L'ultima guerrigliera

Helena Velena

Non ha bisogno di presentazioni, Helena Velena. Personaggio seminale come pochi nel dipanarsi della controcultura italiana tutta, ha giocato un ruolo di primo piano in buona parte dei movimenti germinati negli ultimi trent'anni. Gli anni veraci nella Bologna settantasettina di Radio Alice, l'illuminazione anarchica, gli esordi con i RAF Punk, la contestazione al concerto dei Clash a Piazza Maggiore, l'epopea della Attack Punk Records, l'esplosione a tappeto dell'hardcore, la stagione dell'Isola Nel Kantiere, la teorizzazione cyberpunk, gli esperimenti multimediali, fino agli ultimi anni da battagliera attivista transgender: sfogliando i passaggi chiave della nostra storia underground recente, si può star sicuri che prima o poi spunta fuori il suo nome. Ma Helena pensa a se stessa soprattutto come a una musicista e quindi, per una volta, le proponiamo una chiacchierata in cui si parli "solo" di musica…

La tua auto-definizione ufficiale è "guerrigliera semiotico-psichedelica", ma una volta mi hai confidato di sentirti innanzitutto una musicista…
Una sera una specie di indovina mi chiese quale fosse la cosa più importante del mondo e io risposi "La musica!", al che lei disse "Ma no, la cosa più importante del mondo è l'amore!" e io replicai citando uno dei miei dischi preferiti, "If I Could Only Remember My Name" di David Crosby: "Music Is Love!". Ho sempre pensato che la musica sia la forma di espressione più profonda e completa, perché è quella che riesce a coprire l'intero ventaglio delle sensazioni, e veicolando anche le parole può toccare qualsiasi tematica. Da piccola (o meglio, piccolo) il mio sogno più grande era di fare musica, ma commisi un errore clamoroso che ebbe inevitabili conseguenze: quando giunsi all'età in cui di solito si inizia a suonare stava arrivando il punk, e io me ne innamorai. Fare il musicista professionista suonando punk è inverosimile, quindi mi sono intrappolata da sola…

Successivamente feci un secondo errore: iniziai a dedicarmi alla produzione discografica, e per una sorta di senso di colpa anarchico trovavo che stampare i miei dischi fosse una cosa troppo semplice ed egoista, quindi ho preferito dedicarmi alle cose degli altri, trascurando le mie. Di più: all'epoca provavo in uno studio di Bologna chiamato Harmony Sound, un posto di alto profilo tecnico dove registrai diverse cose (tra cui un album proto-rap che piacque al manager di Vasco Rossi, a cui in seguito feci causa perché voleva acquisirne i diritti senza pagarmelo). Non mi sarei mai potuta permettere uno studio così professionale, ma grazie alla comune militanza politica il proprietario mi faceva un prezzo di mega-favore e si offrì di produrmi un disco "serio" con musiche di Lele Gaudi, che oggi è un guru del reggae a Londra: ebbene, io dissi di no, una decisione folle col senno di poi… Ironia della sorte, adesso che avrei più che mai voglia di suonare e sono attiva con diversi progetti, mi ritrovo in un periodo storico in cui vivere di musica è totalmente impossibile, a meno che non fai cose immonde, quantomeno in Italia. Insomma, per seguire i miei principi ho distrutto i miei sogni...

Parliamo dei tuoi "anni ruggenti". Inizierei con l'esperimento RAF Punk...
Ebbero una stranissima gestazione, sia per il nome sia per la formazione. Il primo nacque con un graffito che mi piaceva disegnare in giro. Sono da sempre appassionata alle dinamiche della lotta armata e in particolare mi affascinava molto la Rote Armee Fraktion, in cui vedevo un discorso diverso da quello delle BR italiane (che erano fondamentalmente un partito armato che si proponeva come avanguardia rivoluzionaria), più legato a istanze libertarie e controculturali. Mi colpiva il fatto che fosse stato fondato da una donna e avesse più donne che uomini tra i militanti, e mi incuriosiva soprattutto quella fase iniziale a base di volantini deliranti e azioni rivendicate ogni volta con una sigla differente. Quando nel carcere di Stammheim furono "suicidati" Baader e la Ensslin feci sciopero da scuola da sola, per dirti quanto ero coinvolta! Tempo dopo andai a Londra e scoprii un collettivo di squatter anarcopunk che si chiamava anch'esso RAF, che però in quel caso stava per "Rebel Anarchist Fraction", giocando sull'assonanza con la Royal Air Force, l'aviazione militare britannica.

Io costruii a mia volta un gioco che assimilava tutte e due le sigle, e quando successivamente decisi di formare una band mi resi conto che "RAF Punk" non solo suonava bene come nome, ma aveva significati multipli tutti appropriati per l'operazione che avevo in mente. La primissima line up consisteva in me alla voce, la mia compagna Laura alla batteria, Steno (poi nei Nabat) al basso e Mammo alla chitarra. A causa degli impegni degli altri due, io e Laura iniziammo a provare in solitaria in una cantina di Borgo Panigale frequentata anche da Carlo (anche lui spesso impossibilitato a suonare con la sua band dell'epoca), con con cui nacque un gruppo parallelo chiamato Achtung Minen. Potremmo dire che non entrò mai ufficialmente nei RAF Punk, piuttosto ci si è ritrovato dentro! Iniziammo a fare delle jam e a cercare altri membri per stabilizzare la formazione, che però rimase sempre molto precaria. Ad esempio, Steno in quel periodo era a Milano e poteva suonare con noi quasi solo per i concerti, e visto che spesso non conosceva le parti del basso decidemmo di alternarci: in alcuni pezzi avrebbe cantato lui e io avrei suonato il basso. Il nucleo di base siamo sempre rimasti io Laura e Carlo, intorno a cui si avvicendò un sacco di gente diversa.

