Che ne è stato dei live album?

I dischi dal vivo vanno sempre meno, ma anche sempre di più

At Fillmore East”, “Live/Dead”, “Happy Trails”, “At Folsom Prison”, “Kick Out The Jams”, “Under A Blood Red Sky”. Ma anche “À l’Olympia” (Alan Stivell), “Live At The Apollo” (James Brown), “Live” (Barclay James Harvest). Dove sono finiti, dischi così? Album dal vivo capaci talvolta di scalare le classifiche e, in alcuni casi, di imporsi come le opere più rappresentative nella carriera dei rispettivi autori?
Nell’elenco delle pietre miliari di questo sito, osserveranno i lettori più smaliziati. Altra risposta possibile: su tutte le principali piattaforme di streaming. Vero. Ma la domanda non era davvero quella. Il punto, piuttosto, era: questi e altri album live, un tempo mitologici, lo sono ancora altrettanto? E di nuovi live album leggendari ne escono ancora? Ne sono stati pubblicati negli ultimi, facciamo, vent’anni?

La percezione diffusa, fra appassionati e osservatori giornalistici, è che non sia così. Che il formato live album stia da molto attraversando una fase di declino. In tempi recenti, diverse testate hanno cercato di indagare il perché della morte dell’album dal vivo (gioco di parole troppo naturale per evitarlo): fra gli altri, ci hanno provato Graeme Thomson su The Spectator, Matt Mills su Whynow e, nelle scorse settimane, anche Il Post. Le argomentazioni sviluppate negli articoli sono similari, e analoghi (nonché assai scarsi) sono anche i dati su cui le analisi risultano basate.
Gli hard facts essenzialmente sono questi: quantomeno dal nuovo millennio, i live album sono sostanzialmente scomparsi dalle classifiche degli album più venduti (e, oggi, più riprodotti in streaming); sempre più raramente popstar di primo piano pubblicano e promuovono propri dischi dal vivo; sulle principali piattaforme di streaming musicali anche album dal vivo che una volta erano topseller oggi arrancano rispetto ad altri titoli dello stesso artista. Per di più, algoritmi e playlist editoriali attraverso cui le piattaforme propongono ai loro utenti nuova musica sembrano penalizzare le registrazioni dal vivo, e le playlist interamente dedicate a musica live, anche quando molto seguite, hanno una frazione assai limitata di like rispetto ad altre playlist di successo (uno dei pochi esempi quantitativi citati è il confronto fra i centomila like Spotify di “Legendary Live Performances”, nel frattempo sostituita da “Rock Live”, 90mila like circa, e gli oltre dodici milioni di “Rock Classics”, in cui non figurerebbero brani dal vivo).

L'altra faccia della medaglia

Disporre di dati aggregati provenienti da Spotify e simili è notoriamente difficile, dunque, confermare o smentire in via definitiva questa lettura attraverso ulteriori misurazioni è tutt’altro che semplice. Che vi sia stato un calo di popolarità del formato rispetto all’"età dell’oro" dei live album, legata alla massima affermazione del rock negli anni Settanta, appare d’altra parte decisamente plausibile.
Osservata da un differente punto di vista, però, la prospettiva del declino risulta molto meno convincente. Se si prova a valutare non il numero di ascolti complessivo registrato dai live album, bensì la quantità di album dal vivo pubblicati ogni anno, non solo reperire dati risulta più immediato, ma la tendenza addirittura si inverte. Con buona pace di chi ha dato per scontata la morte del live album, si deve giungere a una conclusione opposta: proprio in questi anni, il formato è più diffuso che mai – sia in termini assoluti, che in termini percentuali.



