tipo di lavoro, con forti riferimenti vintage, quindi è normale che certe soluzioni siano andate un pochino a sovrapporsi, però con presupposti e risultati secondo me diversi.

Quella con i Baustelle non è però l’unica similitudine che ho trovato: in “La teoria delle stringhe” si sente una linea di chitarra distorta che ricorda “The Beautiful People” di Marilyn Manson
Appino: Vero!
Ufo: “Il cielo in una stanza” è un disco molto eterogeneo.

In “Panico” ci sento anche gli anni 80 dei Cure...
Ufo: Sì, vero anche questo.

State tenendo un ritmo infernale, un disco ogni due anni. Come riuscite a essere tanto prolifici garantendo simili standard qualitativi? Avete una ricetta particolare?
Ufo: Noi abbiamo la fortuna che c’è un Appino che è veramente una gallina dalle uova d’oro: ha sempre idee, manda continuamente pacchi di file con bozze e provini. E’ senza censura, pensa che per “La terza guerra mondiale” dovemmo fare una cernita fra circa 40 pezzi.

Quindi alcune delle canzoni nuove risalgono a quel periodo?
Ufo: Alcune addirittura a prima! Altre sono uscite durante l’ultimo tour, abbiamo veramente tantissime tracce. La nostra fortuna è questa. Appino non ha filtri, non si vergogna di niente, fa ascoltare tutto quello che gli viene in mente. A valle di questo c’è poi un sottocomitato, che sono gli Zen tutti e tre, Appino compreso, che sono un’altra persona, che si mette lì, e con il forte affiatamento conseguito in tutti questi anni, e con i gusti musicali che ormai si sono intersecati alla perfezione, agisce in maniera rapidissima e chirurgica: questo pezzo va bene, di questo si tiene l’assolo, di quell’altro si leva un pezzetto, il testo di questo si monta su quell’altro, e così via. A volte capita che il testo di una canzone migri dentro un’altra, con il consenso immediato di tutti. E’ tutto facilissimo, poi, certo, ci può essere un battibecco per un mezzo pomeriggio. Io una volta alzavo i toni, ma oggi ho imparato a stare zitto e mi metto da una parte, Andrea sente che non lo sto frenando, ma che resto zitto, se dopo mezz’ora che proviamo capisce intuitivamente che gli altri Zen non sono d’accordo con certe soluzioni, oppure che farebbero qualcosa diversamente, riapre la discussione. I vicoli ciechi sono pochi, si arriva con velocità al risultato. Abbiamo cambiato line-up in pochissime occasioni, quindi il tempo ci ha coesi. Non siamo dotati di un talento straordinario, ma siamo persone che fanno tutto questo da tanto tempo, e da qualche parte dobbiamo arrivare per forza. Appino è veramente abile a snocciolare roba. Prendi “Catene”, il brano che apre il disco nuovo, “Catene l’ha tirata fuori a registrazioni quasi ultimate, il disco era già a un livello avanzato di lavorazione. Una domenica viene e dice: 'Ho questa, ho un pezzo in più'. 'Ma come? – rispondiamo noi - non dovevano essere 12 pezzi?'. E lui: 'Beh, ora vi faccio sentire una bozza che ho registrato'. E che dire? Ci ha messo il basso che avrei fatto io, esattamente quello, ce lo ha messo lui da sé, tanto che io gli ho detto di tenere quella linea perché tanto era identica a quella che avrei suonato io. Il sistema è rodato, quindi funziona. A sua volta Andrea riesce a immaginare quello che farei io. I testi non vengono quasi mai revisionati, perché quando ce li presenta corrispondono quasi sempre a quello che avremmo scritto noi. Molto bella come situazione. Quindi il processo di scrittura è rapido. La parte lunga è il mixaggio, i suoni, il dare a ogni canzone una struttura e un’entità di suono diversa. Ma scrivere le canzoni per noi è facilissimo, si taglia, si cuce, siamo veloci.

E non vi fermate mai: niente vacanze per il Circo Zen?
Ufo: L’ultimo tour è finito a fine settembre, il 25 mi pare, e il 15 ottobre eravamo già in studio con un obiettivo per la deadline di pubblicazione per le tracce nuove. Pochissime vacanze, il nostro obiettivo non è diventare famosi, ma lavorare: è un’impostazione che abbiamo dall’inizio. Devi costringerti a lavorare. Io sono molto pigro: guai se non avessi avuto questo team che mi spronava, che mi ha messo nelle condizioni di non poter fare altrimenti. Assieme, si è instaurata una situazione di reciproca intraprendenza, e poi ti senti che devi farlo, devi suonare. Magari io ho poca voglia di scrivere, di comporre, ma i live mi piacciono tantissimo, e ho molta voglia di aiutare, di mettermi al servizio della band. Unendo questi pregi e questi difetti, si ottiene un insieme di persone che hanno voglia di lavorare, tutti insieme, per raggiungere un obiettivo comune. Non vogliamo diventare famosi, vogliamo diventare leggendari per quanto ci facciamo il culo. Questo è il succo della band.

La tua pigrizia ha fatto sì che tu sia l’unico membro della band a non aver realizzato un lavoro solista?
Ufo: Io ho avuto alcuni gruppi dove suonavo prima degli Zen, nei quali scrivevo anche. Poi ho trovato gli Zen, e tutto quello che devo esprimere lo esprimo con la band. Facciamo tanti live e ne sono felice, poi ho la mia attività di dj set, e avrei voglia di fare dei progetti veramente lo-fi, completamente di altro tipo rispetto allo stile degli Zen, ma siccome sono pigro, li rimando sine die. Ho in testa un progetto dormiente, vorrei chiamarlo Suore Povere, nella mia idea sarebbe un gruppo ai limiti dell’ascoltabilità. Se faccio qualcosa, te la mando…

So che sei anche un grande collezionista di vinili…
Ufo: Parecchio, sì, dovrei averne oltre cinquemila, mi piace, quando ho il tempo continuo a fare dei dj set, programmando di tutto.

A proposito di progetti paralleli: avremo un secondo lavoro firmato da La notte dei lunghi coltelli?
Karim: Il progetto attualmente è in stand by, ma confido di dare un seguito a quel primo capitolo.

E Appino pensa a un nuovo disco solista?
Appino: Al momento no. Mi piacerebbe però far qualcosa voce e chitarra acustica.