Una band poco punk, a dispetto del nome, più vicina all'idea crassiana di una "musica totale" scomposta e caotica…
La musica era animata dallo stesso spirito del nome: "punkeggiare" cose provenienti da altri ambiti. I concerti erano delle performance multimediali poli-materiche, in cui trovavi di tutto: riletture di "Volunteers" dei Jefferson Airplane o "Kill For Peace" dei Fugs con sullo sfondo video degli scontri con la polizia negli anni 60, o una "Children Of The Grave" dei Black Sabbath suonata con doppia batteria e accoppiata a una danza orgiastica ispirata ai Tafur, bande di straccioni che si accodarono ai crociati commettendo razzie, stupri e addirittura atti cannibalici. Musiche e riferimenti differenti venivano affrontate con taglio punk e trasformate in un baccanale di caos e rumore. C'era questo tentativo di spingersi oltre i limiti del punk dell'epoca: non a caso, quando mi capita di ascoltare un pezzo nostro durante un dj set a tema, mi rendo conto che è totalmente diverso dal resto della scaletta. Non c'era mai la cassa dritta in 4/4, abbondavano rallentamenti e accelerazioni. Tim Yohannan, recensendo il nostro primi 45 giri su Maximumrocknroll, ci definì "un incrocio tra i Discharge e i Crass", e lo trovo un complimento meraviglioso perché erano i nostri riferimenti più immediati! Successivamente la nostra influenza principale divennero i Black Flag, con le loro continue trasformazioni stilistiche. Incominciammo ad ascoltare anche un sacco di metal, soprattutto gruppi come Venom o Voivod, che sopperivano all'imperizia strumentale con una grande fantasia.

Il concetto era che brani animati da un forte senso di libertà a livello di contenuti dovessero affidarsi a strutture altrettanto libere, non potevano diventare canzoni da ballo o da pogo. Poi certo, un altro fattore importante era che non sapevamo affatto suonare… Ci sentivamo un po' come Woody Guthrie: non essendo un bravo musicista prendeva composizioni altrui e le modificava fino a trasformarle in farina del suo sacco, ed è curioso che in seguito proprio lui sia diventato il riferimento di tutti i folksinger! Laura non riusciva a suonare dei ritmi regolari, e quei tempi dispari strambissimi ci permettevano di sperimentare molto di più, anche se tecnicamente può essere visto come un limite. Quello che mi dispiace è che questo meccanismo si sia evoluto più al di fuori che all'interno del punk. Fare una cosa diversa perché non si riesce a fare bene quella convenzionale fu ad esempio una caratteristica di band come Suicide, Pop Group, PIL o Einsturzende Neubauten, mentre i punk duri e puri hanno preferito continuare ad ascoltare i Dead Boys… Un altro gruppo che adoravo e che invece tutti disprezzavano erano i Sigue Sigue Sputnik, che seguivano la stessa logica: il chitarrista Tony James voleva creare un gruppo tutto basato sull'immagine e reclutò i membri solo in base al look, e la loro musica era così particolare proprio perché nessuno sapeva suonare! Molto più dei Sex Pistols che, a parte Sid Vicious, tutto sommato erano dei buoni strumentisti... Dire "decido che voglio suonare" per me rimane una cosa fondamentale, tutti i gruppi punk credo siano nati così. Non c'è mai stata l'idea di diventare musicisti professionisti, sia perché quando iniziò la scena ci sentivamo in dovere di tenere la musica come fattore secondario rispetto alla militanza politica, sia perché quando la Attack si trasformò da punkzine in un'etichetta vera e propria divenne un impegno a tempo pieno.

Visto che l'hai citata, affrontiamo l'Odissea-Attack Punk…
E' nata anch'essa per caso. Durante le prime prove con Carlo ci inventammo un altro progetto chiamato Aldomoro, reso graficamente con una croce tra la R e la O finali a creare una specie di T, per cui si poteva leggere anche "Aldomorto"… Con quella sigla facemmo roba molto più improvvisata e sperimentale e suonammo anche dal vivo, tra cui un concerto a Firenze in Piazza Santa Croce in cui presentammo in tute da operai. Una volta Carlo se ne uscì col riff di chitarra di "Alternative Ulster" degli Stiff Little Fingers, che noi trasformammo in "Al Tempo di Valzer": venne fuori un valzer punk così figo che ci dicemmo "questo merita di finire su un disco!", e iniziammo a capire come potesse funzionare per farlo uscire come 45 giri. Quando ci rendemmo conto che fare un disco era una cosa complicata ma tutto sommato fattibile, pensammo "se bisogna impegnarsi, tanto vale impegnarsi per qualcosa di serio", per cui lasciammo perdere gli Aldomoro e ci concentrammo su una compilation con quattro gruppi del nostro giro (Anna Falkss, Bacteria, Stalag 17 e ovviamente i RAF Punk): fu così che nacque "Schiavi nella città più libera del mondo".

Che regalasti agli Scritti Politti
La dinamica fu abbastanza curiosa: avevano fatto questo disco chiamato "Skank Bloc Bologna" in cui descrivevano la nostra città come la patria della cultura giovanile. Noi andammo a trovarli nello squat dove abitavano (era gente coerente quella!) e gli portammo due cose: il nostro disco e un libro della Bertani intitolato "Bologna marzo 77… fatti nostri", che documentava gli scontri di quell'anno, Lorusso, i carri armati…Questo per dire: noi a Bologna certe cose ce le siamo guadagnate a fronte di una dura repressione, perché non era affatto "la città meglio governata del mondo", come sosteneva la prosopopea di Zangheri e la propaganda del Partito Comunista... Come sai, di lì a poco uno dei tre componenti prese il sopravvento e trasformò gli Scritti Politti in una band dance-pop commerciale, per cui non si ebbero ulteriori lavori di elaborazione politica, magari basati sul materiale che gli portammo, che chissà che fine fece… Musicalmente all'inizio erano molto interessanti, un'altra dimostrazione di quanto non saper suonare possa diventare un punto di forza. Purtroppo il tipo che si tenne il nome del gruppo fece delle cose repellenti di lì in poi…Una cosa che non ho mai capito degli Scritti Politti è perché abbiano dovuto storpiare gli "Scritti Politici" di Gramsci in quel modo buffo… Un po' come i Durutti Column: voglio dire, cosa gli costava scriverlo bene, dato che lo sanno tutti che il guerrigliero si chiamava Durruti?! Mi fanno troppo ridere queste sgrammaticature. Posso capire quando lo fanno i giapponesi, che hanno il passaggio tra due tipi di caratteri, ma quando lo fanno gli inglesi dimostrano solo la loro totale mancanza di rispetto per qualsiasi cosa… Loro mi dissero che lo scrissero in quella maniera perché "suonava meglio", fidiamoci…

