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Le classifiche degli artisti

Italia 2019: gli album preferiti di Vittorio Nistri

di Valerio D'Onofrio

Vittorio Nistri è membro e mente creativa di una delle band più originali e innovative nello scenario della musica indipendente italiana, i Deadburger. Anche nel 2019 l'ho contattato per discutere degli album a suo parere più interessanti dell'anno e fare un punto sugli avvenimenti principali degli ultimi dodici mesi.

Ciao Vittorio, da un po’ di anni ormai chiudiamo l’anno parlando degli album che ti sono sembrati più rappresentativi. Per iniziare volevo chiederti come va la preparazione del nuovo album dei Deadburger che si preannuncia, a leggere alcune anticipazioni come una grande novità discografica, piena di innovazioni e partecipazioni.
vittorionistri397x550Ti ringrazio, Valerio. Confermo che “La chiamata”, il nuovo lavoro della Deadburger Factory, uscirà nel 2020. Le registrazioni sono terminate, ed è pronta pure la copertina (opera anche questa volta di Paolo Bacilieri). Rimangono da finire solo i mixaggi e il booklet. Rispetto a “La fisica delle nuvole”, che già all’epoca era stata pensata come la prima parte di un dittico, il nuovo album sarà “l’altro lato dello specchio”. Non ho idea di come verrà accolto. Devo mettere in preventivo che possa non piacere a chi aveva apprezzato il nostro lavoro precedente, perché ne sarà l’antitesi. Quello era un trip nell’inner side, incentrato sui suoni evocativi di viola, flauto ecc. Questo sarà un faccia a faccia con l’outer side, la realtà esterna, tutto incentrato su suoni “materici”: in primis, pelli percosse (i brani hanno doppia batteria) e fiati urlanti. L’album ha richiesto una gestazione lunga e complessa. Avevamo una visione in testa, e siamo riusciti a realizzarla, grazie anche ai meravigliosi musicisti che hanno preso parte a questa avventura: Zeno De Rossi, Cristiano Calcagnile, Bruno Dorella, Alfio Antico, Lalli, Enrico Gabrielli, Edoardo Marraffa, Silvia Bolognesi e molti altri.
Ti confermo che nel 2020 uscirà, oltre al nuovo Deadburger Factory, anche l’album di esordio di OSSI, un nuovo progetto mio e di Simone Tilli (vocalist dei Deadburger). Le chitarre sono state suonate da Dome la Muerte (Not Moving) e Appino (Zen Circus); alla batteria c’è Bruno Dorella. La parte musicale è pronta (abbiamo terminato i mixaggi il mese scorso), resta da preparare l’artwork.

Si chiude l’anno 2019, ma si chiude anche un decennio che, per quanto non sia un periodo lunghissimo, è comunque un periodo caratterizzante. Molto spesso noi ragioniamo in musica o cinema anni 70 o 80, riconoscendo in ciò caratteristiche peculiari in ogni singolo decennio. Questo decennio Dieci cosa ci lascia?
Difficile oggi aspettarsi correnti artistiche unanimemente riconosciute quali identificative di un periodo, come invece era la regola in passato (tu citi gli anni 70 e 80, ma il discorso vale anche per i 50, 60 e – ultimi fuochi? - per i 90). A partire dagli anni 00, con la definitiva esplosione di massa del web e l’arrivo degli iPhone, musica e cinema hanno perso la centralità che avevano nell’immaginario. In passato, l’humus creato da musica e film formava gusti destinati a durare per lo meno qualche anno, e influenzava scelte di linguaggio, di abbigliamento, persino ideologiche. Oggi ad influenzare non è più il rock – caso mai, le Chiare Ferragni e i Luca Morisi. Senza più alcuna necessità di comprare un disco per sentire musica, o di andare al cinema per vedere un film, siamo immersi in un ininterrotto, e virtualmente infinito, flusso di musiche e filmati. Il colossale moltiplicarsi di stimoli facilita una fruizione di tipo orizzontale (uno stimolo dietro l’altro) invece che verticale (soffermarsi su un numero limitato di stimoli per approfondirli e “interiorizzarli”). In sintesi: rispetto a prima, ascoltiamo più musiche, e vediamo più film (come pure serie televisive, video su YouTube, microvideo su TikTok ecc.), però attribuendo loro meno importanza, meno investimento emotivo. Difficilmente si lascia loro il tempo di sedimentarsi dentro noi. Non c’è più tempo per farlo, oggi che la velocità è vista come un valore assoluto (si pensi alla comunicazione social, dove più che la fondatezza di ciò che si dice, conta la sinteticità e la tempestività con cui lo si dice. O alla inquietante opzione di “visione in streaming a velocità 1.2 invece di 1.0”, che Netflix sta sperimentando per spettatori patologizzati dalla bulimia audiovisiva).
Tornando alla tua domanda: non è che oggi non ci siano più “trend” nella musica o nel cinema. Ne vengono fuori a getto continuo, ma…. o non vengono vissuti come “importanti”, o – se anche accendono qualche fuoco di interesse – si tratta di incendi velocissimi. Presto scalzati da mille altre cose su cui indirizzare il tempo-schermo.