L’eterno dilemma sull’uso della lingua inglese

Andrea, vorrei approfittare della tua presenza per chiederti un parere riguardo alla scelta della lingua in sede compositiva: tu sei uno di quelli che ha percorso la strada sia dell’italiano che dell’inglese…
Appino: Non ho certo avuto ottimi risultati utilizzando l’inglese: la parte in inglese degli Zen la aborro un po’. L’unico disco che mi piace è “Visited”, il resto quando lo riascolto mi fa sorridere. Se uno vuole togliere le proprie basi operative dall’Italia e sa l’inglese molto bene, allora sì, potrebbe dedicarsi alla scrittura in inglese. Ma troppi italiani che cantano in inglese mi fanno ridere, non li trovo naturali, è un problema proprio linguistico. Ben venga, se fatto bene, ad esempio sul fronte elettronico gli italiani spaccano il culo, e magari l’inglese lì ci sta. Ma quando c’è da narrare, come cazzo fai a narrare in una lingua che non è la tua? E’ difficile essere credibili. Non la vivo benissimo la scelta dell’inglese. Non ho rimpianti su nulla, ma se tornassi indietro, la prima cosa che farei sarebbe cantare in italiano. Perché oggi la leggo ridicola la scelta che feci all’epoca: cercare di essere quello che non ero.

O forse pensavi che con i suoni che avevate allora, un po’ Violent Femmes e un po’ Pixies, l’inglese potesse calzare meglio?
Appino: Ne ero convinto come tutti i coglioni cresciuti negli anni 90. Io ero contrario al percorso del rock in italiano intrapreso da Afterhours o Marlene Kuntz: essendo di una generazione successiva andavo naturalmente “contro”, dovevo fare il contrario, purtroppo eravamo fatti così. Poi quando inizi a scrivere in italiano, capisci che puoi far arrivare meglio il tuo messaggio, e mi son ritrovato nella condizione di poter raccontare delle cose importanti, o comunque che mi è stato detto potessero essere importanti, e io wow! Ma è un discorso proprio di comunicazione.

In che senso?
Appino: Fin quando il paese resta così indietro e l’inglese non lo parla nessuno, a che cazzo serve cantare in inglese? In un contesto di internazionalizzazione della proposta, vedo bene band come gli Zu, che hanno suonato ovunque, o come i Calibro 35, che sono strumentali, e grazie al cazzo, lì la lingua non è più un ostacolo e – se vali - puoi arrivare a tutti. Ma anche il paese deve darsi una mossa: abbiamo un gap da colmare. Prendi la Svezia, dove l’inglese lo parlano tutti, e le band scandinave sono comprese all’interno dei loro confini e al contempo sono facilitate sui mercati esteri. E comunque non è solo un discorso di preparazione linguistica, bensì anche di preparazione musicale. Dall’Islanda esce una Bjork che canta in inglese e diventa una superstar mondiale. Ma tu hai mai sentito una Bjork in Italia? Tu che ascolti molta musica l’hai mai sentita?

Beh, se esiste si nasconde davvero molto bene!
Appino: Appunto, ma è parecchio ben nascosta! A prescindere dalla lingua scelta per comporre, mettiamoci l’anima in pace: non esiste una Bjork in Italia!

E in effetti i vostri vecchi brani in inglese dal vivo non li eseguite mai, nonostante ci siano tracce recuperabili, come “Sailing Song”, secondo me la miglior Pixies-song mai scritta in Italia...
Appino: Ne abbiamo molte eh! Se proprio dovessimo recuperarle, magari dovremmo concepire un tour ad hoc.

Perché, inserirne una in setlist, magari annunciandola come un vostro pezzo degli esordi, non funzionerebbe?
Karim: Ci provammo una volta in un Natale Zen, nel 2011 o nel 2012 mi pare, e il pubblico iniziò a rumoreggiare dopo un po’. Facemmo quattro pezzi vecchi che quasi nessuno aveva mai sentito prima.
Appino: Pensa che in un tour acustico facemmo una cover dei Minutemen, un pezzo bellissimo, spiegandola al pubblico che non la conosceva, chiedendo a tutti di ascoltarla perché si trattava di un omaggio a una band che per noi era stata importantissima. Il pubblico la accettò come per farci un piacere: una situazione molto antipatica. Magari in dieci nel pubblico hanno goduto perché hanno capito di cosa si trattasse. Però, cazzo, ti sto spiegando cosa significa per me questo pezzo, e  anche se non lo conosci, beh, non è che ti dico di esultare, ma almeno applaudi alla fine!
Karim: Comunque da una parte, per me, se fare un pezzo così può cambiare la vita anche a uno solo del pubblico, beh, per me vale la pena.
Ufo: In realtà qualcosa dei nostri primi pezzi si potrebbe ripescare, magari attaccandolo al finale di un brano recente.
Appino: Oppure fare qualche data dedicata.

Da Pisa al paese

Nel frattempo vivete ancora a Pisa?
Ufo: No, da un bel po’ di tempo non più. Appino in un gesto di pacificazione fra i popoli è andato a vivere a Livorno, il Maestro Pellegrini è di Livorno, io sono rimasto in zona Pisa, anche se un po’ fuori, rivendicando la mia ideologia provincialista, Karim è a Forlì. Facciamo i salti mortali per incontrarci. Il nostro fulcro di attività non è più Pisa, è il Paese: ci siamo identificati con l’Italia stessa.

A Pisa quando girate per strada vi riconoscono tutti, la gente vi ferma, cosa vi dicono?
Ufo: Ci hanno sempre riconosciuti a Pisa, perché è stato il primo baluardo della nostra carriera: eravamo così insistenti nel suonare su Pisa che anche se non ci volevi conoscere, ci conoscevi lo stesso. L’incarnazione che conosci oggi degli Zen nasce come artisti di strada, facevamo più di un concerto alla settimana a Pisa, siamo notissimi là.