Me lo sono sempre chiesto, in effetti. Anche io comunque ho un aneddoto carino legato a "Schiavi nella città più libera del mondo": a una fiera del vinile a Milano lo trovai su uno scaffale di rarità con un bell'adesivo "30 euro" appiccicato sopra alla scritta stampata "Non pagare più di 2000 lire"! Mi è parso un gesto inconsapevolmente punk, avrei voluto comprarlo anche solo per quello… Ma soprattutto, te lo saresti mai aspettato che un disco simile potesse diventare un pezzo da collezione?
Ahah certo che no!

Ma a proposito di incontri improbabili con inglesi poco raccomandabili, è vero che i Crass pubblicarono il primo disco dei CCCP in Inghilterra?
Sì, è vero. Li andammo a trovare nella famosa Dial House, fu un'impresa arrivarci ma diede avvio a un rapporto molto profondo. Conoscemmo anche John Loder, che era un po' il membro occulto dei Crass: non era un punk anarchico ma una persona normale, che abitava in una villetta con un garage trasformato in studio di registrazione, in un quartiere borghese come Swiss Cottage. Era però un personaggio molto in gamba, con una gran voglia di fare musica, e quando i Crass lo conobbero si resero conto che era il tipo razionale e organizzato che avrebbe fatto al caso loro. Fondarono insieme a lui la Crass Records e iniziarono a registrare nel suo studio, riuscendo a produrre dischi estremamente ben costruiti, nonostante anche loro non avessero la minima idea di come si suonasse: il batterista Penny Rimbaud forse era l'unico che sapeva vagamente tenere il tempo, gli altri zero assoluto… All'epoca magari furono poco apprezzati per la contrapposizione tra il classico suono hardcore tirato e il loro che era quasi rap, ma ascoltati ancora adesso credo rimangano lavori stupendi, e il merito è anche di John Loder che era davvero un grande a fare il suo mestiere. Noi ci facemmo amicizia e iniziammo a distribuire in Italia la sua roba. Quando ci trovammo tra le mani i CCCP pensammo che sarebbe stato carino provare a pubblicarli anche da qualche altra parte, per cui lo facemmo sentire a John che ci disse "Va bene, si può fare".

Il disco uscì in Inghilterra come Attack Punk Records, ma le copie a tutti gli effetti furono stampate e distribuite attraverso i circuiti della Southern Studios, la compagnia di Loder afferente alla Crass Records. Quindi sì, si può dire che i Crass hanno pubblicato i CCCP, anche se sul disco rimase indicata solo la nostra etichetta. Già da tempo la Southern era diventata la struttura che produceva tutte le collane collaterali ai Crass, vedi le sotto-etichette di band come Conflict o Subhumans. Tra l'altro proprio in quel periodo crearono una partnership con la On-U Sound di Adrian Sherwood e noi ci trovammo a distribuire in Italia anche quella roba lì, dischi di dub sperimentale pazzesca, come i lavori di Mark Stewart And The Maffia. Il reggae purtroppo si svelò presto un genere maschilista, sessista e omofobo, ma dal '76 all '82 le due sottoculture furono quasi intercambiabili: una era la ribellione bianca, l'altra quella nera, e tra loro erano sorelle. Lo stesso Bob Marley d'altronde ha scritto una canzone come "Punky Reggae Party", in cui sono citati tutti i gruppi punk che suonavano reggae. E' un discorso che vale non solo per i Clash ma anche per i PIL, che dopo l'ingresso di Jah Wobble a tutti gli effetti diventarono un gruppo punk-dub e a noi sembrava assolutamente normale, come ci sembrò logico che molti gruppi come i Discharge fusero punk e metal per sperimentare altre strade. Adesso invece tutti i generi sono codificati, e i gruppi si limitano a rimanere dentro quei limiti, senza sperimentare commistioni...

Parlando di gruppi punk convertiti al demone metallico, non ho mai capito questa storia per cui saresti apparsa in un video dei Black Flag…
E' una storia buffissima. Successe che venne a Bologna Joe Rees, il fondatore della Target Video di San Francisco, che aveva filmato una marea di gruppi californiani e stava andando in giro per l'Europa a far vedere questi video. Voleva girare una cosa in città, per cui ci radunammo a Piazza Maggiore e iniziammo a filmare. Mi riprese mentre facevo un gestaccio in direzione del Comune dicendo "Black Flag contro il Comune della città più libera del mondo!", e a un certo punto arrivarono due tizi dicendo che dovevamo consegnargli il video, perché erano stati ripresi due poliziotti in borghese, cioè loro… Adesso suona folle una cosa simile, ma all'epoca accadeva anche di peggio. Per fortuna Joe aveva appena cambiato la cassetta, per cui il nastro che gli consegnò era vuoto, e noi riuscimmo a svignarcela con il resto delle riprese! L'episodio lo divertì così tanto che decise di usare quel video: per qualche strano motivo avevamo scritto sulla schiena di qualcuno "Black Flag" (tra l'altro in modo sgrammaticato, senza la C…), e lui montò quel frammento insieme alla mia ripresa all'inizio della videocassetta "My War", che raccoglieva filmati dal vivo dei Black Flag. Purtroppo non è mai stata digitalizzata, forse per qualche problema di licenze. Per la cronaca, nessuna traccia di sti due poliziotti in borghese nel filmato…