Com’è possibile? I dati che conducono a questa valutazione sono piuttosto compositi (il conteggio dei live album proviene da Rateyourmusic, quello degli album totali da Discogs) e la presenza al loro interno di qualche forma di bias è pressoché certa, ma la tendenza in crescita è difficilmente contestabile. La chiave di lettura è semplice: benché corrispondano a un business sempre meno seguito a livello di grande pubblico, presso le nicchie indipendenti i live album sono un approdo sempre più solido e accessibile. Rispetto agli anni Settanta e Ottanta, i costi di realizzazione si sono abbattuti e i mezzi tecnici per ottenere una buona resa audio sono molto più disponibili.
Seguendo il trend che emerge dai dati, è anche possibile individuare alcuni punti di svolta cronologici: il primo, corrispondente all’inizio della fase esplosiva, risale all’avvento del compact disc (fra il 1988 e il 1990 le vendite di cd superarono quelle di vinili e audiocassette). Tagliando drasticamente le spese per la pubblicazione, la nuova tecnologia spinge anche un mercato che fino ad allora era restato molto marginale: quello delle live release di archivio – concerti d’epoca di band storiche dotate di una fanbase affezionate. Circa a metà degli anni Duemila si assiste invece a una graduale stabilizzazione: la contrazione delle vendite, indotta anche dal peer-to-peer, limita i profitti associati alle nuove uscite e frena un’ulteriore crescita, preludendo con le sue dinamiche all’attuale era delle piattaforme di streaming (che ha ridotto sostanzialmente le entrate per ascolto sostanzialmente a zero per moltissimi artisti). Dopo un calo nella prima metà degli anni Dieci, la percentuale di live album sembra comunque aver ripreso nuovamente quota e – a dar credito ai dati – parrebbe aver raggiunto proprio nel 2023-2024 il suo massimo assoluto.

Non è scontato che i dati relativi agli ultimissimi anni siano pienamente attendibili (le diverse tempestività nel caricamento delle nuove uscite su RYM e Discogs potrebbero generare effetti distorsivi), ma è comunque possibile formulare alcune ipotesi verosimili per la nuova crescita che il grafico suggerisce dal 2017 in poi. Queste riguardano, come è giusto che sia, soprattutto i circuiti più distanti dal mainstream, per il quale invece – in buona parte dei paesi – sembra effettivamente che la produzione di live album sia meno intensa di un tempo. Che i proventi degli streaming siano scarsi vale, con le debite proporzioni, tanto per i pesci grandi quanto per quelli piccoli: ciò che cambia, però, sono le fonti alternative a cui artisti ed etichette si affidano per i propri profitti. Mentre nel mainstream sono ormai la norma i 360 deals – accordi economici che puntano a monetizzare ogni aspetto del brand legato all’artista, incluse le sponsorizzazioni legate alla pubblicità, alle linee di abbigliamento ecc. – nei settori meno in vista le date dal vivo svolgono un ruolo nettamente preponderante nel formare i (magri) salari degli artisti. Vista la necessità di dedicare quanto più tempo possibile ai tour concertistici, la possibilità di intervallare le pubblicazioni di nuova musica registrata in studio con incisioni live offre un doppio vantaggio: ottimizzazione di tempi e costi, e promozione della qualità dei propri show. Il tutto aggiungendo quel poco di novità utile a tenere viva l’attenzione dei propri fan e di chi si occupa di musica in Rete.

Un decennio di live album?

Anche altri elementi controtendenziali sottolineano come sia presto per il de profundis della musica incisa dal vivo.
Innanzitutto, rispetto a un tempo sono più diffusi tipi diversi di live album (in parte perché sono più diversificati anche i live); inoltre, i dischi live sono sensibilmente “più live”, nel senso che i rimaneggiamenti in studio – da sempre presenti, anche e soprattutto nei dischi del “periodo d’oro” del rock dal vivo – sono meno vistosamente impattanti rispetto a qualche decennio fa.
Provare a stilare un elenco di album dal vivo significativi usciti negli ultimi dieci anni è un esercizio personale che può essere utile per fare il punto sulla ricchezza del panorama: fra i possibili candidati, figurano le innumerevoli release di performance complete dei King Gizzard & The Lizard Wizard, live album-compilation che fungono da best of delle intere carriere degli artisti coinvolti (fra gli esempi “L-1ve” degli Haken, “Live” degli Odezenne e, in parte, le riletture condotte da Kate Bush con “Before The Dawn” a nome KT Fellowship) o, al contrario, versioni dal vivo di album molto amati dai fan, come “Carrie & Lowell” di Sufjan Stevens, “Illmatic” di NAS, “Music For People In Trouble” di Susanne Sundfør, “Seventeen Going Under” di Sam Fender, “3-D: The Catalogue” dei Kraftwerk o “Lamomali Airlines”, esecuzione ampliata delle musiche del progetto franco-maliano di -M-, Toumani Diabaté, Sidiki Diabaté e Fatoumata Diawara.
Ci sono poi incisioni dal vivo di eventi one-shot, come i due “Family Dinner” degli Snarky Puppy (con ospiti Knower, Laura Mvula, Jacob Collier, David Crosby e altri) o le session realizzate per l’etichetta newyorkese Audiotree (dai Foxing e dai Crying, da Mitski, dai Caspian, dai Covet, dai Kneebody…) o ancora testimonianze di progetti portati avanti soltanto dal vivo: si veda “Jalitah”, di Paolo Angeli e IOSONOUNCANE, “Live At Bush Hall” dei Black Country, New Road o “Metropolis” dei math/progger Physics House Band.

