John Lee Hooker

John Lee Hooker Plays And Sings The Blues: dal Mississippi a Detroit

Stati Uniti, 1948. Un inserviente impiegato in una fabbrica di Detroit riesce a registrare un singolo blues dal ritmo insolito e incalzante (“Boogie Chillen”). Si tratta di John Lee Hooker, all’epoca approssimativamente trentacinquenne (la sua data di nascita è incerta, ma si aggira tra il 1913 e il 1917). Il pezzo trova subito vasti apprezzamenti nella classifica americana dedicata alla musica nera.
Hooker, partendo dal Mississippi, aveva seguito negli anni 40 del ‘900 la grande migrazione che dal profondo sud degli Stati Uniti portò centinaia di migliaia di lavoratori agricoli al nord per trovare impiego nelle fabbriche. Il bluesman si fa immediatamente strada in questo flusso di umanità povera, ma portatrice di una musica di capitale importanza e fascino: il country blues (la versione primordiale e tradizionale del blues). Essa si basa sull’utilizzo di voce e chitarra acustica (suonata con diverse variazioni tecniche) per esprimere le difficoltà incontrate nella quotidianità dai neri negli stati meridionali degli Usa.
Hooker inizia a cimentarsi con questa musica intensa ed emozionante fin dalla giovinezza, ma quando arriva a Detroit vi aggiunge una caratteristica nuova: l’amplificazione elettrica della chitarra.
In seguito al successo di “Boogie Chillen”, dunque nella prima metà degli anni 50, registra numerosi altri brani, la maggior parte dei quali viene pubblicata sotto forma di 45 giri. Un materiale prezioso che verrà poi recuperato all’inizio della decade successiva, quando Hooker è ormai affermato ed è in atto il revival blues che allargherà anche ai bianchi il mercato di questo genere musicale.

In tale contesto, nel 1961, esce “John Lee Hooker Plays And Sings The Blues” per l’etichetta Chess: dodici canzoni estrapolate dal materiale inciso tra il 1950 e il 1952. L’album, composto per la maggior parte da composizioni originali, unisce due periodi fondamentali della storia del blues, fatti confluire l’uno nell’altro per trasmettere un messaggio univoco dotato di grande carica innovativa ed emotiva. Il primo fattore è, come già ricordato, il country blues che origina dai canti di lavoro e dagli spirituals delle comunità nere, sviluppandosi nei primi tre decenni del ‘900. Da esso Hooker prende l’intensità viscerale del canto e la forza semplice e diretta dello stile chitarristico. Inoltre, ne mantiene anche la austera strumentazione: voce e chitarra.
Il secondo elemento è dato, invece, dalla svolta elettrica impressa al blues nella seconda metà degli anni 40 del ‘900 che dà vita al Chicago blues. Da questo ambito musicale il bluesman carpisce l’elettrificazione della chitarra e l’impatto sonoro potenziato e irrobustito che ne consegue.

John Lee Hooker - John Lee Hooker Plays And Sings The Blues



Come già prima aveva fatto con la sua storia di vita (attraversando gli Usa dal Mississippi a Detroit), nella musica contenuta in “John Lee Hooker Plays And Sings The Blues”, Hooker fonde tradizione e modernità del genere blues. Percorrendo questa particolare via musicale, risolve brillantemente il dualismo tra i bluesmen acustici e solitari degli anni 20 e 30 e la nuova strada intrapresa dal blues elettrico suonato da band di più elementi. Al crocevia di queste due epoche del blues, Hooker edifica un ponte costruito con il materiale solido e resistente di accordi semplici, asciutti e ripetuti, raramente soggetti a cambi e ribaditi fino a generare un groove ipnotico, contemporaneamente cupo e ritmato. L’ascoltatore è dunque trasportato attraverso i meandri del fiume Mississippi, lungo il quale Hooker è nato e cresciuto artisticamente, ma all’orizzonte si colgono chiaramente gli scintillanti bagliori elettrici con i quali il Chicago blues ha modificato il corso della storia della musica.
La struttura dei blues che possiamo ascoltare in “John Lee Hooker Plays And Sings The Blues” è spesso classica (strofa-strofa-ritornello), con alcune variazioni sempre derivate dallo stile country blues tradizionale (ad esempio, intro-strofa-ritornello). Le costruzioni dei brani sono incessantemente immerse nello scorrere continuo dei riff profondi e costanti che caratterizzano questa fase iniziale della carriera di Hooker. Ne risultano frasi musicali contemporaneamente fosche e dinamiche, che lasciano prevalere l’impatto ritmico degli accordi sull’articolazione dei temi melodici. Il risultato che ne consegue tesse così legami diretti con figure di primo piano del country blues come Mississippi Fred McDowell, Ruben Lacy e Lightnin’ Hopkins.