Non ci sono state polemiche da quelle parti per il testo di “Pisa merda”?
Ufo: Qualcuno ha travisato, certi personaggi, conoscendoli, non l’hanno presa benissimo, ma nel complesso neanche più di tanto. Questo è il nostro stile, la nostra autoironia, che poi si è sparsa a macchia d’olio anche altrove, basti sentire certe cose de Lo Stato Sociale, questo atteggiamento molto “cazzaro”. Tanti artisti dell’ultima generazione l’hanno addirittura portato al parossismo. Oggi ci sono quelli che pigliano in giro quelli che pigliano in giro quello che li prendeva in giro, sino al doppio carpiato della presa in giro, cosa che noi abbiamo avuto da sempre come caratteristica peculiare. Chiaro che più le località sono piccole, più ci si imbatte in atteggiamenti campanilistici, collegati anche al tifo calcistico. Ma va considerato che una percentuale altissima – credo più della metà - degli abitanti di Pisa è composta da studenti fuori sede, che si son fatti delle grosse risate sulla canzone. Qualche pisano doc ci ha rimproverato di sputare nel piatto dove mangiamo. Ma che non sputiamo nel piatto dove mangiamo l’abbiamo già spiegato nelle canzoni precedenti: da questo punto di vista, siamo abbastanza inattaccabili.

Tante esibizioni a Pisa, poi però son partiti i tour: in questi anni avete fatto tantissimi concerti ovunque in Italia. Qualche aneddoto simpatico da raccontarci?
Ufo: Siamo arrivati quasi a totalizzare il migliaio di concerti. E’ accaduto di tutto. Abbiamo il primato di aver fatto sold-out a Tortora Marina, tanto per dire, e nei posti più impensati. Abbiamo collezionato tanti di quei concerti in provincia che non si possono immaginare, che pochissimi altri artisti italiani possono dire di aver fatto. Abbiamo suonato così tante volte in Molise, tanto per dirne una, che oggi possiamo certificare e provare scientificamente la reale esistenza del Molise! Ricordo vari record di caldo, uno proprio qui a Roma, nella Locanda Atlantide, un posto dove non ci sono finestre, si muore dal caldo, al chiusissimo, stavo per morire dal sudore. Oppure una volta al Tempio Voltiano di Como, dove non era previsto che potesse arrivare così tanta gente e così scalmanata. Era un festival estivo, gli organizzatori avevano predisposto delle transenne, ma ci fu un marasma: fummo costretti a intervenire noi stessi, facemmo togliere le transenne e il pubblico si riversò su di noi. Un’altra volta al Festival Zen, quello che organizziamo noi, il palco fu letteralmente spostato dal pubblico.

Sembra vi divertiate sempre tantissimo sul palco!
Appino: Io adoro suonare dal vivo, starei sempre sul palco a suonare. Non capisco come possano fare le band che decidono di suonare pochissimo. E non è un discorso di soldi. Tutto sommato fra dischi e royalties io me la potrei cavare. E’ proprio che a me piace tantissimo suonare live, una situazione che mi gasa in maniera smisurata.

Sanremo: qualcosa sta cambiando?

Ragazzi, secondo me, “L’anima non conta” avrebbe spaccato a Sanremo…
Ufo: E’ la stessa cosa che ho pensato io quando ho ascoltato “La velocità” del Pan del Diavolo, un brano che non ha niente da invidiare ai successi di Sanremo più classici. Mandarono il pezzo per partecipare a Sanremo, ma purtroppo lo avevano già edito, e non venne preso.
Karim: Le canzoni a volte nascono così, quasi per caso, pensa che l’arrangiamento di “L’anima non conta” è uscito in pochi minuti, di getto.
Maestro: E pensa che l'assolo di chitarra finale è stato il mio provino...
Appino: Sì, c’è un suono particolare in quel solo, esce fuori da un fuzz anni 60, combinato con un tremolo e altre cose, poi entra in un pre a valvole, non in un amplificatore, non è un suono facilmente replicabile…
Ufo: Attenzione, qui la cosa diventa pericolosa, che poi iniziano a carpirci i trucchetti...

Ma ad andare a Sanremo voi non ci avete mai pensato?
Ufo: Noi abbiamo mandato dei pezzi.

Ma dai! Non lo sapevo! Cosa avete mandato?
Ufo: Adesso non me lo ricordo mica, abbiamo mandato … aspetta … “Il fuoco in una stanza” e…

Ah, quindi per questa edizione qui?
Ufo: Sì, sì, poi abbiamo mandato “La stagione”, ma non sono state scelte.

In effetti sì, li trovo brani in linea con la kermesse. Quindi a Baglioni non siete piaciuti…
Ufo: In realtà non è lui a scegliere, bensì i suoi bracci destri, non so quanti ne abbia di questi bracci. Non è che stiamo lì a pensare a Sanremo, ma abbiamo delle persone che lavorano con noi e per noi, e ci suggeriscono di provare, quando abbiamo un brano che si presta. Bisogna essere sereni su queste cose. Io, come tutti quelli della generazione anni 90 cresciuta a pane e Sonic Youth, non ne volevo neanche sentir parlare di queste cose. Compravo tanti dischi, ma ogni 25 dischi che compravo, al massimo uno era italiano, non di più.

Però in molti sono andati a Sanremo senza snaturarsi…
Ufo: apprezzo il fatto che Sanremo abbia cercato di darsi un po’ una smossa. I ragazzi de Lo Stato Sociale sono stati inseriti quest’anno subito fra i big, senza il palloso trapasso fra i “giovani”. Una mossa buona, perché il Festival ha bisogno di recuperare il passo con la realtà. Anche perché, a differenza di quanto spesso si pensa, alla fine Sanremo non è che dia tutto questo grande cambiamento alla vita dei musicisti che vi partecipano. A meno che tu non vinca, continui poi grosso modo a fare le stesse cose di prima. Non credo che la vita dei Marta sui Tubi sia cambiata granché dopo Sanremo…

Ci andarono anche i Subsonica…
Ufo: Il percorso dei Subsonica mira a essere mainstream: nascono per confezionare una proposta “popolare”, nel senso più pop del termine. Sanremo o no, sarebbero diventati grossi lo stesso. Andare a Sanremo significa intercettare un pubblico, ma poi chissà se verrà a vederti dal vivo? Questo è il punto focale. Due edizioni fa del festival, “La terza guerra mondiale” venne pubblicato nel periodo sanremese, e andò meglio di molti dischi pubblicati da artisti che parteciparono al Festival. Non tutti riescono a riempire l’Atlantico o l’Alcatraz, nonostante Sanremo. E’ un fatto di percezione: sei andato lì, il pubblico generalista capisce che esisti, ma magari l’artista continua ad avere dal vivo lo stesso seguito di prima, non è che passi dal piccolo live club allo Stadio Olimpico in maniera così facile. Ci riescono in pochi. E’ difficile. Tanti si piazzano discretamente a Sanremo, però poi dal vivo escono i problemi per riempire i posti. Non abbiamo pregiudizi particolari su Sanremo, ma ci piacerebbe se diventasse una manifestazione più vicina alla realtà.