Quando vennero a suonare in Italia però li boicottaste i Black Flag, per motivi simili a quelli che ispirarono la leggendaria contestazione al concerto dei Clash a Piazza Maggiore, un evento-spartiacque per i movimenti dell'epoca…
Noi avevamo ingaggiato da tempo una battaglia con il Comune per ottenere degli spazi in cui suonare la nostra musica, quelli che in seguito sarebbero diventati i centri sociali occupati, che all'epoca di fatto non esistevano. Quando scoprimmo che avevano organizzato quel concerto ci sembrò una cosa inaccettabile. Il fatto che si trattasse dei Clash era casuale: il Comune voleva mettere su uno spettacolo grosso e gratuito, i promoter avevano tra le mani i Clash e loro accettarono. Il punto è che per noi aveva un significato completamente diverso: ma come, non riusciamo a ottenere uno spazio per la nostra scena punk bolognese, e voi ci regalate dall'alto un concerto punk? Non esiste proprio! In più c'era già stato l'attacco politico dei Crass, che in una loro famosa canzone avevano accusato i Clash di essersi venduti firmando con una major, e per noi era un motivo ulteriore per contestare quell'iniziativa. Facemmo un volantino e lo distribuimmo al concerto, e il risultato fu uno scontro con i punk venuti da varie città italiane, interessati solo alla musica, gente che non aveva maturato un grado di consapevolezza politica legata alla creazione di un collettivo e all'individuazione di uno spazio comune: in pratica, ognuno era per i fatti propri… Il conflitto fu quindi sia con la struttura pubblica sia con gli altri punk. La cosa buffa fu che "Ciao 2001", il giornale musicale più diffuso all'epoca, pubblicò integralmente il volantino, una cosa che non ci aspettavamo da una rivista che aveva ancora Eric Clapton in copertina, per dirti quanto fu forte quel fermento. Un altro fatto interessante fu che negli anni successivi tutte le persone con cui avevamo litigato ammisero che avevamo ragione noi, cioè che era importante prendere in mano la situazione e autogestirci.

Ma l'episodio che tutti mi chiedono sempre di raccontare è quello del giorno dopo: stavo camminando in via Indipendenza e sotto il portico incontrai Joe Strummer completamente strafatto… Gli raccontai quello che avevamo fatto e gli spiegai le mie ragioni: contestavamo il Comune ma anche la loro musica, che secondo noi era diventata commerciale. Lui replicò "Ma l'hai ascoltato bene il nostro ultimo disco?", cioè "London Calling"? Io ammisi di no, e lui mi disse "Hai fatto male, ascoltalo: scoprirai che la nostra musica vibra col ritmo del cuore". Con quella frase da un lato mi diede ragione, dall'altro mi fece capire che eravamo stati noi a fraintenderli: non erano più un gruppo punk, la loro musica era diventata un'altra, quella del cuore appunto, cioè il reggae. Nei giorni successivi me lo andai a riascoltare e lo trovai meraviglioso: semplicemente non si trattava più di musica punk, quindi il nostro discorso era fuori luogo. Sarebbe stato come accusare i Police di non essere abbastanza punk, che senso avrebbe avuto? Per dirti, un altro gruppo che amavamo tantissimo erano gli Hüsker Dü, che passarono dall'essere la band hardcore più veloce della terra ("Land Speed Record" era una bomba!) a suonare quella musica depressa e melanconica, che però era comunque bellissima. Il fatto che avessero firmato con la Warner Bros non aveva importanza perché i dischi erano fantastici e in qualche modo avevano mantenuto le premesse, rimanendo nei binari della cultura alternativa. Certo, ci sembrò strano quando li andammo a vedere dal vivo e ci trovammo in un altro concerto non gestito da noi e con una marea di gente "normale" tra il pubblico, ma aveva senso: è il potere del mercato, che porta la gente dove vuole. Molti gruppi che non suonavano necessariamente punk si muovevano comunque nel nostro circuito e noi li riconoscevamo come cosa nostra: vedi quando i Mudhoney ci chiesero di suonare all'Isola Nel Kantiere perché gli era saltata una data, o il concerto dei Soundgarden che organizzai a Bologna. Poi queste band sono esplose e sono diventate famosissime, anche se mai "marketizzati" a tavolino come i Nirvana, che non sono mai riuscita a farmi piacere, anche se i singoli membri potevano avere delle credenziali punk… Possono sembrare discorsi ideologici ma secondo me a volte sono legittimi.

Del tutto d'accordo, nemmeno io sono mai riuscito a sopportarli. Dei tantissimi dischi che hai scoperto e prodotto con la Attack, ce n'è qualcuno che ami in modo particolare?
La risposta potrebbe sconvolgerti, perché uno magari si aspetterebbe i CCCP o i Disciplinatha, ma in realtà il disco che sono più contenta di aver stampato è quello della Bandamagnætica, un gruppo che in un certo senso non è mai esistito… Una storia molto divertente: lavoravano con Susy Blasi e Patrizio Roversi a "La Tv delle Ragazze" facendo delle incursioni in cui gridavano cose sopra a delle basi musicali. Uno aveva un microfono, un altro una tromba e il terzo una batteria elettronica e un synth, e si erano costruiti degli amplificatori alimentati a pile che portavano addosso, in modo da poter camminare suonando. La loro era una performance, più che un'esibizione musicale. Fui invitata a un loro spettacolo teatrale, tutto basato sulla trasformazione di suoni legati alle trasmissioni sportive: fu una cosa troppo curiosa, e decisi che dovevo assolutamente produrre un loro disco. Registrammo una roba davvero strana in cui coinvolgemmo addirittura Sandro Ciotti, che presentava la band con quella sua voce così particolare, e mi inventai una strategia promozionale assurda: misi in giro la voce che la Bandamagnætica avrebbe fatto da supporto alla prossima tourné di Madonna e che comprando il disco in regalo c'era il pass per entrare gratuitamente (e c'era sul serio, ma era solo un pezzo di carta)… Tutte le persone che lo hanno ascoltato mi hanno detto che in qualche maniera anticipammo cose come l'acid jazz o il trip hop. Insomma, per me è la cosa più figa che abbia mai fatto! Uno dei componenti, Frank Nemola, si è poi affermato come session man e produttore, adesso suona addirittura con Vasco Rossi.