Hooker suona qui due tipologie di chitarra amplificata: l’acustica dotata di un pickup applicato appositamente (ad esempio, nella cover di Big Joe Williams “Baby Please Don’t Go”) e l’elettrica leggermente distorta (ad esempio, in “Dreamin’ Blues”). In aggiunta agli accordi e ai riff già citati, vanno sottolineati i brevi e fortemente suggestivi fraseggi del chitarrista. Essi riempiono liberamente gli spazi tra una strofa e la successiva o tra il ritornello e la ripresa della strofa (elemento ancora una volta proveniente dal country blues). Lo fanno con un tono che non è mai affilato o acuto, ma che privilegia uno spessore sonoro caldo e arrotondato, sebbene piuttosto incisivo e penetrante.
Il musicista tratteggia anche qualche vero e proprio assolo dalla forma asciutta e spigolosa: concisi ornamenti sonori che, intervallati da brevi e tesi silenzi, completano e ribadiscono in note le emozioni espresse dei testi.
Tra note ripetute e sintetici, ma vibranti, commenti chitarristici fatti seguire alle parole, il fingerpicking blues di Hooker anticipa (ad esempio, in “Lonely Boy Boogie”) lo stile che sarà reso popolare a distanza di qualche anno grazie alla chitarra di Chuck Berry.
Non va dimenticato anche il ruolo percussivo del piede di Hooker battuto ritmicamente su una cassa o sul pavimento dello studio di registrazione (tecnica presente in tutte le tracce del disco, talvolta lentamente, in altri casi più rapidamente). In questo modo il bluesman sostituisce in modo spontaneo e istintivo il ruolo che la batteria e il contrabbasso avevano recentemente assunto nel blues elettrico.

È la sua voce, inoltre, a rendere magnetiche ed estremamente coinvolgenti le dodici tracce dell’Lp. Ancora strettamente legata allo stile country blues delle origini, essa spazia tra colori scuri e profondi, usandoli per dipingere i moti accorati dell’anima, carichi di tormentata passione.
I testi trattano l’amore finito o ostacolato insieme alla solitudine e alla sofferenza data dalle traversie della vita. In questo caso, più che le parole in sé, è il significato complessivo dei testi a essere importante: avvincenti pulsioni e dolorose vicende umane esposte in maniera franca e diretta.
A suggellare quanto descritto finora, citiamo il riverbero ambientale nel quale sono avvolti voce, chitarra elettrica e battito del piede (come in “Apologize”): un effetto di studio che aggiunge emotività alle performance e un fascino d’epoca al disco.

Tra i brani più notevoli dell’Lp citiamo:

  • “Just Me And My Telephone”, che quasi la matrice musicale per “Parachute Woman” dei Rolling Stones (assolo compreso). 
  • “Hey Boogie” e “Mad Man Blues”: due riproposizioni personali ed estremamente originali delle origini del boogie woogie (nella sua accezione di ballo tradizionale derivante dal country blues e popolare all’inizio del ‘900).
  • “The Journey” e “I Don’t Want Your Money”, i pezzi più rappresentativi del country blues elettrico che contraddistingue l’album.

“John Lee Hooker Plays And Sings The Blues” è un 33 giri imperdibile per gli amanti del genere e non solo, in grado di offrire all’ascolto il lato migliore di questo grande bluesman (che molti forse ricorderanno nella scena del film "The Blues Brothers", in cui appare in Maxwell Street a Chicago, con la sua inseparabile chitarra). Un aspetto della sua musica spesso trascurato in quanto composto da blues per lo più poco conosciuti, appartenenti al primo, più innovativo, appassionante e autentico periodo della sua carriera.

11/06/2025

Discografia

Pietra miliare
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