Stessa situazione per chi vince un talent…
Ufo: Magari ti guardano, lì per lì ti seguono, sanno che esisti, però poi non è che verranno ai concerti di sicuro. Tolti i primi mesi dal lancio, poi bisogna vedere come va a finire. Può essere più facile pianificare un tour più lungo, ma se poi le sale restano mezze vuote? Noi questo problema non lo abbiamo mai avuto. Siamo nell’imminenza di un tour che sicuramente ci darà soddisfazioni, a noi interessa lavorare, non diventare famosi.

La partecipazione de Lo Stato Sociale a Sanremo la interpreti comunque come un passo in avanti?
Ufo: Se l’organizzazione del Festival avesse preso in considerazione anche l’esistenza di altre figure, non so, penso a figure potenzialmente nazional-popolari come Ghali o Coez, beh, se mai avesse percepito che esistono questi fenomeni in Italia, sarebbe stato ancora meglio.

Lì però subentra un discorso di lobby discografiche, che impongono determinati nomi a discapito di altri…
Ufo: Certo, ma a prescindere da questo aspetto, Sanremo resta sempre in ritardo sulla realtà. “L’anima non conta” era un pezzo da Sanremo, “La velocità” era un pezzo da Sanremo, senz’altro, “La rosa dei venti” dei Perturbazione era un pezzo da Sanremo. E sai quanti ce ne sono scritti da musicisti del nostro “giro”? Sai quanti pezzi classici, che hanno quella struttura “sanremese”?

Domani, oggi, ieri: maestri ed eredi

Insomma, Lo Stato Sociale secondi a Sanremo, Calcutta suonerà la prossima estate all’Arena di Verona, dei segnali giungono. Questa generazione sta ottenendo risultati più velocemente della vostra?
Ufo: Questo è indubbio! Sono contento per loro, io non sono un fautore della gavetta a tutti i costi. Mi dispiace che una persona come Ligabue abbia avuto successo che era già un uomo, non mi sembra una bella cosa come funzionava in Italia prima. Non è giusto che il primo album di un gruppo venisse spesso considerato soltanto un demo. Adesso magari c’è il paradosso di un musicista che non ha ancora prodotto neanche un brano ed è già famoso. Questo risulta un po’ strano agli occhi di chi, come noi, si è formato con la gavetta, ma io sono contento. Per fortuna quell’epoca anni 90 della concorrenza fra i gruppi si è conclusa.

Perché, trovi che oggi ci sia più cooperazione?
Ufo: Non è un discorso di cooperazione, perché poi ognuno fa il suo lavoro, ma negli anni 90 c’erano gruppi di fascia altissima e poi le cover band, e una fascia centrale pressoché inesistente, con numeri irrisori. In quella terra di nessuno era guerra: se beccavi uno che vendeva 50 copie del demo più di un altro, non gli rivolgeva più nemmeno la parola. Questa cosa oggi si è ridimensionata, anche perché sai che in qualsiasi momento puoi prendere delle sonore bastonate. Oggi vedo più la psicosi di dover fare le cose subito. Ma noto con piacere che sono in tanti a fare sold-out. C'è voglia di musica dal vivo. A parte noi, c’è Brunori, che ad esempio fa concerti bellissimi pieni di gente, e tutto questo fa bene. E’ positivo quando la gente esce per andare a vedere un concerto. Puoi vedere noi piuttosto che Motta, Dente, Lo Stato Sociale, Coez o TheGiornalisti, tutto, la gente ora esce e vede di tutto. In piazza vai a vedere Lo Stato Sociale e trovi sotto il palco quelli con la nostra maglietta, è una cosa che fa bene a tutti.

Ma oggi le nuove leve si trovano la strada spianata dal culo che vi siete fatti voi? 
Ufo: Logico! Oggi fanno meno errori, perché noi con i nostri errori gli abbiamo fatto capire tante cose. Capiscono cosa è bene rifare e cosa no. Tanti gruppi fra gli anni 90 e gli anni Zero si sono sciolti perché hanno commesso degli sbagli, tanti cavalli di razza li ho visti azzopparsi, è stato così delineato un sentiero sul quale incamminarsi. Ghali veniva a vederci, Motta era un nostro dipendente, era il nostro fonico, questi ragazzi hanno capito come funzionava e oggi partono più svegli e consapevoli, partono già con il merchandising, con un’organizzazione, sanno come promuoversi, come usare i social. Questo è bellissimo. Noi andavamo a caso: sai in quanti vicoli ciechi ci siamo imbattuti negli anni? Oggi i ragazzi sono più svegli, più attrezzati, hanno maggiori possibilità a livello tecnologico, un disco te lo puoi fare con meno soldi, dischi bellissimi fatti in cameretta.

Però, visto che è tutto così facile, la concorrenza aumenta…
Ufo: Ma no, non è così: se fai cagare, fai cagare. Non è così facile. Ghali se non era un ganzo non andava da nessuna parte. Tanta gente si è immolata su questa strada, presi per sfinimento, hanno gettato la spugna. Con il tempo poi tante situazioni si normalizzeranno, si livelleranno.

I vostri eredi potrebbero essere Motta e i Fast Animals And Slow Kids?
Ufo: Motta non è un nostro erede. Già quando cantava con i Criminal Jokers li paragonarono a dei mini-Zen, e lui fece tanto per affrancarsi da questa cosa. Motta è un nostro fratello, non me la sentirei di considerarlo nostro erede. Fast Animals And Slow Kids uguale: stanno tenendo alta la bandiera di un rock tutto chitarre, un rock parecchio fisico, e noi abbiamo una grandissima stima di questi ragazzi, sono contento di aver contribuito a dar loro una mano, abbiamo prestato loro il nostro palco, Appino produsse il loro primo lavoro. Voglio bene a loro. Secondo me, non abbiamo eredi, piuttosto abbiamo dei fratelli.

Un altro gruppo che ti piacerebbe citare?
Ufo: Fra quelli che ho visto di recente, con i quali di recente abbiamo condiviso il palco, vorrei citare Le Capre a Sonagli. Non sono per tutti, ma sono veramente forti. Ci sono tanti musicisti meritevoli che stanno uscendo. Penso a Giovanni Truppi, ma ci sono davvero tanti artisti bravi. Chi si lamenta oggi della scena musicale italiana è in malafede. Puoi trovare dal rock all’elettronica proposte di ottimo livello, c’è di tutto, pensa a Cosmo. Dal clubbing fino alle ballate strappamutande, non mi sembra che ci siano problemi. I problemi dell’Italia sono altrove, non certo in campo musicale.