Certo, ciò non toglie che sia orgogliosa anche dei CCCP, che nacquero in modo simile, se è vero che all'inizio anche loro erano più dei teatranti che un gruppo rock: li convinsi io a scrivere canzoni. Sono due band che mi sono "inventata", potremmo dire, solo che la Bandamagnætica è stato un gioco divertente, mentre con i CCCP è finito tutto in maniera molto brutta, difatti non ho mai troppa voglia di parlarne…All'inizio però fu molto bello, anche scontrarci in modo creativo con il mercato: quando portai il primo disco dei CCCP al nostro distributore mi guardò storto perché non poteva esserci un gruppo punk che cantava in italiano (forse non si era accorto che tutti i nostri dischi erano in italiano, anche se era roba hardcore con testi non troppo intellegibili)… Gliene regalai dieci copie, e qualche giorno dopo tornò a comprarmene alcune migliaia. Grazie ai CCCP abbiamo potuto fare molti altri dischi, tra cui quello dei Disciplinatha, di cui anche sono assolutamente fiera. La faccenda con loro fu un po' più complessa: fu accuratamente costruito tutto quel discorso negativo, tra cui il famoso ringraziamento a Francesca Mambro che non andò giù a molti… Poi ci sono i due dischi e mezzo dei Raw Power che erano davvero strepitosi, anche se ci persi un sacco di soldi… Il primo lo registrammo da John Loder! Il loro problema era che uno abitava a Londra, un altro a Poviglio, un altro ancora a Pisa e l'ultimo a Reggio Emilia, per cui composero e provarono per la prima volta in studio! Un conto sono i Beatles, che possono stare in studio un mese, un conto noi… Risultato: il disco non venne bene, costò troppo e non vendette. Adesso con loro suona anche il chitarrista di Ligabue, lo sapevi? Un altro vanto è l'album degli I Refuse It! che è un capolavoro di hardcore sperimentale, anche se sono rimasti nell'anonimato: fossero nati in America sarebbero stati famosissimi! Il cantante, Stefano Bettini, adesso fa musica reggae come Il Generale. Altro disco fenomenale che ebbe una gestazione terrificante fu quello dei Contropotere, che Maximumrocnkroll definì "punk-jazz". Vuoi che continuo?

Prego!
Allora ti cito anche i Lucky Strike & co., che conobbi per vie traverse: frequentando la scena anarchica mi imbattei in Pino Bertelli, famoso fotografo situazionista che si interessava anche di musica, che mi presentò questo gruppo pop con una voce femminile prodigiosa. Musicalmente non erano male ma furono i testi a colpirmi. Di solito li scriveva proprio Bertelli, ma il pezzo che mi spinse a produrli era tratto da una lettera dal carcere di Ulrike Meinhoff, in cui diceva di non sopportare la luce accesa 24 ore al giorno con le pareti bianche, per cui alla prima mestruazione usò il sangue per dare un po' di colore ai muri: la trovai una cosa così dolce e poetica che me ne innamorai, anche se come canzone era proprio pop italiano stile Matia Bazar. Ovviamente non ne vendetti una copia, perché il mercato della musica commerciale funziona solo con cose mega-promosse e per la scena punk era fuori target, ma nonostante tutto sono contenta di averlo fatto. Ma anche i Devastatin' Posse, un combo rap di Torino: uno dei componenti lo rincontrai a New York e scoprii che era diventato parte della Rocksteady Crew, il gruppo che ha inventato la breakdance! E vogliamo parlare di D.Ablo? Un docente della Berklee University lo ha definito il primo disco rap ad affrontare tematiche omosessuali! Un verso di quel disco fu ripreso dai 99 Posse in "Rigurgito Antifascista". Poi gli Incinerator di Catania, che suonavano questo metal estremo in parte cantato in dialetto e con strumenti siciliani, una cosa molto avanzata che anticipò certe contaminazioni tipiche del black metal, incoronata da Claudio Sorge come disco italiano dell'anno. Una volta avevo una foto in cui sono insieme al loro bassista e a Tom Araya degli Slayer, purtroppo l'ho persa… Quel bassista poi entrò negli Extrema, che oggi sono abbastanza famosi, di cui produssi un bel lavoro thrash metal. Avrei dovuto lavorare anche con Paul Chain dei Death SS, ma non se e fece nulla.

Ah, poi ci sono i Tampax… Ricordo che diedi un test pressing di un loro disco pseudo-rap con testi pornografici in inglese ai militari statunitensi di Aviano, che avevano una discoteca dentro alla base e ci ballavano sopra sbudellandosi dal ridere… Era una cosa stile Beastie Boys, che se ci pensi partirono anche loro come gruppo hardcore, e sai chi distribuì il loro primo disco? Ancora John Loder e la Crass Records! Vedi, tutto torna. Quell'album non lo pubblicammo mai, idem un altro loro lavoro con una canzone divertentissima intitolata "O' Dio", che suonarono a Pordenone in una serata organizzata dalla parrocchia in cui ovviamente gli staccarono subito la corrente! L'unico che pubblicammo fu uno stupendo lavoro sperimentale, un po' alla Flipper, con sulla copertina l'elenco delle tracce che non corrispondeva ai solchi e dei testi totalmente inventati… Tra gli stranieri ricordo con piacere i Jonee Jonee, un gruppo islandese di cui facemmo uscire un singolo intitolato "Blàr Azzurro" su vinile blu, con etichetta blu e copertina blu, senza nessun tipo di indicazione! Un disco senza chitarre, solo basso/batteria/sax/voce, strampalato ma bellissimo. E poi i Look Mummy Clownes, con ex-componenti degli Eratics, mitico gruppo underground londinese. E non dimentichiamoci delle primissime cose dei Borghesia… Anche il secondo Ep collettivo che pubblicai, "Papi, Queens, Reichkanzlers & Presidennti", per me fu importantissimo.