Anche nel decennio appena trascorso la scena musicale ha visto svariate tendenze, ma nessuna (salvo forse la trap… tutto dire!) ha avuto una eco abbastanza duratura da caratterizzare la decade. Alcuni esempi? L’electrojazz di Flying Lotus, ai tempi di “Cosmogramma”, era un mondo carico di possibilità, ma già al disco successivo appariva digerito e quasi “classic”. Idem la footwork sdoganata da Jlin, o il soul bianco e minimal-elettronico di James Blake, o l’harsh-kraut degli Horse Lords. Per non parlare del continuo rispolvero di cartoline dal del passato - quali lo shoegaze (oggi “dream-pop”) o il synth-pop degli 80's - presentate come novità del momento (del giorno? dell’ora?).
Consoliamoci pensando che questi anni 10 ci hanno portato parecchia bella musica. Sia da vecchi leoni (in primis, il meraviglioso commiato di Bowie e gli indomabili Swans) quanto da nuove leve. Faccio qualche esempio, senza pretesa di esaustività.

Un manipolo di iperattivi neopsichedelici, inessenziali ma amabili (King Gizzard, Ty Segall, Oh Sees, Goat, Reverend Beat-Man). Alcuni sperimentatori incatalogabili (Nadah el Shazly, Mats Gustafsson, Anna Von Hausswolff ecc). Un grande e creativo fermento in area “avant-jazz” (ma avrà ancora senso chiamarlo “jazz”?), per me il più prodigo di stimoli nell’ultima decade: The Comet Is Coming, Sons of Kemet, Melt Youself Down, Fire! Orchestra, l’isolato ma seminale esperimento “Cherry Thing”, Rob Mazurek, Colin Stetson, Joshua Abrams, Damon Locks, Cristiano Calcagnile/Stoma, The Young Mothers, Heliocentrics, Maurice Louca, HHY & the Macumbas ecc.

Nella scena italiana, una tendenza caratterizzante degli anni 10 a dire il vero si è vista, ed è quella del definitivo affermarsi di un indie-pop che – a prescindere da ogni giudizio di valore - di “indie” ha poco o nulla (almeno, per il significato che in precedenza veniva attribuito a questo termine). Ci sono però tanti artisti che indomitamente continuano a battere strade lontanissime dal mondo indie-pop. Come Iosonouncane, Cesare Basile, In Zaire, C’mon Tigre, Claudio Milano, i purtroppo scioltisi Butcher Mind Collapse e St Ride, Luca Collivasone, Maisie, Forbici di Manitù, Hobocombo, Oteme, Ooopopoiooo, Paolo Risaliti, Lay Llamas ecc. Menzione speciale per l’inattesa e affascinante svolta sperimentale di Alfio Antico, e per “19m40s”, collana di “anticlassica” per corrispondenza, intrepido progetto di Enrico Gabrielli e Sebastiano De Gennaro.

Oltre la musica, cosa ti senti di dirci in breve su cosa sia stato questo decennio, come pensi sia cambiata la nostra vita e la nostra società?
E’ stata una decade sotto il segno dei Trump, Orban, Bolsonaro, Putin, Salvini ecc. (con annessi rigurgiti di fascismo e razzismo). E’ stata la decade dell’Isis e del Bataclan, dei curdi abbandonati, dello spegnersi delle Primavere Arabe. Dei muri, degli haters, dell’individualismo sterile. Del dramma dell’immigrazione e delle psicosi su di esso deliberatamente costruite per distrarci dai nostri problemi reali. E pure la decade del trionfo di Netflix e Amazon. Ecc ecc.
Buona parte di quanto sopra è scaturita, o comunque è stata facilitata, dall’esponenziale incremento della digitalizzazione dell’esistenza, che sta rivoluzionando praticamente tutto. A partire dalla politica, dove la comunicazione a mezzo social ha reso possibile una sintonizzazione quotidiana tra leader e singoli elettori con una precisione chirurgica impensabile nei medium precedenti; così che il consenso premia più la sintonia “di pancia” che non la ragionevolezza o l’attendibilità di quel che il leader dice. La nostra vita quotidiana sta peggiorando: il mondo del lavoro è sempre più incerto precario e sfruttato, l’ambiente rischia un collasso di cui i nostri figli dovranno pagare il prezzo… ma la percezione distorta veicolata dai nuovi media ci porta a incanalare il nostro scontento verso bersagli immaginari, o che comunque non hanno a che fare coi nostri veri problemi. E intanto, si stanno erodendo sempre più le conquiste faticosamente raggiunte dai lavoratori nel Novecento. Smantellamento del welfare state… attacchi allo statuto dei lavoratori… salari in caduta libera (o bassissimi fin dall’inizio, in caso di molte delle nuove professioni emergenti, come gli “operai del data entry”)… trionfo (grazie anche agli acquisti da parte delle sue stesse vittime!) del turbocapitalismo aggressivo e smodato di Amazon & C. Al progressivo e apparentemente inarrestabile aumento di diseguaglianze e ingiustizie ha contribuito in modo determinante la scomparsa del senso di appartenenza a una “classe sociale”. L’egoriferimento dominante nei social è stato perfettamente funzionale a questo passaggio da “comunità di persone” a massa informe di singoli, ciascuno perso nel proprio individualismo sfrenato. Vedo un filo logico coerente che da “riflusso”, edonismo reaganiano, smantellamento dello stato sociale thatcheriano ecc., arriva alla narcosi digitale contemporanea. Ci sta che la prossima decade porti un aggravamento dello scenario (con i rivolgimenti epocali, positivi ma anche negativi, connessi all’arrivo dell’Intelligenza Artificiale).