Quali saranno i musicisti che verranno ricordati fra 20 o 30 anni come i grandi nomi dell’attuale scena “alternativa” italiana? Chi saranno i nuovi De André, Dalla e Battiato?
Ufo: Un po’ presto per dirlo, non so. Zen Circus ovviamente! Brunori sarà Presidente del Consiglio, o come minimo Sottosegretario a qualcosa, lui è già nel classico, è già più “vecchio” di Lucio Dalla. Poi Bianconi, probabilmente Bianconi.

E con gli altri esponenti del periodo d’oro della scena “alternativa” italiana che rapporti avete? E come vi siete sempre inquadrati con quella scena, a voi di poco precedente?
Ufo: Molte volte ci hanno chiesto come ci sentiamo nei confronti della scena alt-rock degli anni 90, con i capisaldi, tipo Afterhours e Marlene. Beh, noi abbiamo sempre fato un ragionamento stilistico diverso. Alcuni di loro possono averci ispirato, ma non ci hanno realmente influenzato. Con Manuel Agnelli ci si vede, anche un paio di giorni fa in occasione della registrazione di una puntata di “Ossigeno”. Ci ha aiutati anche in occasione della compilation “Il paese è reale”, quando ci inserì in quel progetto. Riconosco l’idea intelligente e illuminista di portare gli Afterhours a Sanremo per presentare una compilation dove c’eravamo noi, gli Zu, Il Teatro degli Orrori, una manovra coraggiosa. Ma ci sentiamo diversi da loro. Penso anche ai Diaframma: con Federico Fiumani siamo molto amici, potrebbero scorgersi vaghissime similitudini qua e là, però paragonarsi direi proprio di no! Abbiamo degli assunti diversi, anche se abbiamo degli amori comuni, perché Federico vive nello spettro e nell’ossessione dei Television, come del resto anche per noi non solo il post-punk, ma persino l’idea di indie-rock nasce con i Television, musica indipendente moderna. Condividiamo con Federico questo amore, ma poi siamo diversi, e sinceramente non so neanche il pubblico dei Diaframma che opinione possa avere di noi: il pubblico a volte ha delle percezioni diverse da quella che è la realtà. Chi segue certi gruppi sarebbe terrorizzato dall’idea che poi noi si esce insieme. O magari è vero anche il contrario. Ti aspetteresti che noi stessimo a fare vita di comunità con tanti artisti di un certo “giro”, quando poi è vero fino a un certo punto. Alcune situazioni nascono per pura combinazione, vedi il nostro rapporto con i Ministri, nato da una mezza rissa. I rapporti fra noi sono molto più variegati di quanto si possa immaginare da fruitori, dall’esterno.

Come nasce l’amicizia con i Ministri, che sono invece a voi anagraficamente successivi?
Ufo: L’amicizia che ci lega ai Ministri nasce da un concerto che ci mandarono a fare insieme da qualche parte in Lombardia. Appena incrociati gli volevamo menare. Pensai: io ora a questi gli alzo le mani. Poi capitò che ci dimenticammo parte degli strumenti in loco e ce li recuperarono loro. I Ministri sono una band live inarrivabile, ho una grandissima stima di loro, dal vivo danno veramente il meglio.

Quindi sarete ospiti di una delle prossime puntate di “Ossigeno”, il nuovo programma televisivo condotto da Manuel Agnelli su Rai 3?
Ufo: Sì, ci siamo andati come ospiti, saremo in una delle prossime puntate. L’ho trovato un programma ambizioso, di grande qualità. Non ricordo un programma così in Italia, dove fanno suonare tutti, di tutto, Copeland, Joan Wasser, gli Editors, Ben Harper, anche tanti italiani di indiscutibile qualità. Gli auguro tutto il bene possibile.

Ora diventa più chiara la strategia televisiva di Agnelli?
Ufo: Ora diventa chiarissima! Manuel è una persona molto capace: è andato a X Factor a giudicare la scena mainstream, per poi ora provare a far vedere la musica come la intende lui. Retrospettivamente ora capisco meglio le sue mosse. Ho compreso la tecnica. E’ andato lì a fare il rappresentante di un “mondo altro”, tanto che il 98% dei telespettatori del talent non sapeva minimamente chi fosse. Ha fatto la parte di quello che butta merda su quell’ambiente, al punto tale che ora si trova al centro di un programma che magari fra molti anni riguarderemo su YouTube pensando: ma guarda una volta in televisione che belle cosa si facevano! Suonavano tutti, ma com’era possibile? Noi spesso guardiamo i Black Sabbath alla televisione olandese, l’Ed Sullivan Show, i programmi americani con gli ospiti musicali, e in Italia non abbiamo mai avuto programmi di questo tipo. Se sai creare gli spazi giusti, puoi far suonare di tutto. Ci vuole una persona che sappia organizzare questo tipo di proposta, e non potremmo certo essere noi, ci vuole uno in gamba, uno “scafone”, uno come Manuel, uno di quelli che sa fare queste cose qui, e ce la farà. Lui ha quello stile milanese, di chi vuol fare le cose fatte bene, che a noi manca completamente.

Il prossimo step dei Zen Circus sarà esattamente questo: ospiti su Rai3, poi in giro a promuovere “Il fuoco in una stanza”, suonando ovunque sia possibile, fino allo sfinimento, fino a quando Andrea Appino avrà un’altra cinquantina di provini da far ascoltare agli altri Zen, e via così, all’infinito. Benvenuti nel Circo Zen!

(04/03/2018)

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Intervista di Claudio Lancia

In concomitanza con la pubblicazione di “Canzoni contro la natura”, l’ottavo album degli Zen Circus, abbiamo incontrato il batterista Karim Qqru. Ne è scaturita una piacevole chiacchierata sull’ottimo stato di salute della band, sui significati reconditi del nuovo lavoro, sull’importanza di cantare in italiano, e molto altro.

“Canzoni contro la natura” è il vostro ottavo album: possiamo dire che gli Zen Circus siano oramai  una piccola istituzione del circuito indipendente nazionale?
Beh, mettiamola così: ormai sono anni che rompiamo i coglioni a destra e a manca fra dischi e tour infiniti (ride di cuore, ndr).