C'è solo l'imbarazzo della scelta, insomma…
In generale c'è sempre stato molto amore nel lavoro della Attack e delle varie sotto-etichette. Sai che su 80 dischi che ho prodotto nessuno era basato su un demo (e di cassette ne arrivavano una marea)? Solo cose che ho scoperto e di cui mi sono innamorata. Il problema è che era roba marginale che non vendeva un cazzo, e per procurarmi i soldi ho dovuto fare cose tipo attaccare i manifesti dei concerti di Pino Daniele... Un ultimo dell'anno l'ho passato chiusa in ufficio senza soldi per mangiare, un altro a casa senza la corrente elettrica perché non potevo pagare la bolletta… Tutto quello che guadagnavo lo reinvestivo per fare altri dischi: se non è amore questo... Ottanta dischi in dieci anni vuol dire otto dischi all'anno, cioè un disco ogni trentacinque giorni, in pratica un lavoro industriale in versione autoprodotta. A parte CCCP e Disciplinatha, i miei dischi sono sempre stati amati all'estero e ignorati in patria. Penso ai Raw Power, che a Los Angeles una volta presero parte a un concerto-sfida insieme a dei giovani Guns'n'Roses, in un locale con due sale in cui si suonava contemporaneamente e veniva pagato solo chi portava più spettatori: vinsero loro di brutto, te lo giuro! Quello stile fu saccheggiato dai gruppi metal americani: in una classifica stilata da non ricordo quale rivista statunitense furono messi all'ottavo posto tra i migliori gruppi live, battendo addirittura i Metallica! E in Italia suonano davanti a 100 persone… Ricordo che i tipi di "Rockstar" intervistarono i Sonic Youth durante un tour in Italia e quando gli chiesero di menzionare un gruppo italiano che apprezzavano citarono i Tampax, e il giornalista ovviamente non li conosceva… Che poi non è che uno debba essere per forza americano o inglese per avere un seguito: i Celtic Frost sono svizzeri, ma ciò non gli ha impedito di diventare uno dei gruppi più fighi del pianeta terra!

Va detto che noi non avevamo un minimo di mentalità imprenditoriale: per dire, quando esaurivo la tiratura di un disco anziché ristamparlo usavo i soldi per farne uno nuovo. Col senno di poi fu un suicidio, tornando indietro non farei certe scelte. Tipo, sfanculai i Marlene Kuntz, che mi mandarono una cassetta, solo perché all'inizio cantavano in inglese… Per tacere del rifiuto di far firmare contratti ai gruppi, per una questione anarchica di fiducia reciproca: la Virgin non avrebbe potuto soffiarmi i CCCP. Altro errore fu che, quando finalmente riuscii a ottenere un minimo di pubblicità gratuita su alcuni giornali, mi ostinai a proporre sempre roba underground, mentre le regole del business prescrivono di pubblicizzare qualcosa che già funziona, ma questo me lo spiegarono solo dopo… Quando chiusi la casa discografica ho vissuto un momento di liberazione perché pensai che non dovevo più spendere tutti quei soldi per produrre musica che mi piaceva: magari ci avrebbe pensato qualcun altro, e io mi sarei potuta godere un disco e basta! Ultimamente mi hanno approcciata tre gruppi diversi proponendomi di rimettere in piedi la Attack per pubblicarli ma è troppo impegnativo, adesso voglio dedicarmi alla mia e alla nostra (io e Helena suoniamo insieme in uno dei suoi tanti progetti, ndr) di musica. Che la pubblichi qualcun altro la musica degli altri, che tra l'altro adesso mi entusiasma poco. Io ho già dato…

Direi proprio di sì… E della miriade di personaggi leggendari con cui sei entrata in contatto, qual'è quello a cui ti sei più affezionata?
Scusa se mi ripeto, ma dovendone eleggere uno ti direi proprio John Loder. Ricordo che all'epoca non avevo ancora fatto la transizione e a Londra ne approfittavo per travestirmi da donna, e lui si è sempre rapportato con me in termini del tutto normali e rispettosi. Tra l'altro preferì lavorare con noi piuttosto che con altre situazioni che magari gli avrebbero fatto guadagnare più soldi (e di proposte gliene arrivarono parecchie!) perché ci teneva a rimanere in un ambito underground. Era la parte imprenditoriale dei Crass, non ha mai figurato nei credits, solo gli addetti ai lavori lo conoscono, ma era a tutti gli effetti un membro del gruppo. D'altronde, anche se sei una comune anarchica, dal momento in cui decidi di fondare una casa discografica e quindi di avviare un'attività commerciale ci vuole qualcuno che sia in grado di gestirla, conciliando l'elemento libertario con il mondo del business. Lui era la persona perfetta, sapeva lavorare col marketing ma da anarchico, una cosa fantastica. Con i Crass in generale c'era un legame molto saldo, pensa che avremmo dovuto pubblicare un 45 giri con loro come RAF Punk, anche se poi per tutta una serie di motivi non se ne fece nulla.

Un altro legame bellissimo è quello con Jello Biafra: eravamo arrivati a un livello di confidenza per cui ci scambiavamo i dischi come figurine… Alcuni anni fa venne a suonare con i Guantanamo School Of Medicine al Forte Prenestino, avevamo già perso i contatti da tempo ma dopo il concerto mi intravide tra la folla e venne ad abbracciarmi, dicendo che mi stava cercando perché mi aveva riconosciuto in platea! E' stato troppo bello perché l'ultima volta che ci eravamo visti io ero ancora Jumpy! Gli chiesi come avesse fatto a riconoscermi e lui disse "Sìsì, lo sapevo già che nel frattempo eri diventata una donna!". L'ultima volta che venne a suonare con i Bloody Riot come backing band il giorno dopo lo andai a prendere in macchina per fare un'intervista che sarebbe finita su un documentario sui Disciplinatha, passammo una giornata intera insieme, fu bellissimo.