The Comet Is Coming – “Trust In The Lifeforce Of The Deep Mystery

the_comet_is_coming_trust_in_the_lifeforce_of_the_deep_mysteryConsiglio l’ascolto di quest’album ai miei amici più “rockisti” e diffidenti verso il “jazz”. Anche io sono cresciuto con il rock , e sarà sempre questo il mio ambito di riferimento; il punto è proprio che io ritrovo alla grande il cuore e i nervi pulsanti del rock in una band come i The Comet Is Coming, sebbene sia in teoria un “trio jazz”, e incida per una storica etichetta del settore (la Impulse). Sarà perché è un trio insolito (sax, batteria e sintetizzatori), sarà perché il sassofonista Shabaka Hutchings (attivo anche in altri progetti, tutti interessanti) sta emergendo come uno dei musicisti più creativi e propositivi oggi in circolazione… ma un brano come “Summon The Fire” mi sembra sfuggire ad ogni clichè. Come definire questa roba? New-new wave in salsa jazz? The Modern Dance versione 2020? James Chance che flirta con lo space rock? Una colonna sonora per nuove tribù metropolitane? Non so la risposta, ma so che mi piace. Certo che, da un pezzo, gli steccati tra generi sembrano aver perso ogni senso (ammesso che l’abbiano mai avuto).

75 Dollar Bill – “I Was Real

fiftydollarbillSono come tutti costantemente in debito di tempo, e mi capita molto raramente di potermi concedermi il lusso di staccare da tutto, per regalarmi mezz’ora di puro trip, ad occhi chiusi, in qualche universo parallelo, come a volte facevo da ragazzo con “Rainbow In A Curved Air” di Terry Riley. Quest’anno però un trip del genere me lo sono concesso, appunto con quest’album dei 75 Dollar Bill, e sticazzi se funziona. I 75 Dollar Bill sono un duo improbabile che più improbabile non si può. Il chitarrista si chiama Che Chen e, come si capisce dal nome (identico a quello del tipo che terrorizzava anche l’Occidente), è di razza asiatica… però è nato nel Connecticut, e ha studiato musica modale in Mauritania! Il percussionista si chiama Rick Brown, usa tempi storti e disparissimi… però riesce a ricondurli a una pulsazione arcaica e elementare, grazie all’uso di sonorità minimali, anzi proprio spartane (a volte il suo set percussivo si limita unicamente a un cajon, o a un campanaccio). Rick è pure un homo electronicus (per inciso, ha curato remix per artisti come i Tortoise), benchè nei 75 Dollar Bill non ci sia alcuno strumento elettronico (l’intervento digitale di Rick si esplica nel lavoro di assemblaggio in studio, con cui taglia e cuce le improvvisazioni del gruppo fino a dare loro la forma compiuta con la quale appaiono su disco).
Se il duo è strambo, la musica che produce non lo è di meno. Desert blues (Bo Diddley che incontra la musica tuareg?), trance psichedelica a palla e avanguardia (l’accordatura per quarti di tono delle chitarre microtonali; i pattern iterati e sfasati, quasi alla Steve Reich; l’ipnosi krauta). Non è roba che si presti a un ascolto frettoloso su pc o iPhone; ma garantisco che, se ascoltata nella giusta situazione, regala un bel trip lisergico senza bisogno di additivo chimico alcuno.