Ma all’inizio della vostra carriera, avreste mai scommesso su un percorso così lungo e ricco di soddisfazioni?
No. Pur avendo un'età diversa, tutti e tre ci siam fatti le ossa principalmente attraverso le esperienze nei centri sociali, dove vedevamo esibirsi molte band del circuito punk americano: gruppi scalcinati ammassati su tour bus puzzolenti. Al tempo eravamo dei ragazzini o poco più, e già soltanto immaginare di poter un giorno riuscire a fare un tour come quelli era una cosa fantastica per noi. Abbiamo sudato per riuscire a crescere ed iniziare a portare in giro la nostra musica. All’inizio del nostro percorso come "Zen Circus" eravamo una sorta di Armata Brancaleone in tour: suonavamo in situazioni a dir poco spartane, talvolta condite da episodi allucinanti ed al limite del surreale. Una scuola di vita caustica e divertentissima.

Poi con il passare degli anni siete riusciti a conquistare obiettivi importanti…
Siamo riusciti a conquistare obiettivi per noi enormi, come l'avere in un nostro disco Brian Ritchie, Kim Deal e Jerry Harrison, pesi massimi di band mitiche come Violent Femmes, Pixies e Talking Heads; gruppi sui quali ci siamo formati musicalmente durante l'adolescenza, e che abbiamo continuato ad amare.

Quale potreste considerare la vostra vittoria più grande?
Alla fine dei giochi, il risultato più grande è l'essere riusciti negli anni a trasformare il nostro amore viscerale per la musica in un lavoro.

Il nuovo album arriva dopo una breve pausa, durante la quale alcuni di voi si sono impegnati nel lancio di progetti paralleli. Vi sentite arricchiti da queste esperienze “soliste”? Il fatto di staccare la spina per qualche mese e dedicarsi ad “altro” ha portato delle ricadute positive nel microcosmo Zen Circus?
Certo. Avevamo bisogno di una pausa, dopo sei anni di tour e dischi a getto continuo. Così sono arrivati il mio progetto “La notte dei lunghi coltelli”, l’esordio solista di Andrea (“Il testamento”), e gli apprezzati dj set di Ufo. Tornare in sala prove dopo qualche mese di vita separata ci ha dato una voglia di suonare insieme enorme. Una voglia che è stata sempre presente in passato, sia chiaro, ma che negli scorsi mesi è ritornata in maniera densa, dirompente. I progetto paralleli a mio avviso servono sempre: esci dal tuo nido protetto affacciandoti verso un mondo tutto da scoprire, senza appigli sicuri. Un toccasana sotto tutti i punti di vista, che fortifica a 360 gradi.

Quali sono i presupposti sui quali è stato concepito “Canzoni contro la natura”? A tratti dà l’impressione di essere una sorta di concept sulla natura umana. Sensazione corretta?
"Canzoni contro la natura" non è proprio un concept album: all'interno delle dieci tracce dimora una varietà musicale e tematica. Un paio di brani riprendono il discorso iniziato con “ATA” e “Nati per subire”, mentre gli altri pezzi si snodano in contenuti che tendono a costruirsi una via propria ed indipendente dagli ultimi due album. La natura esaminata è quella umana. Madre natura è un pretesto fatalista per sviscerare ancora di più l'animo umano; ma non è un disco ecologista, non è certo il "Green" degli Zen Circus!

Raccontaci come avviene il vostro processo compositivo: è cambiato nel corso degli anni?
Di solito lavoriamo sempre in questo modo: Andrea porta dei riff di chitarra ed il testo, poi tutti insieme costruiamo la canzone, la produciamo e la arrangiamo, salvo poi mettere il timbro “zen” sulla parte testuale, quando questa soddisfa tutti e tre. Ma la maggior parte delle volte il testo di Andrea è perfetto così. Al massimo, collegialmente, correggiamo giusto qualche frase.

Nei vostri testi, sempre ricchissimi, dimostrate di avere un mondo di cose da raccontare, e lo dimostrate molto bene anche nelle nuove canzoni, come nel degrado umano di “Viva” oppure nella confusione intergenerazionale ben dipinta in ”Postumia”. Oggi vi sentite un po’ i portabandiera di una generazione?
No, fondamentalmente perché non diamo risposte al pubblico, ma solo una constatazione dell'ambiente circostante visto dalla nostra prospettiva. Spesso le situazioni vengono descritte in prima persona, altre volte sono dipinte attraverso la creazione di personaggi comuni, nei quali infiliamo il nostro carattere.

Ma come la trovate questa generazione? Disorientata? Disillusa? Rassegnata? Oppure ha voglia di cambiare le cose?
Personalmente credo non esista un termine per descrivere questa generazione. Siamo mille correnti sociali, emotive e politiche frullate insieme, all'interno delle quali convivono gomito a gomito cinismo, ottimismo, voglia di fare, bassezze morali, noia, rassegnazione e passione.

Vista col senno di poi, possiamo dire che la scelta di passare al cantato in italiano sia stata la chiave del vostro successo? Pensate che continuando ad esprimervi in inglese i vostri riscontri sarebbero stati i medesimi?
Attraverso l'uso dell'italiano siamo riusciti a comunicare in modo più diretto e calzante, su questo non c'è ombra di dubbio. Sarebbe stato più difficile trattare certi argomenti attraverso l'uso dell'idioma inglese. Il successo non sarebbe mai stato lo stesso, ma il passaggio alla lingua italiana non è stato premeditato, ed è iniziato due album prima della svolta totale. Detto questo abbiamo comunque portato avanti l'idea di cantare in qualsiasi lingua. Ad esempio con l'Ep "Metal Arcade", pubblicato nel 2012, abbiamo usato lo spagnolo, il finlandese, l' inglese e l'italiano.

L’uso dell’italiano potrebbe troncare eventuali ambizioni sui mercati esteri?
Certamente, però ora come ora siamo concentrati sul territorio italiano. In passato, per supportare il disco "Villa Inferno" abbiamo fatto un bellissimo tour di due settimane in Australia, con Brian Ritchie dei Violent Femmes al basso acustico. Non è detto che in futuro non ci torni la voglia di provare a rimettere piede fuori dall'Italia in modo serio.