Poi i Black Flag, con cui c'è tutta una serie di strani intrecci: una mia ex lavorava alla Italian Records, che distribuiva in Italia i dischi della SST, e a furia di parlare al telefono lei e Greg Ginn si innamorarono e andarono a convivere a Lawndale… Stavano per sposarsi, poi la cosa si è rotta e lei è tornata in Italia. Un'altra mia ex invece ebbe una relazione con Dez Cadena. Anche con Henry Rollins, che rimane il mio punto di riferimento vocale, ho sempre avuto un buon rapporto. Nel 2000, in occasione del Pride, il manifesto mi chiese di curare uno speciale di Alias sulla musica LGBT e io ci buttai dentro anche lui, che pur essendo assolutamente eterosessuale è sempre stato il modello perfetto del maschio alfa, quello desiderato da tutti gli uomini, alla faccia della connotazione stereotipata e per l'appunto "gaia" della maggior parte dei musicisti gay… La cosa assurda è che negli USA questi sono tutti considerati personaggi di primo piano: per dire, quando Kira Roessler ha vinto l'Oscar o quando è morta Lorna Doom là se ne è parlato su tutti i giornali, mentre da noi ancora oggi sono cose per iniziati...

Su questo ormai mi sono messo l'anima in pace. Rimpianti, invece?
Uno, fondamentalmente: non aver mai pubblicato un disco degli Skiantos perché li consideravo un gruppo troppo grosso… E la cosa assurda è che tanti anni dopo lo dissi a Robertino e lui rispose "Ma perché non me l'hai detto? Lo avremmo fatto subito!", e si capiva che era sincero! Purtroppo avevo già chiuso la casa discografica…

Io te lo risparmierei pure, ma sono domande di prammatica: del nostro poco confortante presente musicale, che mi dici?
Ti dirò una cosa che può sembrare provocatoria, ma lo penso davvero: credo che la storia delle autoproduzioni, nata nei miei anni, se da un lato era democratica perché permetteva a tutti di fare dischi, dall'altro ha abbassato il livello qualitativo. Per dire, io i gruppi li sceglievo con una logica. Anche la maggior parte dei nomi stranieri che amavamo non erano affatto autoprodotti. Pensa a quelli della SST: erano tutte band selezionate. Avrebbero fatto le stesse cose se si fossero autoprodotti? Il primo singolo dei Germs è autoprodotto ed è inascoltabile, mentre l'Lp ufficiale prodotto per bene da Joan Jett è meraviglioso. I gruppi emergevano quando qualcuno decideva di puntare dei soldi su di loro e produceva cose ben fatte. Adesso autoprodursi è diventata la norma, e difatti ci sono molti più gruppi rispetto all'epoca. Ogni giorno su Bandcamp o Soundcloud esce una quantità sterminata di roba, che nessuno ascolta e che spesso trovi direttamente in download gratuito, come se chi la posta fosse il primo a rendersi conto che non può venderla.

Anche perché adesso non c'è più bisogno di nessuno strumento, la musica si può fare non solo col computer ma addirittura col cellulare, per quanto sono diventate semplici le nuove app. Per qualche strano motivo però è rimasta questa idea che ci debba essere per forza un gruppo, soprattutto nel nostro paese: l'altro giorno guardavo in televisione una band ignobile che cantava sopra a una base elettronica in playback (per verificarlo ho fatto un test che funziona sempre: li ho fatti ascoltare a Shazam, e li ha subito riconosciuti…), e senza alcun motivo c'erano due tizi con le chitarre acustiche, ovviamente col jack staccato, come se per essere credibili fosse necessario comunque presentarsi con degli strumenti! La televisione italiana è rimasta agli anni 50, anche quando negli 80 si faceva solo roba sintetica doveva comunque esserci sul palco uno con la chitarra… Mi ha fatto pensare a quando i New Trolls fecero un memorabile concerto in televisione in cui si sentivano mille strumenti, ma loro sette si presentarono solo con le chitarre acustiche. Solo che quella fu una provocazione stupenda…

Già…
Però poi accade che Youtube Italia stila una playlist dei migliori esordienti, e ti rendi conto che diciotto su venti sono rapper, nessun gruppo: qualcosa non torna. Tutti cantanti, sparita proprio l'idea del gruppo. Molto preoccupante, ha degli implicazioni sociopolitiche significative. Ed è sempre la stessa minestra riscaldata, venti pezzi diversi di venti artisti diversi che sembrano tutti usciti dallo stesso, brutto disco. Ma poi nemmeno rapper, magari ci fosse qualcuno che sa rappare per davvero: adesso vanno forte solo sti pseudo-trapper che cantano con l'autotune (cantano, mica rappano!). Canzoncine d'amore per ragazzini, però vestiti in modo punk, con i capelli colorati e i giubotti con le borchie… Questo mi infastidisce molto, vuol dire vendere un'estetica trasgressiva con contenuti estremamente tranquillizzanti. E' un prodotto in completa armonia con la logica del nuovo che avanza, che in realtà è il vecchio che marcisce… Tutta questa rabbia e questo rancore trasmessi attraverso un mezzo perbenista, è una cosa strana. Tra l'altro è evidente che non si divertono, sono seriosissimi, mentre noi ci divertivamo un mondo… Quando li senti parlare come se fossero dei piccoli manager di loro stessi, con italiano perfetto e una gran conoscenza del mondo degli affari, vorresti davvero rispondergli con qualche frase di John Lydon, e sai qual'è il problema principale? Che anche io mi ritrovo a ragionare con un'ottica rivolta al passato…

Che vuoi farci, sono semplicemente dei furbacchioni, hanno capito che adesso la musica la trainano i dodicenni che guardano i talent e sognano di diventare famosi, e quindi fanno musica per dodicenni. Anche i talent in un certo senso hanno deformato il messaggio del punk. Per noi era: non hai talento? Non importa, se hai voglia di suonare forma un gruppo e vaffanculo. Adesso è: non hai talento? Non importa, la televisione può renderti famoso lo stesso. Il punto è che questo crea una generazione di ragazzetti che fanno tutti le stesse cose, ed è inquietante che le case discografiche siano disposte a spendere tutti quei soldi per delle simili schifezze. Questa gente fa due concerti per sera in discoteca, con biglietti costosi e arriva comunque all'overbooking, mentre un gruppo come gli Assalti Frontali ancora adesso suona nei centri sociali davanti a qualche centinaio di persone… Per noi il mainstream e la nostra musica erano proprio due mondi diversi, mentre adesso in qualche maniera si fondono.