Maurice Louca – “Elephantine”

loucaelephantinecop_01Louca è un compositore, direttore d’orchestra e chitarrista egiziano. Viene dal Cairo, come Nadah El Shazly (che con “Ahwar” firmò uno dei lavori più sperimentali e innovativi del 2018, e che qui appare come guest). “Elephantine” è un disco molto personale; mi fa venire in mente John Fahey che incontra Sun Ra in visita in Egitto! Ho menzionato Fahey per il ruolo focale della chitarra acustica di Maurice, che dialoga da pari a pari con un ensemble jazz di 12 elementi. Sorprendente l’equilibrio tra la fragilità della prima e la densità materica del secondo, come ben esemplifica il brano di apertura.

Fire! Orchestra – “Arrival

fireorchestraarrival_1559124418Vabbe', con questo gruppo non posso essere oggettivo, è uno dei miei preferiti in assoluto degli anni 10, e credo che abbia influenzato alcune orchestrazioni del’imminente nuovo album della Deadburger Factory. Questo nuovo lavoro dell’ensemble diretto dal formidabile Mats Gustafsson vede la sperimentazione andare a braccetto con il calore della soul music… il che è abbastanza sorprendente, visto che non si tratta esattamente di una formazione “black”. L’Orchestra ha base in Svezia, e i 14 membri sono tutti bianchissimi fuorché una delle due cantanti. Nell’album ci sono sia spigoli (si senta “Dressed In Smoke. Blown Away”, uno slowcore col sax che geme e rantola come se non ci fosse un domani, e i violini usati non per “addolcire” bensì per vere e proprie staffilate noise) sia grandi melodie. Ad esempio, una bella e toccante versione di “At Last I’m Free” degli Chic (già coverizzata anche da Robert Wyatt), con la voce che a un certo punto diventa uccello e si leva in volo.

Reverend Beat.Man & Izobel Garcia – “Baile Bruja Muerto

reverend_beat.man__izobel_garcia__baile_bruja_muertoIl mio album r’n’r del 2019. Il reverendo Beat-Man (vero nome: Breat Zeller) è lo svizzero meno svizzero che io conosca. Genuinamente fuori di testa, voce marcia, faccia da invito a nozze per Lombroso. Capace in concerto di mimare l’estrazione del cervello dalla scatola cranica di uno spettatore e mangiarselo. Soprattutto, capace di maneggiare materiali ampiamente storicizzati come garage rock, psychobilly, surf, psichedelia, riuscendo a imprimere in essi una sua cifra personale, e rendendoli vivi e pulsanti come se li avesse appena inventati lui. Questo album lo ha inciso in duo con la messicana Izobel Garcia. Lui suona chitarra e batteria, lei un Farfisa o qualcosa del genere, ed entrambi cantano. Lavorare con una bella ragazza ha chiaramente lasciato un segno nella psiche del Reverendo: nella tracklist c’è un brano che si chiama “Viva La Figa”, e il testo consiste nel titolo ripetuto una ventina di volte con tangibile entusiasmo. Tra i tanti brani validi, segnalo “Come Back Lord” (degno dei migliori Fuzztones, con una performance vocale travolgente del reverendo) e “Pero te Amo” (la Bella e la Bestia: Sorella Izobel canta sensuale e incantatrice, Fratello Beat-Man fa l’orco sia con la voce che con la chitarra).

ALTRI 5 TITOLI DA SEGNALARE

Damon Locks & Black Monuments Ensemble – “Where Future Unfolds
Da Chicago, un progetto di sensibilità sperimentale ma anche di immediato calore comunicativo. Groove presi dall’hip-hop e dall’afrobeat + meravigliose voci gospel + spirito antagonista (nel disco ci sono vari campionamenti presi da manifestazioni di protesta per i diritti civili). L’Ensemble comprende una quindicina di elementi, ma si tratta per la maggior parte di cantanti e danzatori, mentre il parco strumentale è minimalista e inconsueto: solo percussioni, loop e un clarinetto. 

Lingua Ignota - “Caligula
Come antidoto alle urla degli hater, la bellezza di un urlo che invece è catarsi e riscatto.

Caterina Barbieri – “Ecstatic Computation
Italiana a Berlino (ennesima fuga di cervelli), compositrice di musica elettronica altamente evocativa, amante dei sintetizzatori Buchla. Il brano “Fantas” è una vertigine luminosa.

Paolo Angeli – “22.22. Free Radiohead”
L’ultraterrena chitarra sarda preparata di Angeli (capace di essere contemporaneamente chitarra, basso, violino, percussione, generatore di rumori) rivisita e dilata con improvvisazioni alcune belle melodie dei Radiohead

Massimo Volume – “Il nuotatore
Per questo non servirebbe spendere parole: i Massimo Volume li conoscono (meritatamente) tutti. Ma lo faccio ugualmente, perché questo nuovo lavoro mi sembra tra le loro cose migliori di sempre, sia come musiche che come parole. Bellissimo e visionario il testo della title track.



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