Tra le diverse opzioni consolidatesi negli anni, una che ha conquistato un ruolo speciale è la trasposizione acustica (e, in qualche caso, anche orchestrale) di repertori elettrici o elettronici. Una parte del prestigio è senz’altro dovuta alla serie “Mtv Unplugged” varata a fine anni Ottanta e divenuta mitologica con il celebre “Unplugged In New York” dei Nirvana, pubblicato postumo nel 1994 e documentato – ovviamente – anche in video. Nel tempo la prassi si è sedimentata, e ha perfino guadagnato un proprio lemma su Urban Dictionary: acousticize. Fra gli artisti a essercisi cimentati negli ultimi anni, e con notevole apprezzamento da parte dei fan, figurano band di ascendenza metal come Katatonia (“Sanctitude”, 2015) e Anathema ( “A Sort Of Homecoming”, 2015), ma anche gli stomp-rocker Bastille (proprio con un “Mtv Unplugged”, nel 2017) e perfino i nu-gazer DIIV (“Live At The Murmrr Theatre”, 2022).
“Moratorium (Broadcasts From the Interruption)” degli electro-metalcore Enter Shikari presenta i brani della band in un’efficace versione semiacustica e marca ancora un’altra sottocategoria: quella dei live at home incisi durante il periodo di lockdown, fra i quali figurano anche uscite di All Them Witches, Deafheaven, Fleet Foxes. Si può indirettamente ricondurre a questo gruppo anche uno dei live album con più stream dei tempi recenti, “Live From Joshua Tree” degli australiani Rüfüs Du Sol, la cui popolarità è cresciuta notevolmente proprio grazie alla performance house in solitaria incisa nel mezzo del deserto californiano a fine 2019 e caricata su YouTube nei primi mesi del 2020, proprio quando la pandemia iniziava a colpire il mondo occidentale.


A differenza di molti e celebratissimi live album storici, buona parte di queste nuove uscite non presenta sovraincisioni significative: il suono non è identico (per fortuna) a quello che esce dal banco mix durante le esecuzioni dal vivo, ma il processo di editing in studio prevede interventi più sfumati rispetto a un tempo. L’aura leggendaria del sound di “Live At Leeds” degli Who, “Stop Making Sense” dei Talking Heads, “It's Alive” dei Ramones, “Frampton Comes Alive!”, “Unleashed In The East” dei Judas Priest risiede in parte anche nella massiccia dose di overdub e manipolazioni del materiale di partenza, votate a mascherare imprecisioni esecutive e intoppi tecnici nella registrazione e, in generale, a rendere più brillante la resa sonora. Un caso estremo, ma a suo modo esemplare, è quello di “Alive!” dei Kiss, che all’epoca fu il primo album della band a entrare nella top ten statunitense: dopo avere per lungo tempo negato ogni modifica, nel 2003 i componenti della band ammisero che gran parte delle tracce era stata estesamente reincisa in studio (stando al tecnico del suono Eddie Kramer, solo la batteria non necessitò di interventi).
Anche oggi la pubblicazione di dischi dal vivo richiede correzioni, ma queste avvengono in genere in modo più “chirurgico”: se una nota suona male, se ne cerca un’altra analoga nell’esecuzione e si sostituisce solo quella attraverso un software di editing audio. Grazie al multitracking, una linea vocale un poco stonata può essere aggiustata in post-produzione senza bisogno di ri-registrarla da capo, e la disponibilità di efficaci filtri audio permette di ripulire il suono o enfatizzarne la spazialità in maniera mirata, senza alterare pesantemente timbri e dinamica.