Trovai molto interessante la vostra avventura come backing band di Nada: dimostraste di non temere il rischio di mettervi in gioco in quella situazione. Cosa vi ha lasciato quell’avventura? A conti fatti ha anche contribuito ad allargare la cerchia di pubblico?
È stata tra le esperienze più belle della nostra carriera, abbiamo imparato tantissimo. Nonostante avessimo riarrangiato completamente il live a nostro gusto (che doveva anche coincidere con il gusto di Nada) eravamo dei turnisti, con tutta l'etica lavorativa che ne conseguiva. Bellissimo, dico davvero. Lei e Gerri (suo marito e manager) sono due persone stupende, dopo qualche settimana ci sentivamo già in famiglia. Suonare tanto ed ovunque fa sempre bene: ti diverti, ti rende più professionale, aggiunge esperienza ed anche pubblico.

Siamo nel periodo di Sanremo. Dopo Afterhours, Marlene Kuntz, Subsonica, Mauro Ermanno Giovanardi (giusto per citare qualche nome che proviene dalla scena indie, che andò al festival tutto sommato senza snaturarsi), anche gli Zen Circus pensano di andare un giorno a presentare una propria canzone sul quel palco?
Non credo. Sicuramente è un'esperienza divertente, perché ti infili dentro un circo impazzito del quale sai che non potresti mai e poi mai far parte. Antropologicamente sarebbe una bella settimana!

Quali sono i vostri ascolti musicali degli ultimi mesi?
Io sto consumando questi dischi:
Converge - All We Love We Leave Behind
Black Sabbath - 13
Motorhead - Aftershock
Albert Ayler - Spiritual Unity
Iosonouncane - La macarena su Roma
Sick Of It All - Death To Tyrans
Aphex Twin - Selected Ambients
Per Ufo ed Andrea non ti saprei fare una lista dettagliata: ascoltiamo tutti molta musica. Ufo è un collezionista di vinili, credo ora sia arrivato a quota cinquemila.

Cosa vi piace della scena indipendente italiana?
Una cosa molto bella è il legame che tende a crearsi con gli altri musicisti. Durante i tour hai bisogno di stare in un ambiente "cameratesco", la crew diventa la tua famiglia. Andando sempre in giro conosci altre band, fai amicizia e magari cominci a suonare insieme, a fare ospitate nei dischi o nei live.

Suonando in giro per l’Italia venite continuamente in contatto con tante band emergenti. Avete qualche nome che vi farebbe piacere segnalare?
I Progetto Panico, band umbra alla quale ho appena prodotto il primo disco ufficiale, che uscirà a marzo. Li abbiamo chiamati ad aprire qualche data del nuovo tour degli Zen. Poi (al di là del concetto di gruppo emergente) i Fast Animals And Slow Kids, Bologna Violenta, Iosonouncane, i Mamuthones e tantissimi altri. Inoltre in Italia attualmente c’è un’interessantissima scena hard, in ambito sludge, doom e sperimentale esistono gruppi favolosi.

Qualche nome con il quale vi piacerebbe collaborare in futuro?
Personalmente mi piacerebbe tantissimo collaborare con Han Bennink e con Kurt Ballou. Un altro musicista che amiamo tantissimo è John Fogerty.

Sta partendo il nuovo tour promozionale, poi quali saranno i prossimi step? Ci sarà nuovamente spazio per i vostri side-projects?
Ora riparte la carovana del tour, chissà quando si fermerà, magari durante uno scontro contro uno spartitraffico (ride, ndr). Credo che in futuro ritroveremo del tempo per i nostri progetti paralleli. Ogni tanto staccare qualche mese fa benissimo alla band.

A conclusione di questo incontro, devo dire che dai la sensazione di essere molto soddisfatto del nuovo lavoro.
"Canzoni contro la natura" è il primo disco degli Zen Circus del quale siamo tutti e tre soddisfatti al 100%. Ci piacciono molto tutti e dieci i pezzi. Nei dischi precedenti c'era sempre un brano che non convinceva completamente qualcuno di noi, una cosa tutto sommato normalissima. L'aver affrontato la composizione di "Canzoni contro la natura" con calma e tranquillità ha giovato moltissimo all'album.

(26/01/2014)


***

Intervista di Paolo Arzilli

Il bello di intervistare una band come gli Zen Circus è che, oltre all'interesse e alla curiosità che generalmente l'intervistatore ripone in coloro che ha di fronte, si ha il desiderio di verificare se quel che si sente dire sul loro conto corrisponde o meno alla realtà. Durante questa intervista, non sono stati scoppiati petardi, e questa è già una buona cosa. Sì, gli Zen Circus sono tre amabilissimi cazzari, nel senso più nobile del termine, quello secondo il quale sono estremamente informali, spigliati e alla mano; questa è la seconda buona cosa. Sì, gli Zen Circus parlano molto e volentieri, ad eccezione del bell'Appino che ha probabilmente simulato di avere motivi reali per dileguarsi durante la domanda numero quattro, salvo tornare giusto giusto per l'ora di cena.
Per farla breve, li abbiamo intervistati prima del concerto del 5 novembre al The Cage di Livorno, data zero del tour del nuovo "Nati Per Subire". Abbiamo parlato di musica italiana, straniera, volantinaggio, Guerra Fredda, Sgarbi, Feltri, presupposta fine delle ideologie, università, Dave Grohl, e della foto a promozione del tour che li ritrae seduti a torso nudo su una panchina, e che, opinione comune tra intervistante e intervistati, ha un sapore di omosessualità vagamente supponente.
Qui sotto, alcune delle cose delle quali abbiamo parlato.


Prima questione; quanto c'è di autobiografico in quello che scrivete?
Appino: C'è tanto, in molti modi. Considera che "Figlio di puttana" è la storia della mia famiglia, quello che succedeva in casa mia. L'espressione "vecchi senza esperienza", che poi abbiamo usato come titolo, era tipica della mamma di Ufo.
Ufo: E "hai una macchia nera sul cuore", che poi abbiamo usato in "We Just Wanna Live", è quello che mi diceva sempre la maestra a scuola, perché non ero battezzato.
Karim: Stessa cosa vale per "Franco", altro testo ispirato a un tipo che Appino ha conosciuto lavorando in una ditta di volantinaggio, nella quale tutti siamo più o meno passati.
Appino: Io ci son durato cinque anni, Ufo due mesi.