Avrei preferito chiudere con gli Skiantos…
Ciò non toglie che di musica bella ce ne sia ancora tantissima, il fatto è che il più delle volte si tratta di artisti che replicano cose già fatte milioni di volte, prodotti magari estremamente buoni come fattura (d'altronde sono registrati con Pro Tools, quantizzando la batteria, intonando la voce, ecc…) ma che poche volte entusiasmano. E' assurdo perché adesso si potrebbe sperimentare avendo molta più possibilità di farsi conoscere, eppure non lo fa quasi nessuno… All'epoca ogni cosa nuova che usciva era una figata: il nuovo disco dei DOA, pazzesco! Il nuovo disco degli MDC, pazzesco! Il nuovo disco dei DRI, pazzesco! Ogni gruppo che veniva fuori era diverso, aveva caratteristiche nuove e un modo unico di interpretare il genere, l'evoluzione era costante. Parlando di new wave, i Bauhaus erano completamente differenti dai PIL; parlando di punk, i Discharge erano tutt'altra cosa rispetto ai Black Flag. Adesso invece i gruppi suonano "alla"… Ci si attiene a un sound uniformato, non vengono fuori cose che rompono gli schemi. Ci credo che i più giovani corrano ad ascoltarsi i gruppi degli anni 70/80, anni in cui si fece ricerca, in cui creatività e sperimentazione erano determinanti. Roba che non vendeva (quelle stesse persone hanno più pubblico oggi che allora) e campava solo perché aveva costi bassissimi, ma trasmetteva a chi la produceva e ascoltava un forte senso di appartenenza alla scena.

Ora escono in continuazione un sacco di dischi, e sono tutti uguali, copie perfette ma pur sempre copie, con pochi guizzi. Questo riguarda anche situazioni importanti: la scena hardcore di New York, quella emocore di San Diego… Sono pochi gli ambiti in cui vedo voglia di innovare: in particolare seguo molto il neo-crust e le mille scene black metal in giro per il mondo (soprattutto quella ucraina, che molti considerano erroneamente nazista quando in realtà è solo anti-russa), situazioni che tendono ad essere più fresche e aperte alle contaminazioni. Non a caso sono musiche a basso tasso di pogabilità, che in questi generi è l'indice di quanto una cosa sia commerciale... Poi vabbè, c'è il D-beat di cui non potrò mai averne abbastanza: anche se sono sempre uguali a se stessi, quei gruppi dal vivo rimangono orgasmo puro! Va anche detto che in Europa non abbiamo avuto la capacità di costruirci una controcultura autenticamente europea, mentre negli Stati Uniti una cosa che funziona in California funziona anche nel Wisconsin.

Vero…
Questa omologazione allucinante riguarda tutti gli ambiti, anche la musica da ballo, soprattutto nel nostro paese: se vai in un locale trovi ovunque sta tech-house che esiste solo da noi, ed è assurdo perché di musica elettronica ballabile ne esistono centinaia di tipi diversi! Eppure non ne trovi uno di locale che metta, chessò, jungle o dubstep, e questo riguarda sia gli squat che i posti commerciali. Purtroppo è un discorso particolarmente vero per la comunità LGBT: giusto un po' di techno morbida e per niente hardcore, oppure porcherie commerciali, come se fosse inconcepibile che un omosessuale possa ballare altri tipi di musica… Sempre cose divertenti e "gaie", perché è ovvio che un "frocio" non possa ballare speedcore. Pensa che una volta a me hanno rotto le palle quando feci un dj set gabber, perché la consideravano musica da fascisti… Altre volte però è successo il contrario, magari in situazioni di centri sociali molto rovinosi: mettevo techno "vera" e la gente veniva a congratularsi perché finalmente ascoltava qualcosa di tosto, altro che la narcolessia che era costretta a ballare di solito!

Adesso poi sono tornate di moda addirittura le cassette! Un po' di tempo fa sono andata al concerto di un gruppo che suonava una specie di psichedelia elettronica, la musica era molto interessante ma mi ha colpito questo fatto che incidevano solo su cassetta: perché? Un conto è fare un album hardcore o black metal, ma se fai elettronica che senso ha metterla in circolazione in analogico su cassetta?! E stanno tornando anche quelle con la copertina fotocopiata in bianco e nero: all'epoca era una necessità, oggi è un'estetica. Se una cosa diventa un'estetica vuol dire che si sta celebrando il passato, che si torna indietro e ci si chiude, non va mai bene. Anche tutta questa nuova psichedelia che sta riesplodendo, soprattutto in Germania: fanno musica anni 70 meglio dei gruppi anni 70, e anche come look sembrano proprio usciti dall'epoca. Certo, alcuni riescono a farlo in modo situazionista: ultimamente ho ascoltato il disco di un produttore dub canadese in cui i titoli dei brani erano fusioni di parole dalla scena kraut, tipo "Soon Over Yeti" o "Amon Dream", cose così… Sono dischi molto ben fatti, me li ascolto, ma possibile che non riusciamo più ad andare avanti? D'altronde, forse oggi anche Jimi Hendrix sarebbe costretto ad autoprodursi…

Helena Velena su OndaRock

Vai alla scheda artista

Helena Velena sul web

Sito ufficiale di Helena Velena