Nuovi orizzonti, nuova vita

Come confermano i casi dei Rüfüs Du Sol e del ben noto Mtv Unplugged, l’interesse di un’ampia fascia di pubblico per le registrazioni live è testimoniato anche dal notevole successo che i filmati di concerti hanno sulle piattaforme di streaming video: il brano live più riprodotto su Spotify di Taylor Swift ha 60 milioni di ascolti (moltissimi, ma svariati ordini di grandezza sotto ai suoi pezzi più riprodotti in assoluto), ma la sua esibizione del 2019 agli American Music Awards è stata visualizzata 109 milioni di volte su YouTube, e il suo Tiny Desk Concert ha 22 milioni di views – più degli streaming di buona parte dei suoi singoli brani dal vivo, anche sommando le diverse piattaforme che li ospitano.
Situazioni analoghe si ritrovano non solo per altri chartbuster come Ed Sheeran, Ariana Grande e Coldplay, ma anche per artisti commercialmente meno in vista: i Tiny Desk Concert di Tash Sultana, GoGo Penguin, Chromeo, Khruangbin, IDLES, alt-J hanno notevolmente più views degli ascolti dei rispettivi live album su Spotify, e per altri (ad esempio, War On Drugs, Tame Impala, King Krule) i numeri grosso modo si equivalgono.
Se in parte questi elementi forniscono ragioni a chi vede il formato live album come necessariamente in declino (oggi chiunque può assistere gratis a performance ottimamente registrate dei propri artisti preferiti: perché mai dovrebbe accontentarsi di un live album?), le medesime osservazioni – e l’esistenza stessa di iniziative come Tiny Desk Concert e Live on KEXP – sono una conferma dell’attenzione degli appassionati alle incisioni di musica dal vivo, la cui domanda si adatta agli strumenti disponibili distribuendosi su vari canali. Tracciarne le sorti prendendo in considerazione soltanto lo sbocco dei live album risulta dunque riduttivo.


Sia come sia, anche nell’articolato panorama di video, dirette streaming, documentari di tour ecc., i live album conservano un proprio ruolo, nonostante (ma forse proprio grazie a) il carattere poco immersivo dell’esperienza che offrono, facilmente conciliabile con altre attività. In Brasile, il mercato mostra una solida passione per le registrazioni di musica dal vivo: una delle band di maggior successo degli ultimi anni, Os Barões da Pisadinha, riscontra i suoi migliori risultati di ascolto proprio con i numerosi dischi ao vivo, e una situazione analoga è comune anche per altri artisti. È recentissimo inoltre l’accordo fra Bbc e festival di Glastonbury per rilasciare in versione di live album digitali gli streaming delle performance di giugno 2024 di artisti come Dua Lipa, Little Simz, The Streets, James Blake, Fontaines D.C., The National, Justice, Idles, Jessie Ware e molti altri.

Insomma, certamente gli album dal vivo non rappresentano più il megabusiness che ha caratterizzato i Seventies (e la cui “coda lunga” ha coinvolto in parte anche i decenni successivi), ma la reinvenzione del formato è un processo che proprio in questi anni è specialmente attivo e sta producendo una molteplicità di esiti, non tutti orientati nella stessa direzione. Forse non rivedremo più un live album raggiungere la prima posizione in classifica (come capitò negli Stati Uniti a Johnny Cash e Donna Summer, Bruce Springsteen e Alicia Keys), ma chissà: il cantautore country Kenny Chesney nel 2017 raggiunse proprio quel traguardo.
Di contro, la quantità di registrazioni dal vivo di qualità eccellente è più grande di quanto lo sia mai stata, e aumenta alla maggior velocità di sempre. La gran parte delle uscite di questo tipo arriverà soltanto a chi segue con attenzione gli artisti coinvolti o è appassionato dello specifico filone in cui operano, ma conviene comunque non cedere alle semplificazioni fuorvianti: la situazione è interessante proprio perché fluida e complessa, e valutare la vitalità del formato solo dalle posizioni raggiunte in classifica è una banalizzazione che nasconde molto più di quanto sveli. Abbasso la pigrizia degli algoritmi e del “non ci sono più i tempi di una volta”: lunga vita ai live album!