So che vi definite un gruppo rock, ma in realtà in quel che fate c'è una forte anima cantautorale: gli Zen nascono elettrici o acustici?
Appino: All'inizio, quando cominciammo, facevamo roba grunge, noise; eran cose completamente diverse da quelle che facciamo oggi. Un punto di svolta l'ha rappresentata il decidere di fare i busker, di suonare per strada, dove sei costretto a ripensare quel che fai in chiave più acustica, ed è da lì che forse viene fuori il cantautore, o quello che all'estero viene chiamato "folksinger".

Tocchiamo l'argomento lingua italiana: i vostri album, alcuni in inglese, quest'ultimo in italiano, vengono "programmati" in una determinata lingua, o la scelta è naturale, quasi provenisse da un concatenarsi di conseguenze?
Appino: Va detto che io amo il cantautorato italiano, e ho provato a mescolarlo con altri stili che mi piacevano, e che ancora ascolto. Per quanto mi riguarda, è stato un processo spontaneo.
Karim: Concordo, non c'è niente di studiato a tavolino, di strategico, per adesso ci siamo sempre permessi di fare quello che ci piace senza troppi ragionamenti.

Continuiamo a parlare di Italia: dalle nostri parti, tradizionalmente, amiamo lamentarci. Una classica frase è "non si sente più la musica di una volta"; come stanno realmente le cose?
Ufo: In Italia abbiamo grandi cose. Abbiamo gruppi che in lingua italiana propongono delle ottime cose, ad esempio Il Teatro degli Orrori. Personalmente son convinto che nel nostro paese si tenda a voler glorificare gli anni 80-90, senza rendersi conto che in questo momento abbiamo cose migliori rispetto a quell'epoca.
Appino: Il problema che rimane in Italia non riguarda la qualità ma le possibilità: è difficile arrivare all'estero, uscire dai confini. E' un problema che riguarda le produzioni.

Parliamo del vostro rapporto col successo: quanto vi influenzano le copertine, le interviste, il fatto che il disco venda? Vi sentite più responsabili verso qualcuno, o qualcosa?
Karim: Assolutamente, non ci cambia nulla. Ci spinge a esser sempre più professoniali, ad alzare il livello, ma questo è qualcosa che stiamo cercando di fare da sempre, non dipende né da vendite né dai media.
Noi non vogliamo parlare per nessuno, ognuno può ragionare con il proprio cervello, e non esisterà mai la possiblità che gli Zen Circus si dicano che forse un determinato testo è meglio cambiarlo, per una questione di responsabilità. Siamo al settimo disco, per fortuna, a questo punto è stupido prendere particolari precauzioni o mettersi a fare calcoli strani..
Ufo: Al primo posto, qualsiasi cosa mi dicano, io metto la libertà d'espressione. Quindi scrivo esattamente cosa mi pare, i cattivi maestri non esistono, e noi non abbiamo minimamente il desiderio di parlare per qualcuno, di farci delegare.

Sullo stesso argomento, in Italia ai primi successi di un artista si usa dire che lo stesso può affermarsi come "portavoce di una generazione": come vi rapportate con il fatto che possa succedere anche a voi.
Ufo:  Se questa generazione avesse una voce da tirar fuori... in realtà, siamo seri, sono pure stronzate, frasi a effetto che i giornali e le riviste ogni tanto devono tirar fuori per impressionare qualcuno. E' ridicolo tanto quanto il marchio politico che ti può venir assegnato, e che deriva sempre dalla necessità di trovare punti di riferimento in un momento in cui, nella politica, non se ne trovano.
Karim: Il che è anche comprensibile, c'è poco dibattito culturale e la gente si aggrappa a quello che trova, ma resta una stronzata.
Ufo: Poi vedi, oggi tutto quello che non è amico, compiacente, è considerato di sinistra; per quanto riguarda noi, come ti ho detto non vogliamo prender la parola per conto di altri, simpatizziamo totalmente per chi rifiuta le deleghe. Considera poi che forse, in altri tempi, a noi c'avrebbero additati come fascisti, come già successe a Rino Gaetano.
Karim: Per farla breve, siamo sociali, non politici: non vogliamo ci vengano affibbiate ideologie.

Aprite la canzone "Egoista" con la frase "col disincanto ci marci un po'": a chi pensavate, quando è stata scritta?
Karim: La frase l'ha scritta Appino, si riferisce alla figura dell'egoista, in termini generali, forse anche a sé stesso, per certi versi. E' un'espressione che va contro al disincanto cinico, calcolato, che noi stessi a volte esercitiamo.
Ufo: E' proprio questo, un "esercizio di cinismo" che viene usato come se servisse a tonificare lo spirito, in realtà quasi sempre è fuori luogo, è stupido: quando serve a giocare a fare i superuomini è il momento di finirla, di cambiare gioco.
Karim: Ed è un gioco anche piuttosto comune, quello dei "bastian contrario" a priori: è una tattica che serve a stravolgere, a disturbare.
Ufo: Esatto. Sgarbi, Feltri... non mi preoccupa dirlo, queste figure andrebbero epurate, son quelli che da una vita mantengono atteggiamenti studiati, calcolati esclusivamente per destabilizzare la gente.

 

Discografia

THE ZEN
About Thieves, Farmers, Tramps and Policemen (Autoprodotto, 1998)
ZEN CIRCUS
Visited by the Ghost of Blind Willie Lemon Juice Namington IV (Iceforeveryone, 2001) 5
Doctor Seduction(Venus, 2004)6,5
Life and Opinions of Nello Scarpellini, Gentleman (I Dischi de L'Amico Immaginario, 2005)6
Villa Inferno (con Brian Ritchie, Unhip Records, 2008)6,5
Andate Tutti Affanculo (Unhip, 2009)7
Nati per subire (La Tempesta, 2011)6,5
Metal Arcade Vol. 1 (Ep, Black Candy, 2012)6,5
Canzoni contro la natura (La Tempesta, 2014)7
La terza guerra mondiale (La Tempesta, 2016)7
Il fuoco in una stanza (Woodworm / La Tempesta, 2018)7,5
Vivi si muore 1999-2019 (antologia, Woodworm / La Tempesta, 2019)7,5
L'ultima casa accogliente (Polydor/Universal, 2020)7
Cari fottutissimi amici (Capitol/Universal, 2022)6,5
APPINO
Il testamento (La Tempesta, 2013)6,5
Grande Raccordo Animale (La Tempesta/Sony, 2015)6,5
LA NOTTE DEI LUNGHI COLTELLI
Morte a credito (Black Candy, 2013)6
MAESTRO PELLEGRINI
Fragile (Black Candy, 2020)7
Pietra miliare
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